Alamanni, Lodovico
Fratello maggiore del poeta Luigi (→), nacque il 28 ottobre 1488, presumibilmente a Firenze, da Piero di Francesco (1434-1519) e dalla sua terza moglie, Nanna di Niccolò Capponi (morta un anno dopo la nascita di Lodovico). Il 21 febbraio 1516 sposò Costanza Guicciardini, sorella di Francesco (→). Almeno dal novembre 1516 si spostò a Roma, alla ricerca di un incarico a corte; dal 7 febbraio 1518 al 25 marzo 1519 fu inviato, come ambasciatore del papa e di Firenze, a Milano presso il comandante francese Odet de Lautrec. Fu membro della Signoria nel novembre-dicembre 1520; capitano a Borgo San Sepolcro nel 1524 e nello stesso anno eletto nella Balìa (Bausi 1985-86, p. 274). Morì il 22 luglio 1526 e in sua memoria il fratello Luigi compose la Satira XIII (Chi desia di veder come sia frale).
Roberto Ridolfi (1982, p. 388) pubblica la letterina di condoglianze (6 ag.) di Guicciardini a Costanza.
A. fu pensoso di problemi religiosi (il sonetto di Luigi, “Vano è questo cercar, fratel diletto”, lo invita a disperdere tormentosi ma imprecisati dubbi) e si provò nel verso latino, almeno con un epigramma per Lorenzo de’ Medici (“Quae lauri probitas”, pubblicato nel → Lauretum del 1515-1516) e uno per Leone X (“Qui curas abigit”, in una lettera a Luigi Guicciardini, 21 febbr. 1517, edita in Le Carte Strozziane..., 1884, p. 576).
Buoni rapporti con M. sono attestati dalla corrispondenza. In particolare, la lettera di M. ad A. del 17 dicembre 1517 è famosa per la simultanea menzione dell’Orlando furioso e dell’Asino (→); ma è utile a constatare l’importanza delle relazioni di A., allora residente a Roma: «So che vi trovate costì tutto el giorno, insieme con Rev.mo de’ Salviati, Filippo Nerli, Cosimo Rucellai, Cristofano Carnesechi e qualche volta Antonio Francesco delli Albizi, e attendete a fare buona cera». Di altra corrispondenza, da M. in missione a Venezia ad A., si ha notizia nella lettera di Filippo de’ Nerli a M., 6 settembre 1525. Infine, A. è ricordato da M. nella lettera del 16-20 ottobre 1525 a Guicciardini:
Lodovico Alamanni e io cenamo a queste sere con la Barbera [Salutati] e ragionamo della commedia [Mandragola], in modo che lei si offerse con li suoi cantori a venire a fare il coro in fra gli atti: e io mi offersi a fare le canzonette a proposito delli atti, e Lodovico si offerse a darli costì [a Faenza] alloggiamento in casa i Buosi (Lettere, p. 408).
Nell’autunno-inverno del 1516, a Roma, A. scrisse due notevoli discorsi politici. Il primo testo è anepigrafo, ma datato 25 novembre (titolo editoriale: Discorso sopra il fermare lo stato di Firenze nella devozione dei Medici); il secondo, datato 27 dicembre, è una lunga epistola ill.mo domino d. Alberto Pio, Carpensi principi et Caesareo oratori (ambasciatore imperiale a Roma, «confidentissimo del Papa»: per questo A. ricorre a lui anche quale intermediario di una proposta politica ai Medici). Il Pio dev’essere destinatario anche del primo documento, dato che il secondo si conclude con questo rinvio: «assicurandosi la Ex.tia del Duca lo stato fiorentino nel modo che altra volta con la Sig.ria Vostra ragionai» (Dionisotti 1980, p. 125). Nel primo discorso, A. raccomanda che Lorenzo de’ Medici (il ‘giovane’ già destinatario del Principe) centri la propria signoria su Firenze, più che sul recente acquisto di Urbino; svaluta drasticamente l’opposizione interna di parte popolare e vocazione savonaroliana; escluso il ricorso alla violenza, consiglia al principe di acquistarsi l’amicizia di tutte e tre le «sorte» di cittadini: i nobili, che ambiscono al governo; i mezzani, che desiderano solo partecipare agli uffici e agli onori, e gli ultimi, cui basta non essere oppressi dalle imposte. Su questa linea ‘moderata’, che non prevede una riforma costituzionale, A. suggerisce comunque che il Medici abbandoni l’«ordine civile» per adottare anche a Firenze uno stile e una prassi «cortegiana». Il secondo discorso contiene altre raccomandazioni a Lorenzo: si doti di «buone armi», cioè di «milizie proprie» e non mercenarie; sia liberale, ma a spese del papa, senza perciò gravare sui fiorentini; eviti la neutralità, ma, in cambio della tradizionale alleanza con i francesi, passi dalla parte dell’impero. Nonostante la diversa proiezione politica (M. aveva prospettato a Lorenzo un principato ‘civile’, pure se tale che il signore governasse per «sé medesimo», ossia con un proprio titolo magistratuale) e l’incolmabile distanza spirituale (Sasso 1993, p. 669, nota, con ragione, la «cattiva coscienza» e la conseguente «volgarità» di A.), l’influenza del Principe sui discorsi di A. è macroscopica, a partire dall’accoppiamento esemplare di Agatocle e Oliverotto da Fermo:
potendo essa [l’Eccellenza di Lorenzo] con sì grande occasione rendersi pare a qualunche delli antichi e de’ moderni, vorrà più presto giostrare con Cesare e con Camillo che con lo impio Agatocle, col crudelissimo Silla e con lo scelerato Liverotto da Fermo (von Albertini 1955; trad. it. 1970, p. 380).
Torna persino la citazione liviana, in latino, dal discorso di Tito Quinzio Flaminino (von Albertini 1955; trad. it. 1970, p. 389; cfr. Principe xxi 15; ma A. cita direttamente da Livio). Tra i riferimenti eruditi che, disseminati nei discorsi di A., non hanno riscontro nel Principe, riescono particolarmente interessanti quelli paralleli a pagine dei Discorsi sulla prima deca di Tito Livio: l’elogio degli antichi Etruschi come esempio positivo naturalmente accessibile ai moderni toscani (von Albertini 1955, trad. it. 1970, p. 386; cfr. Discorsi II iv 37) e la necessità di un rigore spietato nel comando degli eserciti, soprattutto «nel principio», sull’esempio di Manlio Torquato (von Albertini 1955, trad. it. 1970, p. 387; cfr.
Discorsi III xxii, dove, per altro, M. raccomanda il modo di procedere di Manlio Torquato a una repubblica, e a un principe, invece, quello dell’«umano» Valerio Publicola).
Bibliografia: Fonti ed edizioni: Le Carte Strozziane del R. Archivio di Stato di Firenze. Inventario, s. I, 1° vol., Firenze 1884.
Per gli studi critici si vedano: H. Hauvette, Un exilé florentin à la cour de France au XVIe siècle. Luigi Alamanni (1495-1556), sa vie et son oeuvre, Paris 1903, pp. 6-7; R. von Albertini, Das florentinische Staatsbewusstsein im Übergang von Republik zum Prinzipat, Bern 1955 (trad. it. Firenze dalla repubblica al principato. Storia e coscienza politica, Torino 1970, pp. 33-36, 376-390); C. Dionisotti, Machiavellerie, Torino 1980; R. Ridolfi, Vita di Francesco Guicciardini, Milano 1982; F. Bausi, Politica e poesia: il Lauretum, «Interpres», 1985-86, 6, pp. 214-82; G. Sasso, Niccolò Machiavlli, 1° vol., Il pensiero politico, Bologna 1993, pp. 665-70.