Lodovico Antonio Muratori: Opere - Introduzione
Raccogliere in un paio di migliaia di pagine e in maniera per quanto è possibile organica quanto di più significativo offre al lettore moderno l'opera muratoriana, presenta una serie di problemi che non è facile risolvere. A rendere difficile il compito concorrono anzitutto la cultura del tempo e il temperamento dell'uomo. Non v'è, si può dire, ramo del sapere al quale il Muratori, da buon filosofo del Settecento, non abbia dato qualche contributo: dalla fisica alla medicina, dalla teologia alla morale, alla critica letteraria, al diritto, alla storia, all'erudizione classica e medievale, civile e religiosa. Donde il frequente mutare, e l'accavallarsi, e l'intrecciarsi degli interessi. Quanto all'uomo, noi possiamo, com'è uso, immaginarlo piamente dedito al suo ministero pastorale e pacificamente immerso nelle sue annose ricerche erudite. Ma la realtà è un'altra. La sua attività letteraria - la sola di cui dobbiamo occuparci - è una passione incontenibile, un fuoco che lo divora. Quando un argomento è maturo, la composizione fila via senza un istante di sosta, senza che l'autore abbia tempo o pazienza di arrestarsi per via, neppure per distinguere nella lunga stesura la numerazione dei capitoli e dei paragrafi. Tanta è la fretta che spesso la cura della lima vien meno, la prosa dilaga e i medesimi motivi tornano insistentemente sotto la penna dall'uno all'altro lavoro.
A intorbidare il disegno e a complicare ulteriormente le cose, s'aggiungono gli scritti d'occasione e di commissione, le opere rimaste in cantiere per anni e per decenni, che, pur facendo capo al Muratori, sono il frutto di corrispondenze epistolari e di collaborazioni quasi universali, qualche trattato composto di getto e rimasto a lungo sospeso per la lotta fra libertà e censura, qualche tema vagheggiato, discusso, e lasciato cadere per scrupoli religiosi di varia natura.
Sopravvengono infine a turbare il placido corso del pensiero muratoriano le mille circostanze inevitabili della vita e del tempo: guerre e malattie, responsabilità ed incombenze, difficoltà di procurarsi i libri e di comunicare, laboriosa caccia alle larghezze dei mecenati, destinate alla Compagnia della carità, ostilità di nemici, censure politiche e religiose, sospettose gelosie dei potentati laici ed ecclesiastici nel permettere l'adito ai loro archivi.
A voler dunque articolare in qualche modo una materia così aggrovigliata, così vasta, fluida e complessa, a voler dare un qualche inquadramento preliminare a quest'ampia antologia - salvo errore, la più ampia che fino ad oggi sia stata data alle stampe; ci dispenseremo dalla minuta rassegna cronologica di tutti gli scritti - che troverà luogo opportuno in appendice - e ci limiteremo a segnare i momenti più significativi dell'itinerario muratoriano.
Dalla famosa lettera autobiografica, diretta dal Muratori al conte di Porcìa nel 1721, in età di quarantanove anni, conosciamo approssimativamente la sua formazione nella fanciullezza e nell'adolescenza. Avido di apprendere, dotato d'intelligenza pronta, di felicissima memoria, di grande versatilità, il Muratori studiò grammatica a Vignola, poi, dal 1685, a Modena, lettere umane nelle scuole dei Padri della Compagnia di Gesù, filosofia e diritto nel pubblico Studio, conseguendo la laurea nell'una e nell'altra disciplina, rispettivamente nel 1692 e nel 1694. E, poiché nel frattempo aveva preso gli ordini sacri, sorrideva al padre e agli amici che il giovane, d'ingegno così promettente e ormai destinato al sacerdozio, si procurasse onore e vantaggi, possibilmente a Roma, grazie agli studi teologici e giuridici.
Ma fin d'allora si manifestarono le prime reazioni personali all'ambiente culturale che lo circondava. Come il fanciullo, appena addestrato alla lettura, fuor dell'uso dell'età sua, si volse appassionatamente ai romanzi della Signora di Seudéry, così l'adolescente reagì a quelle che erano le consuetudini e le ambizioni del tempo: di natura Libera e generosa, rifiutò di piegare la mente, per amor di nome e di guadagno, sia alle vuote questioni di teologia morale e scolastica, sia alle schermaglie giudiziarie, fondate sul numero 0 la qualità degli autori, e soggette, nel loro esito, all'ignoranza, all'interesse, all'arbitrio dei giudici.
V'era a Modena, tra Cinque e Seicento, tutta una fiorente tradizione letteraria, che vantava i nomi di Carlo Sigonio, di Francesco Maria Molza, di Lodovico Castelvetro, di Alessandro Tassoni; v'era una corte, che ricordava gli splendori del Rinascimento e il dramma di Torquato Tasso; v'era ai tempi del Muratori una società colta, di cui facevano parte il marchese Giovanni Rangoni, il marchese Gian Giuseppe Orsi, Giovanni Carissimi, Pietro Antonio Bernardoni. La vicinanza di Bologna contribuiva a promuovere l'interesse degli studi. Ora, tutto il tempo libero dalla scuola e dalla pratica legale veniva dedicato dal giovane alle occupazioni congeniali delle letture amene, dei dotti e amichevoli conversari. Incominciò così quel vagabondaggio per i più vari campi del sapere, che doveva condurlo a conquistare se stesso e ad entrare come forza viva nel progresso degli studi.
Si diede a leggere e ad annotare testi e commenti di poeti e di oratori italiani, latini e greci, questi ultimi tradotti, ignorandone tuttora la lingua. S'abbattè per via nelle rime di Carlo Maria Maggi e di Francesco di Lemene, e, dall'ammirazione del Seicento, si convertì alla robustezza e alla semplicità del nuovo stile. Dai poeti e dagli oratori si volse a Seneca, che lesse per intero, ad Epitteto, ad Arriano, e s'illuse per breve - finché l'acerbissimo dolore per la morte della madre non lo disingannò - di aver conseguito, grazie alla dottrina stoica, la perfetta imperturbabilità dell'animo: un'illusione, questa, di cui si rammaricò e fece più d'una volta pubblica ammenda sino ai tardi anni della sua vita.
Lo studio degli stoici gli fece capitar tra mano le opere di Giusto Lipsio, e queste, a loro volta, suscitarono in lui un vivissimo interesse per il vasto dominio dell'antichità classica. Di qui le grandi letture dei prosatori antichi, e dei moderni commentatori ed eruditi, di qui gli studi di epigrafia e di numismatica. Ma s'avvide ben presto che tutto il lavoro sarebbe stato pressoché inutile senza la conoscenza del greco e senza l'aiuto di moltissimi libri. Provvistosi dunque di una buona grammatica e di qualche vocabolario, poco dopo i vent'anni, nel 1693, si gettò coraggiosamente a studiare il greco, e rimediò in qualche misura alla penuria dei libri ottenendo l'accesso alla biblioteca dei Padri Minori Osservanti.
Ad appagare i suoi desideri, a dare un efficace indirizzo al suo vagabondaggio culturale, occorreva, non un insegnante, ma un Maestro; e lo trovò finalmente nel padre Benedetto Bacchini, lo storico di Agnello Ravennate e del monastero di San Benedetto di Polirone, l'amico devoto del Mabillon e dei Maurini, il dotto e affettuoso corrispondente di Erasmo Gattola, l'editore della serie parmense e della serie modenese del «Giornale de' letterati», il difensore del Papenbroeck, e - tra molte agitate vicende, dovute, com'è probabile, al carattere schietto e risentito dell'uomo, e alla salute, logorata dagli studi - il bibliotecario ducale e l'abate del monastero di San Pietro di Modena.
Chi vuol sentire da vicino quale fosse il Muratori poco oltre i vent'anni, nel momento più fecondo, e, forse, più travagliato della sua formazione, non ha che da dare uno sguardo al suo Epistolario tra il 1693 e il 1694. V'è qui infatti tutto un gruppo di lettere in latino, in italiano, in francese, in spagnuolo, dirette al Bacchini, al Magliabechi, a monsignore Felice Antonio Marsigli, al marchese Giovan Giuseppe Orsi, ad altri amici modenesi, in cui par di cogliere il primo ingresso del Muratori, con la sua esuberanza e la sua festosità, nel mondo gioioso della cultura, le prime prove della sua versatilità, e, a quando a quando, qualche ripiegamento sentimentale nel confronto fra le sue forze, le sue ambizioni e i risultati da lui conseguiti, qualche sogno di evasione dalla modesta cerchia di Modena alle immense ricchezze di Roma.
In anni tardi il Muratori stesso riconosceva nella lettera autobiografica al di Porcìa di dovere al Bacchini non piccola parte della sua formazione culturale, e, in particolare, il merito d'aver rivolto i suoi studi dall'«erudizione profana» all'«erudizione sacra», un indirizzo, quest'ultimo, che l'aveva condotto a leggere gli Annali del Baronio nel compendio dello Spondano, le storie degli scrittori ecclesiastici e dei Concili, i Padri della Chiesa, in una parola, a scoprire, dietro le orme dei Maurini, tutta una nuova provincia del sapere.
Furono composti in questi anni: alcune dissertazioni recitate dal Muratori nell'accademia del monastero di San Pietro, fondata dal Bacchini; un elogio di Luigi XIV, comunicato manoscritto agli amici e rimasto in massima parte inedito; infine, e soprattutto, il De graecae linguae usu et praestantia, una specie di esercitazione o dissertazione accademica indirizzata da Modena a Giberto Borromeo in data 15 luglio 1693.
Ora, chi abbia pazienza di leggere attentamente per intero il De usu, lo scritto più importante di questo periodo, dovrà convenire ch'esso non eccelle, né per originalità, né per armonia delle parti, né per profondità di pensiero, né per precisione di concetti, che sa più di scorribanda e di ostentazione erudita, che non della seria, meditata trattazione di un problema determinato. Ma ciò nulla toglie al grande interesse del lavoro, il quale, per l'appunto, si muove tutto nell'ambito dei motivi propri al Bacchini, o, per dir meglio, al «Giornale de' letterati» e alla cultura d'avanguardia dell'Italia d'allora. Gli spunti più vivi e fecondi della lettera al Borromeo sono infatti: gli interessi enciclopedici, il senso pungente della nostra inferiorità rispetto agli stranieri e della necessità di un rinnovamento, che rinverdisse gli allori dell'Umanesimo e del Rinascimento, il fastidio della nostra vecchia e vuota cultura di teologi, di causidici e di versaioli.
Il pellegrinaggio culturale modenese fu interrotto dal trasferimento del Muratori a Milano, «la patria de' buon cuore», dove giunse al principio di febbraio 1695, per assumervi la carica di Dottore della Biblioteca Ambrosiana, conferitagli dal conte Carlo Borromeo.
Del doppio magistero esercitato a Modena dal Bacchini, l'uno di carattere generale attraverso il «Giornale de' letterati», l'altro d'indole particolare e specificamente filologica per mezzo dell'accademia di San Pietro, il Muratori, messo improvvisamente a contatto coi tesori dell'Ambrosiana, ebbe occasione di valersi soprattutto di quest'ultimo. Non erano infatti compiuti due anni dal suo ingresso nella Biblioteca, ch'egli dava alla luce, nel 1697, il primo volume degli Anecdota latina, preparato in gran segreto e lietamente accolto da studiosi italiani e stranieri. Si trattava di quattro componimenti inediti di san Paolino da Nola, corredati di note e accompagnati da ventidue dissertazioni, relative alla materia dell'edizione e alle antichità cristiane.
Non passò un anno, e diede fuori un secondo volume di Anecdota latina, ch'era venuto preparando durante la stampa del primo. Anche qui, secondo l'insegnamento del Bacchini, trovarono posto testi e commenti sulle antichità cristiane e sulla storia del cristianesimo. Ma v'era anche - nell'edizione di Giovanni da Cermenate o nel Commentario sulla Corona ferrea - qualcosa di più personale,
che accennava, diciamo così, alla vocazione medievale dell'autore, al suo culto per la verità filologicamente accertata, anche quando andasse contro le più venerate tradizioni. Materiali della medesima provenienza ambrosiana furono oggetto in anni successivi di tre altri volumi di Anecdota, uno greco, due latini.
A far sì che il Muratori affrettasse il compimento dei suoi spogli nei fondi dell'Ambrosiana, contribuì l'invito urgente rivoltogli dal suo «principe naturale», il duca di Modena, Rinaldo I d'Este, affinché assumesse l'incarico di archivista e di bibliotecario ducale. Ultima fatica editoriale compiuta prima della definitiva partenza da Milano per Modena, nell'agosto del 1700, furono i cinque volumetti de La vita e Le rime di Carlo Maria Maggi, un'opera che solo in apparenza può sembrare estranea ai più vitali interessi, ma che in realtà si ricollega all'insegnamento del Bacchini e del suo «Giornale de' letterati», e preannuncia un momento saliente, anzi, possiamo dire, il vero momento eroico della sua attività nella storia della cultura italiana.
Il riordinamento dell'archivio estense durò poco meno di due anni; ma era appena terminato che l'archivio stesso dovette essere trasferito altrove, prima che i Francesi, nel corso della guerra di successione di Spagna, occupassero Modena. L'occupazione durò dal 1702 al 1707, senza che mutassero sostanzialmente le condizioni personali del Muratori. Il quale tuttavia, nella temporanea impossibilità di proseguire con frutto i prediletti studi sull'erudizione sacra e sul Medioevo, diede mano, con la versatilità e la prontezza che gli erano proprie, a vari scritti d'interesse soprattutto culturale e letterario, cioè a I primi disegni della repubblica letteraria d'Italia (1703), alla Lettera esortatoria ai capi, maestri, lettori ed altri ministri degli ordini religiosi d'Italia, infine alle due opere di maggior impegno: Della perfetta poesia italiana (1706) e Riflessioni sopra il buon gusto intorno le scienze e le arti (parte prima, edita nel 1708). Pur nella varietà degli argomenti e delle circostanze, pur nella maggiore o minore ampiezza della trattazione, un carattere unico - istitutivo, novatore e riformatore - accomuna tutti questi lavori e richiama alla nostra memoria, oltre l'insegnamento bacchiniano, il primo saggio De graecae linguae usu et praestantia.
A distanza di anni dalla pubblicazione dei Primi disegni. il Muratori dirà che non aveva creduto all'esecuzione del suo programma e che aveva voluto soltanto «prendere quello spasso di tentare un poco gli animi impigriti degl'Italiani». E tuttavia, dalla lettura di quelle pagine vien fatto di pensare che, se per il mistero da cui venne circondata, l'iniziativa si volse in giuoco, essa fu forse in origine meno leggera di quanto il Muratori non amasse far credere più tardi. Basterebbero a dimostrarlo l'alta coscienza dell'ispirazione, la calda eloquenza del tono e l'ampiezza con cui, nella Lettera esortatoria, nella Perfetta poesia e nelle Riflessioni, vengono svolti i medesimi motivi dei Primi disegni. In ciascuno di questi scritti l'autore parla a nome della nazione italiana. Suoi scopi sono l'esaltazione della religione cattolica, l'onore d'Italia, il profitto pubblico e privato. In confronto della perizia filologica e del rigore rivoluzionario dei protestanti, egli, sul modello dei Maurini e dei Bollandisti, vuole ad un tempo il culto della verità e il rispetto della tradizione; dinanzi al mecenatismo del re di Francia e allo splendore della cultura francese, sente l'umiliazione della piccola e della grande patria - Modena, l'Italia - scadute dagli splendori del Rinascimento; di fronte alla scioperataggine versaiola delle nostre accademie è preso da una febbre di sana ed utile operosità. Nascono così le rassegne enciclopediche delle Riflessioni e dei Disegni, la ricognizione della poesia italiana in confronto della francese e della spagnuola, la riforma degli ordinamenti scolastici. 11 Muratori è al centro stesso della problematica culturale europea. Nell'alternativa fra gli antichi e i moderni egli dichiara che «il vero filosofare, fuori delle materie di fede, consiste nel seguire la scorta della ragione e nella fisica ancor quella della sperienza, e non già nel seguire a chiusi occhi l'autorità degli antichi maestri. Questa in tanto ha da valere presso i saggi, in quanto si scuopra al cimento della ragione e della sperienza che la verità sta dal suo canto».
Coloro che il Muratori celebra e da cui deriva il suo insegnamento sono Bacone da Verulamio, Cartesio, Gassendi, Galileo, i grandi che hanno appreso « a cavare la verità dalle profonde miniere della mente e delle cose». Il suo mondo culturale è quello del razionalismo e del metodo sperimentale; il nemico contro cui combatte è l'errore, l'opinione, sia che nasca da superstizione religiosa, sia da pregiudizi dì varia natura, soprattutto, per l'appunto, da una prevenzione a favore degli antichi. La polemica contro il padre Bouhours e contro il Boileau lo conduce ad approfondire i princìpi metodici della sua critica letteraria e ad esaltare la sua coscienza nazionale.
Non importa se le Riflessioni somigliano piuttosto a una vivace e disordinata scorribanda, che ad una trattazione organica e rigorosa. La premura sarà sovente la grande nemica del Muratori. Non importa se lo spunto fecondo della poesia quale commozione dell'animo, viene falsata da preconcetti moralistici e retorici. Ciò che vale è l'aria di modernità che spira per queste pagine, l'aspirazione ad un sano rinnovamento, il vivo senso civile, che animerà l'intera opera muratoriana.
Una parola a parte merita il De ingeniorum moderatione in religi onis negotio, che, compiuto nel 1710 e stampato a Parigi solo nel 1714 con alcuni arbitrari ritocchi in senso gallicano, poi pubblicamente sconfessati dal Muratori, va compreso in questo periodo, sia per il tempo della sua elaborazione, sia per il suo carattere costruttivo ed istituzionale. Infatti il motivo originario dell'apologia di sant'Agostino contro i fraintendimenti e le denigrazioni di Giovanni Ledere cede nel corso del lavoro gran parte del campo - due libri su tre - a una trattazione, d'interesse più generale, sui limiti della ragione e dell'autorità, sulle obbligazioni rispettive dello Stato e della Chiesa nelle cose di religione. L'atteggiamento del Muratori in proposito è improntato alla più pura ortodossia cattolica, come la sola vera religione, non senza tuttavia che si riprovino gli eccessi della censura ecclesiastica, che si rivendichi a suo luogo un'ampia giurisdizione alla ragione, che sia dichiarata guerra aperta ad ogni sorta di superstizione e sia rilasciata una conveniente libertà all'interpretazione delle Sacre Scritture.
In base a questa impostazione rigorosamente cattolica del pensiero religioso e civile incombe allo stato l'obbligo di difendere l'ortodossia e di perseguitare gli eretici, che hanno abbandonato la Verità per la via dell'errore. Ma anche qui, con un significativo parallelismo, si consiglia di procedere con moderazione, secondo le circostanze e i suggerimenti della carità.
Di fronte al problema religioso, insomma, il Muratori ci appare nel pieno della crisi della cultura contemporanea, tipico rappresentante per un verso della Controriforma, non insensibile per un altro alle nuove istanze del pensiero illuminato. Questa fedeltà alla tradizione e, nel tempo stesso, questo atteggiamento critico formeranno sino agli anni più tardi una delle più drammatiche antitesi nella coscienza del Muratori e lo faranno oggetto di sospetti e di ostilità dall'una e dall'altra parte.
Nel 1708 l'occupazione austriaca diede il cambio in Modena all'occupazione francese e incominciarono gli attriti tra l'impero e la Santa Sede per la questione di Comacchio. Di qui l'opera svolta dal Muratori nel corso di più anni (1708-1720) per difendere le ragioni della Casa d'Este su Comacchio e il ducato di Ferrara contro la Santa Sede e per rivendicare l'antichità e la nobiltà degli Estensi, messe in dubbio da monsignor Fontanini.
Mentre proseguiva la pubblicazione degli Anecdota dell'Ambrosiana e del secondo volume delle Riflessioni (1715), mentre le circostanze dei tempi offrivano il destro a qualche scritto d'interesse civile, come Del governo della peste (1714), uscivano così, fra varie altre allegazioni legali, la Piena esposizione dei diritti imperiali ed estensi (1712) ed il primo volume delle Antichità estensi ed italiane (1717).
Sotto l'aspetto storiografico la lotta combattuta a favore degli Estensi per Comacchio e Ferrara segna un momento fondamentale nella formazione del Muratori. Essa gli porge infatti l'opportunità, da un lato di affrontare il problema delle Donazioni, della costituzione dello Stato della Chiesa, della posizione giuridica di esso rispetto al dominio imperiale, dall'altro di enunciare e ribadire fermamente il principio che nella storia della Chiesa lo spirituale non va confuso col temporale, che altro è il papa successore di Pietro, vicario di Cristo sulla terra, altro la corte di Roma o la Camera Apostolica, che in materia di fede e di dottrina non v'è luogo a dubbi o a discussioni, ma che, nei limiti del giusto e del vero, nulla vieta di giudicare e anche di censurare la politica papale: due motivi destinati, l'uno e l'altro, a ritornare con particolare insistenza nel seguito della produzione muratoriana.
Sotto l'aspetto personale la polemica fu il primo grande e rischioso impegno assunto dal Muratori nel campo storico e civile, e la sua prima, durissima esperienza. Nessun dubbio per noi, infatti, sulla buona fede e sullo spirito di verità, che animavano l'anonimo, dottissimo e notissimo patrocinatore del duca. Ma per l'appunto quell'affermazione e quella difesa dei diritti imperiali, quelle sottili indagini sulla natura e l'origine dello Stato Pontificio, quella distinzione fra spirituale e temporale offrivano alle persone di Curia, specialmente agli avvocati della Camera Apostolica, come un Fontanini e uno Zaccagni, un comodissimo appiglio per fare del Muratori un seguace di Arnaldo da Brescia, di Wiclif, di Huss, dei Centuriatori, di Lutero, per accusarlo di ghibellinismo e di giansenismo.
Sarà questo, d'allora, e fin quasi agli ultimi giorni, l'assillo della sua vita: di professare in piena buona fede la più schietta ortodossia cattolica, e di essere sospettato, denigrato, perseguitato da quelli che non sapevano sopportare il suo rigore morale e la spregiudicata libertà dei suoi giudizi.
Le Antichità estensi ed italiane preannunciano col loro titolo un po' avventato, un'opera vagheggiata e iniziata fin d'allora, ma che doveva maturare solo nel corso di lunghi anni. E tuttavia, anche limitate, come furono, alla genealogia della Casa d'Este, le Antichità segnano per vari motivi un momento fondamentale dell'itinerario muratoriano. Derivarono infatti dalle ricerche sull'origine degli Estensi le proficue, se anche piuttosto burrascose, relazioni del Muratori col Leibniz, le tre campagne archivistiche del 1714, 1715, 1716, e infine, ciò che conta di più, un nuovo atteggiamento verso i secoli di mezzo. Le laboriose indagini genealogiche insegnarono, cioè, al Muratori una grande verità: ch'era cosa ridicola credere o voler far credere che le grandi casate degli ultimi secoli discendessero dagli eroi greci e romani, come usavano i moderni genealogisti in omaggio al culto dell'antiquaria classica, quando tutta la nostra più antica nobiltà traeva le sue origini dal Medioevo, o, in altre parole, che, direttamente, noi non siamo figli della Grecia e di Roma, ma, per l'appunto, di quei secoli disprezzati e trascurati, di quei Longobardi infamati dai pontefici, ma ricchi di virtù, a cui molto probabilmente appartenevano gli Estensi.
Valutazione positiva del Medioevo: questa la nota saliente e caratteristica delle Antichità estensi. Ed esse appunto, per questa consapevolezza, per l'ampiezza del lavoro, per i risultati conseguiti segnano l'approdo del Muratori a quella grande provincia del sapere, di cui diventerà incontrastato maestro.
A questo punto - fra il 1711 e il 1720-avvenne nel Muratori un rivolgimento, destinato ad avere molte conseguenze pratiche nel seguito della sua vita e ad ampliare il campo della sua instancabile operosità letteraria. Contribuì a questo singolare arricchimento la familiarità ch'egli strinse col padre Paolo Segneri iunior della Compagnia di Gesù, cioè la sua partecipazione alle missioni celebrate dal Segneri stesso nel Modenese fra il 1712 e il 1713, i ripetuti incontri, gli scambi epistolari, la devota amicizia che ne nacque, e l'acerbo dolore per la perdita dell'amico, spentosi immaturamente il 15 giugno 1713.
A quel fervore di apostolato nacque nel Muratori il pungente desiderio di ottenere « in città qualche cura d'anime per isperanza di profittarne per l'anima sua», come scriveva in somma confidenza a Gian Simone Guidelli dei conti Guidi a Ferrara il 1 luglio 1712.
Ma la sua aspirazione non fu appagata che quattro anni più tardi, nel 1716, quando si rese vacante e gli fu offerta la prepositura di Santa Maria della Pomposa di Modena; donde un enorme sopraccarico di lavoro, di cui si lagnava e nel tempo stesso si consolava con Carlo Borromeo in una lettera del 4 marzo 1717: «Calano le forze e la carità, e crescono gli affari in guisa che talvolta non ho tempo di respirare; e ciò perché il Signor Iddio mi ha voluto un poco a lavorare nella sua vigna. Se ho vanamente spesi finora tanti anni, almeno mi consolerò che il Signore mi trovi alla mia morte con l'aratro in mano».
Fra tante occupazioni, l'impegno preso dal Muratori alla morte dell'amico di tesserne la vita, non fu mantenuto che nel 1720, quando uscirono per le stampe i due tomi, contenenti rispettivamente la Vita e gli Esercizi spirituali esposti secondo il metodo del p. Paolo Segneri iunior e. In quello stesso anno e in un'atmosfera di apostolato civile e religioso, giungeva a compimento uno dei più felici e interessanti trattati muratoriani, edito poi nel 1723 col titolo: Della carità cristiana in quanto essa è amore del prossimo.
Nelle varie lettere che corsero fra i due amici il Muratori non esitò a manifestare il suo dissenso su un punto che già aveva trattato nel De ingeniorum moderatione e che formò sempre una delle più forti istanze della sua coscienza cattolica. Pur dichiarando infatti il suo altissimo apprezzamento per l'attività missionaria del Segneri, non seppe e non volle tacere l'impressione ch'egli «eccedesse in alcune cose», in particolare «nell'uso delle sacre immagini e nel promuovere la divozione della SS. Vergine».
La Vita, gli Esercizi e la Carità cristiana segnano nel Muratori un'ampliazione e un approfondimento di quella religiosità popolare, che sarà d'ora innanzi uno dei suoi interessi vitali. L'enorme importanza di questo momento sta nel fatto che il principio della carità cristiana come amore del prossimo infonde vita nella prona rassegnazione da lui predicata, e la trasforma in un alto apostolato sociale e civile in difesa degli umili contro gli eccessi dei potenti. Di qui i saggi ammonimenti sparsi qua e là negli Esami degli Esercizi spirituali; di qui, nel trattato della Carità, la spregiudicatezza con cui l'autore risponde ai quesiti: se sia lecito convertire i lasciti dotali in doti per monacande, se sia meglio fabbricar templi o lasciare ai poveri, arricchire gl'istituti ecclesiastici 0 far elemosina, far celebrare messe 0 donare ai poverelli; di qui la sollecitudine per i carcerati, le provvidenze contro la mendicità oziosa o a favore dei disoccupati e dell'infanzia abbandonata, la propaganda a favore dell'istituzione delle Compagnie della carità, dei Monti di pietà e dei Monti frumentari.
Dal 1723 al 1738 furono pubblicati i ventisette magnifici tomi dei Rerum; dal 1738 al 1742 i sei volumi delle Antiquitates. A cavallo dell'una e dell'altra impresa, fra il '39 e il '43 uscirono i quattro in folio del Novus thesaurus. A fare il calcolo dell'età, le tre opere ponderose abbracciano del Muratori l'estrema maturità e la vecchiaia, circa dai cinquanta ai settant'anni. Ma non è questione di anni. In realtà, Rerum, Antiquitates e Thesaurus, per quanto diversi di natura e di valore, hanno questo in comune, che sono il risultato di un'intera vita di ricerca e di lavoro. La raccolta dei materiali corre attraverso gli spogli dell'Ambrosiana e dell'Estense, le triennali campagne archivistiche, decenni di fittissima corrispondenza con tutti gli eruditi italiani e stranieri, ai quali il Muratori chiedeva iscrizioni inedite del mondo classico e dell'alto medio evo, fonti narrative, legislative, diplomatiche per servirsene all'illustrazione dell'Italia medievale fra il 500 e il 1500.
A vedere le grandi, splendide collezioni, date alla luce dai Sodi Palatini, vien fatto d'immaginarle nate quasi per incanto nella loro compiutezza, accade cioè di scordare l'enorme dispendio di energie ch'esse hanno richiesto, le immense difficoltà che vi sono state affrontate, se pure non sempre definitivamente risolte. A parte, infatti, l'arduo compito che s'era proposto e la calamità della Guerra di Successione di Polonia, che l'aveva colto a mezzo del lavoro, il Muratori doveva fare i conti con le diffidenze dei principi, e più, delle repubbliche italiane, contro chiunque volesse metter le mani nelle loro carte, doveva schermirsi ad ogni passo dalla censura civile ed ecclesiastica, destreggiarsi coi difficili umori del Sassi e dell'Argelati, condurre laboriosi negoziati per la dedica dei volumi, travagliarsi e palpitare ad ogni spedizione postale, per tema che andassero smarriti o perduti i suoi manoscritti e le sue stampe.
L'edizione dei Rerum, preventivata in quattro volumi in folio, non in sei, come andava imprudentemente blaterando l'Argelati, «vantatore e uomo di gran bocca», raggiunse, a forza d'inserti e amplificazioni, i ventisette tomi ed esaurì l'infinita pazienza del Muratori. Anche più istruttive, sotto questo aspetto, le avventurose vicende delle Antiquitates. In origine, quando il disegno era piuttosto nebuloso, esse dovevano, nell'intenzione del Muratori, formare il secondo volume della storia di Casa d'Este, il cui primo volume portava, per ciò appunto, il titolo di Antichità estensi ed italiane. Ma, fuori del titolo e di qualche dissertazione in volgare, nulla rimase del progetto primitivo. Via via che s'arricchiva il materiale documentario e si chiarivano le idee, il lavoro gli si presentava come un'appendice, un complemento dell'edizione dei Rerum e sotto due aspetti distinti. Da un lato era un'ampia raccolta d'importanti atti pubblici, di diplomi, che nella sua corrispondenza egli chiama ripetutamente Diplomatico o Diplomatica, dall'altro una ricca serie di dissertazioni latine, intese, sul modello dell'antiquaria greca e romana, ad illustrare nei più vari suoi aspetti il Medioevo italiano.
Di fatto, le Antiquitates. pur serbando il legame ideale coi Rerum e la medesima nobile veste tipografica, acquistarono una propria autonomia e mantennero il doppio carattere di raccolta documentaria applicata ad una trattazione di storia della civiltà e della cultura italiana nel Medioevo. L'ultima e la più felice metamorfosi fu quando, poco prima della fine, il Muratori si risolse di ridurre in italiano le Antiquitates e di alleggerirle della maggior parte dell'apparato erudito.
Con i Rerum e le Dissertazioni egli conseguì i più splendidi, originali e fecondi risultati nei campi della filologia, dell'erudizione storica e della storia. La raccolta degli scrittori fu la premessa necessaria, la madre, diciamo così, della storia d'Italia, in quanto offerse l'intelaiatura delle sue varie vicende da luogo a luogo e da momento in momento nel corso di un millenio. Le Dissertazioni aprirono le prospettive oltremodo stimolanti di un nuovo tipo di storiografia; e quanto più corre il tempo, quanto più avanzano gli studi, tanto più destano meraviglia la nitidezza di certi quadri istituzionali, la modernità nell'impostazione e nella risoluzione di certi problemi, la felicità dell'intuito storico e filologico, la ricchezza inventiva e suggestiva dell'attività storiografica.
Chi legga la lettera al di Porcìa o percorra l’Epistolario di questi anni, si renderà conto quale viva coscienza avesse il Muratori della gravità e dell'importanza del suo compito. Nelle introduzioni generali ai Rerum e alle Antiquitates la persona stessa dell'autore si fa innanzi ripetutamente: là dove rammenta il suo primo, lontano augurio dei Rerum, o dove ricorda l'invito rivoltogli dagli amici affinché facesse seguire alla raccolta degli scrittori una storia dell'Italia medievale, o dove accenna alla sua giovanile passione per l'erudizione classica, e al suo disdegno per il Medioevo. Ma c'inganneremmo se credessimo di trovare in queste pagine introduttive l'accento trionfale di una scoperta, la fondazione di una nuova disciplina. L'apologia dei secoli oscuri è quanto mai temperata, e fondata in massima parte su motivi di carattere estrinseco: il debito di devozione verso la madre Italia, sia essa dominante con Roma, sia dominata dai barbari, il diletto che deriva dalla varietà delle cose e degli eventi, la curiosità di tanta erudizione tuttora ignorata, la gloria che se ne può trarre in confronto dell'antiquaria classica, ormai quasi esausta, il compiacimento della presente felicità al paragone della miseria d'altri tempi. Solo di passaggio, fra queste ragioni più o meno futili, e tuttavia importanti per conoscere il mondo ideale del Muratori, riaffiorano gli argomenti ch'erano stati accennati in parte nella Piena esposizione e nel primo volume delle Antichità estensi. cioè il legame che unisce il medio evo all'età contemporanea, i valori morali dell'età di mezzo, la condizione privilegiata dell'Italia medievale in confronto della rimanente Europa.
Le tre opere monumentali non bastarono ad esaurire, fra i cinquanta e i settant'anni, la formidabile energia del Muratori. Nel 1733 condusse a termine il secondo ed ultimo volume delle Antichità estensi. la cui pubblicazione tuttavia fu ritardata fino al 1740 dalle vicende della Guerra di Successione di Polonia. Proseguì contemporaneamente la polemica provocata dal De ingetiiorum moderatane sul voto sanguinario, ribadendo le sue ragioni nel trattato De superstitione vitanda (composto nel '32, edito nel '40) e nelle successive Lettere di Ferdinando Valdesio (pubblicate nel '43). Cercò infine di ammansire l'ostilità dei Gesuiti per la sua condanna del voto sanguinario con l'opuscolo del Cristianesimo felice nelle missioni de' padri della Compagnia di Gesù nel Paraguai, dove venivano rintuzzate le accuse contro la Compagnia, e le missioni d'America venivano rappresentate come un modello di cristianesimo primitivo.
Ma, a parte le vecchie voci dell'erudizione storica e della polemica religiosa nell'ambito del cattolicismo, a parte il nuovo interesse per l'esotico e il primitivo dei «buoni selvaggi» americani, v'è in questo periodo tutta un'attività, che sembra aver tratto in gran parte lo stimolo da varie letture di autori inglesi, olandesi e francesi, compiute dal Muratori fra il 1726 e il 1730 e che era destinata a protrarsi nei suoi motivi fondamentali fino agli anni più tardi. A voler caratterizzare questo momento del pensiero muratoriano diremo che esso si presenta sotto due aspetti distinti, e, tuttavia, intimamente connessi fra loro: l'aspetto religioso e l'aspetto civile. La reazione del Muratori alle dottrine d'oltr'Alpe fu un grido d'allarme contro i deliri della ragione abbandonata a se stessa, un trepido e fervido richiamo alla più pura tradizione del cattolicismo, e, nel tempo stesso, una maturazione e un approfondimento del pensiero morale e civile.
Nacque da questo fervore uno dei capolavori dell'opera muratoriana, la Filosofia morale, pubblicata nel 1735, dove, analogamente a ciò che abbiamo visto nella Carità cristiana, la dottrina della disuguaglianza e della rassegnazione viene, sia pure senza alcun intento rivoluzionario, animata da un vivo senso di umanità e di operosità civile, da uno schietto giudizio sui difetti della società contemporanea, dalle moderne parole di giustizia, uguaglianza, libertà. Derivò più o meno direttamente da questo medesimo fecondo fermento un gruppo di lavori di varia data e di varia natura: il De Paradiso, composto nel 1734 e pubblicato nel 1738, in polemica col De statu mortuorum di Tommaso Burnet, i due trattati Dei difetti della giurisprudenza e Della regolata divozione de' cristiani, composti fra il '42 e il '43, alla liberazione dalle grandi fatiche erudite, infine le due operette Delle forze dell'intendimento umano 0 sia il pirronismo confutato e Della forza della fantasia umana, stampate nel 1745.
A parte il De Paradiso, col suo carattere essenzialmente dottrinale, v'è negli altri scritti un che di moderno, uno stretto legame coi problemi del tempo, e insieme il senso di un ripiegamento e di una crisi, che contrasta in qualche misura con la baldanza della giovinezza, ma anche ne riafferma più che mai gli alti principi morali, e civili, ed umani.
La Regolata divozione, con la novità della Messa esposta in italiano, con le polemiche sul culto della Vergine e dei Santi e sull'adorazione delle reliquie, con la vigorosa campagna per la diminuzione delle feste di precetto e contro ogni forma di pio parassitismo, in difesa dei poveri agricoltori e artigiani, con l'intento sottinteso di toglier di mano ogni possibile appiglio alle critiche malevole dei protestanti, dovette aspettare ad uscire in pubblico fino al 1747 per le esitazioni degli alti consulenti romani, i quali, per quanto benevoli e riguardosi verso il Muratori, non sempre erano disposti a condividerne le idee e temevano delle reazioni che la sua spregiudicatezza avrebbe provocato.
I Difetti della giurisprudenza. col precedente del De Codice Carolino del 1726, denunciavano le piaghe della pratica giudiziaria contemporanea ed esprimevano uno dei più tenaci e fecondi interessi del Muratori, cioè l'esigenza di una codificazione, che desse certezza al diritto, snellisse i processi e vietasse l'arbitrio dei giudici.
Dei due trattatelli filosofici infine, l'uno conteneva un violento attacco contro tutto il libertinaggio filosofico e religioso, che, partendo da Lutero e dai riformati, aveva messo capo in tempi recenti allo scetticismo di Pier Daniello Huet, vescovo d'Avranches; l'altro traeva occasione dallo studio della Fantasia umana per riprendere i motivi della nobiltà e del giuoco, consueti alla penna del Muratori e a tanta parte della pubblicistica contemporanea, per accennare alle superstizioni delle donne visionarie, per muovere un nuovo attacco contro i sistemi «fabbricati nei due prossimi passati secoli, ed anche nel presente, in Germania, in Olanda e soprattutto in Inghilterra, dove è permesso ad ognuno di delirare in quistioni di somma importanza».
Nel 1737, quando il Muratori chiedeva un breve ristoro alla lunga fatica dei Rerum leggendo Molière, quando stava per licenziarne l'ultimo tomo e per mettere in stampa il primo volume delle Antiquitates, già si rammaricava di non avere fra mani un altro soggetto di lavoro. S'aggravò il suo malcontento quando vide approssimarsi al termine anche l'impresa delle Antiquitates. e si rivolse agli amici affinché gli suggerissero un argomento di largo interesse, a cui dedicare gli ultimi anni della sua vita. Gli furono proposti diversi temi, che sarebbero stati assai graditi all'ambiente romano: i diritti della Santa Sede nella conferma e nell'incoronazione degl'imperatori, l'usura, il giuoco. Ma se ne scusò perché gli parvero troppo spinosi quale per uno, quale per altro motivo: i diritti, perché le cose s'intorbidavano da Giovanni XXII e da Ludovico il Bavaro in avanti, l'usura, perché non era disposto ad ammettere, coi rigoristi cattolici, che fosse vietato ogni sia pur moderato interesse del denaro dato a prestito, il giuoco, perché se ne sarebbero risentiti i principi, che traevano da esso lauti profitti. Accettò di sottentrare al padre Giuseppe Bianchini, storiografo pontificio, nell'edizione degli antichi sacramentari romani, dal Bianchini stesso raccolti, e vi premise un'ampia trattazione sull'antica liturgia romana che vide la luce insieme coi testi nel 1748 e diede agio al Muratori di difendere, contro i protestanti, la dottrina cattolica dell'Eucaristia.
Le lettere degli ultimi anni, press'a poco dal '42 al '50, ci portano l'eco di due polemiche, fortemente radicate negl'interessi dell'uomo e nella vita del tempo: quella contro il cardinale Querini per la diminuzione delle feste e quella sull'usura, nella quale il Muratori concorda sostanzialmente con la tesi liberale del marchese Maffei. Ma l'espressione più alta e più personale di questo periodo sta nelle due opere finali e conclusive della Pubblica felicità, oggetto de' buoni prìncipi e degli Annali.
La Pubblica felicità, vagheggiata per alcuni anni, e pubblicata alla vigilia della morte, nel 1749, riassume e conclude il lungo magistero civile del Muratori. In essa infatti egli raccoglie intorno all'argomento della pubblica felicità il frutto delle sue annose esperienze e riflessioni sui doveri del principe e dei suoi ministri, sull'educazione dei giovani, sulla religione e sulla morale, sulle lettere, le scienze e le attività commerciali, sui mali che minano lo stato, in una parola, su tutti quegli argomenti, che per uno o per altro verso aveva avuto occasione di trattare, in particolar modo, negli scritti giovanili sulla riforma degli studi, nella Carità cristiana, nella Filosofia morale e nei Difetti della giurisprudenza.
Ma, se vogliamo renderci conto dell'importanza storica del trattato, ci basta por mente al suo titolo, cioè all'ideale utilitario e felicitano, che ne forma il grande principio animatore. Nel giro di un secolo la Ragion di stato si era mutata nella Pubblica felicità: fondamento dello stato era, non la ricchezza e la potenza del sovrano, ma il benessere dei sudditi; la mèta a cui si mirava era un regime paternalistico, quello stato di polizia, quel despotismo illuminato, che nella seconda metà del secolo doveva servire di modello ai principi d'Europa e che, pure attraverso le pagine del conservatorismo muratoriano, lasciava indovinare l'esigenza di più profondi rivolgimenti.
Quando nel 1738 il Muratori nella prefazione alle Antiquitates.si schermiva col plausibile motivo dell'età avanzata dalle insistenze degli amici, che lo esortavano a comporre finalmente una storia d'Italia, dopo aver speso tanto tempo e tanta fatica a raccoglierne le fonti narrative, legislative, documentarie, in realtà egli aveva già messo mano agli Annali. cioè, per l'appunto - almeno nel suo intendimento - a quella storia, che gli era cosi insistentemente richiesta e che era così vivo desiderio degli studiosi italiani.
Pensò in un primo momento di partire, come Flavio Biondo nelle sue Decadi, dal sacco di Roma per opera di Alarico nel 410 e di giungere sino al termine del secolo XV. Mutò poi il primitivo disegno risalendo alla nascita di Cristo e augurandosi che altri trattasse della preistoria e di Roma repubblicana. Infine, e per ragioni più o meno esteriori, attraverso le agitazioni della guerra di successione d'Austria, riprese il lavoro dove l'aveva conchiuso nel 1500 e lo condusse innanzi fino allo stabilimento della pace in Europa e alla vigilia della morte, cioè fino al 1749.
Erano dunque annali, quelli del Muratori, e, come tali, si modellavano sugli esempi della storiografia classica, medievale e umanistica, così, come risaliva alla storiografia teologica del Medioevo, il loro principio dalla nascita di Cristo. Nessuna ragione storica, nessun problema o nessuna serie di problemi determinati stavano alla base del lavoro, che rispondeva all'amore e all'orgoglio di patria italiana, al desiderio di conoscere, nella loro esatta disposizione cronologica, fatti e uomini nostri, al motivo pratico di restringere in spazio relativamente breve il contenuto di molti volumi.
Di qui il carattere disorganico dell'opera, l'assenza di un centro sul quale gravitino gli avvenimenti, l'incertezza dei limiti, la mancanza di uno svolgimento, l'avvicendarsi, secondo i vecchi procedimenti annalistici, nel breve quadro di un anno, dei fatti più disparati.
Per quanti sforzi si facciano e nonostante gl'indiscutibili pregi, sarà sempre difficile fare degli Annali una grande opera storica nel senso moderno della parola. Vi si opporranno, oltre le manchevolezze a cui abbiamo accennato, un difetto più generale, cioè la prevalenza dei motivi morali e religiosi e - salvo rari momenti - lo scarso vigore della coscienza politica. Ma non per questo verranno meno l'utilità, l'interesse e l'importanza di quest'ultima fatica muratoriana.
Gli Annali sono, dai tempi del Guicciardini, il primo grande tentativo di una storia d'Italia, che servirà di trama a una grande parte della storiografia successiva. Nell'affastellamento un po' materiale del loro notiziario, s'incontrano qua e là limpidi quadri istituzionali, felicissime pagine narrative, come l'insurrezione e la difesa di Genova nel 1746-1747, ritratti vigorosi di sovrani e di ministri, come la regina Zenobia, Giulio II e il Richelieu, vivaci descrizioni di pubbliche calamità, come l'eruzione del Vesuvio nel 1631. Ma quel che più colpisce in questa prosa, e che più scandalizzava l'abate Gaetano Cenni, uno dei suoi censori contemporanei, è la semplicità del dettato, dove spunta fuori ogni poco l'uomo Muratori con il suo fare furbesco e popolano, con la sua arguzia un po' grossa e scoperta, con la sua ricca aneddotica, colorita e un tantino spregiudicata.
Ciò che dianzi s'è detto a proposito del magistero civile e della Pubblica felicità converrà ripetere per il magistero storiografico e per gli Annali. Essi infatti riassumono e conchiudono veramente un'intera vita di ricerche, di meditazioni e di esperienze; né v'è momento o atteggiamento che non vada ricondotto a qualche tappa del fecondo itinerario muratoriano. Come la storia dell'impero ricorda il tirocinio classico giovanile e la laboriosa composizione del Thesaurus, come il Medioevo è fondato essenzialmente sui Rerum e sulle Antiquitates. così i motivi più personali: la polemica contro il Baronio e contro la storiografia teologica, la valutazione positiva della barbarie gotica e longobarda in confronto di Roma e di Bisanzio, l'interpretazione delle Donazioni, non come trasferimento di sovranità a favore della Curia romana, ma quale concessione di utile dominio, l'assoluta spregiudicatezza riguardo alla politica temporale dei papi, l'ostilità contro Franchi e Angioini e le simpatie ghibelline, tutto ci richiama alla polemica per Ferrara e Comacchio e ai due volumi delle Antichità estensi.
Intenzione, ripetutamente espressa dal Muratori, era, non altrimenti dal Giannone, di comporre una storia civile. La ragione ch'egli adduceva per giustificare il suo proposito era la medesima - se l'incontro non è casuale - che si leggeva al principio dell'Histoire des empereurs del Tillemont, che cioè la storia ecclesiastica era già stata autorevolmente scritta da altri. Ma v'era una ragione intrinseca, chiarissima, anche se non espressa, cioè che l'opera intrapresa doveva aver carattere laico, secolare, rispondente per l'appunto agl'ideali civili dell'autore e dei suoi tempi. Quando parliamo della modernità degli Annali intendiamo non solo e non tanto accennare alla spigliatezza e alla vivacità del dettato, quanto in particolare all'aperta battaglia per il trionfo della «verità», al costante riferimento del passato ai problemi e agl'ideali del presente, che collocano l'opera in maniera inequivocabile nel momento storico del pensiero illuminato. Vissuto in un'età di sanguinosi conflitti quasi incessanti, risoluto partigiano della pace e delle arti che da essa derivano, il Muratori tocca ad ogni passo gli argomenti che sono stati oggetto della sua riflessione storica e civile: le superstizioni - che offuscano la fama anche di santi come Gregorio Magno e Pier Damiani; i duelli - in cui le leggi barbariche sopravanzano per saggezza le moderne -, le epidemie, e i provvedimenti per prevenirle e combatterle, il problema demografico, le rovine della guerra e la gravezza dei tributi, il lusso e la bilancia commerciale, l'usura, le feste di precetto che tolgono il pane all'artigiano e al contadino, i difetti e gli abusi dell'amministrazione giudiziaria e finanziaria, l'ideale paterno del «principe proprio», e lettere, arti, scienze, costumi, istituzioni, in una parola quella storia della cultura, di cui è uso far caposcuola il Voltaire, e di cui il Muratori aveva dato un magistrale esempio nelle Antiquitates.
Ma v'è anche, salvo errore, nella storia degli ultimi due secoli, qualche segno di quel ripiegamento e di quelle apprensioni che abbiamo avvertito nella piena maturità dell'uomo e nella sua grande vecchiaia. Senza voler troppo specificare e sottilizzare, l'età contemporanea parte per il Muratori dall'instaurazione del predominio spagnuolo, che riporta la pace in Italia, dal Concilio di Trento, che restaura la dottrina e la disciplina ecclesiastica, e giunge fino ai suoi tempi. Questi ultimi duecento anni, che abbracciano, per così dire, in un nesso unico, Rinascimento e pensiero illuminato, rappresentano in massima per lui un miglioramento in ogni ramo della vita pubblica in confronto del Medioevo e del primo cinquantennio del Cinquecento. Tuttavia i suoi giudizi in materia politica e religiosa, con una significativa contraddizione, risentono assai più del fiero zelo della Controriforma che non dello spirito dei tempi nuovi.
Riformatore della cultura, storico ed erudito, trattatista di argomenti morali e religiosi, promotore con gli scritti di riforme civili, non v'è quasi ramo dello scibile che il Muratori non abbia fatto oggetto della sua applicazione. L'attività febrile dello scrittore, mentre desta meraviglia per l'importanza, la varietà e la mole ingente della produzione, lascia spesso trasparire nel dettato e nel disegno dei singoli scritti l'estrema rapidità dell'esecuzione e rende non facile l'opera di chi voglia comporre da essi una raccolta dei passi più significativi.
Ma per quante siano le inevitabili manchevolezze di una scelta siffatta, sarà sempre di vitale interesse sentire la viva voce di uno dei protagonisti della cultura italiana del Settecento, seguirlo nella sua formazione tradizionale, religiosa e letteraria, nell'enunciazione di una coraggiosa riforma degli studi, nello slancio di energia e di umanità, che gli apre l'animo alle esigenze del tempo, nel continuo approfondimento della coscienza religiosa, morale e civile, nelle mète raggiunte, e nella crisi, che travaglia la società del suo tempo e si ripercuote dolorosamente in lui, fra vecchi e nuovi ideali.