Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
I regni di Carlo V e di Carlo VI di Valois segnano per la vita artistica della corte di Francia una stagione felicissima di opere e committenze alle quali è affidata, in non piccola parte, l’affermazione di uno stile prezioso e colto che ben presto si impone come modello anche per altre corti europee.
La committenza di corte
La morte di Carlo V di Valois non segna una rottura nella politica mecenatistica della corte, che prosegue con immutata vitalità. Artisti già al servizio del sovrano, come André Beauneveu, trovano nel duca Jean de Berry uno degli interlocutori privilegiati. Il duca non esiterà a circondarsi di alcuni tra i maggiori artisti del suo tempo, tra cui Jean le Noir e il Maestro del Paramento di Narbonne.
Quest’ultimo deriva il suo nome da un paramento liturgico in seta dipinto a grisaille con le Storie della Passione (Parigi, Louvre, inv. M.I.1121), parte dell’arredo dell’altare di una cappella. A lato della Crocifissione, entro due strutture ad arco, sono i due committenti inginocchiati, Carlo V e Jeanne de Bourbon. Una sottile e traforata architettura gotica fa da cornice alle storie e il racconto, che inizia con un affollato Tradimento di Giuda, si conclude con l’Apparizione di Cristo alla Maddalena. Il tutto svolto con una linea ritmicamente modulata con soluzioni di grande eleganza grafica, esaltate dall’uso sapiente della grisaille.
La committenza di corte si indirizza con pari interesse sia verso splendidi manoscritti miniati, soprattutto testi liturgici, libri d’ore e salteri, sia verso dipinti, oreficerie, arredi liturgici. Fra i manoscritti sono celebri i codici commissionati dal duca di Berry, o l’ancora più celebre Bible Historiale di Carlo V (Parigi, Bibliothèque de l’Arsenal, ms. 5212), miniata nel frontespizio da Jean Le Noir, allievo di Jean Pucelle, e poi donata da Carlo VI a Jean de Berry, come risulta nell’inventario della biblioteca ducale redatto nel 1413. Dipinti, oreficerie e arredi sono tutti improntati, nella scelta dei materiali e nella declinazione dei motivi, a uno stile che assume via via le forme più esuberanti e complesse del gotico rayonnant.
Tendenze analoghe si affermano anche nell’architettura. Nel 1380 ha termine la costruzione del castello di Vincennes (Île-de-France), avviato nel 1361, vero esempio di sintesi tra architettura e decoro in scultura, al pari della Sainte-Chapelle del castello, voluta già da Carlo V, ed eretta per iniziativa di Carlo VI a partire dal 1388. L’arredo scultoreo, anche se non completato, mostra una non comune elaborazione di temi che sviluppano, attorno all’immagine centrale della Trinità , la serie dei nove cori angelici secondo la definizione dello Pseudo Dionigi.
Oreficerie e smalti en ronde bosse
Carlo VI si prodiga per accrescere la già ricca collezione ereditata dal padre e si fa continuatore e promotore di alcune iniziative, prima fra tutte il completamento dei lavori nella residenza di Vincennes. È munifico di doni anche verso conventi e abbazie: un reliquiario della Santa Croce all’abbazia di Saint-Denis, una croce argentea per la cattedrale di Notre-Dame e uno splendido calice in oro e smalti traslucidi che reca una bella iscrizione dedicatoria in latino e in greco, donato, nel 1411, al monastero di Santa Caterina del Sinai.
La devozione del principe trova espressione in modo particolare in gioielli d’oro smaltati di bianco, en ronde bosse (tecnica che consiste nell’applicare la pasta vitrea su oggetti lavorati a tuttotondo o fortemente rilevati). Una produzione parigina che vanta opere celebri, presto imitate anche da orafi non francesi. Si tratta di una tecnica innovativa, sperimentata già a partire dalla metà del Trecento e che raggiunge, alla fine del secolo, effetti di insuperata bellezza nelle superfici smaltate di bianco, verde, blu e rosso traslucido. Questi oggetti sono spesso ornati con perle e pietre preziose.
Documentati in gran numero negli inventari dei tesori di corte, se ne conservano oggi solo pochi esempi, come la Trinità (Parigi, Louvre, inv. MR 552), dono di Jeanne de Navarre al figlio Jean V, duca di Bretagna. La figura di Dio Padre – manca il Figlio –, della Vergine e dei santi sono tutte ospitate entro nicchie sovrapposte a formare un’architettura con archi trilobati, guglie e pinnacoli che gioca a emulare il vocabolario architettonico delle cattedrali. Altrettanto celebre è il Trittico (Amsterdam, Rijksmuseum, inv. RBK 17045) con al centro la figura del Cristo in pietà, sorretto da un angelo, replicato nella cosiddetta Pace di Siena (Arezzo, Museo diocesano, inv. 74). All’immagine della Pietà, realizzata en ronde bosse, si affiancano nelle valve laterali del trittico le figure dei due dolenti con due angioletti che recano i simboli della Passione, eseguite con la tecnica dello smalto detto en basse taille (tecnica che vede applicare su un motivo inciso o a rilievo leggero uno strato di smalto colorato trasparente).
Vero capolavoro delle officine orafe parigine è il cosiddetto Goldenes Rössl, ovvero cavallo d’oro, alto 62 cm, conservato nel tesoro della cappella di Altötting (Baviera), dono di Isabella di Baviera al marito Carlo VI in occasione del capodanno 1405. Il sovrano, vestito della sua armatura sotto il manto azzurro a gigli dorati, è inginocchiato in preghiera alla presenza della Madonna con il Bambino e di alcuni santi, Caterina, Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, accompagnato da un cavaliere che esibisce il cimiero reale e da un valletto che tiene a freno il cavallo del re. Due angioletti, sullo sfondo di un traliccio dorato e impreziosito da perle e pietre, incoronano la Vergine. Una composizione che ricorda quella di un gioiello perduto, ma noto fortunatamente da un disegno conservato al Bayerisches Nationalmuseum di Monaco (inv. MA 2607), con la coppia reale, Isabella e Carlo VI, presentati dai santi Giorgio ed Elisabetta alla Madonna con il Bambino, coronata da due angeli. È probabile che anche questo gioiello-reliquiario fosse stato realizzato dalla stessa bottega orafa parigina.
Tra devozione e spiritualità: il tema della Pietà
Probabilmente dipinta da JeanMalouel, la Pietà del Museo del Louvre (inv. M.I. 692) reca sul verso le armi del duca di Borgogna Filippo l’Ardito. La figura esangue del Cristo vi appare sorretta, con invenzione iconografica assolutamente originale, da Dio Padre. Un gruppo di angioletti dolenti si stringono attorno alle due figure, mentre Maria si avvicina al Figlio, sostenendone il braccio, e Giovanni, poco discosto, non riesce a nascondere le lacrime. Spesso l’immagine è utilizzata come aiuto alla contemplazione devota e alla meditazione.
Si tratta di piccole tavole, altaroli o anche libri d’ore, che accompagnano i laici nella recita quotidiana dell’officio. Uno dei temi privilegiati dalla devozione dei laici è proprio quello del Cristo in pietà, che gli artisti della corte dei Valois elaborano in vista anche di un coinvolgimento emotivo del fedele. All’immagine di Gesù, sorretto da Maria e da Giovanni, come già nel trittico di Chartres (Musée des Beaux-Arts, inv. 2886), si sostituisce la figura del Cristo presentato alla venerazione da due angeli, un’iconografia che a partire dalle Très Belles Heures de Notre -Dame di Jean de Berry (Parigi, Bibliothèque nationale, ms. Lat. 3093, f. 155r) è destinata a grande fortuna nell’ambiente parigino di Carlo V e Carlo VI. Nel dipinto di Jean Malouel al Louvre assistiamo a un’ulteriore variazione. Il tema della Pietà offre lo spunto per un’immagine trinitaria, ma non solo. L’accento è posto contemporaneamente sul sacrificio del Figlio, sull’offerta del Padre e sulla compartecipazione di Maria come coredentrice dell’uomo. Un’immagine per certi versi analoga è quella offerta, intorno al 1430, dal miniatore delle Grandes Heures de Rohan (Parigi, Bibliothèque nationale, ms. Lat. 9471, f. 135r). Giovanni sostiene la Vergine, il suo corpo piegato, le braccia tese verso il Figlio, adagiato sulla terra, il corpo livido e irrigidito nella morte. Il suo sguardo è rivolto a Dio Padre che appare benedicente tra azzurri serafini. È una coinvolgente rilettura sul tema dello svenimento della Vergine e della deposizione dalla croce, una meditazione per immagini destinata ad accompagnare e a sollecitare la preghiera. Capolavoro della maturità dell’artista, le Grandes Heures de Rohan nascono lontano da Parigi, nell’ovest della Francia. Anche per il Maestro delle ore di Rohan, come per molti suoi contemporanei, la carriera in anni così difficili, segnati dalla guerra dei Cent’anni, è destinata a chiudersi lontano da Parigi, nell’Anjou.