Vedi Lo sviluppo del programma nucleare nordcoreano dell'anno: 2012 - 2013
Sebbene l’interesse nordcoreano nei confronti dell’energia nucleare risalga agli inizi degli anni Cinquanta – in virtù della cooperazione con i sovietici – solo dal 1980 la Corea del Nord cominciò la costruzione, sul sito di Yongbyon, di un reattore elettrico da 5 megawatt moderato a grafite, entrato in funzione nel 1986. Già nel dicembre 1985 la Corea del Nord aveva accettato di siglare il Trattato di non-proliferazione nucleare (Tnp) ma, per una serie di vicissitudini, la ratifica dell’Accordo di salvaguardia con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea) avvenne solo all’inizio del 1992. La Corea del Nord si impegnava, con questa mossa, a fornire il quadro completo delle sue dotazioni nucleari aprendosi agli ispettori dell’Iaea. La situazione sembrava procedere verso una sostanziale distensione, visto che pochi giorni prima, il 18 dicembre 1991, le due Coree avevano siglato la Joint Declaration on the Denuclearization of the Korean Peninsula, in cui entrambe prendevano l’impegno di non testare, produrre, ricevere, possedere, accumulare, dispiegare o utilizzare armi nucleari, così come di non dotarsi di impianti destinati all’arricchimento dell’uranio.
Durante il ciclo di ispezioni presso il sito di Yongbyon nel 1992, i tecnici della Iaea scoprirono con preoccupazione che i nordcoreani avevano proceduto al riprocessamento del plutonio in almeno tre occasioni: alla richiesta dell’Iaea di ispezionare due altri siti sospetti la Pyeongyang oppose un secco rifiuto, annunciando poi la volontà di ritirarsi dal Tnp. Questa mossa venne bloccata grazie agli intensi colloqui che furono stabiliti con Washington: Pyeongyang accettò di rimanere sotto l’ombrello del Tnp, senza però concedere all’Iaea la possibilità di investigare sulle attività nucleari pregresse. Nel 1994, i tecnici coreani cominciarono a rimuovere le barre di combustibile esaurite dal reattore di Yongbyon, senza alcuna supervisione da parte della Iaea: ciò non fece altro che acuire la montante crisi perché lo stoccaggio attuato dai nordcoreani avrebbe impedito definitivamente qualsiasi ricostruzione storica delle operazioni del reattore. L’amministrazione Clinton si rivolse al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite chiedendo l’imposizione di sanzioni economiche a Pyeongyang; i nordcoreani dichiararono che tali sanzioni sarebbero state considerate un ‘atto di guerra’. La crisi venne in qualche modo risolta dalla visita dell’ex presidente statunitense Jimmy Carter a Pyeongyang nel giugno 1994, durante la quale fu presentato al leader nordcoreano Kim Il Sung il documento che di lì a poco sarebbe diventato l’‘Accordo quadro’.
In base a questo accordo i nordcoreani avrebbero congelato in maniera verificabile le attività del reattore di Yongbyon e fatto passi concreti verso la denuclearizzazione; gli americani, a capo di un consorzio internazionale, avrebbero fornito ai nordcoreani due reattori ad acqua leggera – la cui costruzione sarebbe dovuta essere ultimata entro il 2003 – oltre a un’adeguata fornitura energetica. Gli Usa, inoltre, avrebbero dovuto rassicurare Pyeongyang di non avere alcuna intenzione di attaccarli militarmente. Il sottile filo sul quale si teneva la relazione tra nordcoreani e americani si spezzò quando George W. Bush divenne presidente nel 2001. Egli cercò di rendere più stringente il controllo sulla Corea del Nord, anche perché gli americani avevano cominciato a sospettare che i nordcoreani avessero dato inizio a un programma di arricchimento dell’uranio (Heu), un percorso differente per giungere comunque alla produzione di materiale fissile per la realizzazione di bombe nucleari. Nell’ottobre 2002 i colloqui bilaterali tra americani e nordcoreani ripresero con la visita a Pyeongyang di James Kelly, Assistente segretario di stato per l’Asia orientale e il Pacifico: durante l’incontro Kelly accusò i nordcoreani di avere confermato i sospetti relativi all’arricchimento dell’uranio, ma quest’ultimi respinsero le accuse. Gli americani risposero bloccando tutti gli aiuti e le forniture, mentre Pyeongyang espelleva gli ispettori ritirandosi dal Tnp.
Nella primavera del 2003 si ebbe notizia che la Corea del Nord aveva completato il riprocessamento di 8000 barre di combustibile, accumulando così abbastanza plutonio per la realizzazione di diverse bombe. In un estremo sforzo di spingere Pyeongyang alla denuclearizzazione si diede vita ai Six-Party Talks, una serie di dialoghi multilaterali tra gli attori maggiormente coinvolti. Il quarto round dei Six-Party Talks, nel settembre 2005, si concluse con la ratifica di una ‘Dichiarazione di principi’, in cui si stabiliva che la Corea del Nord avrebbe abbandonato il suo programma nucleare per ritornare sotto l’ombrello del Tnp al più presto; in cambio gli americani assicurarono di non avere alcuna intenzione di lanciare un attacco militare a Pyeongyang. I buoni propositi furono abbandonati presto da entrambi, a causa della mancata fornitura dei reattori ad acqua leggera alla Corea del Nord prevista dall’Accordo quadro del 1994: per Washington ciò sarebbe potuto avvenire solo al completo smantellamento del programma nucleare nordcoreano.
La crisi nucleare continuò ad acuirsi, fino a raggiungere lo zenit il 3 ottobre 2006, quando i nordcoreani procedettero ad un test nucleare sotterraneo, che produsse l’imposizione di immediate sanzioni. Dopo questo avvenimento, tuttavia, la situazione migliorò sensibilmente, dato che i nordcoreani accettarono di abbandonare i programmi nucleari in cambio di aiuti, soprattutto energetici. Tale distensione spinse l’amministrazione statunitense a rimuovere la Corea del Nord dalla lista dei paesi sostenitori del terrorismo; i nordcoreani risposero distruggendo la torre di raffreddamento del reattore di Yongbyon. Di lì a poco, tuttavia, le tensioni ripresero per l’impossibilità di fissare un protocollo di verifica del programma nucleare nordcoreano. Questa nuova rottura ha portato direttamente al secondo test nucleare sotterraneo nordcoreano, il 25 maggio 2009, più violento del primo, condannato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite attraverso la risoluzione n. 1874. Da quel momento ogni tentativo di riportare i nordcoreani al tavolo dei colloqui è risultato vano, anche se la costante attività di raccordo diplomatico lascia sperare che in futuro possano esserci degli spiragli di apertura.