CARRESIO, Lodovico
Nacque a Padova nel 1463, probabilmente da famiglia di umilissime condizioni. Conseguita la laurea in filosofia e in medicina, riuscì a guadagnarsi presto una notevole fama tra i concittadini, tanto da essere nominato promotore agli esami nelle arti insieme ad Aurelio Bonetti e a Girolamo Accorambono. In data imprecisabile seguì a Venezia i corsi di Domenico Biancolelli, medico e logico faentino amico di Pico della Mirandola e in rapporti con la corte fiorentina di Lorenzo de' Medici; dopodiché il C. avrebbe tentato la carriera universitaria nella città natale ottenendo una lettura straordinaria di logica per un compenso modesto. Ma per ottenere una cattedra ordinaria di medicina a Padova sarebbe prima occorso un periodo di tirocinio presso qualche università minore, ed è per questa ragione che nel 1495 lo troviamo a Ferrara, dove lesse pubblicamente filosofia fino al 1517. A Ferrara il C. si acquistò quella notorietà che doveva ben presto procurargli in patria la sospirata cattedra; anzi i suoi voti sarebbero stati probabilmente esauditi prima, se gli avvenimenti bellici non avessero determinato la chiusura dell'università di Padova.
Riapertosi lo Studio dopo la guerra della lega di Cambrai, il C. fu chiamato a insegnarvi medicina con la massima retribuzione offerta per legge a un padovano. Tuttavia non pare che questa bastasse ai suoi bisogni, dato che egli non tralasciò occasione per sollecitare il Senato ad aumentargli lo stipendio. Secondo lo Scardeone, che costituisce una notevole fonte di notizie sulla vita del C., egli non solo sarebbe riuscito nell'intento di farsi aumentare notevolmente lo stipendio, ma avrebbe procurato ai colleghi concittadini sensibili miglioramenti nelle retribuzioni. Lo Scardeone non esitaa designarlo percio come "paulo avidior".
Evidentemente la povertà della famiglia in cui era nato e cresciuto, gli stenti sofferti per procurarsi di che continuare gli studi dovettero condizionare la sua linea di condotta tesa a conseguire sempre maggiori guadagni. A questo elemento negativo del carattere lo Scardeone aggiungeva alcuni altri tratti che formano nel complesso una fisionomia abbastanza compiuta del C.: era vivace e irrequieto, aggressivo nelle dispute con i colleghi, aspro nei rapporti con i discepoli, eccessivamente libero nella parola sino a rasentare i limiti della trivialità e dello scandalo. Sotto questo aspetto il medesimo Scardeone non si astiene dal giudicarlo "scurra".
Nonostante siffatti limiti, il C. riuscì a coprire la cattedra di medicina nell'università di Padova per circa ventidue anni, fino alla morte, che avvenne l'11 ag. 1539.
Secondo lo Scardeone egli avrebbe lasciato una Introductio in artem medicam praticam e un trattato De tribus doctrinis, di cui non si ha traccia e che forse non furono mai dati alle stampe.
Proprio le caratteristiche del suo carattere hanno permesso al C. una larga notorietà in quanto sono queste, a detrimento dei suoi meriti scientifici, che sono state rappresentate e messe in burla in un componimento maccheronico dell'epoca, di 144versi, intitolato Carmina viri amaistrati Coradi in Tosetum fachinum.
L'argomento, in tre distici, precede la macaronea alla maniera del Baldus;seguono la proposizione e l'invocazione; dopodiché si procede al racconto comico degli avvenimenti. Toseto, che altri non è se non il C., è il figlio di un padovano residente a Venezia, dove faceva, appunto il facchino. Il fratello maggiore viene collocato ben presto in bottega di speziale, mentre al protagonista viene assegnato per un certo tempo il mestiere del padre. Alla morte di questo, che gli lascia in eredità poche masserizie e scarse suppellettili, Toseto decide di eseguire a rovescio la volontà del genitore, vendendo tutto e mettendosi a bighellonare in cerca di qualcuno cui poter offrire i propri servigi. Il medico Mengo (cioè Domenico Bianconelli) decide di prenderlo come cuoco e gli offre al posto del salario i propri insegnamenti di cui si giova con vivacità e spregiudicatezza il giovane sfaccendato. Quando si sente sufficientemente pronto ad affrontare gli studi, Toseto lascia il servizio di Mengo e si trasferisce a Padova, ricercandovi una cattedra. Riesce a far carriera con la prevaricazione e la maldicenza, abbindolando gli studenti, pronunciando sentenze da ciarlatano, tentando l'amicizia di colleghi più famosi tra cui Nicoleto (cioè Nicoletto Vernia, il celebre maestro di Pico della Mirandola) e Nardo (Francesco Securo da Nardò, stimato autore di commentari alla Metafisica di Aristotele). Usando le più spregiudicate tecniche di scalata sociale, Toseto riesce prima ad ottenere una lettura straordinaria e poi una cattedra ordinaria. A questo punto l'autore della satira inveisce apertamente contro il losco personaggio ingiungendogli di porre fine al suo insegnamento istrionesco e di abbandonare lo Studio. Altrimenti sarà proprio l'autore a smascherarlo facendo sapere a tutti che l'acclamato maestro altri non è che il personaggio "qui iam portavit cestum per plaza Rialti".
L'identificazione di tutti i maggiori personaggi della satira corrisponde alla dimensione reale del protagonista quale affiora dalle pagine dello Scardeone. La caricatura dei toni è ovviamente da addebitarsi tutta all'autore, che doveva nutrire dei motivi di personale risentimento contro Toseto-Carresio, fosse egli un suo sfortunato collega, ovvero - come appare più probabile - un suo discepolo.
Il componimento ha tutte le caratteristiche della poesia goliardica anteriore al Folengo e forse anche al Nobile Vigonze opus, l'opera che presenta maggiori affinità, sia contenutistiche che espressive, con i versi improvvisati e artigianalmente connessi di Corado. Di questo autore, che è forse il primo ad aver tentato un genere letterario così fortunato nel Cinquecento, non si sa assolutamente nulla ed è forse destinato a rimanere un nome nel panorama, del resto abbastanza anonimo, della poesia maccheronica. Si può dire di lui soltanto che non appare uomo dotato di sufficiente cultura, tali sono le incongruenze espressive e la modesta cifra stilistica che appaiono nell'opera. Per quel che riguarda la data di composizione, il Fabris ha congetturalmente avanzato l'ipotesi che questa possa situarsi tra il 1483 e il 1489.
Fonti e Bibl.: B. Scardeoni De antiquitate Urbis Patavii, Basileae 560, pp. 220 ss.; S. Riccobono, De Gymnasio patavino Commentariorum libri sex, Patavii 1598, pp. 21 ss.; F. Borsetti, Historia almi Ferrariae Gymnasii, Ferrariae 1735, II, pp. 96 ss.; G. Pardi, Lo Studio diFerrara, Ferrara 1903, p. 149; G. Fabris, Il più antico doc. di poesia macaronica: la Tosontea di Corado, in Atti dell'Ist. ven. di scienze, lettere e arti, s. 8, LXV (1905-06), 5, pp. 557-590 (con l'edizione del testo: rec. in Giorn. stor. della letter. ital.XLVIII [1906], pp. 463 s.).