lode (loda; laude; lodo)
Predominante la forma ‛ loda ' - con plurale ‛ lode ' in cinque occorrenze - metaplasmo di declinazione molto comune nel volgare antico. Le altre sei occorrenze vedono ‛ lode ' singolare (con plurale lodi, in Cv IV XVIII 4). ‛ Laude ' è singolare in cinque casi; due volte (Vn XIX 13 63, Pd XIX 37) si presta a essere considerato plurale; è certamente plurale in Cv III XI 1, XIII 1, XIV 1. Lodo, variante per esigenza di rima (ma v. Inghilfredi Greve puot'uom piacere 52 " chi più falla di lodo ha corona "), solo in If III 36.
Nel significato più generico, proseguendo il latino laus, designa innanzi tutto le parole o le espressioni che attestano il merito di qualcuno, ed è l'opposto di ‛ biasimo ' (v.) o ‛ vituperio ' (v.; la coppia antitetica figura in alcuni luoghi danteschi). Il valore semantico del vocabolo è precisato dal Boccaccio che nelle Esposizioni fissa la differenza fra ‛ onore ', ‛ laude ' ‛ fama ' e ‛ gloria ', rammaricandosi della confusione che molti compiono fra i suddetti termini: " Le ‛ laude ', come l'onore si fa in presenza a colui che meritato l'ha, così si dicono, lui essendo assente; per ciò che, se, lui presente, si dicessero, non laude ma lusinghe parrebono ". Ma la definizione boccacciana non sempre è applicabile ai testi di D., dove la presenza o l'assenza della persona lodata non distingue rigorosamente l'uso di l. e quello di ‛ onore ': dovunque similitudine s'intende corre comune la loda e lo vituperio (Cv III I 5); molte volte credendosi [a] alcuno dar loda, si dà biasimo (X 9); le lode danno desiderio di conoscere la persona laudata (XI 1); si allineano ai precedenti gli esempi di Cv I XI 15, II X 5, III IV 3, V 1 (due volte), IV XXVIII 10 (traduzione da Paul. Rom. 2, 28-29), If VII 92.
Entro un più deciso ambito morale la l. acquista specifico riferimento alle opere e alle virtù dell'uomo: l'uomo è degno di loda e di vituperio solo in quelle cose che sono in sua podestà di fare o di non fare; ma in quelle ne le quali non ha podestà non merita né vituperio né loda (Cv III IV 6); sanza ovrar vertute / nessun pote acquistar verace loda (Rime LXXXIII 73; è il laudem consequi di Cic. Pro Marc. 2). La stretta dipendenza della l. dalla virtù morale e dalla nobiltà (v.) è affermata in Cv IV XVIII 3 Dice adunque che nobilitade e vertute cotale, cioè morale, convegnono in questo, che l'una e l'altra importa loda di colui di cui si dice. Donde la bella e convenevole induzione che le virtù nascano dalla nobiltà e che questa sia quindi lo principio de le nostre lodi (IV XVIII 4). Induzione che per il particolare concetto dantesco della nobiltà accentua la responsabilità dell'individuo e provoca la condanna senza scampo dei neutrali, dei neghittosi, degl'indecisi, di coloro, insomma, che visser sanza 'nfamia e sanza lodo (If III 36: da tener presente la chiosa del Tommaseo: " vale non gloria, ma ogni menoma lode ").
Se è vero che la virtù trae con sé la l., è anche vero che non par conveniente lodare sé medesimi, per evitare che quella loda non sia maggiormente vituperio, non sia cioè loda ne la punta de le parole (Cv I II 7) ma vituperio nel senso profondo, dal momento che chi si loda, mostrando di non esser tenuto virtuoso, testimonia la sua maliziata coscienza; e ancora la propria loda e lo proprio biasimo è da fuggire (I II 8) poiché nessuno è in grado di esser buon giudice di sé stesso e parlando di sé con loda o col contrario, o dice falso per rispetto a la cosa di che parla; o dice falso per rispetto a la sua sentenza (I II 10): v. le occorrenze affini di Rime LXXXIII 128, CIV 80, CVI 117, If XXVI 71 La tua preghiera è degna / di molta loda (qui con la sfumatura di " approvazione "), Pg XVIII 60, Pd X 122, XXX 17 Se quanto infino a qui di lei si dice / fosse conchiuso tutto in una loda, / poca sarebbe a fornir questa vice, dove la l. alla bellezza di Beatrice contiene chiare implicazioni morali.
Specialissima e suprema è la l. rivolta a Dio, secondo moduli assai frequenti nelle Scritture: " non recedat laus tua de ore hominum " (ludit 13, 25); " semper laus eius in ore meo " (Ps. 33, 2); " sic et laus tua in fines terrae " (47, 11); " Et lingua mea meditabitur... / tota die laudem tuam " (34, 28); " Et omnis plebs, ut vidit, dedit laudem Deo " (Luc. 18, 43), e sulla quale va ricordata l'osservazione di s. Tommaso: " Et ideo necessaria est laus oris, non quidem propter Deum, sed propter ipsum laudantem, cuius affectus excitatur in Deum ex laude ipsius (II II 91 1c): però sentisti il tremoto e li pii / spiriti per lo monte render lode / a quel Segnor (Pg XXI 71: qualche commentatore suppone che le anime intonino qui il " Te Deum laudamus "); la rosa sempiterna, / che si digrada e dilata e redole / odor di lode al sol che sempre verna (Pd XXX 126; in coerenza con l'immagine della rosa, la l. sale in figura d'odore, " ex illis tot floribus beatis qui sunt in ea " [Benvenuto]); Ben m'accors'io ch'elli era d'alte lode (Pd XIV 124; è un inno a Cristo trionfatore della morte [cfr. i vv. 123 e 215: " Gli ‛ inni ' son parole composte di certe spezie di versi e contengono in sé le laude divine " [Boccaccio]).
In If II 103 (Beatrice, loda di Dio vera) il vocabolo, sia a livello letterale che allegorico, fa suo un valore attivo: " cioè laudatrice " (Boccaccio); " idest, o Theologia, quae es vera laus et gloria Dei " (Benvenuto); " imperò che la s. Teologia... loda Iddio veramente e non fintamente, ovvero nell'esercizio della attività, ovvero nel riposo della contemplazione " (Buti).
Di simile tenore sembra l'occorrenza di Pd XIX 37 quel segno, che di laude / de la divina grazia era contesto, dove il segno dell'aquila nel cielo di Giove appare " composto tutto a render lode a Dio della grazia ricevuta e che riceveano " (Buti); Anche Tommaseo: " ‛ laude ': anime che onoran la Grazia ". Entro un'area semantica resa affatto originale proprio dal ripetuto uso dantesco, ben distinto da quello dei predecessori e contemporanei, si raccolgono le occorrenze in cui l. ha specifico riferimento alla donna amata e alla poesia amorosa.
Il tema psicologico-stilistico della l. sembra annunziato fin dal V capitolo della Vita Nuova, dove lo scrittore parla di certe cosette per rima composte per la prima donna dello schermo, ma con l'animo rivolto a Beatrice, delle quali intende appunto registrare alcuna cosa... che pare sia loda di lei (§ 4). Difficile è dire sino a qual punto il vocabolo all'altezza di questa fase redazionale (sempre che non si tratti di un inserto o di un rifacimento seriore) si allinei con la pregnanza che poi assumerà nel capitolo XVIII. È però probabile che questo preludio s'illumini già di connotazioni etico-religiose sulla scia di note indicazioni guinizzelliane: " Donna, Deo mi dirà: " Che presomisti? " / ..." Lo ciel passasti e 'nfin a Me venisti, / e desti in vano amor Me per semblanti; / ch'a me conven le laude / e a la reina del regname degno, / per cui cessa onne fraude ". / Dir Li porò: " Tenne d'angel sembianza / che fosse del Tuo regno; / non me fu fallo, s'in lei posi amanza " (Al cor gentil 51-60, dove si nobilitano altri accenni: " in tutte guise vi deggio laudare " [Madonna, il fin amor 38]; " Vogli' del ver la mia donna laudare "; " Gentil donzella, di pregio nomata, / degna di laude e di tutto onore ").
Ciò che comunque caratterizza la l. dantesca è la sua duplice e stretta rispondenza a un significato teologale (" Il nuovo atteggiamento di Dante trova il suo modello nell'atteggiamento del fedele di fronte a Dio; il fedele deve lodarlo e adorarlo perché è Dio prima che per ogni altro motivo " [F. Montanari, L'esperienza poetica di D., Firenze 1959, 47]) e a una maniera di poesia.
Il modo stesso come il concetto si genera porta in primo piano l'aspirazione fondamentale di D.: al perduto saluto di Beatrice, in cui dimorava la beatitudine, che era fine di tutti i suoi desideri, egli sostituisce le parole che lodano la sua donna, cosa tutta intima e inalienabile, che gli si palesa in un misto di rammarico e meraviglia: Poi che è tanta beatitudine in quelle parole che lodano la mia donna, perché altroparlare è stato lo mio? (XVIII 8). Donde il fermo disegno: E però propuosi di prendere per matera de lo mio parlare sempre mai quello che fosse loda di questa gentilissima (XVIII 9): del quale parlare il germe ha natura impulsiva e istintiva (volontade di dire) conformemente al novo stile (Amore che parla per la labbra del poeta: cfr. f. Montanari, cit., p. 49) ma l'elaborazione non rifugge da competenza tecnica (cominciai a pensare lo modo ch'io tenesse, XXIX 1). Sicché la maniera della l. suppone il rifiuto di ogni contraccambio sensibile della donna, sia pure quello smaterializzato del saluto, la coscienza di una pregiata e autonoma interiorità di sentimento, l'auscultazione del proprio cuore risolta gioiosamente nelle rime dolci, tutto questo in una dimensione contemplativo-religiosa che attrae nel linguaggio echi e tonalità proprie dei mistici due-trecenteschi, dei libri agiografici e ancor prima, bibliche, messe variamente in evidenza dal Casella, dal Roncaglia, dal Branca, dal Contini; e porta a maturazione il personale stile del poeta, come sottolinea il Bosco: " la loda... è un grado, un raffinamento di materia, il passaggio da un argomento di poesia ad altro ‛ più nobile ': ma sempre all'interno del nuovo stile " (Dante vicino, Caltanissetta-Roma 1966, 47): una perfetta identità insomma tra amore, poesia e beatitudine, uno stato di grazia che si sprigiona miracolosamente da consuetudini tràdite: " La scoperta ... era avvenuta nei termini della tradizione, era stata la rivelazione d'un tesoro sconosciuto. Proprio in questo lo stile della loda aveva il senso di una ‛ renovatio ', di una ‛ reformatio ': Dante, l'‛ homo novus ' che usciva dalla crisalide dell'‛ homo vetus ' " (De Robertis, il libro della vita nuova, Firenze 1961, 144; per maggiori approfondimenti sulla grossa questione, v. le voci Stil nuovo; Vita Nuova).
Sulla traccia del recente proposito D. vuol dunque dire della sua donna, non perché creda sua laude finire (Vn XIX 4 3) ma per un lieto sfogo della mente (così all'incirca Dante da Maiano in un sonetto di corrispondenza col nostro poeta: " ogne uom fora gravato / di vostra loda intera nominarla; / ché 'l vostro pregio in tal loco è poggiato / che propriamente om non poria contarla: / però qual vera loda al vostro stato / crede parlando dar, dico disparla " [Lo vostro fermo dir 3-8]; ma il motivo era tutt'altro che inedito); prova quindi un nuovo intenso trasporto a dire in loda della gentilissima (XXI 1); riprende infine, dopo un intermezzo passionato e doloroso, lo stilo de la... loda (XXVI 4), riconnettendolo, sempre con straordinaria tenerezza di pronunzia, alle mirabili ed eccellenti operazioni di Beatrice. v. anche Vn XIX 13 63 Insegnatemi gir, ch'io son mandata / a quella di cui laude so' adornata, dove si genera la corrispondenza l.-bellezza in quanto l'ornamento della canzone consiste nelle l. alla donna.
Discorso non diverso va fatto per quei luoghi del Convivio in cui la l., restando in area cortese, viene attribuita alla Donna gentile, e si tramuta quindi in elogio della filosofia: se le mie rime avran difetto / ch'entreran ne la loda di costei, / di ciò si biasmi il debole intelletto / e 'l parlar nostro (III Amor che ne la mente 15); canzone, che parli di questa donna cotanta loda (IX 4); ne la litterale esposizione dopo le generali laude a le speziali si discende (XIV 1: nel testo fa coppia sinonimica con commendazioni); e con uguale valore in Cv III I 13 la loda di questa gentile, XI 1 e 18, XIII 1 e 10, XV 13 e 15.
Raramente corrisponde a " virtù ", " opere meritorie ", " atti degni di lode ", come quelli della Vergine, di Fabrizio e di s. Nicolò rammemorati nel quinto girone del Purgatorio, onde D.: O anima che tanto ben favelle, / dimmi chi fosti... e perché sola / tu queste degne lode rinovelle (XX 36); o quelli dell'anima nobile in giovanezza, temperata e forte, / piena d'amore e di cortese lode (Cv IV Le dolci rime 130), dove cortese lode non è " ‛ courteous praise of others ', but ‛ fame and merit of courtesy ' " (Dante's lyric Poetry, a cura di K. Foster e P. Boyde, II, Oxford 1962, II 222: cfr. del resto Cv IV XXVI 12).