BIANCHINI, Lodovico
Nacque a Napoli l'11 agosto 1803, da Domenico e da Margherita Sciullo; già a soli quindici anni, mentre faceva ampie letture soprattutto di economia e di storia, seguiva con profitto i corsi di giurisprudenza, sicché a diciotto anni esercitava la professione forense. La passione e le conoscenze acquisite nel campo degli studi economici, e i suoi interessi per la trattatistica politica, ebbero occasione di esprimersi nell'opuscolo Principî sul credito pubblico pubblicato a Napoli nel 1827, ma scritto tra il 1823 e il 1824, quando in Napoli - dopo la crisi finanziaria provocata dalla rivoluzione del 1820-21 - si discuteva del migliore assetto da dare al debito pubblico e al sistema finanziario.
Il ritardo nella pubblicazione pare fosse dovuto alla poco favorevole accoglienza che le tesi sostenute trovarono negli ambienti governativi. Tuttavia il B. già nel 1825 aveva avuto modo di esprimere qualche sua idea curando l'edizione del Breve cenno della scienza del ben essere sociale di Benedetto Cantalupo: nelle note a questa opera (il cui testo appare notevolmente rielaborato - e forse non senza diretta partecipazione del B. - rispetto al generico e superficiale Compendio de la scienza del ben essere sociale pubblicato dallo stesso Cantalupo nel 1822) il giovane B. anticipava molte notizie e concetti che svilupperà nelle opere successive.
Pur apprezzando i Principî come prova di larga cultura e come utile contributo alla moderna teoria dei prestiti pubblici, il Ricca Salerno rilevò, ribadendo il giudizio del Mohl, una carenza di approfondimento teorico e soprattutto una sorta di contraddizione tra l'opinione favorevole all'uso del credito e il rifiuto della forma più perfetta e conveniente di essa, il consolidato irredimibile.
Per intendere la genesi e lo sviluppo delle altre principali opere del B. sembra opportuno affiancare, ai rilievi del Ricca Salerno, la considerazione che già in questo primo lavoro l'autore impostò la ricerca prevalentemente in termini di analisi storica e annunziò il proposito di scrivere una Storia critica delle finanze delle Due Sicilie, manifestando avversione alla pura teoria economica.
Ai fini della collocazione storica del B. è assai interessante l'opuscolo Dell'influenza della pubblica amministrazione sulle industrie nazionali e sulla circolazione delle ricchezze, Napoli 1828. Anche questo scritto nacque in un contesto ben preciso, nel momento in cui si trattava di definire la politica economica del Regno di Napoli tra le opposte indicazioni e pressioni che venivano dai fautori del liberismo, in funzione soprattutto dello sviluppo delle attività agricole e, dall'altra parte, dai sostenitori di un moderato protezionismo, che non ignorasse la necessità per un paese moderno di costruire un proprio sistema industriale. Il B. fu tra questi ultimi, e il suo intervento contribuì al prevalere di tali tesi.
Non vi era certo nulla di teoricamente originale nella posizione del B., che riprendeva la polemica contro "le scuole francese ed inglese" negli stessi termini, per esempio, di Melchiorre Gioia, il quale già nel 1819 aveva sostenuto essere "stolidissimo e fatale errore il pretendere che un paese agricolo non debba essere manifatturiero" ed essere "l'azione del governo... utile e necessaria allo sviluppo ed alla prosperità delle manifatture" (Sulle manifatture nazionali e tariffe daziarie, Milano 1819, pp. 46 e 101). Alcuni degli argomenti sviluppati dal B. meritano, tuttavia, di essere ricordati come prova ulteriore della prevalente impostazione storica dei problemi. A quanti recavano la Francia e l'Inghilterra ad esempio dei vantaggi della libertà economica il B. osservava: "L'errore nasce unicamente dal confondere le epoche... Quando si sono osservati in Francia ed in Inghilterra questi brillanti fenomeni? Dopo che il Governo ha fatti prosperare colla sua ingerenza diversi capi di industria, in modo che molti capitali da questa prodotti possano impiegarsi all'introduzione e sostegno di altre produzioni. Questi salutari effetti adunque non possono ottenersi se non quando le nazioni cominciano ad essere opulente, o per meglio dire quando le produzioni nazionali abbiano prosperato a segno che vi sia un sovrappiù di capitali da poter essere diversamente impiegato" (pp. 21-22). Il B. ha ben presente la politica commerciale inglese, sottolinea frequentemente l'efficacia dell'Atto di navigazione, ma sostiene l'inapplicabilità degli stessi sistemi ad altre nazioni.
Il B. fu dunque non un economista nel vero senso della parola - uno scienziato alla ricerca di verità teoriche -, ma piuttosto uno studioso di storia economica e un solerte e colto amministratore, continuatore in questo campo della tradizione degli alti magistrati e funzionari del riformismo borbonico e del decennio francese.
La fama già acquistata nell'esercizio forense e negli studi economici designava naturalmente il B. come uno dei collaboratori alla nuova politica inaugurata da Ferdinando II, il quale, meno legato dei suoi predecessori agli eventi che dal 1799 al 1821 avevano turbato il Regno, guardava con minor sospetto alla pubblica opinione e sembrava favorire un programma di sviluppo economico e civile del paese. Nel dicembre 1830 il B. venne assunto al ministero delle Finanze senza un preciso incarico ufficiale, ma come consultore del ministro, marchese Giovanni D'Andrea, col quale lavorò per oltre due anni, al fine soprattutto di conseguire il pareggio del bilancio. Il 12 genn. 1832, a riconoscimento dei servigi resi, Ferdinando II lo decorava dell'Ordine cavalleresco di Francesco I. Nello stesso anno il B. veniva chiamato a far parte del decurionato di Napoli e riceveva l'incarico di segretario presso la Suprema commissione sanitaria. Nel 1833, pur conservando alcune cariche pubbliche, riprendeva l'attività forense e pubblicistica. Nel marzo 1832 aveva iniziato le pubblicazioni a Napoli - fondata da Giuseppe Ricciardi - la rivista Il Progresso. Arrestato nel settembre 1834 il Ricciardi per attività mazziniane, il B. - pare anche col patrocinio del ministero delle Finanze - si accollò l'onere di partecipare al finanziamento del giornale e ne assunse la direzione.
La rivista, che si valse della collaborazione di eminenti rappresentanti della cultura napoletana, dai fratelli Baldacchini a L. Blanch, a M. De Augustinis, a G. De Cesare, a L. de Samuele Cagnazzi, fu espressione delle rinnovate speranze del ceto intellettuale napoletano nella possibilità di progresso del paese, nel quadro di un programma politico dalle linee non sempre ben definite, ma nel quale certo predominavano le convinzioni moderate e municipalistiche proprie del Blanch e del Bianchini.
Il B., intanto, continuava a occuparsi dei problemi economici napoletani, sottolineando la necessità di una industria nazionale del ferro (1834), di stabilimenti per raffinare lo zucchero, e schierandosi contro l'istituzione di porti franchi a Nisida o in altri luoghi del Regno (1835). In quegli stessi anni - certo i più fecondi dell'attività del B. appena trentenne - appariva anche la prima edizione della Storia delle finanze del Regno di Napoli (Napoli 1834-35).
Il B. intendeva la storia delle finanze in senso assai largo, fino a farla pienamente coincidere con la storia della pubblica amministrazione e dei fatti economici. Egli sostiene "che non possa isolatamente disaminarsi e quindi narrarsi di un sistema di finanze, senza osservare medesimamente i suoi rapporti con tutte le altre parti del governo". A questo compito si preparò con cura diligente esplorando gli archivi, studiando leggi e regolamenti, consultando "cronache, istorie, libri forensi, memorie particolari, trattati statistici", e valendosi anche della sua pratica e autorità di pubblico funzionario e consigliere del governo. Il B. era ben consapevole di fare opera diversa e più ampia di una storia delle finanze, e per quanto non ancora ardisse rendere esplicito nel titolo il suo concetto, pure egli affermò chiaramente nel "discorso preliminare" che la sua ambizione era di scrivere una "storia economico-civile". In tale concetto è facile rintracciare il tentativo di congiungersi alla migliore tradizione storiografica napoletana dal Vico al Giannone, arricchendola con la considerazione dei fatti e del pensiero econornico che venivano assumendo nella vita moderna una parte sempre piu rilevante. Al ricordo di questi ispiratori illustri e lontani conviene aggiungere il nome di L. Blanch, che nel solco della stessa tradizione e certo con maggiore profondità del B. quasi contemporaneamente trattava analoghi temi (Miscellanea di economia pubblica,di legislazione e di filosofia estratta dal "Progresso",discorsi tredici, Napoli 1836).
Giova riconoscere l'alta ispirazione e la moderna sensibilità per i processi economici e per molti aspetti sociali dello sviluppo storico manifestate dal Bianchini. Ma se il contributo dello studioso napoletano rimane importante per la raccolta di notizie e la elaborazione di dati, il proposito di una considerazione unitaria dei fenomeni politici economici e sociali non trova adeguata realizzazione; mancano allo studioso forza di sintesi, profondità di penetrazione e di giudizio; la struttura dei lavori, in ben ordinata successione di capitoli e di argomenti secondo uno schema che è sempre lo stesso ("Situazione politica amministrativa", cap. I; "Leggi ed ordinamenti intorno alla proprietà", cap. II; "Contribuzioni pagate dai popoli e rendita dello Stato", cap. III; "Spese pubbliche", cap. IV; "Industria e circolazione delle ricchezze", cap. V), denunzia il carattere dell'opera che assume spesso tono descrittivo e cronachistico. Pur con questi limiti di fondo, il contributo era originale e importante in un campo che aveva allora in Italia assai scarsi cultori, e tra questi il B. assunse un posto di rilievo.
Col crescere dell'autorità e della fama, nuovi più importanti incarichi pubblici attendevano il Bianchini. Il 5giugno 1837venne assunto al ministero dell'Interno col compito di provvedere alla lotta contro l'epidemia di colera e di sovrintendere alle amministrazioni comunali e provinciali. Designato in pectore, in quell'anno, intendente del Molise, col decreto 13dic. 1837gli fu affidata invece la segreteria degli Affari Interni presso il luogotenente di Sicilia, duca di Laurenzana. In quell'ufficio il B. rimase dal 1837a tutto il1847. Dopo poco più di tre anni, approfittando anche di una lunga esplorazione che insieme col luogotenente compì nell'isola per conoscerne lo stato e i bisogni, dava alle stampe la Storia economica civile della Sicilia (Palermo 1841), che ripeteva la struttura della Storia delle finanze del Regno di Napoli, rimanendole però nettamente inferiore e rivelando sia le manchevolezze di una minore cura e di una più affrettata raccolta documentaria sia un'accentuarsi dei caratteri puramente compilatori e cronachistici, dei quali si è detto.
Le istruzioni con le quali il B. veniva inviato in Sicilia dal ministro Santangelo erano ben chiare e precise: "Rendere uniforme a quelle di Napoli l'amministrazione dell'isola per quanto più fosse possibile, abbattendo e facendo scomparire tutti gli abusi e i disordini che travagliavano la Sicilia, e facendovi altresi le convenienti riforme". A queste istruzioni il sovrano aggiungeva la significativa esortazione "a non farsi siciliano". Programma quindi di rigido accentramento, che la monarchia borbonica aveva sempre perseguito e che ora, revocando tacitamente concessioni di limitata autonomia, veniva riformulato in termini estremi fino a esautorare completamente gli organi di governo locale, stabilendone la diretta dipendenza dai ministeri di Napoli, e a ridurre lo stesso luogotenente "a mera parata". Nel quadro di questa politica fu anche condotta innanzi l'opera eversiva della feudalità. Nel 1812 i baroni siciliani avevano rinunziato alla giurisdizione feudale e ad alcuni privilegi, ottenendo tuttavia sul piano patrimoniale rilevantissime concessioni, per cui di fatto i feudi erano trasformati in allodio a tutto vantaggio degli ex feudatari e con scarsissimo compenso ai diritti acquisiti sui demani dagli abitanti dei feudi. Si voleva ora uniformare anche in questo campo la legislazione siciliana a quella napoletana, che aveva inferto ben più duri colpi ai feudatari. Un giudizio del B. a tal proposito è tuttavia rivelatore e della sua posizione estremamente moderata verso il baronaggio - assai più che non i giudici della commissione feudale napoletana - e della forza di resistenza dei baroni siciliani, che, sotto il pretesto dell'equità, riuscirono ad evitare la rigida applicazione dei principi che avevano ispirato l'opera eversiva nelle regioni continentali del Regno. In Sicilia, scrisse il B., "venne mitigato quel principio che primeggiò per Napoli che la presunzione del diritto dovesse sempre stare a favore de' comuni; fuvvi del pari corretta la severità della scala de' compensi da darsi a' comuni, di modo che più vantaggiosa fu la condizione degli ex feudatari".
Il B. attribuisce alla gelosia di alti funzionari, per l'autorità da lui raggiunta in Sicilia e per la confidenza dimostratagli dal sovrano, la nomina - nel dicembre 1847 - a intendente della Seconda Calabria Ultra. Mentre attendeva in Palermo il suo successore, fu colto dalla rivoluzione e a stento riuscì ad imbarcarsi il 22 genn. 1848insieme con la famiglia. Nel racconto delle sue vicende - che lo statista napoletano scrisse dopo il 1860e inserì nel contesto dell'inedita storia del Regno di Napoli dal 1830al 1859 - il B. afferma di aver protestato contro la nomina in Calabria e di aver deciso di non accettare l'ufficio, ancor prima che scoppiasse la rivoluzione. Ritornato a Napoli, egli persistette nella rinunzia pur dopo la concessione dell'atto costituzionale nel febbraio del 1848; afferma anche di aver rifiutato il portafoglio delle Finanze offertogli premurosamente dal partito liberale a mezzo il 1848, e di aver egualmente respinto l'offerta del "portafoglio dell'Interno quando un ministero di reazione iniziavasi nel seguente anno".
Rimasto fuori della politica attiva, o per sua volontà o per la sua posizione sgradita e ai liberali e ai reazionari, il B. assunse nella Gran Corte dei Conti il posto di consigliere, al quale era stato nominato durante la missione in Sicilia, e fu ben presto promosso all'ufficio di avvocato generale che esercitò nelle cause più importanti, svolgendo anche le funzioni di pubblico ministero presso le amministrazioni della Marina e dei Ponti e Strade, e partecipando alla Delegazione della Zecca, alla Giunta per la Sila, al Consiglio delle prede marittime e al governo dei principali istituti di pubblica beneficenza. Proseguendo nella sua carriera, nel dicembre 1852 fu nominato consultore di Stato.
Attendeva intanto a completare l'opera Della scienza del ben vivere sociale e della economia pubblica degli Stati (il cuiprimo volume, la "parte storica e di preliminari dottrine", era apparso a Palermo nel 1845) con i Principi della scienza del ben vivere sociale..., Napoli 1855.
Era una specie di storia economica generale e di storia delle dottrine economiche, nella quale venivano ripresi in più ampio quadro alcuni motivi già manifesti nello svolgimento delle precedenti opere economico-storiche. Per quanto attiene alla storia economica sono evidenti gli apporti di opere straniere, a partire dal Raynal, col quale non si manca tuttavia di polemizzare; soprattutto si insiste, però, in polemica con le scuole liberiste "francesi ed inglesi", nella connessione tra economia, politica e pubblica amministrazione, e in tale quadro si esalta la "scuola italiana", a partire addirittura dal Serra e poi dal Genovesi al Galiani e al Verri, non solo per aver precorso alcuni concetti economici dei quali si dava vanto a Smith, a Ricardo e ad altri, ma soprattutto per aver tenuto ben presente il nesso tra economia, società e Stato. Questa graduatoria di valori e questa rivendicazione di presunti primati, se potevano in qualche caso sottolineare alcuni eccessi delle dottrine liberistiche e cogliere, talora efficacemente, la coincidenza di quelle posizioni con la già acquisita forza espansiva di economie nazionali consolidatesi con l'applicazione di metodi tutt'altro che liberisti; se valevano a richiamare l'attenzione sulle difficoltà di inserire economie arretrate nel mondo industriale e capitalistico, e sulla necessità dell'intervento dello Stato e della pubblica amministrazione; finivano poi, come è nel caso del B., con l'esprimere impotenti vagheggiamenti che si chiudevano in una visione sempre più municipalistica e retrograda. L'eccessiva ed esclusiva fiducia nella "buona amministrazione" e nei poteri dello Stato coincideva con una concezione assolutistica e paternalistica, incapace di distinguere le forze economiche e sociali veramente progressive e di stimolarne lo sviluppo. L'esaltazione degli economisti italiani del Settecento denunziava in sostanza la incapacità di comprendere la profonda evoluzione avvenuta nella vita economica e sociale dei più avanzati paesi europei e di adeguarvisi. Tali concezioni possono ben ritenersi il riflesso dell'arretratezza economico-sociale del Mezzogiorno; ma mentre i riformatori del Settecento avevano coscienza di tale arretratezza, e si aprivano sul mondo circostante, partecipavano della più avanzata cultura europea e proponevano programmi di più o meno radicale rinnovamento, il B., esaltando Genovesi e Verri e Galiani, guardava e restava fermo al passato e non suggeriva nessuna valida prospettiva di rinnovamento per il Mezzogiorno. Ciò spiega come egli potesse accettare incarichi ministeriali nell'ultimo periodo di regno di Ferdinando II e finisse, volente o nolente, col condividere la responsabilità di una politica senza sbocco. I termini reali della crisi del Regno sfuggivano al B., il quale pensava che con la politica della buona amministrazione, con la moderazione, con il ritorno alla legalità e il ripudio di misure poliziesche, con limitate riforme, si potesse ristabilire l'equilibrio.
Quando nell'ottobre del 1854 fu chiamato a reggere interinalmente il ministero dell'Interno, egli pose come condizione che gli fosse data entro breve tempo la nomina definitiva e che il dicastero riassorbisse l'amministrazione dei Lavori Pubblici. La nomina definitiva venne il 23 nov. 1854, ma i Lavori Pubblici furono affidati, insieme col ministero delle Finanze, a S. Murena, che il B. aveva sostituito all'Interno.
Fu una prima delusione. Il B., infatti, aspirava a rimpiazzare interamente il Murena, magari anche al ministero delle Finanze, e soprattutto pensava di entrare nel governo con autorità tale che gli consentisse di determinare tutta la politica del ministero secondo il suo programma di moderate riforme. Non senza esagerazione egli scrisse che, dopo il suo ingresso nel ministero, che coincise con la pubblicazione del secondo volume della Scienza del ben vivere sociale, "sicredette tanto in Italia che nell'estero che siffatto governo si ponesse nella strada di migliore andamento e di progresso". Non solo il B. non fu mai elevato formalmente alla carica di ministro (l'ufficio e il titolo furono di direttore), ma ben presto - secondo quanto egli narra a posteriori - per l'opposizione degli altri colleghi e del re dovette limitarsi agli affari di stretta competenza del suo dicastero. Ma anche nel più ristretto campo della politica interna egli incontrava non pochi ostacoli. "Bianchini - egli dice - voleva amministratori nel senso della parola, mentre primeggiavano idee di polizia". Il che non gli impedì nel settembre del 1855 di accettare anche la direzione del ministero di Polizia. Anche in questo caso il B. afferma di essersi sobbarcato al difficile carico con l'intento di riformare e di liberalizzare.
Coinvolto progressivamente nella meschina politica degli ultimi anni della monarchia borbonica, negli intrighi e nei contrasti con gli inetti suoi colleghi di ministero, il B. si esaurì nella fiacca e sterile azione di un governo che perdeva ogni giorno autorità e prestigio.
Con la morte di Ferdinando II egli venne allontanato dal ministero e ritornò al suo antico posto di consultore di Stato. Fu chiamato, con decreto del 12 nov. 1859, a ricoprire la cattedra - che già era stata del Genovesi - di commercio e di economia pubblica nell'università di Napoli. Il 3 dicembre tenne una stanca prolusione, cui seguì un corso (che si conserva manoscritto nella Biblioteca Nazionale di Napoli, II-G-1-2), in cui ripeté i concetti già più volte espressi nelle sue opere.
Dopo l'unificazione consumò gli ultimi suoi anni a comporre un'opera storica che soprattutto si sofferma sulle vicende del Regno di Napoli dal 1830 al 1859 e si prolunga poi fino a considerare i primi anni dell'unità italiana.
L'opera, in nove volumi manoscritti, si conserva nella Biblioteca Nazionale di Napoli e, soprattutto nell'ultima parte, è più uno zibaldone che una narrazione distesa. Nel complesso ha scarso valore e presenta qualche interesse soltanto per i riferimenti alla biografia dell'autore e per alcuni episodi di storia minore.
Il B. morì a Napoli il 10 giugno 1871.
Opere del B., oltre a quelle citate: Dei reati che nuocciono all'industria,alla circolazione delle ricchezze..., Napoli 1830; Sullo stato delle ferriere del Regno, Napoli 1834; Sul progetto di costruire un porto franco a Nisita…, Napoli 1834; Sulle questioni che riguardano stabilimenti di raffinare zucchero nel Regno delle Due Sicilie, Napoli 1835; Se la conversione delle rendite del debito pubblico nel Regno di Napoli sia giusta ed utile, Napoli 1836; Sulla questione come assicurare a' loro autori la proprietà delle opere letterarie, Napoli 1837; Dell'associazione doganale alemanna, Palermo 1843; Sulla riforma doganale della Gran Bretagna dal 1842 al 1846, Palermo 1846; Prolusione pronunziata nel 3 dic. 1859 dalla cattedra di commercio e di economia pubblica della regia università degli Studi di Napoli, Napoli 1859; Sulla questione se giovi agl'individui,alle famiglie ed agli stati la grande ovvero la piccola proprietà, in Atti della R. Acc. di Napoli, 1861. Manoscritti sono rimasti I principali avvenimenti politici e diplomatici d'Europa dal sec. XVII e Un periodo di storia del Reame delle Due Sicilie dal 1830 al 1859(Napoli, Bibl. Naz., II-G-3-11).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli,Assienti, vol. 565, f. 856; vol. 572, f. 840; vol. 574, f. 113; vol. 1073, f. 237 bis; vol. 1225, f. 184; Ibid.,Ministero dell'Interno, IIIinventario, fasc. 741 e 1474; F. Minolfi,Contemporaneità. Biogr. del cav. L. B., Capolago 1840; R. von Mohl,Uebersicht über die neuren Leistungen der Neapolitaner und Sizilianer im Gebiete der politischen Oekonomie, in Tübinger Zeitschrift (1844), pp. 255-256; F. Minolfi,Notizie contempor. su L. B., in Il Progresso, XXXIX(1846), pp. 284-295; B. Cely Colaianni,Intorno la vita e le opere del comm. L. B., Napoli 1856; G. Ricca Salerno,Storia delle dottrine finanziarie in Italia, Palermo 1896, pp. 486, 542 ss.; R. Zagaria,G. Ricciardi e il "Progresso", Napoli 1922, pp. 106 ss.; Storia dell'Univ. di Napoli, Napoli 1924, p. 524; E. De Vincentiis,La caduta della monarchia borbonica in un'opera inedita di L. B., in Arch. stor. ital., LXXXIII (1925), pp. 77-84; B. Croce,F. De Sanctis e lo scioglimento e la ricomposizione della Soc. Reale di Napoli nel 1861, in Aneddoti di varia letteratura, IV, Bari 1954,ad Indicem; R. Moscati,La fine del Regno di Napoli, Firenze 1960,ad Indicem; G. Raffiotta,Della vita e delle opere di L. B., inL. Bianchini,Storia delle finanze del Regno di Napoli, Padova 1960, pp. VII-XVI; R. Villari,Problemi dell'economia napoletana alla vigilia dell'unificazione, in Mezzogiorno e contadini nell'età moderna, Bari 1961,ad Indicem; G. Cingari, Il dibattito sullo sviluppo economico del Mezzogiorno dal 1825 al 1840, in Probl. del Risorg. merid., Messina-Firenze 1965,ad Indicem.