Abstract
Viene analizzato l’istituto della locazione, con una particolare attenzione al significato sociale che la materia ha assunto nella vita moderna e alle conseguenze che l’evoluzione normativa ha comportato nella disciplina della fattispecie. Soprattutto in riferimento alle locazioni immobiliari, la necessità di tutelare il contraente più debole, cioè il conduttore, ha infatti determinato il sorgere di una normativa speciale che si è affiancata e sovrapposta a quella codicistica, caratterizzata da minime limitazioni dell’autonomia privata e derogabile convenzionalmente dalle parti. Nel corso degli anni il legislatore è più volte intervenuto sugli aspetti di maggiore rilevanza economica e sociale del rapporto di locazione (la misura del corrispettivo e la durata), al fine di trovare una soluzione al difficile contemperamento delle diverse esigenze del conduttore e della proprietà immobiliare.
La locazione rappresenta uno degli strumenti giuridici mediante il quale un soggetto soddisfa il proprio bisogno di godimento di un bene senza esserne proprietario (Tabet, A., La locazione-conduzione, in Tratt. Cicu-Messineo, XXV, Milano, 1972, 2).
L’istituto trova il suo modello elementare nella definizione enunciata dall’art. 1571 c.c.: la locazione è il contratto con il quale una parte (locatore) si obbliga a dare in godimento all’altra parte (conduttore o locatario) una cosa mobile o immobile per un dato tempo, dietro un determinato corrispettivo.
La locazione è un contratto consensuale ad effetti obbligatori, che determina il sorgere in capo al conduttore di un diritto personale di godimento. È altresì un contratto sinallagmatico, in quanto tramite la sua conclusione le due parti assumono l’obbligo di prestazioni corrispettive.
L’attuale disciplina codicistica (contenuta nel titolo III, capo VI, libro IV) presenta alcune importanti innovazioni di carattere sistematico rispetto alle corrispondenti disposizioni del codice civile del 1865. Il codice previgente, infatti, in ossequio alla tradizione giustinianea e all’esperienza francese, ricomprendeva all’interno dello schema della locazione (art. 1568 c.c. 1865: «il contratto di locazione ha per oggetto le cose o le opere») sia la locatio rei (art. 1569 c.c. 1865) che locatio operis (art. 1627, n. 3, c.c. 1865) e la locatio operarum (art. 1627, n. 1, c.c. 1865). Segnatamente, l’art. 1570 c.c. 1865 sanciva: «la locazione delle opere è un contratto per cui una delle parti si obbliga a fare per l’altra una cosa mediante la pattuita mercede».
La precisa determinazione della locazione, realizzata dal codice del 1942, quale fattispecie autonoma e distinta tanto dalla locatio operis e operarum quanto dall’affitto, è stata considerata dalla dottrina come il punto di arrivo che ha portato a compimento il processo di diversificazione analitica dell’istituto, prima troppo ampio e generico per giustificarne una disciplina ed una valutazione unitaria (Silvio Coco, G., Locazione, in Enc. dir., XXIV, Milano, 1974, 918 ss.).
Nell’ambito dello schema della locazione possono distinguersi, con rilevanti differenze:
a) la locazione di beni mobili (veicoli, attrezzi, macchinari, ecc.). La figura, sebbene assuma di frequente la denominazione di nolo o noleggio, non va confusa con il contratto previsto dall’art. 384 c. nav. («il noleggio è il contratto per il quale l’armatore, in corrispettivo del nolo pattuito, si obbliga a compiere con una nave determinata uno o più viaggi prestabiliti»), né con altre figure contrattuali, come il cd. noleggio con conducente di autoveicoli o di macchine operatrici, riconducibili a differenti tipologie negoziali;
b) la locazione di immobili urbani, figura di primaria rilevanza economica e sociale;
c) la locazione di immobili non urbani.
Dalla locazione in senso stretto va tenuto distinto l’affitto, contratto avente per oggetto esclusivamente beni produttivi, nel quale il godimento della cosa esige l’esercizio di un’attività da parte del soggetto che ne riceve l’uso. In tal senso l’art. 1615 c.c.: quando la locazione ha per oggetto il godimento di un bene produttivo (aziende, fondi rustici, opifici, cave, ecc.), l’affittuario deve curarne la gestione in conformità della destinazione economica della cosa e dell’interesse della produzione; a lui spettano i frutti e le altre utilità del bene.
La materia delle locazioni, dunque, non si presenta sotto un profilo unitario: ciò in ragione del particolare significato sociale rivestito da tale figura.
La necessità di tutela nei confronti del contraente più debole, cioè il conduttore, ha determinato il sorgere di una normativa speciale che si è spesso affiancata e sovrapposta a quella del codice, derogando al sistema fondato sulla libera contrattazione delle parti.
In generale, può affermarsi che il contratto di locazione classico, quale previsto e regolato dal codice, si adatta alla logica di regimi e interessi differenti in corrispondenza al tipo di rapporto instauratosi tra le parti e soprattutto secondo la destinazione del bene locato (Trabucchi, A., Istituzioni di diritto civile, XXVII ed., Padova, 2015, 962).
Quando non derogate da previsioni legislative speciali, le disposizioni del codice civile (artt. 1571-1614 c.c.)
conservano il valore di regole di generale applicazione.
La sezione I, rubricata Disposizioni generali (artt. 1571-1606 c.c.), si riferisce sia alla locazione di cose mobili che di beni immobili; la seconda (artt. 1607-1614 c.c.) è invece dedicata alla Locazione di fondi urbani.
Gli obblighi principali del locatore sono:
a) la consegna della cosa in buono stato, senza vizi e idonea all’uso convenuto, senza che terzi possano vantare diritti su di essa che ne impediscano l’uso;
b) mantenere la cosa in buono stato locativo, provvedendo in particolare a far eseguire tutte le riparazioni necessarie, eccettuate quelle di piccola manutenzione, che sono a carico del conduttore;
c) garantire il pacifico godimento della cosa durante la locazione. Il locatore deve garantire il conduttore dalle pretese o molestie di terzi che vantino diritti sulla cosa locata. In caso di vizi che siano di ostacolo al godimento della cosa, anche se sopravvenuti (art. 1581 c.c.), il conduttore ha diritto di domandare la risoluzione del contratto o di chiedere una riduzione del corrispettivo (art. 1578 c.c.).
Le obbligazioni principali del conduttore sono:
a) versare il canone secondo le modalità convenute;
b) prendere la cosa in consegna ed osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l’uso stabilito in contratto o per l’uso che altrimenti può presumersi secondo le circostanze. Il conduttore risponde della perdita o del deterioramento della cosa avvenuti nel corso della locazione, anche se derivanti da incendio, a meno che non provi che la perdita o il deterioramento siano accaduti per causa a lui non imputabile (art. 1588 c.c.);
c) restituire la cosa nello stato in cui l’ha ricevuta. Il conduttore non risponde del perimento o del deterioramento del bene dovuti a vetustà (art. 1590, co. 3, c.c.).
Secondo la regola generale, il conduttore non ha diritto ad indennità per i miglioramenti eventualmente apportati alla cosa locata (art. 1592 c.c.). Tuttavia, se il locatore ha prestato il proprio consenso alle opere di miglioramento, questi è tenuto a pagare un’indennità corrispondente alla minor somma inter expensum et melioratum.
Per quanto concerne le addizioni (art. 1593 c.c.), il conduttore ha diritto di rimuoverle alla fine del rapporto, salvo che il locatore non eserciti il suo ius retinendi. In questo caso il locatore deve pagare al conduttore un’indennità commisurata alla minor somma tra l’importo della spesa e il valore attuale delle addizioni. Se le addizioni non possono essere rimosse senza arrecare nocumento al bene, si osservano le norme che l’art. 1592 c.c. prevede per i miglioramenti.
Quando la durata del contratto è fissata dalle parti, il rapporto di locazione cessa alla scadenza, senza che sia necessaria disdetta (art. 1596 c.c.); la disdetta è però necessaria se le parti non hanno determinato la durata della locazione. La locazione si ha per rinnovata se, dopo lo spirare del termine, il conduttore rimane ed è lasciato nella detenzione del bene (rinnovazione tacita del contratto, art. 1597 c.c.). Il rinnovo avviene alle stesse condizioni del contratto precedente, ma la sua durata è a tempo indeterminato.
La locazione non può stipularsi per un tempo superiore a trenta anni (art. 1573 c.c.): se la durata è stabilita per un periodo più lungo si riduce al suddetto termine.
Il contratto di locazione superiore ai nove anni è atto eccedente l’ordinaria amministrazione (art. 1572 c.c.). La forma scritta ad substantiam è prevista per le locazioni ultranovennali aventi ad oggetto beni immobili (art. 1350, n. 8, c.c.); il relativo contratto è soggetto a trascrizione (art. 2643, n. 8, c.c.).
L’alienazione del bene locato non determina lo scioglimento del contratto (emptio non tollit locatum): se il proprietario aliena la cosa, la locazione è opponibile al terzo acquirente. A tal fine è però necessario che il contratto abbia una data certa anteriore all’alienazione della cosa locata (art. 1599 c.c.).
L’acquirente del bene locato subentra in tutti i diritti e gli obblighi derivanti dal contratto di locazione (art. 1602 c.c.): si ha quindi una successione ex lege nel contratto.
Salvo patto contrario, il conduttore ha la facoltà di sublocare il bene, in tutto o in parte, ma non può cedere il contratto senza il consenso del locatore (art. 1594, co. 1, c.c.). Con la sublocazione il conduttore diventa a sua volta locatore nei confronti di un altro inquilino, con un rapporto indipendente rispetto a quello che intercorre tra lui e il primo locatore; diversamente, con la cessione della locazione il nuovo conduttore subentra al posto del primo in tutti gli obblighi e in tutti i diritti che questi aveva nei confronti del locatore. L’art. 1595 c.c. concede al locatore un’azione diretta contro il subconduttore per soddisfare il suo credito sul prezzo della sublocazione non ancora versato al primo conduttore inadempiente.
Come si è accennato, il contratto di locazione è un rapporto di carattere personale che lega il proprietario (locatore) a chi gode il bene (conduttore). Tuttavia, la natura del diritto di godimento cui la locazione dà luogo presenta delle particolarità che hanno indotto parte della dottrina a considerarlo come un rapporto a metà strada tra i rapporti obbligatori e quelli reali (Giorgianni, M., Diritti reali, in Nss. D.I., V, Torino, 1960, 748 ss.; sul punto cfr. Alpa, G., Manuale di diritto privato, VII ed., Padova, 2011, 695). Ciò perché il rapporto non ha effetto solo tra le parti, ma è opponibile ai terzi acquirenti: si pensi alla richiamata regola per cui emptio non tollit locatum, all’obbligo di trascrizione, alla prescrizione che il contratto non possa avere durata superiore ai trenta anni, alla facoltà di sublocazione; sintomi della deviazione dal rigore del criterio collegato al rapporto di puro ordine personale (Trabucchi, A., Istituzioni di diritto civile, cit., 963).
L’eccezionale rilevanza economica e sociale della locazione di immobili ha fatto sì che la materia fosse oggetto di continui interventi da parte delle leggi speciali, nella preoccupazione di evitare che la parte più forte (il proprietario) abusasse del suo potere a danno del contraente più debole (il conduttore).
Le esigenze di quest’ultimo, infatti, non possono ritenersi omogenee come quelle del locatore, che “mette a reddito” l’immobile: «il locatore mira a conseguire il corrispettivo, e cioè un bene fungibile per eccellenza; il conduttore a conseguire il godimento di una cosa determinata, strumento necessario per appagare i suoi bisogni più essenziali: casa, bottega, ufficio. Sotto questo aspetto, il conduttore è sempre il contraente più debole perché il bisogno di una cosa determinata è sempre più pressante di quello rivolto ad una cosa fungibile» (Tabet, A., La locazione-conduzione, cit., 44).
Nell’ambito del contratto di locazione gli aspetti di maggiore rilevanza sono senz’altro costituiti dalla durata del contratto e dalla misura del corrispettivo da versare al locatore, profili rispetto ai quali il codice presenta una singolare incompletezza (Bessone, M., a cura di, Istituzioni di diritto privato, XXI ed., Torino, 2015, 792). Infatti, per quanto concerne la durata del rapporto, essa viene regolata soltanto nel suo il termine massimo, con disposizioni poste principalmente a tutela della proprietà; mentre, con riferimento alla misura del corrispettivo, il codice non reca alcuna disposizione di carattere cogente.
Tali rilevantissimi aspetti del rapporto di locazione erano regolati dalla legislazione speciale già in epoca anteriore rispetto al codice del 1942. Il regime cd. vincolistico delle locazioni si è infatti protratto ininterrottamente (salvo che per una breve parentesi nel corso degli anni Trenta) dal 1915 fino al 1978, attraverso una copiosa serie di disposizioni normative progressivamente reiterate nel tempo.
Le restrizioni del regime vincolistico riguardavano essenzialmente la durata del contratto di locazione e l’entità del canone: da un lato si faceva divieto alle parti di aumentare il corrispettivo pattuito o di aumentarlo oltre una certa misura; dall’altro si attribuiva al conduttore il diritto di protrarre il godimento dell’immobile anche dopo la scadenza del termine stabilito.
Per oltre mezzo secolo, dunque, il legislatore ha fatto sistematicamente ricorso a misure di blocco temporaneo delle locazioni, graduando in modo vincolante gli aumenti dei canoni e prorogando d’imperio la durata dei contratti. Tali leggi, prive di una visione organica del problema locativo, hanno inevitabilmente ottenuto l’effetto di provocare una profonda crisi dell’intero settore immobiliare, inaridendo gli investimenti e creando un doppio mercato delle locazioni, con gravi sperequazioni fra locatori e conduttori di immobili vincolati e immobili “liberi”.
Con la l. 27.7.1978, n. 392 si è cercato di realizzare il superamento del regime vincolistico attraverso l’emanazione di un complesso di disposizioni che regolasse in modo unitario ed organico l’intera materia, con l’obiettivo di pervenire ad un generale riassetto del settore, ispirato all’esigenza di tutelare l’interesse del conduttore, ritenuto preferenziale rispetto alle ragioni della proprietà.
Il legislatore del 1978 individua due tipologie di rapporti: la locazione di «immobili adibiti ad uso di abitazione» (capo I, titolo I, artt. 1-26) e la locazione di «immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione» (capo II, titolo I, artt. 27-57), differenziando la disciplina in ragione della diversa destinazione economica ricevuta dall’immobile.
L’art. 79 prevede (sia in riferimento ai contratti di locazione ad uso abitativo che ad uso diverso) una rigorosa valutazione delle pattuizioni private, che ne determina la nullità se queste sono dirette a derogare, in sfavore del conduttore, la disciplina del canone e della durata ovvero se, comunque, attribuiscono al locatore vantaggi in contrasto con la legge.
Le clausole di contenuto difforme rispetto a quello previsto dalle norme cogenti sono sostituite di diritto: in luogo di esse, si inseriscono nel rapporto contrattuale le condizioni imperative individuate dalla legge (inserzione automatica che si produce per l’effetto della regola generale degli artt. 1339 e 1419, co. 2, c.c., richiamata dagli artt. 1, 12, 25 e 27 l. n. 392/1978).
Mentre per entrambi i tipi di locazione è prevista la predeterminazione, sia pure con termini diversi, della durata minima dei contratti, solo per le locazioni ad uso abitativo è stato introdotto un meccanismo di determinazione iniziale del canone. Ad ogni unità immobiliare corrisponde un canone cd. equo, stabilito secondo criteri di legge finalizzati a contemperare l’esigenza dell’inquilino di prendere in locazione una casa (corrispondendo un canone di importo ragionevole), con l’interesse del proprietario ad ottenere una rendita adeguata dalla sua proprietà. A tale scopo si prevede che il canone di locazione degli immobili adibiti ad uso di abitazione non possa superare il 3,85 per cento del valore locativo dell’immobile, stimato secondo i criteri individuati dalla legge (artt. 12 ss. l. n. 392/1978).
Diversamente, nel settore delle locazioni non abitative il legislatore del 1978 rinuncia ad intervenire sulla determinazione iniziale del corrispettivo, lasciandola alla libera volontà delle parti. Il legislatore si è però preoccupato di approntare un sistema di «aggiornamento del canone» (art. 32 l. n. 392/1978), stabilendo che lo stesso possa essere aggiornato (a far tempo dal quarto anno di locazione) con riferimento alle variazioni del potere di acquisto della lira verificatosi nel biennio precedente, sempre a condizione che ciò avvenga in misura non superiore al 75 per cento delle variazioni accertate dall’ISTAT.
Per quanto attiene la durata minima del rapporto, essa viene fissata in quattro anni per le locazioni di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione (art. 1. l. n. 392/1978) ed in sei anni per le locazioni non abitative (art. 27, co. 1-2, l. n. 392/1978).
Le finalità perseguite dal legislatore nel capo II del titolo I (artt. 27-57) sono principalmente rivolte alla tutela della categoria dei conduttori cd. operatori economici, cioè dei soggetti per i quali il rapporto di locazione si pone come mezzo al fine di poter esplicare l’attività fonte del proprio reddito (in questo senso, Jannarelli, A., Art. 27. Durata della locazione, in Equo canone. Disciplina delle locazioni di immobili urbani, a cura di C.M. Bianca, N. Irti, N. Lipari, A. proto Pisani e G. Tarzia, Padova, 1980, 231 ss.).
Mediante la previsione di una durata più lunga in favore delle locazioni non abitative viene soddisfatta l’esigenza di assicurare una maggiore stabilità alle sedi ove si esercitano le attività del professionista e dell’imprenditore (l’art. 27 si applica in generale alle attività industriali, commerciali, artigianali e di lavoro autonomo).
La tutela del conduttore inquilino viene rafforzata (come si è detto) attraverso un meccanismo di valutazione obiettiva, che prevede la determinazione iniziale del canone secondo criteri prefissati. Ciò al fine di consentire un più agevole soddisfacimento di un’esigenza primaria della vita: la casa.
L’intervento legislativo del 1978 non valse a superare la crisi del mercato immobiliare. Il sistema cogente di determinazione del corrispettivo aveva spinto i proprietari ad orientarsi verso le locazioni non abitative, cagionando la contrazione dell’offerta locativa ad uso abitazione ed una generale fuga del risparmio dagli investimenti immobiliari. Anche la tutela dell’inquilino si era rilevata poco efficace, data la frequente violazione o elusione delle norme imperative concernenti la misura del canone.
Con l’art. 11 d.l. 11.7.1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica, convertito in legge dall’art. 11 della legge 8 agosto 1992, n. 359), venne disposta l’abrogazione delle disposizioni limitative del canone contenute nella legge del 1978, abrogazione però limitata (fino alla riforma del 1998) ai soli contratti di locazione aventi ad oggetto immobili di nuova costruzione.
Per le locazioni di immobili costruiti in epoca anteriore alla legge del 1992 si introdusse un sistema nuovo, che poi sarà sviluppato nella legislazione successiva: le parti venivano ammesse a stipulare accordi in deroga alle norme imperative della l. n. 392/1978 a condizione che facessero ricorso all’assistenza delle organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori maggiormente rappresentative a livello nazionale. La novità consiste appunto nel requisito dell’assistenza: quando i contraenti vi facevano ricorso il contenuto del contratto di locazione (durata, misura del corrispettivo, ecc.) poteva essere stabilito in modo difforme da quello previsto in via cogente dalla legge del 1978. La disposizione (art. 11 l. n. 359/1992) era applicabile unicamente ai contratti di locazione ad uso abitativo.
Infine, la l. 9.12.1998, n. 431 ha riformato la disciplina delle locazioni ad uso abitativo, raccogliendo e migliorando le esperienze precedenti.
La legge consente alle parti di scegliere fra due diverse modalità contrattuali che si distinguono per la differente determinazione del canone e della durata del rapporto di locazione:
i) Il primo modello di contratto (cd. libero o ordinario, art. 2, co. 1, l. n. 431/1998) affida ai contraenti la possibilità di definire liberamente la misura del canone ed i relativi aumenti periodici, eliminando completamente (per quanto concerne questo aspetto) la compressione dell’autonomia privata esercitata dalla normativa precedente. La tutela dell’inquilino si realizza attraverso la previsione imperativa di una durata minima del contratto pari a quattro anni. Il contratto si rinnova automaticamente alla prima scadenza per un nuovo termine quadriennale (il locatore può negare il primo rinnovo solo se ricorre una delle ipotesi tassative previste dall’art. 3, v. infra). Alla seconda scadenza, ciascuna delle parti ha la facoltà di attivare la procedura per il rinnovo del contratto a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo, comunicando la propria intenzione almeno sei mesi prima della scadenza. In mancanza di detta comunicazione il contratto si intende tacitamente rinnovato alle condizioni originariamente pattuite.
ii) Nel secondo modello (cd. convenzionato o alternativo, art. 2, co. 3, l. n. 431/1998) le parti aderiscono ad un contratto tipo le cui condizioni (compresa la misura del canone) sono definite in sede locale mediante accordi stipulati tra le associazioni maggiormente rappresentative della proprietà edilizia e dei conduttori. Tali condizioni sono individuate nel rispetto delle indicazioni fornite da una convenzione nazionale promossa dal Ministero dei lavori pubblici cui spetta, in particolare, l’indicazione dei «criteri generali per la definizione dei canoni» (art. 4 l. n. 431/1998). Per questo modello di contratto la durata minima è di tre anni, con proroga di diritto per altri due nel caso in cui le parti non si accordino sul rinnovo del contratto. Inoltre, sono previste agevolazioni fiscali a favore del locatore qualora le parti aderiscano alla contrattazione convenzionata.
In entrambi i modelli contrattuali la legge prevede la possibilità per il locatore di avvalersi della facoltà di diniego del rinnovo del contratto, purché ricorra una delle ipotesi tassative previste dall’art. 3 l. n. 431/1998: quando il locatore intenda destinare l’immobile ad uso abitativo, commerciale, artigianale o professionale proprio o dei congiunti; quando vi sia la necessità di eseguire lavori indispensabili; quando il conduttore non occupi continuativamente l’immobile senza giustificato motivo; quando il conduttore abbia la piena disponibilità di un alloggio libero ed idoneo nello stesso comune, ecc.).
L’art. 1 della l. n. 431/1998 introduce una rilevante novità per tutti i rapporti locativi ad uso abitativo: «per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta», onere giustificato anche dalle finalità di contrasto all’evasione fiscale.
È nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato (art 13, co. 1, l. n. 431/1998). La legge commina la sanzione della nullità anche alle pattuizioni volte a derogare ai limiti di durata stabiliti dalla legge (art. 13, co. 2, l. n. 431/1998) ed alle che attribuiscono al locatore «un canone superiore a quello massimo definito, per immobili aventi le medesime caratteristiche e appartenenti alle medesime tipologie, dagli accordi definiti in sede locale» (art. 13, co. 3, l. n. 431/1998).
Sono previste regole particolari per i contratti di locazione destinati a soddisfare esigenze di natura transitoria, anche di durata inferiore ai limiti fissati dalla legge (art. 5, co. 1, l. n. 431/1998). È altresì concessa la facoltà di stipulare contratti-tipo relativi alla locazione di immobili ad uso abitativo per studenti universitari (art. 5, co. 3, l. n. 431/1998).
Restano ad oggi in vigore alcune disposizioni della l. n. 392/1978 rispetto alle quali la riforma del 1998 non è intervenuta. Si segnalano, in particolare: il divieto del conduttore di cedere il contratto o di sublocare totalmente l’immobile senza il consenso del locatore (la sublocazione parziale, salvo patto contrario, è ammessa purché il conduttore ne dia comunicazione al locatore nei termini previsti dall’art. 2 l. n. 392/1978); il diritto del conduttore di recedere prima della scadenza per gravi motivi, con preavviso di almeno sei mesi (art. 4 l. n. 392/1978); la previsione per cui la risoluzione del contratto consegue al mancato pagamento del canone decorsi venti giorni dalla scadenza prevista (art. 5 l. n. 392/1978); il diritto del coniuge, degli eredi, dei parenti e degli affini conviventi abitualmente con il conduttore (come pure del convivente more uxorio – cfr. C. cost., 7.4.1988, n. 404) di subentrare nel rapporto in caso di morte del conduttore (art. 6 l. n. 392/1978).
La l. n. 431/1998 si riferisce esclusivamente alla locazione di immobili adibiti ad abitazione, escludendo così dal proprio ambito di applicazione i rapporti contemplati dagli artt. 27 ss. della l. n. 392/1978.
Quindi, per quanto concerne le locazioni di immobili destinati ad uso diverso dall’abitazione, la normativa di riferimento resta dettata dalla l. n. 392/1978, coordinata con le successive modificazioni apportate dalla l. 6.2.1987, n. 15 (legge di conversione del decreto-legge 9 dicembre 1986, n. 832) e dall’art. 7 l. 8.2.2007, n. 9.
Non si prevede un criterio legale di determinazione iniziale del canone. Tuttavia, le variazioni in aumento sono sottratte alla disponibilità delle parti, le quali possono convenire che il canone di locazione sia aggiornato annualmente, su richiesta del locatore, nel limite massimo del 75 per cento delle variazioni accertate dall’ISTAT (art. 32 l. n. 392/1978).
La durata del contratto di locazione è fissata in sei anni se nell’immobile si svolge un’attività di lavoro autonomo o un’attività industriale, commerciale, artigianale o di interesse turistico; non può essere inferiore a nove anni se l’immobile è adibito ad attività alberghiere (art. 27 l. n. 392/1978).
Il locatore non può negare il rinnovo del contratto alla prima scadenza se non nei casi tassativamente previsti dalla legge (art. 29 l. n. 392/1978).
Il contratto si rinnova tacitamente di sei anni in sei anni (di nove in nove per le locazioni di immobili adibiti ad attività alberghiere). La rinnovazione non ha luogo se le parti comunicano la propria disdetta almeno 12 mesi prima della scadenza (18 mesi per le locazioni di immobili adibiti ad attività alberghiere).
Indipendentemente dalle previsioni contrattuali il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto, con preavviso di almeno sei mesi (art. 27 l. n. 392/1978).
Il conduttore può sublocare l’immobile o cedere il contratto di locazione anche senza il consenso del locatore, purché insieme venga ceduta o locata l’azienda; se ricorrono «gravi motivi», il locatore può opporsi (art. 36 l. n. 392/1978).
Il conduttore gode di un diritto di prelazione sia per l’ipotesi che il proprietario intenda vendere l’immobile (art. 38 l. n. 392/1978) sia nel caso in cui decida di locarlo a terzi dopo la cessazione del rapporto di locazione (art. 40 l. n. 392/1978).
Nei confronti del solo conduttore “imprenditore”, che utilizza gli immobili locati per lo svolgimento di attività che comportano contatti diretti con il pubblico degli utenti o dei consumatori, il legislatore prevede un’ulteriore e importante strumento di tutela: l’indennità per la perdita dell’avviamento (art. 34 l. n. 392/1978). In caso di cessazione del rapporto di locazione, che non sia dovuta a risoluzione per inadempimento, disdetta o recesso del conduttore, si attribuisce a quest’ultimo il diritto a un’indennità commisurata all’ultimo canone corrisposto. La misura è raddoppiata quando l’immobile è nuovamente adibito all’esercizio della stessa attività o di attività affini a quelle che vi svolgeva il conduttore.
Da tale protezione sono esclusi i rapporti di locazione relativi ad immobili utilizzati per lo svolgimento di attività che non comportano contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, nonché destinati all’esercizio di attività professionali, ad attività di carattere transitorio, ovvero agli immobili complementari o interni a stazioni ferroviarie, porti, aeroporti, aree di servizio stradali o autostradali, alberghi e villaggi turistici (art. 35 l. n. 392/1978).
Da ultimo, si segnala l’art. 18 d.l. 12.9.2014, n. 133 (decreto “Sblocca Italia”, convertito dalla l. 11.11.2014, n. 164), relativo al tema delle cd. grandi locazioni.
All’art. 79 l. n. 392/1978 è aggiunto il seguente comma: «in deroga alle disposizioni del primo comma, nei contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, anche se adibiti ad attività alberghiera, per i quali sia pattuito un canone annuo superiore ad euro 250.000, e che non siano riferiti a locali qualificati di interesse storico a seguito di provvedimento regionale o comunale, è facoltà delle parti concordare contrattualmente termini e condizioni in deroga alle disposizioni della presente legge. I contratti di cui al periodo precedente devono essere provati per iscritto».
Il legislatore ritiene, dunque, che un conduttore in grado di sopportare un canone significativamente elevato (superiore ad oltre venti mila euro al mese) non meriti più la tutela offerta dalla norma dell’art. 79, co. 1, l. n. 392/1978 (Padovini, F., La liberalizzazione del mercato delle grandi locazioni ad uso non abitativo, in Nuove leggi civ.., 2015, 431).
Di conseguenza, le parti potranno (ad es.) stabilire una durata del contratto diversa da quella minima prevista dalla l. n. 392/1978, derogare ai limiti fissati dall’art. 32 per l’aggiornamento del canone, escludere il diritto di prelazione in caso di alienazione o l’indennità per la perdita dell’avviamento e così via.
Artt. 1339, 1419, 1571-1615 c.c.; l. 27.7.1978, n. 392; l. 11.8.1992, n. 359; l. 9.12.1998, n. 431; l. 6.2.1987, n. 15; l. 8.2.2007, n. 9; l. 11.11.2014, n. 164.
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