Lo schiavo manager
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
A Roma, durante l’età classica, un cittadino può costituire un’impresa e affidarne l’amministrazione e la completa gestione a un proprio schiavo. I proventi dell’impresa arricchiscono il padrone, ma egli, di converso, risponde dei debiti contratti dallo schiavo manager. Esistono due tipologie di tali imprese: a responsabilità illimitata e limitata. Nelle seconde, a differenza che nelle prime, il padrone risponde dei debiti contratti dal suo schiavo solo fino a un certo ammontare prestabilito.
A Roma, durante l’età classica (tra il II sec. a.C. e il II sec. d.C.), un cittadino può costituire un’impresa, affidandone l’amministrazione e la completa gestione a un proprio schiavo. Con riferimento a schiavi che svolgano un tale tipo di attività di gestione, si parla di vere e proprie funzioni manageriali (fondamentali al riguardo gli studi di Andrea di Porto).
Un esame del funzionamento delle imprese gestite da schiavi non può non prendere le mosse da una veloce messa a fuoco della condizione generale che ha lo schiavo nel diritto privato romano, a partire dall’età arcaica (cioè fin dai secoli anteriori al II a.C.).
Durante l’età arcaica, lo schiavo, che è visto al contempo come cosa e come persona, non è considerato soggetto di diritto. Non può essere titolare di diritti propri, non può avere un patrimonio personale. Esiste una sola possibilità secondo la quale può godere di una qualche disponibilità finanziaria per esigenze personali e dipende dalla concessione, da parte del padrone, del cosiddetto peculio, che consiste in un insieme di beni e di danaro e di solito ha una consistenza molto limitata. La proprietà del peculio rimane al padrone, che può revocarlo in ogni momento, ma finché è nelle mani dello schiavo, egli ne dispone con grande libertà, anche alienando i beni che ne fanno parte.
Pur essendo privo di soggettività giuridica, lo schiavo è ritenuto capace di compiere atti che producano effetti validi sulla sfera patrimoniale del padrone. Il principio generale vuole che lo schiavo possa migliorare la condizione del padrone, ma non possa peggiorarla. Ciò comporta che lo schiavo possa acquistare per il suo padrone la proprietà o i crediti. Non è invece in grado di contrarre validamente debiti e, se li contrae, il suo padrone giuridicamente non può essere chiamato a risponderne.
Nell’ambito di un tale inquadramento complessivo uno schiavo non può efficacemente rivestire il ruolo di amministratore di un’impresa, in quanto nessuno gli concederebbe mai credito.
Le cose mutano durante l’età classica: lo schiavo continua a non essere considerato soggetto di diritto e permane il principio per cui egli non può peggiorare la situazione del padrone, tuttavia si registrano alcune importanti innovazioni sull’efficacia dei debiti contratti dagli schiavi. Il pretore prevede nel suo editto che i titolari di crediti concessi a schiavi possano disporre di idonei strumenti giudiziari che garantiscano loro l’adempimento. Ciò è previsto non in termini generali, ma con riferimento a situazioni determinate nelle quali il padrone in via preliminare si sia assunto esplicitamente, o per le quali è dato pensare che si sia assunto implicitamente, la responsabilità di certe operazioni finanziarie compiute dal proprio schiavo. Questi strumenti sono denominati dai moderni "azioni adiettizie". Tramite esse, i creditori possono citare in giudizio i padroni, perché rispondano dei crediti concessi ai loro schiavi.
Ciò rende finalmente possibile, per i padroni, affidare la gestione delle loro imprese agli schiavi, poiché questi ultimi avranno la possibilità, in qualità di amministratori, anche di ricorrere al credito, in quanto i creditori sapranno che, in caso di inadempimento dell’obbligazione, potranno chiamare in causa i proprietari degli schiavi.
Ma fino a che punto i padroni rispondono dei debiti contratti dai loro schiavi nell’esercizio dell’attività imprenditoriale? È possibile distinguere due tipologie di imprese gestite da schiavi "manager": a responsabilità illimitata e limitata.
Le prime si basano su un atto formale avente rilevanza esterna, che prende il nome di preposizione (praepositio) con cui il padrone – e titolare dell’attività – pone il proprio schiavo a capo dell’impresa. La praepositio fissa con precisione i confini negoziali entro i quali lo schiavo deve esercitare la sua attività manageriale. Il patrimonio dell’impresa non è giuridicamente separato da quello del padrone ed egli risponde pertanto illimitatamente, con tutto il proprio patrimonio personale, dei debiti che lo schiavo abbia contratto rispettando le attribuzioni assegnategli dalla praepositio.
Le soluzioni imprenditoriali a responsabilità limitata si fondano invece sulla concessione allo schiavo di un peculio, che costituisce il patrimonio dell’impresa ed è considerato giuridicamente separato dal patrimonio individuale del padrone. Il peculio costituisce così il limite massimo e predeterminabile del rischio imprenditoriale e lo schiavo manager rappresenta il suo organo. In questi casi il peculio può avere dimensioni anche molto rilevanti e può arrivare a comprendere immobili o altri schiavi. Ad alcuni di questi schiavi, chiamati vicarii, lo schiavo manager principale (che prende il nome di ordinarius) può affidare la gestione di ulteriori imprese, che dipendono da quella da lui amministrata. Ciò può avvenire con atti di praepositio, o, in alternativa, l’ordinario può procedere con l’assegnazione a uno o a più vicari di un apposito peculio. In questo caso, si ha l’esistenza di un doppio livello peculiare, per cui c’è il peculio di ogni vicario, che costituisce il patrimonio dell’impresa da lui amministrata, e poi c’è quello dell’ordinario, che rappresenta una sorta di patrimonio di controllo, o di "peculio-madre".
La prassi di affidare la gestione delle imprese agli schiavi è molto diffusa nella Roma di età classica. Vi si ricorre non solo quando l’impresa è individuale, ma anche quando più persone intendono costituire un’impresa collettiva: gli imprenditori acquistano allora uno schiavo in comproprietà tra loro e gli affidano la gestione dell’impresa, applicando una delle due soluzioni, a responsabilità limitata o illimitata, che si sono descritte. In entrambi i casi, seppur con le dovute differenze delle due diverse soluzioni, i comproprietari dello schiavo comune divideranno tra loro i profitti e le perdite generati dall’impresa, in proporzione alla rispettiva quota di comproprietà dello schiavo.
Va ricordato infine che il diritto romano, a differenza degli ordinamenti moderni, non conosce l’istituto della società a responsabilità limitata. Nel mondo romano, pertanto, l’impresa collettiva a responsabilità limitata gestita da uno schiavo manager dotato di peculio è il solo importante strumento giuridico che consente di limitare la responsabilità degli imprenditori.