di Annalisa Perteghella
Si può parlare di Ali Khamenei come di una delle figure più importanti e meno comprese del panorama politico del Medio Oriente allargato. Troppo spesso liquidato frettolosamente come l’ennesimo tiranno mediorientale, Ali Khamenei sfugge alle categorie del pensiero politico tradizionale, così come la Repubblica islamica di Iran rappresenta un unicum all’interno del panorama statuale della regione. Dal punto di vista istituzionale, l’ayatollah Khamenei rappresenta il capo di stato della Repubblica islamica, sedendo al vertice di un complesso sistema istituzionale che vede intrecciarsi organi a legittimazione popolare e organi a legittimazione religiosa. La duplice natura della legittimità della Repubblica islamica è oggi riassunta nella figura di Khamenei, il quale, andando a inserirsi nel sistema istituito dall’ayatollah Khomeini, rappresenta la massima autorità politica e religiosa della Repubblica islamica. Nato a Mashhad nel 1939, Khamenei appartiene alla generazione di rivoluzionari che ha sostenuto l’ayatollah Khomeini dalle prime attività di contestazione dello shah alla sua morte. Il suo primo incarico di governo è stato quello di vice ministro della difesa nel governo rivoluzionario provvisorio di Mehdi Bazargan, nella primavera 1979. Questa posizione ha permesso a Khamenei di acquisire dimestichezza ed esperienza con le Forze armate; competenza che fino a quel momento era estranea al clero sciita. Khamenei farà tesoro di questa esperienza per esercitare egli stesso il ruolo di comandante in capo delle forze armate una volta asceso al ruolo di Guida suprema, a differenza del suo predecessore Khomeini, il quale, pur detenendo tecnicamente tale potere, preferì delegarlo ad altre persone. Nel 1981 ascende al ruolo di presidente della Repubblica, divenendo il primo esponente del clero sciita a occupare una posizione nel ramo esecutivo. Nel 1989, alla morte di Khomeini, viene elevato al rango di Guida suprema. Dietro alla sua promozione, che ha richiesto una modifica costituzionale, vi sarebbe stata l’azione di Hashemi Rafsanjani, che, scommettendo sulla relativa debolezza politica e sullo scarso carisma di Khamenei, intendeva ritagliarsi uno spazio di manovra per traghettare il paese verso una nuova era politica, caratterizzata da un rilassamento della retorica rivoluzionaria e da un graduale reinserimento nel sistema internazionale. Dal momento del proprio insediamento, invece, Ali Khamenei si è dedicato alla costruzione di un network personale che gli ha permesso di accrescere in misura esponenziale il proprio peso politico. Tale strategia è stata realizzata principalmente attraverso due strumenti: da un lato la creazione di un’élite politica estremamente leale, dall’altro l’adozione di una politica di flessibilità che gli ha permesso di mediare e destreggiarsi tra le diverse fazioni politiche impedendo che una di queste acquisisse un potere eccessivo, tale da minacciare l’attuale equilibrio di poteri.
L’utilizzo di questi due strumenti, se da un lato ha permesso a Khamenei di mantenersi in una posizione di forza rispetto agli altri esponenti della Repubblica islamica, dall’altro si è rivelato foriero di potenziali problemi. La costruzione di un network personale di fedelissimi, realizzata mediante la nomina di uomini di fiducia in ruoli chiave della struttura istituzionale e delle forze armate, ha creato pericolosi blocchi di potere, orientati all’autoconservazione. È il caso ad esempio degli agglomerati economico-militari sorti in seguito al conferimento di privilegi economici, come gli appalti per la costruzione di opere pubbliche, agli uomini dell’élite militare, il Corpo dei guardiani della rivoluzione islamica (Irgc). Nel corso dei venticinque anni al potere, Khamenei ha favorito la trasformazione dell’Irgc da apparato militare a complesso militare-economico-politico, dotato di ampia influenza sulla gestione degli affari dello stato, come dimostrato dal ‘travaso’ di uomini dell’Irgc in posizioni chiave dell’esecutivo, e dalla ripetuta presa di posizione dei pasdaran, che trova ampia eco nei media, sulle questioni centrali del dibattito politico, come il dossier nucleare. La strategia che ha permesso l’ascesa politica di Khamenei e la sopravvivenza della Repubblica islamica negli ultimi venticinque anni potrebbe essere pertanto causa di instabilità laddove venisse a mancare l’opera di bilanciamento esercitata dal primo. In questo senso, le precarie condizioni di salute della guida suprema fanno sorgere legittimi interrogativi sulla tenuta del sistema nella sua conformazione attuale dopo la dipartita dell’ayatollah. Non esiste un successore designato, ma è da scommettere che il 2015 sarà l’anno degli scontri di potere e dei riallineamenti tattici tra le fazioni per provare a mettere un’ipoteca sul dopo Khamenei. L’esito di queste lotte eserciterà un’influenza decisiva sulla Repubblica islamica e ne determinerà l’atteggiamento nei confronti della comunità internazionale per gli anni a venire.