Lo svolgimento del processo. Incompetenza territoriale inderogabile
L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 1/2011 ha affermato che la nuova disciplina della competenza del giudice di primo grado introdotta dal codice del processo amministrativo, ivi compresi i modi di rilevabilità di cui all’art. 15 c.p.a., si applica solo ai processi instaurati a decorrere dal 16 settembre 2010.
Con ordinanza n. 1 del 7.3.2011 l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato1 ha chiarito che la nuova disciplina della competenza del giudice di primo grado introdotta dal codice del processo amministrativo, ivi compresi i modi di rilevabilità di cui all’art. 15, è applicabile solo ai processi instaurati sotto la sua vigenza, e cioè a decorrere dalla data della sua entrata in vigore (16 settembre 2010), dovendosi intendere per «instaurati» i ricorsi per i quali, a tale data, è intervenuta la prima notifica alle controparti con cui si realizza la «proposizione del ricorso»; in caso di processi in relazione ai quali è ancora in corso il termine per la proposizione del regolamento di competenza secondo la disciplina previgente, in ossequio all’art. 2 della disp. trans. c.p.a., si deve ammettere l’esercizio del potere nei limiti temporali a suo tempo previsti. Gli stessi principi sono stati ribaditi dalla stessa Adunanza plenaria con le ordd., 5.5.2011, nn. 5 e 62 e 13.7.2011, n. 123. La questione, rimessa all’Adunanza plenaria dalla sez. VI del Consiglio di Stato con ord. 1.2.2011, n. 738, è sorta a seguito delle importanti modifiche introdotte dal codice del processo amministrativo in ordine al regime della competenza del giudice di primo grado. In particolare, le novità interessano la competenza territoriale che, nel sistema antecedente il codice, era di fatto derogabile, essendo l’accertamento dell’eventuale incompetenza rimesso solo alla proposizione del regolamento sollevato da una delle parti del giudizio. In altri termini, il giudice di primo grado, mentre nel sistema anteriore al c.p.a. se rilevava la propria incompetenza territoriale non poteva dichiararlo, dopo il 16 settembre 2010 è investito dell’obbligo di non pronunciare sulla causa se reputa di essere incompetente e deve indicare il TAR che ritiene territorialmente competente dinanzi al quale la causa deve essere riassunta o, in caso di dubbio, sollevare il regolamento di competenza d’ufficio e rimettere la soluzione della questione al Consiglio di Stato. Il problema, risolto dall’Alto consesso, attiene alla possibilità di applicare la nuova disciplina anche ai ricorsi pendenti alla data di entrata in vigore della novella (16 settembre 2011). In mancanza di una disciplina transitoria dettata dall’Allegato terzo (Norme transitorie) al d.lgs. 2.7.2010, n. 104 (decreto che ha approvato il c.p.a. ed i suoi quattro allegati), l’Adunanza plenaria ha ritenuto di risolvere la questione facendo ricorso al principio dettato dall’art. 11 delle disposizioni del codice civile sulla legge in generale («La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo») che, sebbene assuma valenza costituzionale solo per le norme incriminatrici e per le altre norme a carattere afflittivo, ben può essere applicata anche per individuare il dies a quo per l’applicazione della nuova disciplina.
1.1 Le possibili soluzioni
All’Adunanza plenaria erano state prospettate, dalla sezione remittente (sez. VI, ord. coll., 1.2.2011, n. 738), tre possibili soluzioni, che risultavano proposte nel panorama giurisprudenziale. Secondo un primo orientamento (Cons. St., sez. VI, ord. coll., 28.1.2011, n. 6624 ) il nuovo regime della competenza inderogabile è applicabile anche ai giudizi proposti prima del 16 settembre 2010, a nulla rilevando che, eventualmente, siano già interamente decorsi i termini, previsti dalla previgente disciplina, per la proposizione del regolamento di competenza su istanza di parte. A detta conclusione la sezione è pervenuta sul rilievo che le disposizioni del c.p.a., in quanto vertenti sulla materia processuale, sono in via tendenziale immediatamente applicabili anche ai giudizi in corso. Ha aggiunto che la disciplina transitoria di cui all’art. 2 dell’allegato 3 al codice non ha previsto alcuna forma di ultrattività in relazione alle previgenti disposizioni di cui al co. 2 dell’art. 31, l. 6.12.1971, n. 1034 (ovvero, in relazione agli effetti prodotti a seguito della mancata notifica del regolamento di competenza entro i termini di cui al cit. art. 31), limitando siffatte previsioni di ultrattività al solo caso (evidentemente eccezionale e che comunque qui non rileva) di termini che fossero ancora in corso alla data di entrata in vigore del codice. Ha poi escluso l’applicabilità del principio della perpetuatio jurisdictionis, atteso che l’art. 5 c.p.c. postula l’ultrattività delle sole regole determinative della competenza (regole che non risultano modificate per effetto dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo), ma non anche quella delle disposizioni processuali regolanti le modalità di rilievo dell’incompetenza e i relativi effetti. Infine, occorre tener conto che la ratio ispiratrice del codice del processo amministrativo in tema di rilievo dell’incompetenza e la disciplina del regolamento preventivo di competenza è stata quella di ampliare in massimo grado le forme e le modalità di proposizione del regolamento di competenza, dilatando: l’ambito dei soggetti legittimati a rilevare il difetto di competenza, gli strumenti processuali attraverso i quali le questioni di competenza possono essere dedotte e le fasi processuali nel corso delle quali le questioni di competenza possono essere sollevate e risolte. Tale essendo la ratio ispiratrice degli artt. 13 e ss. c.p.a., si è ritenuto che, a fronte di dubbi di carattere ermeneutico, l’interprete debba preferire l’opzione maggiormente idonea ad ampliare, piuttosto che a restringere, le possibilità di rilevare l’incompetenza territoriale del Tribunale adìto. Il secondo orientamento (Cons. St., sez. VI, ord. coll., 31.1.2011, n. 724; Id., sez. V, ord. coll., 25.1.2011, n. 529; Id., sez. VI, ord. coll., 24.1.2011, n. 481; Id., ord., 12.1.2011, nn. 118 e 119; TAR Marche, ord., 7.10.2010, n. 127; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 30.9.2010, n. 642)5 richiamato nell’ordinanza di remissione afferma che la nuova disciplina sull’incompetenza rilevabile d’ufficio è applicabile ai processi instaurati prima del 16 settembre 2010 solo se a detta data sono ancora in corso i termini per la proposizione del regolamento di competenza disciplinato dal vecchio rito. Un terzo orientamento (Cons. St., sez. VI, ord., 10.1.2011, n. 546) ritiene che la nuova disciplina si applica solo ai giudizi instaurati dal 16 settembre 2010, e ciò soprattutto perché la connotazione dell’inderogabilità della competenza, in precedenza derogabile, costituisce un’innovazione che non può applicarsi retroattivamente. Fa inoltre riferimento all’art. 5 c.p.c., in quanto la qualificazione in termini di inderogabilità della competenza sarebbe un connotato sostanziale che qualifica il titolo di competenza territoriale, definendone in termini essenziali la natura. Data la premessa la conclusione è l’applicabilità del nuovo regime delle questioni di competenza solo nei processi proposti dopo l’entrata in vigore del codice.
1.2 La soluzione scelta dall’Adunanza plenaria
L’Adunanza plenaria ha optato per il terzo orientamento ed ha ritenuto che la nuova disciplina sulla rilevabilità d’ufficio dell’incompetenza è applicabile solo ai processi instaurati sotto la sua vigenza, e cioè a decorrere dalla data della sua entrata in vigore (16 settembre 2010). L’art. 31, l. n. 1034/1971 disponeva, infatti, che l’istanza di regolamento di competenza dovesse essere proposta entro il termine previsto a pena di decadenza, con la conseguenza che, decorso inutilmente tale termine, l’azione era preclusa. Né il codice del processo amministrativo contiene una norma, nella disciplina transitoria dettata nell’allegato 3, che possa giustificare la reviviscenza, e dunque l’esercizio, di un potere ormai precluso. Ha aggiunto che poiché il rapporto in questione nella disciplina previgente si esplicava esclusivamente nell’esercizio del potere di parte, ne consegue che dall’estinzione di quest’ultimo scaturisce l’estinzione del rapporto nel suo complesso e quindi l’impossibilità di attivare i nuovi meccanismi di rilevabilità dell’eventuale incompetenza e in particolare quello d’ufficio, che nella previgente disciplina erano contemplati solo per la competenza funzionale e non anche per quella territoriale. La conclusione alla quale è pervenuto l’Alto consesso ha indubbiamente il merito di non rimettere più in discussione, al momento della definizione del merito della controversia, la competenza del TAR adito diversi anni prima l’entrata in vigore del codice quando, di fatto, la scelta del giudice che doveva decidere la causa poteva dirsi rimessa alle parti. La tutela dell’affidamento delle parti è dunque prevalsa sulla considerazione, che certamente l’Alto consesso avrà fatto, che, in effetti, la novella non ha toccato il modo in cui deve essere individuata la competenza territoriale del TAR ma si è limitata a investire il giudice dell’obbligo di verificare e di dichiarare la propria incompetenza estendendo quindi la regola che, prima del 16 settembre 2010, era prevista solo per l’incompetenza funzionale.
La preoccupazione che una pronuncia di incompetenza intervenuta solo nella fase di merito (con la possibilità che la causa sia portata in decisione anni dopo la sua proposizione) potesse confliggere con il principio del giusto processo era stata la ragione per cui, in seno alla speciale Commissione insediata presso il Consiglio di Stato e incaricata dal Governo di elaborare la bozza del codice del processo amministrativo, era prevalso, dopo ampia discussione, l’orientamento favorevole a non stravolgere il regime della competenza dettato dalla l. n. 1034/1971. Il testo licenziato dalla Commissione è stato, però, in parte qua rivisitato dal Governo, che ha introdotto l’inderogabilità di ogni forma di competenza (dunque, sia territoriale che funzionale). Sempre in ragione degli stessi timori, questa volta avallati da voci di malcontento nel foro amministrativo, la speciale Commissione insediata presso il Consiglio di Stato, incaricata dal Governo di elaborare i primi correttivi al codice, ha proposto la modifica delle norme sull’inderogabilità della competenza. Ed infatti, nella bozza di correttivo trasmessa al Governo nel luglio del 2011 in adempimento dell’incarico ricevuto, aveva previsto la modifica degli artt. 15 e 16 inserendo, nella sostanza, un termine per la rilevabilità – sia d’ufficio dal giudice adito che dalle parti – dell’incompetenza per territorio7 del giudice dinanzi al quale il ricorso era stato promosso. La proposta prevedeva che l’incompetenza andasse rilevata entro 180 giorni dalla data del deposito del ricorso, ovvero nella prima udienza o nella prima camera di consiglio se precedenti al decorso di detto termine di 180 giorni. Ove la domanda cautelare non fosse stata presentata, il presidente, d’ufficio (e dunque anche se non è stata presentata istanza di fissazione d’udienza) o su istanza notificata di una delle parti, se rileva una questione di competenza deve fissare d’ufficio la camera di consiglio8. La ratio sottesa a tale modifica appare evidente. Si è ritenuto che la disciplina dettata dal codice potesse essere contraria al principio del giusto processo, che lo stesso codice annovera tra i principi cardini del processo amministrativo (art. 2). È possibile, infatti, che solo all’atto della decisione di merito, che può arrivare anche dopo anni dal deposito del ricorso, il Collegio dichiari la propria incompetenza, individuando come competente un altro TAR. Verificandosi questa evenienza il ricorrente, dopo lunghi anni di attesa, è costretto a riassumere la controversia dinanzi ad altro TAR e ad attendere la nuova fissazione del merito della causa. E ciò sempre che il Tribunale, individuato da quello originariamente adito come il competente a decidere la causa, non si dichiari a sua volta incompetente e chieda che sulla questione si pronunci il Consiglio di Stato. L’allungarsi, per un tempo indeterminato e indeterminabile, della definizione della controversia, avrebbe portato ad evidenti riflessi anche sulla condanna dello Stato ai sensi della legge Pinto. Nel testo approvato dal Governo tale modifica è stata però espunta. Probabilmente ha prevalso il timore, che è stata poi la ragione che aveva indotto il legislatore del codice a cambiare il regime della competenza, di rimettere incondizionatamente alle parti la scelta del giudice «più gradito», e questo in palese violazione del principio del giudice naturale.
I timori, che avevano indotto la speciale Commissione a proporre la modifica del regime dell’incompetenza erano stati, peraltro, già espressi sin dai primi mesi di vigenza della nuova disciplina codicistica dalla più attenta dottrina processualamministrativista. Il Carpentieri, pur non negando alcuni aspetti positivi della novella, ha messo in evidenza i profili di criticità della nuova disciplina – il cui testo, a suo avviso, non brilla per chiarezza – che rischia di ingolfare il Consiglio di Stato di regolamenti sollevati dal giudice o dalle parti nonché di ritardare la soluzione delle controversie perché il giudice di appello può annullare la decisione per incompetenza, mentre nel vecchio ordinamento l’art. 31, l. n. 1034/1971 introduceva un termine di venti giorni, decorrente dalla data di costituzione in giudizio, per proporre il regolamento di competenza (dal termine utile per tale costituzione), che doveva essere formalmente notificato a tutte le parti in causa. Conclude nel senso che il problema del forum shopping – che ha investito soprattutto la fase cautelare (che di solito anticipa il regolamento di competenza) – avrebbe potuto essere risolto in modo più proporzionato prevedendo una parziale inderogabilità limitatamente alla fase cautelare9. Estremamente critico nei confronti della disciplina codicistica è anche il Pellegrino, che ritiene il nuovo regime dell’incompetenza uno strumento pericoloso in mano agli avvocati per dilatare i tempi di conclusione dei processi. Ha aggiunto che se lo scopo della riforma è stata quella di debellare il fenomeno del cd. forum shopping, fenomeno peraltro limitato quantitativamente, il rimedio è stato sicuramente peggiore del male10. Da ultimo il Villata, proprio per evitare gli inconvenienti legati alla possibilità di mettere in discussione l’incompetenza del giudice adito anche dopo anni dalla proposizione del ricorso, ha suggerito di introdurre un termine per la sua rilevabilità, termine che per la parte potrebbe essere quello dell’art. 46 c.p.a. mentre per il giudice quello di trenta giorni decorrenti dal giorno stabilito per la costituzione delle parti intimate11. È peraltro da segnalare, sebbene sotto altro profilo, che la disciplina della competenza è stata tacciata di incostituzionalità, sin pochi mesi dopo l’entrata in vigore del codice, dal TAR Campania, Napoli12, il quale ha rimesso al giudice delle leggi il vaglio di costituzionalità degli artt. 15, co. 5, e 16, co. 1, c.p.a., nella parte in cui, impedendo al giudice adito di pronunciare sull’istanza cautelare se ritiene di non essere competente a decidere la causa, lederebbe il diritto di difesa, ponendosi in contrasto con gli artt. 24, co. 1, e 111, co. 1, Cost.. La tutela cautelare è, infatti, garanzia essenziale e strumento necessario per l’effettivo soddisfacimento dei diritti e degli interessi legittimi che costituiscono l’oggetto del giudizio, giacchè evita che il tempo necessario per la definizione nel merito della causa determini un pregiudizio grave e irreparabile per le pretese sostanziali della parte che ha ragione, per cui la tutela cautelare richiede sempre risposte immediate e non ammette interruzioni. Pertanto, ad avviso del TAR, la preclusione imposta al collegio adito, costretto dalla legge a negare la giustizia cautelare per un mero profilo di incompetenza territoriale, risulterebbe contrario ai principi costituzionali di effettività e di tempestività della tutela giurisdizionale e del giusto processo13. A parere di chi scrive si tratta di conclusioni connotate da eccessivo pessimismo e da un larvato scetticismo in ordine alle capacità organizzatorie del giudice amministrativo. Dalla breve rassegna di alcune soltanto delle voci che si sono espresse sull’argomento emerge, infatti, che i timori di un (ulteriore) rallentamento della macchina della giustizia sono rivolti soprattutto nei confronti dei ricorsi che non hanno la domanda cautelare. Per questi ultimi, infatti, il giudice adito, al quale la causa è sottoposta nei brevi termini dalla sua proposizione, previsti dall’art. 55 c.p.a., deve accertare la sussistenza o meno della propria competenza, atteso che «quando è proposta domanda cautelare il tribunale adito, ove non riconosca la propria competenza ai sensi degli articoli 13 e 14, non decide su tale domanda» (art. 15, co. 5, c.p.a.) e, ancora, che «il giudice adito può disporre misure cautelari solo se ritiene sussistente la propria competenza ai sensi degli articoli 13 e 14; altrimenti provvede ai sensi dell’articolo 15, commi 5 e 6» (art. 55, co. 13, c.p.a.). Ma in relazione ai ricorsi privi di domanda cautelare è ragionevole supporre che il Presidente faccia un breve esame del fascicolo, prima che lo stesso venga mandato negli archivi degli Uffici giudiziari, per accertare la sussistenza della competenza del Tar adito e, ove ritenga sussistano dubbi sulla competenza, fissi un’udienza per portarlo all’esame del collegio. Tale modus operandi (che, magari, potrebbe essere esteso all’esame anche di altri vizi in rito di facile individuazione, quale l’irricevibilità del ricorso o la sua inammissibilità per mancata notifica ad almeno un controinteressato) consente non solo di evitare lunghi anni di attesa dinanzi ad un TAR che poi, quando la causa è portata per la decisione di merito, si spoglierà della competenza, ma anche la formazione, presso il Tribunale, di arretrato «fittizio». Aggiungasi che se il problema è di evitare che la «decisione di non decidere» intervenga dopo molti anni dalla proposizione del ricorso, un notevole ausilio alla sua risoluzione potrebbe – rectius, dovrebbe – arrivare proprio dalle parti del rapporto processuale, quelle cioè interessate all’immediata definizione nel merito della causa che, ove abbiano dubbi sulla competenza del TAR adito, potranno chiedere al Presidente la fissazione per la decisione sul punto, fissazione che difficilmente il Presidente non concederà ove ritenga l’istanza fondata. Ma c’è di più. Seppure fosse condivisibile l’impostazione della dottrina più «pessimista», la soluzione del problema non va trovata modificando la norma – che ha il merito di assicurare che la causa sia decisa dal giudice naturale precostituito – ma all’interno del Sistema giustizia, individuando le ragioni che ostacolano l’applicazione di elementari regole di organizzazione.
1 In www.giustizia-amministrativa.it.
2 In www.giustizia-amministrativa.it.
3 In www.giustizia-amministrativa.it.
4 In www.giustizia-amministrativa.it.
5 Tutte in www.giustizia-amministrativa. it.
6 Tutte in www.giustizia-amministrativa. it.
7 Restava invece invariata l’incompetenza funzionale inderogabile per i casi previsti dall’art. 14 c.p.a. Tale incompetenza era inderogabile – e dunque l’incompetenza doveva essere sollevata d’ufficio dal giudice – anche nel regime antecedente l’entrata in vigore del codice.
8 Il correttivo prevedeva anche l’eliminazione, nell’art. 16 c.p.a., del regolamento sollevato d’ufficio dal Tribunale originariamente adito. Se il TAR ritiene di non essere competente chiude con ordinanza il ricorso, indicando il TAR competente. Rimane il regolamento sollevato dal TAR indicato da altro giudice come competente e permane anche il regolamento sollevato dinanzi al Consiglio di Stato dalle parti.
9 Carpentieri, Le questioni di competenza, in www.giustizia-amministrativa.it.
10 Pellegrino, La difesa del nuovo processo, in www.giustizia-amministrativa.it.
11 Villata, Spigolature «stravaganti» sul nuovo codice del processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2011, 2, 857.
12 Sez. I, ord., 18.11.2010, n. 800, in www.giustizia-amministrativa.it. In effetti il TAR Napoli ha rimesso alla Corte costituzionale anche la questione di costituzionalità dell’art. 135, co. 1, lett. e), c.p.a. che avrebbe incluso nuovi casi di competenza funzionale del TAR Lazio, sede di Roma, non solo in palese eccesso di delega ma anche in conflitto con il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza della legge. Ad avviso del giudice la deroga agli ordinari canoni di riparto tra i diversi tribunali amministrativi regionali, fondati sull’efficacia territoriale dell’atto e sulla sede dell’autorità emanante, non appare sorretta da alcun adeguato fondamento giustificativo e si risolve, perciò, in una manifesta violazione di quel principio di ragionevolezza che costituisce limite alla discrezionalità legislativa in materia di determinazione della competenza territoriale; infatti, il Giudice delle leggi (sentenza 22.4.1992, n. 189), nel riconoscere al Legislatore ampia discrezionalità nell’operare il riparto di competenza fra gli organi giurisdizionali, ha nondimeno evidenziato l’esigenza di osservare il rispetto del principio di uguaglianza e, segnatamente, del canone di ragionevolezza. Ha aggiunto il TAR che la decisione del legislatore del codice di ampliare i casi di competenza funzionale del TAR Lazio, sede di Roma, non può trovare una giustificazione nell’esigenza di uniformità d’indirizzo giurisprudenziale in materia, in quanto nel sistema della giustizia amministrativa la funzione nomofilattica appartiene al giudice di appello; né peraltro sembra ipotizzabile una diversa qualità del TAR Lazio, con la configurazione di una sorta di supremazia rispetto agli altri Tribunali amministrativi periferici. Ha altresì evidenziato che tale proliferazione di competenza porta ad un’evidente asimmetria tra i Tribunali amministrativi e finisce con l’incidere sull’assetto ordinamentale della giustizia amministrativa, delineato nell’art. 125 Cost., che pone sullo stesso piano tutti gli organi giudiziari di primo grado, aventi pari funzioni ed ugualmente sottoposti al sindacato del Consiglio di Stato, come giudice di appello.
13 Ha escluso, invece, un profilo di incostituzionalità della norma, sotto il profilo dell’eccesso di delega, il Cons. St., sez. VI, ord. coll., 31.1.2011, n. 724, in www.giustizia-amministrativa.it, secondo cui la delega contenuta nell’art. 44, co. 2, l. 18.1.2009, n. 69 prevedeva espressamente, alla lett. f), il potere di «riordinare la tutela cautelare »: tale formula, volutamente ampia, certamente include il potere di modificare il regime di rilevabilità della stessa incompetenza in sede di emanazione dell’ordinanza cautelare.