Lo spazio sacro del cristianesimo
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Non è possibile parlare di una vera architettura cristiana fino all’editto di Milano. Prima di allora i fedeli si riunivano in luoghi occasionali o riadattavano al culto architetture domestiche. Dopo il 313 i complessi ecclesiastici commissionati a Roma, Gerusalemme, Costantinopoli da Costantino diventano modelli ineludibili per i secoli a venire. All’interno delle mura delle maggiori città si inizia a erigere del V secolo nuove basiliche “parrocchiali”, che in seguito accoglieranno i corpi santi qui traslati dalle necropoli extraurbane. Il tipo base di basilica, a tre navate e abside orientata, è presto declinato in tutto il bacino mediterraneo secondo innumerevoli varianti. In Occidente il crollo dell’impero romano e le invasioni barbariche determinano una fase di stasi, durante la quale si rimane comunque legati alle tradizioni costruttive tardoantiche. La politica artistica di Carlo Magno e dei suoi discendenti porta tra VIII e IX secolo alla costruzione di complessi vescovili e monastici esemplari e alla definizione di tipi architettonici nuovi destinati ad avere grande fortuna nei secoli successivi.
Non è possibile parlare di una vera architettura cristiana, quanto alla forma degli edifici usati per le celebrazioni e la sinassi eucaristica, fino all’età della pace della Chiesa, ossia agli anni successivi all’editto di Milano del 313. Come si evince dalle Lettere di San Paolo e dagli Atti degli Apostoli, le riunioni delle comunità cristiane fino all’inizio del II secolo hanno luogo in spazi domestici, messi a disposizione da un membro della comunità. Si tratta di ambienti non specializzati, di dimensioni ridotte e privi di un vero arredo liturgico, ove i banchetti eucaristici (agapai) si consumano su una semplice mensa (trapeza) di legno. Il disinteresse mostrato verso l’ideazione di luoghi esclusivi per il culto deriva certo da una teologia che porta a identificare il tempio di Dio con la comunità medesima dei fedeli nella sua unità spirituale, e per la quale il legame con il divino non passa attraverso l’uso di templi o di altari, come quelli pagani: da qui ad esempio la possibilità, più volte riferita dalle fonti, di messe celebrate all’aperto con altari mobili. Vi è però anche, più nel concreto, la necessità di non esibire pubblicamente le pratiche di una Chiesa la cui esistenza è per lungo tempo tollerata ma, fino a Costantino, non legalizzata.
A ogni modo già dalla seconda metà del II secolo la consistenza numerica di alcune comunità urbane, la definizione sempre più rigorosa di una gerarchia ecclesiastica locale, e di una liturgia articolata (liturgia della parola, liturgia eucaristica, battesimo) e bisognosa di spazi appositi (luoghi per i penitenti, i catecumeni, e gli ostiari, spazio del consignatorium ecc.), porta alla realizzazione di centri noti come domus ecclesiae, o solo ecclesiae (da cui il termine oggi impiegato in molte lingue romanze per identificare il tempio cristiano), specificamente concepiti per il culto e per l’organizzazione di attività di assistenza. La comunità è proprietaria delle domus, benché non sia ancora chiaro a che titolo, non godendo essa ancora di un riconosciuto status giuridico. Si tratta il più delle volte di un riadattamento di precedenti edifici di abitazione, modificati secondo necessità: non si deve pensare dunque a tipologie uniformi e distintive, dal momento che l’architettura residenziale varia secondo le consuetudini costruttive delle diverse provincie. Un modesto edificio sopravvissuto ai confini orientali dell’impero, a Doura Europos in Siria, permette di farsi un’idea di queste chiese precostantiniane. Datata con sicurezza tra l’inizio del III secolo e il 257, anno in cui è distrutta e sepolta per rafforzare le mura cittadine, la domus di Doura non differisce dalle modeste case d’abitazione circostanti, con vani disposti attorno a una corte centrale, ma mostra i segni di riadattamenti architettonici tesi a ricavare una sala per la celebrazione, con il posto del clero già distinto da quello dei fedeli, un ambiente per i catecumeni, esclusi dalla sinassi prima del rito eucaristico, e un locale autonomo dotato di vasca fissa per il battesimo e corredato da pitture di valore catechetico. Ovunque nel III secolo si possono vedere edifici simili: nelle grandi città dell’impero, come Roma, le dimensioni della domus possono crescere molto, e svilupparsi su più piani all’interno di grosse insulae, veri e propri condomini dei quartieri poveri che circondano il centro monumentale della città.
A una ormai preponderante presenza di cristiani non corrisponde in conclusione, ancora al volgere del 300, una forma architettonica che dia riconoscibilità e prestigio alla comunità. Nelle provincie orientali vi sono eccezioni, rappresentate da edifici monumentali e sfarzosi (Nicomedia, Antiochia) che a maggior ragione sono colpiti dalle persecuzioni di Diocleziano. Non se ne conoscono le piante, ma le fonti che ne parlano fanno capire a che stadio sia ormai giunto il processo di sacralizzazione dello spazio cultuale cristiano, quanto siano diffuse già prima del 313 scelte dispositive che diverranno poi costanti, come la preferenza per edifici orientati e a sviluppo longitudinale, e che organizzazione e fasto possa avere in alcune aree l’arredo presbiteriale.
Simili precedenti non sono però in grado di ridimensionare la portata rivoluzionaria dell’intervento di Costantino. Al riconoscimento ufficiale della religione, alla protezione imperiale dimostrata con privilegi e donazioni di straordinaria generosità, all’integrazione dei vertici ecclesiastici nell’amministrazione dell’impero, fa da pendant una portentosa attività edilizia, dispiegata tra Roma, Treviri, Costantinopoli e Gerusalemme, che detta modi e forme di tutta l’architettura ecclesiastica successiva.
Con l’erezione della Basilica lateranense, costruita durante il pontificato di Silvestro I come cattedrale, in quanto sede della cathedra del vescovo, nasce a tutti gli effetti la basilica cristiana. La chiesa costantiniana si conserva ancora in parte sotto il rifacimento del Borromini, e il suo aspetto originario è ricavabile da alcuni dipinti: si trattava di una basilica a cinque navate (90 x 55 m), la maggiore terminante in un’ampia abside, ove era collocato il presbiterio con gli stalli del clero e l’altare. L’abside era preceduta da un fastigium, che è stato ricostruito ipoteticamente come un diaframma di quattro colonne di spoglio in bronzo dorato (dal 1600 reimpiegate all’altare del Santissimo Sacramento), con la trabeazione interrotta da un arco nella campata mediana, sovrastato da un timpano e decorato da immagini di Cristo e degli apostoli. L’articolazione del fastigium sarebbe stata in tal caso connotata in senso imperiale (si ritrova ad esempio nel palazzo di Diocleziano a Spalato) e trasformava simbolicamente la basilica in una sorta di gigantesca sala d’udienza di Cristo Re. La chiesa, orientata a ovest, era illuminata soprattutto da una teoria di ampie monofore aperte nel muro superiore della navata maggiore, coperta, come i collaterali, da un soffitto ligneo. Dei piccoli corpi di fabbrica sporgevano a occidente dalle navatelle più esterne. Tre portali si aprivano nella facciata orientale, mentre è solo ipotizzabile – in assenza di dati archeologici – la presenza di un atrio anteriore, usuale nelle chiese romane di IV secolo. All’imponente ma spoglia muralità dell’esterno doveva fare da contraltare lo sfarzo del decoro interno, a cui contribuiva un largo impiego di spolia. Clamoroso deve essere, agli occhi di un cristiano del 300, lo scarto con gli edifici di culto di pochi decenni prima. La nuova architettura si ammanta così di ideologia imperiale ed è chiamata a comunicare il nuovo ruolo ufficiale della Chiesa, la sua funzione politica come forza unificante dell’impero. Da qui l’inevitabile adozione dello stile più aulico dell’architettura classica, proprio di tutta l’architettura sacra costantiniana e soprattutto la scelta per la domus Dei di una categoria di edificio civile assai diffuso e versatile, la basilica, usata in tutte le provincie per varie funzioni, come luogo di incontro, di commercio, di giustizia, come salutatorium nei palazzi imperiali e raramente come luogo di raduno per alcune sette religiose. Nota in una moltitudine di varianti, la basilica civile del III secolo, spesso dotata di file longitudinali di sostegni, e a volte di absidi terminali, è riadattata per le esigenze della liturgia, ma anche per la nuova, pomposa, ritualità che il vescovo e il suo clero hanno desunto dal cerimoniale imperiale. Si viene così a definire lo schema di una nuova tipologia di basilica, di esclusiva funzione cultuale cristiana.
A nord-ovest della Basilica lateranense è eretto nei medesimi anni anche il primo battistero. Ricostruito entro la metà del V secolo in forma ottagonale con deambulatorio interno, già il primo edificio ha pianta centrale, mutuata dall’architettura dei grandi mausolei patrizi romani, a simboleggiare quanto scritto da san Paolo nella Lettera ai Romani (Rom. 6, 4) ossia la morte dell’uomo vecchio e la rinascita alla vera vita in Cristo attraverso il sacramento del battesimo. La fortuna dell’impianto centralizzato, e ottagonale in particolare, legato forse alla costruzione del secondo battistero milanese di San Giovanni in Fonte a opera di Ambrogio, è notevole soprattutto in Occidente. Ma le varianti saranno molte: battisteri ottagonali all’interno e quadrati all’esterno, battisteri con cappelle aggregate sporgenti o meno, con cappelle quadrate alternate ad absidiole, con deambulatorio esterno o senza ecc. In alcune regioni vengono preferite altre piante: quadrata o rettangolare, con abside o senza. Anche la vasca, da principio una vera e propria piscina con gradini per l’immersione dei battezzandi, può avere molte forme, a croce, ovale (Aquileia) allungata (Sbeitla), esagonale (Grado, Lomello), anche se anche in questo caso si ha una particolare predilezione per la vasca a otto lati.
Il modello della Basilica lateranense è seguito ovunque, a meno di varianti dettate dai modi costruttivi regionali, da specifiche indicazioni della committenza e dalle particolari usanze liturgiche che nel corso del IV secolo si vengono sempre più differenziando. Cattedrali paleocristiane a cinque navate si trovano a Milano, a Vercelli, forse a Pavia, a Santa Maria Capua Vetere, a Ravenna e, fuori dalla penisola, da Lione all’Africa Settentrionale (Djémila), da Costantinopoli a Gerusalemme. La prima basilica di Santa Sofia a Costantinopoli, sostituita poi dal tempio giustinianeo, e la basilica detta Martyrium a Gerusalemme sono commissionate da Costantino e hanno un impianto simile, con la successione di propilei affacciati sulla strada pubblica, atrio e chiesa a cinque navate dotata di gallerie. Purtroppo nulla resta dei due edifici per i quali Costantino non bada certo a spese: Santa Sofia è la cattedrale della seconda Roma, nuova capitale dell’impero; il Martyrium di Gerusalemme è il tempio costruito nel luogo più santo della cristianità, consacrato dalla morte e resurrezione di Cristo.
In tutte le maggiori città dell’impero nel IV secolo la comunità cristiana è arrivata a darsi un ordinamento stabile, incentrato sulla figura del vescovo e sulla sua domus, il complesso episcopale della cattedrale, che si compone oltre che delle aule per il culto, anche di molti ambienti residenziali, di servizio e di rappresentanza. Nei primi tempi l’unica liturgia è quella del vescovo assistito dalla sua famiglia ecclesiastica di presbiteri e diaconi: egli è l’unico pastore della comunità. Fuori dalle mura cittadine iniziano a comparire nelle campagne piccoli centri di evangelizzazione, ecclesiae baptismales rette da presbiteri rurali, che surrogano le funzioni della cattedrale. La celebrazione domenicale è ovunque il perno attorno a cui si regolano le funzioni del vescovo e della sua famiglia ecclesiastica per l’intera settimana. La distinzione tra l’officiatura quotidiana e la sinassi eucaristica festiva viene a determinare in molti casi una struttura architettonica doppia della chiesa cattedrale.
Ad Aquileia, a Milano, a Treviri, a Ginevra, a Salona e in molti altri luoghi, l’esistenza di due aule di culto – a cui si aggiunge un terzo ambiente, quello del battistero –, in passato spiegata erroneamente con la necessità di provvedere all’educazione dei catecumeni e di dividere questi dai fedeli nel momento culminante del rito eucaristico, va intesa invece come specializzazione degli ambienti in funzione dell’alternanza della liturgia feriale e festiva. La posizione reciproca delle aule di culto, e del battistero rispetto a esse, non segue mai una regola, ma muta a seconda delle consuetudini liturgiche e costruttive delle diverse aree, e a seconda dei condizionamenti urbanistici. In alcune regioni, come il Nord Italia, la doppia aula sopravvive a lungo, a volte fino ai nostri giorni (Brescia, Grado), sia pur passando attraverso grosse trasformazioni architettoniche, cambiamenti di funzione o integrali ricostruzioni.
Se la cattedrale subito dopo il 313 costituisce l’unica chiesa entro le mura per la celebrazione regolare, altri sono i luoghi venerati, presto valorizzati dai fedeli con l’erezione di veri e propri edifici ecclesiali: i martyria.
Nelle necropoli e nelle catacombe extraurbane – che contrariamente a quanto si pensa non servono mai alle riunioni clandestine dei primi cristiani – sono molte le sepolture dei martiri della fede, uccisi soprattutto durante le persecuzioni di Decio, Valeriano e Diocleziano: la commemorazione, nelle forme usuali dei banchetti funebri, inizia subito a tramutarsi in vero e proprio culto dei santi. Sulle loro tombe vengono costruiti piccoli sacelli (martyria), ad aula absidata, a croce, a trichora, dotati dalla fine del III secolo di altari. Per i fedeli poter essere deposti, una volta defunti, in prossimità della tomba di un martire (ad sanctos) è un desiderio così diffuso da portare all’erezione a Roma di spazi coperti a tre navate costruiti in prossimità di un martyrium particolarmente venerato, destinati alla sepoltura, ai banchetti privati, ma dotati anche di un altare centrale per la festività del santo. Alcune di queste basiliche cimiteriali romane sono ancora parzialmente visibili (basilica di Santa Agnese sulla via Nomentana): edifici imponenti circondati da una costellazione di sacelli privati, a volte di sfarzosi mausolei imperiali (Santa Costanza), le basiliche hanno una caratteristica forma a circo, con le navate laterali che continuano attorno all’abside. La sepoltura del santo rimane fuori dall’edificio, in una cella autonoma.
Fondamentali per la vita religiosa delle comunità suburbane, le basiliche cimiteriali si trasformano presto in senso “parrocchiale”, con un clero residente per la cura d’anime e la celebrazione ordinaria. In tutto l’impero i vescovi si preoccupano di erigere chiese nelle necropoli extraurbane, attorno o a fianco delle tombe di santi locali particolarmente venerati, e sentiti come protettori della città: a Milano per esempio Ambrogio costruisce nel 385 circa la “basilica dei martiri” (attuale Sant’Ambrogio) a tre navate su colonne, in un cimitero a ovest della cinta muraria, accanto al piccolo martyrium di Vittore, e si fa seppellire sotto l’altare insieme ai corpi di due altri santi, Gervaso e Protasio, da lui rinvenuti nelle vicinanze. In età paleocristiana, accanto alla cattedrale, la categoria più importante di luogo di culto è dunque quella dei martyria, per la loro rilevanza devozionale, per le forme architettoniche che sviluppano e per l’influenza sull’edilizia cristiana successiva. Se all’inizio si tratta di piccole edicole votive o semplici cappelle, già nella prima metà del IV secolo alcuni edifici assumono dimensioni e aspetto grandiosi, fungendo, specie nelle provincie orientali, non più solo da memoria, ma anche da vera e propria chiesa, da luogo di celebrazione.
A Roma le tombe di san Pietro, in età costantiniana, e di san Paolo, in età teodosiana, sono avvolte da immensi templi, concepiti come fusione di una basilica a cinque navate sul modello di quella lateranense, e di un enorme transetto continuo antistante l’abside, vero e proprio martyrium separato dallo spazio dei fedeli (le navate) e riservato al clero. In Terra Santa, oltre alla rotonda dell’Anastasis, altri martyria vengono eretti su luoghi consacrati dalla manifestazione del divino, nelle forme di grandi impianti centralizzati mutuati dai mausolei-heroa di tradizione ellenistico-romana: l’Imbomon, o chiesa dell’Ascensione, sul Monte degli Ulivi, la grotta di Betlemme, il sepolcro della Vergine nella Valle di Giosafat ecc.
La pianta circolare, ottagonale o polilobata (Ierapoli, Seleucia di Pieria) per martyria, le chiese di palazzo, ma anche per le cattedrali, continua a godere di una certa fortuna nell’area egea e in Asia Minore, ma è in Italia che si conservano due monumenti esemplari. A Milano la basilica di San Lorenzo Maggiore, costruita all’inizio del V secolo forse come chiesa palatina, legata all’area residenziale imperiale, è un edificio a tetraconco con gallerie che si sviluppano lungo tutto il perimetro a formare una sorta di doppio guscio; la volta originaria, ricostruita in due occasioni, all’inizio del XII secolo e attorno al 1575, era forse a crociera e necessitava del contenimento di quattro possenti torri angolari. A Ravenna, sede dei viceré bizantini dopo la riconquista della penisola da parte di Giustiniano, è eretta tra il 525 e il 548 la chiesa di San Vitale, modello di classicità inarrivabile per tutto il Medioevo. L’edificio, splendido per proporzioni, e per qualità del dettaglio architettonico e dell’apparato musivo, può essere descritto come un ottagono a doppio involucro, con deambulatorio e soprastante matroneo comunicanti con lo spazio centrale per mezzo di esedre colonnate, e dotato di un profondo presbiterio absidato a est. Generalmente però in Occidente si adotta per i martyria una pianta più semplice, ad esempio a croce (San Nazaro di Milano, Sant’Abbondio di Como [1ª fase], Santo Stefano di Verona), e anche in questo caso il modello di riferimento è una chiesa commissionata da Costantino, il tempio a croce greca costruito a Costantinopoli in onore degli apostoli, e come proprio mausoleo. Soprattutto dalla fine del IV secolo si giunge a legare più strettamente lo spazio del santuario e quello della celebrazione, e a dislocare i corpi santi all’interno delle basiliche cimiteriali, in relazione spaziale con l’altare maggiore, sovente al di sotto di esso: la chiesa diventa così al contempo anche un martyrium.
All’interno delle mura delle maggiori città si iniziano a erigere dal V secolo nuove basiliche “parrocchiali”, ausiliarie della cattedrale, ove la liturgia è quella ridotta presbiteriale. A Roma, le esigenze di una comunità assai numerosa portano già alla metà del IV secolo alla fondazione, promossa il più delle volte dai pontefici, di nuovi tituli, nome dato alle chiese parrocchiali, affidate a uno o più presbiteri incaricati della cura pastorale dei fedeli residenti nella zona. Le indagini archeologiche degli ultimi decenni hanno smontato la radicata convinzione che i tituli fossero l’evoluzione, e che dunque insistessero sul medesimo sito, delle domus ecclesiae romane precostantiniane. Si è visto invece che essi furono in prevalenza nuovi centri comunitari successivi alla pace della Chiesa, poi sostituiti da basiliche trinavate di tipo standard, con grandi finestre sulla navata maggiore, abside a emiciclo sporgente e quadriportico d’ingresso. San Clemente è uno dei rarissimi casi in cui una basilica potrebbe essersi sovrapposta a un edificio utilizzato da una comunità di cristiani prima del 313.
Almeno dal VI secolo i corpi dei martiri sono sistematicamente traslati dalle necropoli alle chiese parrocchiali costruite in città, e qui i fedeli iniziano a farsi seppellire, violando le antiche disposizioni romane sull’obbligo di sepoltura fuori dalla cerchia muraria. In tutte le province si diffonde per i santuari, per le chiese parrocchiali, ma anche per le prime chiese monastiche, un modello di basilica a tre navi e abside orientata, semplificato e versatile. Le molte varianti sulla pianta-base vengono dal progressivo differenziarsi di stili architettonici regionali, frutto della divisione politica amministrativa dell’impero. Sostrati culturali, regole costruttive locali, influenze delle metropoli, consuetudini liturgiche particolari selezionano regione per regione determinate soluzioni planimetriche e tecniche. Si può solo accennare all’enorme varietà di forme attestate. A Costantinopoli e nell’Egeo ad esempio la basilica si arricchisce di gallerie di navata, giunte poi a Roma solo tra fine VI e VII secolo (San Lorenzo fuori le Mura, Sant’Agnese), e può avere un’abside estradossata poligonale, poi imitata a Ravenna e Parenzo. Ad Aquileia, Grado, Pola e in altre basiliche dell’Italia del Nord (come a Castelseprio), l’abside o solo un synthronon semicircolare sono in alcuni casi contenuti da un muro orientale rettilineo. Anche la posizione degli ambienti usati come diaconicon e come prothesis varia sensibilmente: in area greca si trovano solitamente a ovest, nei pressi dell’ingresso alla chiesa, in Asia Minore sono invece ai lati dell’abside, come già alla metà del V secolo (San Giovanni Evangelista) a Ravenna. In Anatolia e in Armenia le chiese vengono costruite con un grosso apparato lapideo e voltate a botte (chiese di Bin Bir Kilise), e la colonna è sostituita da pilastri semplici o articolati. In Siria già alla fine del V secolo si erigono basiliche trinavate dotate di tre absidi terminali (Qalat Siman, Gerasa), altra soluzione di straordinaria importanza che passerà all’architettura occidentale dell’alto Medioevo attraverso la basilica eufrasiana di Parenzo (VI sec.). Ancora, nelle chiese siriane non è infrequente l’uso di due torri di facciata, e il corpo santo è spesso collocato al termine di una navatella laterale, mentre in Occidente, dalla Grecia alla Dalmazia, all’Africa settentrionale, è consuetudine porre le reliquie sotto l’altare, in una confessio a volte ispezionabile tramite una scaletta. Così anche in Francia e Italia settentrionale ove pure sono diffusi piccoli martyria, aggregati spesso in un secondo tempo nei pressi dell’abside, e utilizzati anche come mausolei di vescovi (sante Tosca e Teuteria di Verona, santi Felice e Fortunato di Vicenza). In Africa la sepoltura venerata può anche essere contenuta in una contro-abside (Haidra). La posizione dell’altare e degli stalli per il clero è poi assai mutevole. In Grecia è riservata alla liturgia l’intera navata maggiore, un ambone per la predica si erge in mezzo alla chiesa (come spesso anche in Asia Minore), ed è collegato da un camminamento rialzato (solea) al presbiterio (bema). In Occidente il presbiterio è già confinato a est in uno spazio antistante l’abside limitato da cancelli, mentre in Africa è molto rialzato rispetto al livello della chiesa e contiene solo i seggi del clero, dal momento che l’altare si trova in posizione avanzata nella navata. In Siria è facile trovare chiese con un secondo synthronos ubicato in mezzo alla chiesa, girato verso l’abside, utilizzato per la liturgia della parola o per l’officiatura quotidiana (Rusafa).
Si potrebbe continuare a lungo. Preme invece notare come tutte le più significative trasformazioni dell’edificio ecclesiastico nei secoli seguenti sarebbero discese dalla necessità di dare risposta a esigenze già a quest’epoca presenti. L’officiatura quotidiana di un clero numeroso determina diffusione ed estensione del coro. Dal V secolo l’altare è obbligatoriamente legato alla presenza di reliquie: laddove il corpo santo è interrato sotto l’altare si studiano soluzioni architettoniche per la sua fruizione devozionale (cripte). L’accumulo delle reliquie e la loro esposizione, così come la moltiplicazione degli altari dal VI-VII secolo per le messe private, provocano trasformazioni del settore presbiteriale, atte a contenerli.
In Occidente il crollo dell’impero romano e la lunga fase di assestamento tra l’insediamento delle popolazioni germaniche, la loro progressiva fusione con l’elemento romano e la loro cristianizzazione determinano inevitabilmente una fase di stasi, durante la quale si rimane comunque legati alle tradizioni costruttive del V secolo. Nella Spagna dei Visigoti, su un sostrato caratterizzato da tipologie architettoniche con influssi italici e nord-africani, dal VII secolo compaiono soluzioni originali in impianti di tipo “martiriale” di ridotte dimensioni: la tecnica muraria è accuratissima, lo spazio, sempre convergente in un presbiterio a terminazione rettilinea, è come frazionato in unità minori, aggregate, coperte con volte in muratura (San Juan Bautista de Baños, San Pedro de la Nave). Nel V secolo, nei centri maggiori della Francia sono edificate basiliche imponenti (cattedrale di Lione), e le tradizioni costruttive del basso impero sono attestate da impianti basilicali a tre navi con (Saint-Martin di Tours) o senza gallerie. I Merovingi tra VI e VII secolo fondano importanti santuari (Saint-Germain-des-Prés, Saint-Germain di Auxerre) e una miriade di monasteri, le cui chiese sono il più delle volte molto semplici, ad aula rettangolare. In alcuni edifici si riscontra la tendenza (Saint-Pierre di Vienne, cripta di Saint-Laurent a Grenoble) ad articolare plasticamente le pareti tramite archi raccolti da colonne addossate al muro, tecnica che avrà importanza eccezionale per gli sviluppi regionali dell’architettura ecclesiastica.
Nella penisola italica gli influssi bizantini introdotti dalle regioni meridionali, l’area adriatica e Ravenna, si innestano sulla forte tradizione costruttiva romana, determinando le forme dell’architettura ecclesiastica anche nelle regioni invase dopo il 569 dai Longobardi. Si pensi ad esempio ad alcune notevoli architetture a pianta centrale come il battistero di Nocera Superiore (seconda metà del VI sec.), la Santa Sofia di Benevento, costruita da Arechi II attorno al 760 a forma di stella, o la scomparsa Santa Maria in Pertica di Pavia (VII sec.) di forma circolare con anello di sei colonne sorreggenti un alto tiburio cupolato. Intensa è l’attività di fondazione e di promozione di cenobi benedettini (Nonantola, San Pietro in Ciel d’Oro a Pavia, San Salvatore del Monte Amiata, Montecassino, San Vincenzo al Volturno ecc.), fenomeno che si riflette nella diffusione di edifici a tre navate, a T (San Salvatore di Brescia, Santa Maria di Sesto al Reghena), ad aula con tre absidi sporgenti (Trino Vercellese, Leno, Sirmione, Santa Maria Teodote di Pavia).
In alcuni centri il grado di raffinatezza raggiunto dalle élite longobarde nell’VIII secolo è molto alto. La rinascenza carolingia, il programmatico recupero dell’arte della classicità che anche nella penisola segna dopo il 774 le scelte della dinastia carolingia, è in parte anticipato dalla committenza di re longobardi come Liutprando, e questo spiega la difficoltà a datare autentici capolavori come il Tempietto di Santa Maria in Valle a Cividale, dove il compatto ambiente caratterizzato da un presbiterio tripartito da colonne architravate sorreggenti volte a botte, è esaltato da una decorazione pittorica e in stucco che raggiunge livelli eccelsi nelle ghiere e nella teoria delle sante sopra l’ingresso.
In effetti ben altra organicità – e dunque influenza sull’arte e sull’architettura – ha la politica culturale e religiosa di Pipino il Breve e Carlo Magno. Il riordino del regno deve passare anche attraverso la sua unificazione liturgica, con l’assunzione da parte delle chiese della Gallia dell’ordo romano. Le strutture ecclesiastiche e diocesane sono restaurate, e un ruolo fondamentale ha la riforma di Crodegango di Metz che introduce la vita comune di tipo monastico per il clero in cura d’anime. Lo stretto legame con i vescovi, da tempo espressi dall’aristocrazia franca, genera una piena collaborazione tra potere politico e potere ecclesiastico. Decine di cattedrali sono ricostruite o restaurate tra VIII e IX secolo, ma soprattutto centinaia sono i monasteri fondati, veri centri di conservazione e rielaborazione della cultura classica, i cui abati sono personaggi di corte non di rado imparentati con la casa regnante. Anche in Italia un segno del favore dei Carolingi per il monachesimo benedettino è la fondazione, tra gli altri, del monastero di Sant’Ambrogio a Milano nel 784, di quello di San Zeno a Verona, del monastero di Civate, e lo sviluppo dei monasteri di Farfa e San Vincenzo al Volturno.
Durante il regno di Carlo Magno e di Ludovico il Pio sorgono nel Nord Europa abbazie di enormi dimensioni in cui si sperimentano soluzioni architettoniche innovative, e destinate ad avere grande futuro. Se il primato di Pietro si riflette nell’adozione della liturgia romana, anche in campo architettonico il modello è la Roma di Costantino e di papa Silvestro. Il transetto continuo con abside orientata a ovest di san Pietro viene per esempio imitato nella ricostruzione dell’abbaziale di Fulda dovuta all’abate Ratger (790-817) per ospitarvi la tomba di san Bonifacio, evangelizzatore della Germania: la volontà di ripetere il modello della basilica vaticana è esplicitato dalla cronaca del monastero che parla di una scelta more romano. Torna così nell’architettura dell’Occidente la tipologia di pianta a transetto continuo, che negli stessi anni è adottata spesso a Roma per diverse chiese (Santa Prassede, Santa Anastasia; a Montecassino la chiesa abbaziale di Gisulfo, 797-817), ma che soprattutto in Germania trova vasta applicazione dal IX secolo (Seligenstadt, Paderborn) in poi (transetti occidentali delle cattedrali di Magonza, Bamberga, Augusta; transetto orientale di Hersfeld e di Strasburgo).
Fulda, che possiede anche un’abside orientale consacrata al Salvatore e alla Vergine, diffonde inoltre un modello di bipolarismo liturgico, con absidi contrapposte alle due estremità della navata maggiore: iconografie simili caratterizzano cattedrali (Colonia) e monasteri (Saint-Maurice di Agaune, fase di fine VIII sec., San Salvatore di Paderborn), e sperimentazioni complesse sul tema del doppio coro sono tipiche dell’architettura successiva di età ottoniano-salica (San Michele di Hildesheim) anche in Italia.
La famosa pianta pergamenacea dell’abbazia di San Gallo, che riporta il progetto inviato all’abate Gozberto dell’830 circa, è un documento unico che testimonia sia l’innovativa, rigorosa pianificazione degli ambienti monastici, sia l’articolazione dello spazio di culto in età carolingia, affollato da una miriade di altari collocati per tutta la lunghezza della chiesa, e da ben tre cori per gli offici. Le reliquie sotto l’altare maggiore possono essere viste percorrendo un corridoio ad angoli retti che immette nella camera centrale della confessio. Si tratta di un’evoluzione di una tipologia di cripta, cosiddetta anulare, sviluppata a Roma nel VII secolo – si pensi alla cripta fatta costruire da papa Gregorio Magno in San Pietro – con un corridoio che corre all’interno del perimetro dell’abside, e che si collega a un braccio che raggiunge la confessio. Le prime vere cripte, intese come spazio praticabile che consente la venerazione delle reliquie poste sotto il presbiterio, si datano a partire dal V-VI secolo (San Gervasio di Ginevra; in Oriente le chiese palestinesi di Horvat Berachot e di Rehovot) ma è in età carolingia che, anche in funzione della moltiplicazione delle reliquie, si dette vita a una grande varietà di soluzioni planimetriche originali, in cui la complessità del progetto va di pari passo con la maturità della tecnica costruttiva, negli apparati murari e nell’approntamento di strutture in volta. Le necessità sempre più urgenti di distinguere nettamente lo spazio del clero da quello dei laici, di concentrare nell’area presbiteriale gli altari, e contemporaneamente di valorizzare le reliquie e consentirne, almeno in determinati momenti, la fruizione pubblica, portano tra X e XI secolo allo sviluppo di molte formule monumentali, con moltiplicazione di absidi (Saint-Michel de Cuixa); cripte esterne, poste a est in asse con la chiesa, a uno o più piani (Sankt Emmeran di Ratisbona); presbiteri a deambulatorio su due livelli con cappelle radiali (Tournus) ecc. Ma i primi tentativi sono già della metà-fine del IX secolo.
A Saint-Germain di Auxerre (841-859), e qualche anno dopo a Saint-Pierre di Flavigny (864-878), esiste uno straordinario sistema di circolazione periferica a due piani: la pianta della cripta, dove un corridoio ad angoli retti circonda una grande confessio a tre navate, e immette a est in una rotonda con deambulatorio, è perfettamente replicata al livello del coro.
Infine un secondo spettacolare modo di valorizzare le reliquie è ideato attorno al 790 da Angilberto, abate di Centula. Egli sceglie per la sua chiesa abbaziale una pianta bipolare caratterizzata da un corpo basilicale a tre navate che collega due settori centralizzati con transetti sporgenti, coperti da due imponenti torri. A est vi è il santuario di Saint-Riquier, mentre il settore occidentale è articolato in tre livelli: il piano terra (chiamato nelle fonti crypta), coperto da volte a crociera su pilastri, funge da ingresso alla chiesa, e conserva il reliquiario più importante dell’abbazia, la capsa maior, contenente 25 reliquie cristologiche. La tribuna superiore su cui si affacciano le gallerie, impostate a un livello ancora più alto, alloggia l’altare del Salvatore ed è una vera e propria chiesa impiegata nelle più importanti feste dell’anno liturgico, e in particolare durante il triduo pasquale. Alla chiesa superiore e alle gallerie si sale per mezzo di scale a chiocciola ospitate da torrette laterali. Si tratta del primo esempio di una struttura polifunzionale, chiamata solitamente Westwerk, che ha ampia diffusione nel mondo carolingio (Minden, Reims, Fontanelle). Un tipo di fabbrica che eserciterà una grande influenza, come vedremo, sulle diverse tipologie di corpi occidentali ottoniani e romanici, ma che oggi è testimoniato solo dall’abbazia di Corvey in Sassonia, ove si conserva il Westwerk addossato attorno all’873 alla chiesa abbaziale di Santo Stefano, consacrata trent’anni prima. Nel X secolo l’avancorpo del San Salvatore di Werden, consacrato nel 943, è quello che per forma, per autonomia rispetto alla chiesa, da cui è separato per mezzo di un diaframma murario, e per utilizzo liturgico, resta più legato al prototipo carolingio. La maggiore differenza è però la rinuncia alla scansione in due piani del settore centrale.