LODI
Città della Lombardia, capoluogo di provincia, posta sulla riva destra del fiume Adda.L'antico centro abitato, oggi denominato L. Vecchio, situato a km. 7 ca. a O dell'attuale Lodi, sorse sul sito della romana Laus Pompeia, toponimo che continuò a essere usato nel Medioevo.Dal 195 a.C. Laus fece parte della provincia della Gallia Cisalpina, divenne colonia latina nell'89-88 a.C. e nel 49 a.C. municipium. Piuttosto generiche sono le conoscenze riguardanti l'ambito urbano di Laus; si può ipotizzare che la cinta muraria del centro, strutturatosi in età cesariana, prevedesse uno schematizzato impianto rettangolare, lungo la direttrice NS. Verso la fine del sec. 4°, Laus Pompeia fu costituita in diocesi sotto l'episcopato di s. Bassiano, che dedicò nel 387 una basilica Apostolorum nel suburbio. Interessata dagli effetti devastanti della guerra greco-gotica, la città fu tardivamente conquistata dai Longobardi dopo il 575 e non fu mai sede di ducato. Sotto la dominazione franca e ottoniana (secc. 9°-10°) la città e il suo territorio costituirono comitatus e la storia cittadina fu legata al ruolo rilevante dei suoi vescovi: tra questi, Andrea (970-1003) pose le fondamenta dell'autonomia di Laus in forma di vassallaggio diretto del sovrano, creando le premesse del conflitto secolare con Milano. Di fatto la politica ostile di Ariberto da Intimiano (v.), arcivescovo milanese (1018-1045), culminò nell'occupazione di Laus, mentre più tardi la guerra contro Milano (1107-1111) si concluse con la prima distruzione della città. Nel ventennio successivo si delineò un assoluto predominio milanese nei rapporti politici generali, ma il processo evolutivo del governo comunale, già precocemente sperimentato negli anni 1107-1111, giunse a compimento intorno al 1140, se nel 1142 è documentata la prima lista consolare. Ulteriori restrizioni economiche e politiche attuate da Milano avvicinarono Laus a Federico I Barbarossa, che nel 1153 la prese sotto la sua protezione; il conflitto che seguì la prima dieta di Roncaglia (1154) fu tuttavia disastroso per la città vecchia, distrutta definitivamente dai Milanesi il 25 e 26 aprile 1158.L'appoggio di Federico I fu determinante per la fondazione, nell'estate dello stesso 1158, della nuova L., che fu interessata dal programma imperiale di restaurazione autoritaria. Sullo scorcio del sec. 12° e agli inizi del 13° all'interno del comune podestarile nacquero lotte tra una fazione popolare, poi guelfa, guidata dai Sommariva e un partito nobiliare, successivamente ghibellino, capitanato dagli Overgnaghi. Nel 1226 L. aderì alla Lega dei comuni lombardi contro Federico II, ma nel 1237 dovette arrendersi all'imperatore, che vi costruì un castello: a questi anni (1232-1233) si fa risalire la raccolta dei c.d. statuti vecchi. L'eclissi di Federico II e il tracollo delle fortune ghibelline portarono sempre più L. nell'orbita milanese, nonostante i tentativi attuati contro i Visconti da parte del signore guelfo di L. Antonio Fissiraga agli inizi del Trecento. Nel 1335 Azzone Visconti si impadronì della città, che da quel momento entrò a far parte della signoria viscontea.Nell'Alto Medioevo lo spazio urbano di Laus Pompeia, all'interno e all'esterno della cerchia murale romana, si caratterizzò per un'importante attività edilizia; oltre alla basilica Apostolorum, vi trovavano sede il cenobio benedettino di S. Giovanni Battista (ante 759), la chiesa di S. Michele Arcangelo (fine del sec. 7°-inizi 8°), il monastero benedettino di S. Pietro (832) e quello femminile di S. Vincenzo martire (994). Nonostante le mura romane fossero state smantellate in seguito alla distruzione del 1111, nell'ambito dell'antica area i luoghi di culto continuarono a funzionare e, oltretutto, i Laudensi costruirono sei nuovi borghi nel suburbio.La nuova L. fu edificata su un terrazzo naturale che segna il limite occidentale dell'antico letto dell'Adda; la sua topografia urbana è ancora sostanzialmente riconoscibile nell'attuale centro storico. Federico I Barbarossa si fece promotore della costruzione della nuova cinta muraria a partire dal 1160 e del palazzo Regio nel 1161, mentre nel 1163 doveva essere a uno stadio avanzato l'edificazione del nuovo duomo, dove il 2 novembre di quell'anno furono traslate le reliquie di s. Bassiano alla presenza del Barbarossa e della consorte, dell'abate di Cluny e dell'antipapa Vittore IV. Tra il 1210 e il 1211 il podestà di L., Ugo Prealone, curò il completamento delle mura cittadine e verso il 1295 venne terminato il nuovo palazzo Pubblico. A partire dalla metà dello stesso secolo erano state costruite le sedi cittadine degli Ordini mendicanti: il convento (1254-1259) e la chiesa di S. Domenico, iniziata nel 1271, e il convento di S. Francesco (1280-1290).Nell'architettura medievale lodigiana confluiscono influssi milanesi e pavesi e sono evidenti rapporti con Piacenza e Cremona. L'erezione del duomo è compresa tra il 1158-1163 e gli anni ottanta del sec. 13°: la prima fase costruttiva (1158-1163) costituisce uno dei primi esempi modellati sulle forme del duomo piacentino, soprattutto in riferimento alle strutture del sistema portante, alla tipologia dei piloni, agli echi anglonormanni sia nella torre campanaria come corpo integrato nella facciata sia nella ipotizzabile ripresa della copertura a volte seipartite (Romanini, 1964, I, pp. 163-167). Al momento tardoromanico sono da riferire, lungo le pareti della navata centrale, il falso matroneo e la base della facciata, mentre la parte superiore di quest'ultima fu portata a termine non prima della metà del sec. 13°, se tra il 1282 e il 1284 vennero messi in opera preziosi particolari decorativi di schietto accento lombardo: tale cultura architettonica caratterizza il disegno archiacuto e le forme snelle del coevo protiro. Informata alle stesse influenze su indicate, ma filtrate in versione locale, è la chiesa del convento di S. Francesco, costruita probabilmente tra il 1280 e il 1290: lo confermano, tra l'altro, richiami piacentini quali l'alternanza delle volte e i possenti sostegni. La struttura e l'icnografia originaria, nonché la modulazione delle pareti, rappresentano oltretutto un compendio esemplare della concezione architettonica del Duecento mendicante e un testo rappresentativo del primo apparire del Gotico lombardo. La facciata, nella parte superiore e nel portale, fu compiuta verso il 1300-1307; essa è caratterizzata da un raffinato uso della policromia nel contrasto tra cotto e marmo e nel precoce ricorso alle finestre a cielo. Lo stesso gusto pittorico si riscontra nella facciata di S. Bassiano a L. Vecchio, modellata nel 1320-1323, data cui va riferita anche la trasformazione di gusto arcaico all'interno dell'edificio. La predilezione per il ricamo policromo in cotto distingue a L. la chiesa di S. Agnese e il prolungamento verso O della chiesetta romanica di S. Lorenzo, due esempi di struttura 'a sala', databili tra la fine del 14° e i primi del 15° secolo. Le parti originarie del broletto, fondato verso il 1284, testimoniano l'approdo tardoduecentesco dell'edilizia civile lombarda, nell'esigenza di regolarità prospettica, arricchita dal risalto cromatico e chiaroscurale, individuabili nelle bifore e nei tipici capitelli con bocci ricurvi.Il disegno elementare dei capitelli in S. Bassiano a L. Vecchio è riconducibile a una tipologia diffusa alla fine del sec. 11°; provengono dallo stesso edificio due bassorilievi (vescovo con diacono, Ultima Cena) anteriori alla metà del sec. 12° e attualmente conservati nel duomo. Le sculture del portale del duomo (lunetta con il Redentore tra la Vergine e s. Bassiano; Adamo ed Eva; due telamoni stilofori; capitelli con motivi e figure allegoriche), anche se pressoché concordemente assegnate all'ambito della c.d. scuola di Piacenza, sono state oggetto di un vivace dibattito tendente a chiarirne le fonti ispiratrici di linguaggio e stile: dopo il riconoscimento della pertinenza al corpus scultoreo riconducibile alla cultura figurativa denominata Reduktionsstil e l'attribuzione al Maestro del portale del S. Antonino di Piacenza, datato tra il 1150 e il 1171 (Krautheimer Hess, 1928, pp. 291-294), soprattutto per le figure dei progenitori sono stati individuati influssi dell'arte della Linguadoca (Porter, 1915-1917, II, pp. 487-490) o della plastica dell'Ile-de-France (Jullian, 1945-1949, I, pp. 179-185). Se, successivamente, de Francovich (1952, I, pp. 17-45) ne ha spiegato la cifra elegante e sinuosa come chiaro riferimento alla cultura chartriana, Salvini (1959, p. 416) ne ha sottolineato invece il rapporto corpo-panneggio a uno stadio d'interpretazione particolarmente raffinato, come principio che trova riscontro esclusivo nella scuola provenzale. D'altra parte per Cochetti Pratesi (1984, p. 638) questi influssi culturali possono essere stati direttamente desunti da esempi di statue-colonna del duomo di Piacenza, intorno alla metà del 12° secolo. Le sculture del portale andrebbero quindi collocate tra il 1158-1160 e il 1170-1180, datazione anticipata al 1150-1160 da Quintavalle (1969, pp. 51-56), che nega l'esistenza della scuola di Piacenza. Allo stesso ambito stilistico vanno ricondotti tre bassorilievi all'interno del duomo lodigiano - S. Bassiano benedicente tra due figure femminili, il Calzolaio e il Carradore - assegnabili al terzo quarto del 12° secolo. La preziosa statua di S. Bassiano, in rame sbalzato e placcato d'oro, conservata sul terzo pilastro del duomo, è probabilmente opera di scultore lombardo, eseguita verso il 1284, data a cui risale la collocazione originaria sulla facciata della stessa chiesa. Scarse sono le testimonianze della scultura trecentesca: un generico altorilievo con S. Antonio Abate, in S. Francesco, che denuncia modi arcaizzanti, fu eseguito nel 1304 da frate Delay de Brellanis, come dichiarato dall'iscrizione; per il notevole crocifisso ligneo nella chiesa della Maddalena, della seconda metà del sec. 14°, sono stati richiamati influssi lombardi e piemontesi.I documenti pittorici del primo Trecento rappresentano testimonianze di assoluto rilievo nel panorama lombardo. È probabilmente agli anni centrali del secondo decennio del secolo che va attribuita l'esecuzione degli affreschi, sulle volte a crociera della navata centrale e in due sottarchi in S. Francesco, da parte del Maestro dei Quattro elementi: gli evangelisti, i busti dei Dottori della Chiesa, una serie di santi e sante. Nella cultura figurativa di questo artista si fondono originalmente apporti del c.d. neoellenismo della miniatura bolognese e della pittura veneta di fine Duecento, nonché il richiamo a momenti della pittura lombarda ed emiliana degli inizi del Trecento, in relazione alla ricerca volumetrica e illusionistico-prospettica. D'altra parte, il linguaggio del frescante si distingue per la caratterizzazione fisiognomica, che rielabora in chiave realistica, tipicamente lombarda, il classicismo giottesco testimoniato a Rimini e a Padova.La campagna decorativa riguardante l'interno di S. Bassiano a L. Vecchio è collegata al secondo rifacimento architettonico ed è stata realizzata dal Maestro di S. Bassiano e dalla sua bottega, in un periodo compreso tra la fine del secondo decennio del sec. 14° e gli inizi del quarto. Si iniziò con gli affreschi del catino absidale e, probabilmente, delle absidi, raffiguranti Cristo benedicente con i simboli degli evangelisti, la Vergine, S. Bassiano e i Ss. Giovanni Battista e Cristoforo, una teoria di undici apostoli e un santo vescovo, una Madonna con Bambino e angeli, tutte opere dai tratti rigidi dovuti all'iterata fissità di schemi bizantini; seguì l'esecuzione di dipinti votivi, tra cui S. Eligio che benedice un cavallo, dal vivace gusto profano. L'intero ciclo delle volte è probabilmente da riferire agli anni 1325-1330: la volta dei bovari, dagli accenti ancora romanici, fu eseguita dopo il 1323 in base all'iscrizione riferentesi alla costruzione della volta; a essa è stilisticamente accostabile la decorazione della seconda e terza volta con i simboli degli evangelisti e i Dottori della Chiesa. Denunciano l'approdo verso novità gotiche, espresse a L. dal Maestro dei Fissiraga (o Maestro della Tomba Fissiraga), e sono databili al quarto decennio del sec. 14°, una Madonna in trono con Bambino sulla parete della navata centrale, i santi e la sinopia con S. Giorgio e la principessa, in controfacciata. I modi del Maestro di S. Bassiano sono documentati anche in affreschi del duomo e in S. Francesco: in quest'ultimo edificio l'affresco dei Funerali di Antonio Fissiraga risente già di una sensibilità attenta al gusto gotico.Negli stessi anni operò a L. una personalità ben più rilevante, il Maestro dei Fissiraga: in S. Francesco è opera sua l'affresco votivo raffigurante la Madonna con Bambino, i Ss. Nicola e Francesco d'Assisi con Antonio Fissiraga, eseguito non oltre i primi anni del terzo decennio. La critica ne ha individuato la realizzazione essenziale, ma unitaria, della tridimensionalità e dello spazio, non priva di cenni illusionistici, e, pur notando la sopravvivenza di stilemi bizantini nei volti dei santi, ha soprattutto sottolineato il superamento aggiornato del ciclo di affreschi di S. Abbondio a Como, grazie alla conoscenza diretta delle novità giottesche (Assisi, ma anche Padova, forse la cappella Peruzzi a Firenze), interpretate secondo il gusto lombardo. A questo maestro è concordemente attribuita la Madonna in trono con Bambino nello stesso edificio: l'evoluzione verso una nuova fase gotica, che emerge nell'ampio e morbido panneggio della Madonna, e insieme i connotati relativi alla moda dell'abbigliamento suggeriscono una datazione non oltre gli inizi degli anni trenta del Trecento.Affiancano in tono minore l'alto livello qualitativo della cultura figurativa trecentesca altre espressioni pittoriche comunque interessanti in S. Francesco: una Madonna con Bambino (terzo decennio), della cerchia del Maestro di S. Bassiano; S. Francesco in atto di ricevere le stimmate (secondo-terzo decennio), che si segnala per il gusto gotico oltremontano; S. Michele Arcangelo, S. Clemente, S. Elena e S. Defendente, tutti databili entro la metà del secolo, stilisticamente debitori del Maestro dei Fissiraga.L'artista che verso la metà del sec. 14° affrescò in S. Francesco una serie di santi attinge alla tradizione figurativa lombarda, arricchita in senso moderno, e, pur influenzato dal Maestro dei Fissiraga, propone uno stile orientato secondo un registro più classicheggiante, affine al gusto ravvisabile nell'opera di Giovanni di Balduccio e alla cultura delle miniature di un breviario per il Capitolo di S. Tecla, del 1350 (Milano, Bibl. del Capitolo metropolitano, II, E.3.8). I ventiquattro episodi affrescati in S. Francesco e relativi alla Vita di s. Giovanni Damasceno sono caratterizzati da prevalente grafismo e da piatta stesura cromatica secondo un linguaggio miniatorio riferibile alla seconda metà del 14° secolo.Negli ultimi vent'anni del Trecento la dipendenza politica di L. dalla signoria viscontea chiarisce il comune denominatore delle testimonianze pittoriche lodigiane in riferimento allo stile di Giovannino de Grassi (v.). In questo senso l'insistita rappresentazione aneddotica e il carattere degli elementi decorativi riscontrabili negli affreschi del Maestro di Ada Negri permettono di ipotizzare la sua formazione contemporaneamente a Giovannino de Grassi, nell'ambito della cultura artistica viscontea, con particolare riferimento alla produzione miniatoria, dai tacuina sanitatis ai fogli dei romanzi cavallereschi. Lo evidenziano la Madonna con Bambino, detta Madonna di Ada Negri, S. Caterina, Cristo nel sepolcro, la Visitazione in S. Francesco, tutti riconducibili al maestro e alla sua bottega tra lo scorcio del Trecento e l'inizio del sec. 15°: l'accentuato linearismo e la tenue cromia richiamano le miniature di alcuni libri d'ore databili intorno al 1380 e suggeriscono l'aggancio con la declinazione cortese dello stile di Giovanni da Milano, operata dal Maestro di Mocchirolo. Sempre sul finire del sec. 14°, l'acutezza del disegno, reso più vitale da preziose stesure cromatiche secondo un orientamento tardogotico, distingue il frescante dello Sposalizio mistico di s. Caterina d'Alessandria in S. Francesco, i cui modelli compositivi sembrano derivare da schemi rintracciabili nell'opera miniatoria di Giovannino de Grassi tra il 1370 e il 1380. Anche il Giudizio universale, sulle pareti della cappella fatta erigere da Niccolò Sommariva (m. nel 1403) per la cattedrale, nella puntigliosa osservazione naturalistica e nella minuzia del disegno rabescato riconduce ai modi della cultura miniatoria tardogotica dell'Italia settentrionale e allo stile di Franco e Filippo de Veris nel Giudizio universale (1400) in S. Maria dei Ghirli a Campione d'Italia. Due affreschi frammentari in S. Agnese - una scena di martirio; Cristo che sale al Calvario e un committente - sono collegati ai lavori di restauro commissionati dall'eminente vescovo agostiniano Bonifacio Bottigella tra il 1393 e il 1404: la vivacità del colore e il ritmo del racconto denunciano i legami con le sottigliezze e la morbidezza cromatiche di Michelino da Besozzo. Alla stessa bottega è da ricondurre una Madonna in trono con Bambino, s. Antonio e un devoto, conservata in S. Francesco.Numericamente limitate sono le testimonianze medievali conservate nel locale Mus. Civ.: un rilievo con santo vescovo è attribuito a scultore piacentino del sec. 12°; un affresco staccato, proveniente dall'antico palazzo del Comune, rappresentante S. Bassiano, è stilisticamente affine al linguaggio di uno degli artisti operanti nell'abside di S. Bassiano a L. Vecchio; due crocifissi di Limoges, l'uno in rame sbalzato e smaltato, l'altro in bronzo smaltato e dorato, sono datati alla prima metà del 13° secolo.
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