LODI (antica Laus Pompeia, Abdua e forse antica Alauda dei Celti; A. T., 20-21)
Città della provincia di Milano, situata a 80 m. s. m., a 27 km. a sud-est di Milano, nell'ubertosa pianura lombarda, sulla sponda destra dell'Adda, in posizione strategicamente importante, perché, essendo sopraelevata rispetto al corso dell'Adda, ne domina e difende il grandioso ponte. Modesta nel suo aspetto tranquillo di centro essenzialmente agricolo, Lodi vanta però pregevolissime opere d'arte, ricordo del suo glorioso passato. Centro della vita cittadina e la bella Piazza Maggiore, sulla quale sorge il duomo, con l'annesso Broletto. Notevoli pure: il museo storico-artistico, la biblioteca comunale (ove si conservano preziosi codici) e scuole varie, indice dell'attività culturale della città.
La popolazione del comune era nel 1921 di 29.395 ab. (di cui 21.660 nella città, gli altri nei sobborghi o chiosi di Olmo, Portadore, Riolo, San Grato, Torretta, Vigadore, o nelle case sparse), nel 1931 di 31.092 ab. Il progresso demografico non è stato molto sensibile, e ciò si deve all'essere Lodi un centro agricolo più che industriale. Nel 1881 la città contava 18.000 ab., e nel 1901, 20.000.
Il territorio comunale (41,41 kmq.) ha speciale importanza per l'allevamento del bestiame bovino e per la produzione di rinomatissimi latticinî (burri e formaggi), dei quali si fa larga esportazione. Fioriscono pure industrie tessili per la lavorazione della canapa e del lino. È stazione della ferrovia Milano-Piacenza; servizî automobilistici e tramviarî la collegano a Milano, Bergamo, ecc.
Monumenti. - I monumenti lodigiani, dopo le distruzioni del 1110 e del 1158, risorsero nella seconda metà del sec. XII, ma non ebbero definitiva forma, se non un secolo dopo e nei primi decennî del sec. XIV. Il duomo, di cui fu posta la prima pietra nel 1189, è all'interno tutto trasformato, ma nella facciata conserva tracce sufficienti per comprenderne l'originario aspetto e nel protiro trecentesco s'adorna d'importanti sculture romaniche. La chiesa di S. Bassiano, nel vicino Lodi Vecchio, è invece conservatissima sia nella sua struttura laterizia (secoli XIII e XIV), sia nella decorazione pittorica bizantineggiante (principio del secolo XIV). La chiesa di S. Francesco, cominciata nel sec. XIII, ha un protiro come il duomo, ma sotto l'influsso dello stile archiacuto: essa è importante soprattutto per gli affreschi interni, in gran parte votivi, che attestano le vicende della pittura lombarda dal secolo XIII al XV. Notevole per importanza storica e per gli affreschi, è la tomba di A. Fissiraga, morto nel 1327. In pieno Trecento sorse la chiesa di S. Agnese, dalle ricche cornici in cotto. Il Palazzo del Broletto, edificato nell'ultimo quarto del Duecento, ci è giunto assai malconcio per i molti rimaneggiamenti.
Il Rinascimento diede a Lodi il magnifico tempio dell'Incoronata. Iniziato da G. B. Battaggio nel 1487, terminato da G. G. Dolcebono, L. Palazzi e G. A. Amadeo, fu reso più prezioso dai dipinti del Bergognone (v.) e di C. Piazza. Tra i palazzi basti ricordare quello già dei conti Mozzanica, con ricche cornici e fregi in terracotta e un mirabile portale, nella Via Pompeia, ora XX Settembre.
Nel museo sono importanti raccolte etnografiche, archeologiche, numismatiche; vi è ben rappresentata l'industria, già fiorente, delle ceramiche lodigiane; molti dipinti di C. Piazza, ecc.
V. tavv. LXXI e LXXII.
Storia. - L'antica Laus Pompeia, città dell'XI regione augustea d'Italia (Transpadana), era sita tra i fiumi Lambro e Adda, dove si congiungevano le due vie romane conducenti da Cremona e da Placentia a Mediolanum; la località corrisponde all'attuale Lodi Vecchio. Secondo Plinio il Vecchio, la città fu fondata dai Galli Boi. Ignoriamo il nome preromano: Laus è romano. L'appellativo di Pompeia pare accenni, come Alba Pompeia, al console Cn. Pompeo Strabone, estensore, l'anno 89 a. C., del diritto latino alla Transpadana. Della storia della città romana poco conosciamo: probabile municipio retto da quattuorviri, fu iscritto alla tribù Pupinia.
Oggetti varî di scavo e un certo numero d'iscrizioni uscirono da Lodi Vecchio. Altre iscrizioni attestano essere esistito un tempio di Ercole, poche miglia discosto, sulla destra dell'Adda, dove fu costruita da Federico Barbarossa la nuova Lodi (v. appresso).
Solo verso la fine del sec. IV divenne sede di vescovato, per iniziativa di S. Ambrogio, che vi elesse primo vescovo S. Bassiano. Nel 701 parteggiò per il duca di Brescia, Rotari, contro Ariperto, e fu conquistata a forza. L'età carolingia e imperiale è caratterizzata dalla progressiva ascesa del potere vescovile: alla fine del sec. X si palesa più deciso l'avviamento del vescovo ad assumere l'ufficio di conte. Tali progressi e più ancora contrasti d'indole economica con l'arcivescovo di Milano, a proposito del porto milanese sul Lambro e sull'Adda, generano conflitti con Milano, specialmente all'epoca dell'arcivescovo Ariberto che aveva ricevuto da Corrado II il diritto, poi revocato, di nominare direttamente il vescovo di Lodi.
L'età comunale vede Lodi in continua lotta con Milano: nel 1111 la città fu dai Milanesi distrutta e gli abitanti vennero dispersi in sei borghi, che ancora nel 1157 furono devastati dai Milanesi. Ma la presenza di Federico I Barbarossa segna la risurrezione di Lodi, non nell'antico luogo, bensì in riva all'Adda, sul monte Eghezzone. Il privilegio per la ricostruzione è del dicembre 1158. Nel 1162 i Lodigiani partecipano alla distruzione di Milano; ma di lì a poco debbono entrare a far parte della Lega lombarda, e come collegati essere presenti a Legnano, a Venezia e a Costanza. La pace con l'Impero segna una recrudescenza di lotte con Milano, finché nel 1198 si segna la pace perpetua con questa città.
Scoppiano frattanto lotte di parte: Overgnaghi (ghibellini) e Sommariva (guelfi): l'appoggio di Milano fa trionfare, per un decennio, i guelfi (1226-36). Ma dopo Cortenova la ripresa ghibellina riporta in Lodi gli Overgnaghi: Lodi, imperiale, è colpita da scomunica e da interdetto e financo privata del vescovato. La morte di Federico II scompiglia le fila ghibelline, e il rappresentante del ghibellinismo lodigiano, Sozzo Vistarini, si trova a dover combattere contro i Pelavicino e ad accostarsi a Milano, del che si valse Martino della Torre per farsi gridare capitano del popolo per cinque anni (1259); una breve ripresa ghibellina riporta a Lodi il Vistarini, che, tuttavia, deve di lì a poco cedere al guelfismo trionfante.
Lodi segue, quindi, le vicende dei guelfi contro i Visconti: nel 1282 stipula una pace abbastanza onorevole con l'arcivescovo Ottone e con Milano; mai venuta in mano di Antonio Fissiraga, riprende l'ostilità aperta contro i ghibellini di Milano, cooperando al ritorno di Guido della Torre. La discesa di Arrigo VIl, però ne stronca la potenza e il Fissiraga, fatto prigioniero (1311), muore nelle carceri viscontee nel 1327.
Dopo una temporanea signoria del conte di Fiandra, tornano al potere i Vistarini, ma una sollevazione popolare nel 1325 li sbalza di potere eleggendosi a signore Pier Temacoldo, che dopo sette anni viene a sua volta allontanato da Azzone Visconti, che si rende, così, signore di Lodi (1335). Segue un periodo di tranquillità, fino alla morte di Gian Galeazzo Visconti, che piombando il ducato milanese nell'anarchia, riaccende in Lodi le lotte e le ambizioni. Antonio II Fissiraga (1402) tenta di mantenersi signore di Lodi, ma è sopraffatto da Giovanni Vignato che allarga la sua signoria su Melegnano e Piacenza. La sua potenza è, però, infranta da Filippo Maria Visconti. Ancora un trentennio di pace, e nel 1447 Lodi, alla morte del Visconti, si darà ai Veneziani, per passare l'anno successivo alla Repubblica Ambrosiana, poi a Francesco Sforza.
Nelle lotte tra Francia e Spagna per l'egemonia del ducato di Milano, Lodi passa rapidamente da una in altra mano. Finalmente la pace di Bologna (1529) assegnava Lodi e il ducato di Milano a Francesco II Sforza, con riversibilità all'Impero; ciò che avvenne nel 1535. Nel 1556, nella spartizione fatta da Carlo V dei suoi dominî, Lodi col resto della Lombardia fu assegnata alla Spagna.
Segue un lungo periodo di pace: la vita riprende nel sec. XVIII, quando le vicende guerresche riportano Lodi in pieno campo di operazioni, con le alterne occupazioni di Austriaci, Francesi, Sardi, fino a che tutto il ducato non passa agli Austriaci.
La pace di Lodi. - La guerra per la successione nel ducato di Milano a Filippo Maria Visconti (morto nel 1447), che, dopo lunghi maneggi diplomatici, era scoppiata nel 1452 fra il nuovo duca di Milano Francesco Sforza, Firenze, Genova, il marchese di Mantova da un lato, Venezia, Alfonso d'Aragona, il duca di Savoia, il marchese di Monferrato dall'altro, si trascinava già da due anni. La caduta di Costantinopoli aveva indotto Niccolò V a convocare a Roma un congresso per la pace; ma senz'alcun frutto. Venezia, stretta dai Turchi, aveva bisogno di pace; lo Sforza voleva uscire dalla "subiectione et servitù" di condottieri e mercenarî ed era sprovveduto di denaro: tutti sentivano l'inutilità di una guerra devastatrice, che non poteva mutare ormai la situazione politica. La pace conchiusa a Lodi, il 9 aprile 1454, dallo Sforza e dai Veneziani, all'insaputa di ognuno, fuorché di Cosimo de' Medici e dei Fiorentini, fu possibile in seguito alle trattative iniziate per sollecitazione del papa (novembre 1453) da fra Simone da Camerino e condotte a termine col duca dal frate stesso e da Paolo Barbo veneziano.
La pace stabiliva la restituzione ai Veneziani delle terre occupate dal duca nel Bresciano e nel Bergamasco, fuori di alcuni castelli; restavano ai Veneziani Crema, al duca la Ghiaradadda e il Ponte di Brivio; erano compresi nel trattato gli altri collegati, purché ratificassero entro un certo tempo la pace: articoli segreti lasciavano allo Sforza libera mano per riprendere le terre tolte a lui dal duca di Savoia e dal marchese di Monferrato e al marchese di Mantova dai Correggio.
Questi signori dovettero infatti acconciarsi al grave sacrificio; i Fiorentini, pure non molto soddisfatti del trattato, vi aderirono subito (14 aprile) ed entrarono il 30 agosto, con lo Sforza e Venezia, nella "Santissima Lega", che doveva mantenere la pace d'Italia (v. lega: Lega italica). Niccolò V ebbe forse "passione et dispiacere del modo della conclusione", ma pure si adoperò perché anche Alfonso aderisse. Ma soltanto il 26 gennaio 1455 l'Aragonese ratificò i trattati, riservandosi i diritti contro Genova, il Malatesta, il Manfredi, e giurò la lega, che il papa benedisse e pubblicò in Roma il 2 marzo.
La pace chiudeva il lungo periodo delle lotte per la preponderanza e per l'equilibrio fra gli stati italiani. Scomparsi gli stati minori, o costretti ad aggirarsi nell'orbita dei maggiori, si stabilì fra il ducato di Milano la repubblica di Venezia, Firenze medicea, lo Stato della Chiesa, il regno di Napoli un equilibrio, che rispondeva in parte a ragioni geografiche ed economiche, a tradizioni storiche e culturali, ma era insieme determinato dal difetto di un più alto ideale, dalla comune debolezza e dal timore reciproco; condizione per una vita meno agitata, per un progresso negli ordinamenti interni, nella vita civile, nella cultura; infiacchimento politico e guerresco, impedimento secolare, per il prevalere d' interessi regionali sui nazionali, all'unificazione d'Italia.
La battaglia di Lodi (10 maggio 1796). - Dopo il brillante inizio della campagna del 1796 e l'armistizio col regno di Sardegna, Bonaparte - disceso lungo la destra del Po - passò questo fiume a Piacenza per puntare su Lodi, dove sì trovava una parte dell'esercito austriaco (17.000 uomini e 30 cannoni). Il ponte sull'Adda era ancora intatto, ma gli Austriaci lo dominavano dalla riva sinistra con le artiglierie, così da renderne il transito pressoché impossibile. Bonaparte, dopo avere ributtato le retroguardie nemiche, occupò Lodi e, resosi conto della difficoltà di forzare il ponte in quella situazione, ordinò a una piccola divisione di cavalleria (L. de Beaumont) di passare l'Adda a monte per aggirare il fianco destro nemico e distrarne l'attenzione dal grosso delle forze francesi; e alla propria artiglieria prescrisse di controbattere quella avversaria che già concentrava i tiri sul ponte con l'intento di distruggerlo. Ma poiché la manovra della divisione aggirante tardava a produrre il desiderato effetto di turbamento, fece ugualmente attaccare il ponte dalla fanteria lanciata al passo di carica. Dapprima oscillante sotto la vivace reazione dei cannoni nemici, la colonna d'assalto - prontamente animata dall'azione personale del comandante in capo e dei generali A. Berthier, Masséna, G. B. Cervoni e Dallemagne, slanciatisi alla testa delle loro truppe - finì col rovesciare ogni ostacolo. Il gen. austriaco Beaulieu ordinò l'abbandono della linea dell'Adda proteggendo il ripiegamento con la sua cavalleria. La stanchezza delle sue truppe non consentì a Bonaparte l'inseguimento; ma la giornata di Lodi assicurò ugualmente ai Francesi il possesso della Lombardia. Dopo la battaglia, i soldati acclamarono Bonaparte caporale d'onore.
Bibl.: Sull'antica Laus Pompeia, v. H. Nissen, Ital. Landeskunde, II, Berlino 1902, p. 191; Corpus Inscr. Lat., V, p. 696; E. Pais, Corp. Inscr. Lat., suppl. ital., 112; C. Vignati, Codice diplomatico laudense, Milano 1879-1885. - Sulla città nel periodo seguente, v.: B. Martani, Lodi nelle sue antichità e cose d'arte, Lodi 1876; D. Sant'Ambrogio, Il tempio della B. Vergine Incoronata di Lodi, Milano 1892; id., Lodi vecchio, Milano 1895; G. Agnelli, Lodi e il suo territorio, Lodi 1917. Per la pace di Lodi: i trattati in J. Dumont, Corps universel diplomatique du droit des gens, III, i, Amsterdam 1726, p. 202 segg.; cfr. poi C. Canetta, La pace di Lodi, in Riv. stor. ital., II (1885), p. 516 segg.; L. Pagani, L'ambasciata di Francesco Sforza a Niccolò V per la pace di Venezia, in Arch. stor. lombardo, XLVII (1920), p. 82 segg.; G. Soranzo, La lega italica (1454-1455), Milano s. a. [1924].