Lo sottil ladro che ne gli occhi porti
. Sonetto (Rime dubbie XVII; schema abba abba; cdc dcd) attribuito a D. dai codici Laurenziano Rediano 184 e dall'affine Chigiano L VI 131, ma a Cino da Pistoia dal Casanatense 433, dal n. 1289 della bibl. Universitaria di Bologna, dal Trivulziano 1050 - tutti derivati da una medesima tradizione testuale - e dall'esemplare Galvani della Giuntina; le stampe del Pilli (1559) e di padre Tasso (1589) ripetono pedissequamente l'attribuzione a Cino; mentre in genere dagli editori moderni (Di Benedetto, Marti) il sonetto è riportato tra le dubbie del Pistoiese.
Per il Barbi nessun elemento valido esiste " né per l'una né per l'altra attribuzione "; per il Contini " la minuziosità dell'indagine, la moltitudine di elementi reperiti (anche quegli spiriti dolenti...), soprattutto l'applicazione dell'ironia e certo modo popolareggiante negli estremi del componimento, fanno pensare alla maniera cavalcantiana "; ma aggiunge che il ladro iniziale potrebbe anche portare a Cino (cfr. Io era tutto for di stato amaro 4) o fors'anche al Quirini (cfr. Colui che perse 9).
Il poeta si duole con la donna che Amore, con le sue arti di sottil ladro insediato negli occhi di lei, rubi il cuore e riduca perciò il poeta vicino a morte. Vero è che a ridar forza e vita agli spiriti dolenti disviati basterebbe che la donna rivolgesse loro i suoi sguardi, ma ella è micidiale, omicida, e il suo animo spietato è pieno di crudele veleno.
Bibl. - Barbi, Studi 504-505; Contini, Rime 258; Barbi-Pernicone, Rime 688-689; Poeti del dolce stil nuovo, a c. di M. Marti, Firenze 1969, 920-921.