CAPPONI, Lodovico
Nacque a Firenze, nel quartiere di S. Spirito (gonfalone della Scala), il 19 marzo 1534 da Lodovico di Gino di Lodovico e da Caterina di Girolamo Ridolfi. Ultimo di sette figli (quattro femmine e due maschi oltre al C., Gino e Girolamo), senza contare i fratelli nati dalle prime nozze del padre con Maria Martelli, il C. fu battezzato Neri, ma, rimasto orfano del padre, ne assunse il nome. Il C. ed i suoi fratelli ereditarono un patrimonio di 50.000 scudi che il padre aveva messo insieme a Roma grazie alla protezione di Leone X ed alla società con il suocero, il banchiere Giovanfrancesco Martelli.
Giovinetto, il C. frequentò la scuola di Lodovico Buonaccorsi di San Gimignano, figlio del noto umanista Filippo, rinomato maestro di grammatica, e collaboratore di P. Vettori nell'edizione delle opere di Cicerone. Questi aveva tra i suoi scolari il fior fiore della cittadinanza fiorentina ed alcuni di essi si ritroveranno tra i partecipanti alla congiura di Piero Strozzi. Il C., intimo delle migliori famiglie fiorentine, si distinse ben presto per la sua vita spensierata ed allegra, primeggiando in tutte le feste che si davano a Firenze.
Sin da ora si delinea il carattere violento e litigioso del Capponi. Innamoratosi prestissimo di Leonora Soderini, il C. continuò a corteggiarla anche dopo le sue nozze con Matteo Strozzi, cosicché i due rivali per poco non vennero alle mani durante una messa nella chiesa di S. Frediano. Poco dopo, in seguito ad una rissa tra Gino, fratello del C., e Cecchino Bucherelli, conclusasi col ferimento di quest'ultimo, il C., alla testa dei fratelli, respinse armi alla mano un tentativo di assalto alla loro casa condotto dal Bucherelli con i suoi partigiani. Per tale aggressione il Bucherelli e due dei suoi finirono sulla forca. Forse anche in conseguenza di questo episodio il C., non ancora ventenne, si recò a Roma (1552) dove fu ospite del cardinale Salviati divenendo ottimo amico del suo nipote, Giovan Battista. Offeso dal capitano Antonio Buondelmonti (detto "Tognone"), lo sfidò a duello, ma dopo numerose dilazioni i due finirono con l'accomodarsi con un processo verbale che il C., insoddisfatto, mandò a Girolamo Muzio, la maggiore autorità dell'epoca per le questioni cavalleresche. Quindi il C. si trasferì a Napoli, diventando assiduo frequentatore della vedova del marchese del Vasto, presso la quale era stato introdotto presumibilmente dal Muzio, già segretario del marchese. Frequentò anche la corte del viceré don Pedro de Toledo. Dopoun breve viaggio a Venezia e a Bologna, ove fece visita al vecchio zio Francesco Capponi, cavaliere di Malta, noto per ricchezza ed avarizia, rientrò a Firenze. Qui riprese ad interessarsi alla vita letteraria entrando in rapporto con Francesco Giocondi che gli dedicò (1552) il suo Breve discorso delle cose seguite in Italia dal '94 in qua...e lo dissuase dall'abbracciare la carriera delle armi esortandolo invece a coltivare gli studi letterari.
Il C., famoso tra i contemporanei per la sua bellezza, conobbe in questo periodo Maddalena Vettori, unica figlia ed erede di Bernardo, morto a Genova nel 1542, e di Ginevra Bartolini, e se ne innamorò, ricambiato.
Maddalena, ricca di oltre 30.000 ducati, rappresentava un partito ambito da molti pretendenti quali Alessandro di Piero Salviati (cui era stata promessa, ma che, fautore degli Strozzi, era stato decapitato a Livorno), Iacopo di Alamanno Salviati, Sigismondo de' Rossi dei conti di San Secondo, imparentato con Cosimo I e da questo favorito apertamente nella richiesta della mano di Maddalena, e molti altri. La contesa fece tanto scalpore in Firenze che Iacopo Pitti pensò bene di celebrare la vicenda componendo le Stanze per una battaglia a torneo.Il C. per concludere il matrimonio cercò l'appoggio dei suoi parenti più in vista. Egli si rivolse in particolare ad Alessandro Capponi, suocero di suo fratello Girolamo, che fino ad allora gli aveva dimostrato affetto. Alessandro aveva addirittura proposto al C. di impiegare la dote di Maddalena per fare una compagnia in comune. Ma Alessandro, venuto a conoscenza di una lettera di Cosimo I a Ginevra Bartolini nella quale il duca si dichiarava contrario al matrimonio, timoroso di inimicarsi il sovrano, rinnegò palesemente la sua amicizia con il Capponi. Anche Giuliano Capponi e lo zio Francesco, i più anziani ed autorevoli membri del casato, per gli stessi motivi rifiutarono al C. il loro appoggio. Nel frattempo il duca Cosimo, sollecitato da Iacopo Salviati, interveniva ufficialmente nella questione inviando lettere "inibitorie" al C. e vietando espressamente a Ginevra di consentire alle nozze. Nemmeno il magistrato dei pupilli (come invece sarebbe stato suo compito) osò prendere le difese di Maddalena che tuttavia non pareva intenzionata a rinunziare al Capponi. La fanciulla, non più sottoposta soltanto a pressioni morali e psicologiche, fu falsamente dichiarata debitrice verso il fisco per 5000 scudi, e così si trovò costretta a mettere insieme affannosamente la somma necessaria mediante prestiti di denaro e vendite sottocosto di derrate. Ella subì inoltre l'onta del pignoramento del bestiame che possedeva sulla sua fattoria della Paneretta, in Valdelsa. Come ultimo tentativo per fiaccarne l'irriducibile fermezza, Cosimo I invitava a corte Maddalena, nel frattempo rifugiatasi a Prato nel convento domenicano di S. Vincenzo, per poi trattenervela in qualità di dama di compagnia della duchessa Eleonora. Il C. intanto cercava appoggi nell'ambiente cortigiano facendosi amico di don Luis de Toledo, fratello della duchessa, e di Chiappino Vitelli. Infine, grazie anche all'intervento del futuro genero di Cosimo I, Alfonso d'Este, il duca concesse al C. l'autorizzazione alle nozze che furono officiate il 21 luglio 1558 nella chiesa di S. Pietro a Scheraggio. A questo matrimonio, celebrato in versi da Giovan Battista Strozzi il Cieco, da Iacopo Pitti, e dal latinista Francesco Bocchi, venne impropriamente attribuito un significato politico e Girolamo Guicciardini non esitò ad elogiare il C. come esempio di opposizione al dispotismo mediceo. In realtà il C., subito dopo le nozze, fu uno dei cortigiani più assidui, divenendo intimo di Bartolomeo Concino e di Cosimo stesso.
Nel 1558 il C. fece parte del seguito della principessa Lucrezia che andava sposa ad Alfonso d'Este di Ferrara. Due anni dopo accompagnò Cosimo I nel suo viaggio a Roma, ove ritornerà nel 1570 in occasione dell'incoronazione a granduca di Cosimo I. Alla morte del granduca (1574), il C. fu tra coloro che portarono il baldacchino alle esequie del sovrano. Ancora nel 1584 il C. fu tra gli accompagnatori di un'altra figlia di Cosimo, Eleonora, che si maritava con Vincenzo Gonzaga. In questi anni egli fu protagonista di nuove liti e processi. Nel 1560, alla morte dello zio Francesco, iniziò una lunga lite col fratello Girolamo che si era impadronito di tutta l'eredità. Il 25 ag. 1563 i due fratelli comparvero di fronte agli Otto di guardia e balia per raggiungere un accordo, ma fino al 1586 essi non si riconcilieranno. Durante la sua permanenza a Roma nel 1570 il C., entrato in rapporto con Giulio Curto, notaio apostolico, a causa di un vecchio credito della Camera apostolica di 3350 ducati intestato a Paolo Vettori, avo di Maddalena, ebbe con lui un litigio furibondo. Ad un assalto di sicari del Curto alla villa La Paneretta (29 marzo 1571) il C. reagì aggredendo il Curto stesso a Roma (29 apr. 1571), atto che gli valse la scomunica di Pio V e la condanna a 3000 ducati ed alla galera perpetua (sanzioni successivamente revocate da Gregorio XIII). La controversia durò ancora a lungo, dando anche luogo a processi collaterali davanti al magistrato degli Otto, ma nonostante le manovre e le suppliche del C. non si giunse a una soluzione definitiva.
Il ricco patrimonio di Maddalena permise al C. di vivere splendidamente. Fu legato alla famiglia Farnese, soprattutto al cardinale Alessandro. Amante delle lettere e autore egli stesso di mediocri poesie, il C. fece parte dell'Accademia Fiorentina e fu in ottimi rapporti con molti letterati. B. Varchi indirizzò al C. una delle sue lezioni sulle Cinque questioni d'amore lette nell'Accademia, Fiorentina nel 1554 ed un volumetto di sonetti pastorali. Altre rime furono dedicate al C. da Leonardo Salviati nel 1575 e da Luca dell'Antella. Mecenate generoso, il C. ospitò numerosi nomi illustri nella sua villa La Paneretta, decorata forse da Bernardino Poccetti che aveva affrescato la cappella gentilizia del C. nella chiesa di S. Felicita, ed il suo palazzo (già Vettori), situato sul Lungamo, presso il ponte di S. Trinita. Dei suoi ospiti ricordiamo Girolamo Muzio che, povero ed ammalato, trascorse a La Paneretta gli ultimi due anni della sua vita e fu sepolto a spese del C. nella vicina chiesa di Ruffiniano. Dal 1572 il C. ebbe pure una fittissima corrispondenza epistolare con s. Caterina de' Ricci, monaca domenicana in S. Vincenzo di Prato, convento che godé della munificenza del C., ed anche di Alessandro e Luigi Capponi. Per influenza di s. Caterina il C. nutrì una particolare devozione, non esente da coloriture politiche, verso il Savonarola.
Da Maddalena Vettori il C. ebbe quattro figlie: Vittoria (sposata a Giovanfrancesco di Luigi Ridolfi), Clarice (maritata a Mario di Niccolò Doni), Giovanna e Maddalena (entrambe monacate); e due figli: Giulio e Bernardino.
Il C. morì il 6 maggio 1614.
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