CORFINO (Corfini), Lodovico
Nacque a Verona, da Corfino e da Giulia (di casato ignoto), nel 1497 o nel 1498. La sua famiglia era di antica nobiltà veronese, e tradizionalmente dedita all'attività notarile (notai erano anche il nonno e lo zio patemi del C., Bonaventura e Dionisio); originaria del sobborgo di Quinzano, abitava all'inizio del Cinquecento nella contrada dei Ponte della Pietra, ove anche il C. dimorò fino alla morte.
Attorno al 1524 sposò Lucrezia Bagolino, dalla quale ebbe numerosi figli, almeno nove. Ricoprì varie cariche pubbliche: nel 1523 fu edile della Casa dei mercanti; nel 1528 giudice delle Sórti (acque e strade dei sobborghi); nel 1533 giudice dei Dugali (acque e strade del territorio); nel 1536 cavaliere di Comune (annona, edilizia, ecc.); nel 1545 vicario delle Montagne; nel 1548 nuovamente giudice delle Sorti; nel 1556 vicario del distretto di Angiari. Dal 1530 fu ascritto al Nobile Consiglio di Verona. Visse in mediocre agiatezza (nel campione dell'estimo del 1545 è registrato con io soldi). Si dilettò di letteratura, scrivendo, oltre a vari componimenti poetici, un romanzo in prosa. Godette di una certa fama tra i contemporanei, e conobbe autorevoli personaggi, fra i quali il cardinale Ercole Gonzaga, cui indirizzò un sonetto (Rime di diversi, 1556, p. 276;a Isabella d'Este sarebbe invece rivolta - secondo lo Scolari - la dedicatoria del romanzo). Morì a Verona il 12 maggio 1556.
Il romanzo del C., tramandato adespoto da un manoscritto della prima metà del sec. XVI, fu pubblicato, coi titolo di Istoria di Phileto veronese, nel 1899 da G. Biadego. Il racconto è condotto in forma autobiografica, e l'autore-protagonista si cela sotto il nome di Phileto; ma è egli stesso a svelare la sua identità quando si proclama fratello di Girolamo Corfino di Verona (Istoria di Phileto, p. 75): le anagrafi dell'epoca infatti attestano che il C. aveva un fratello a lui maggiore di cinque anni di nome Girolamo. L'azione del romanzo copre un arco di circa due anni, compreso, come si desume da alcuni riferimenti alle condizioni politiche di Verona presenti nel testo, tra il 1515 e il 1518. La narrazione si apre con l'innamoramento di Phileto, disperato a cagione della recente morte del fratello maggiore, per una fanciulla veronese, Euphrosine B. Il protagonista riesce a farsi strada nel cuore dell'amata, e ad ottenere dalla famiglia di lei il consenso a sposarla; ma, assalito per via da un pretendente deluso della donna, Eugenio Montano, è costretto ad ucciderlo per difendere la propria vita. Temendo le ritorsioni dei familiari dell'ucciso e i rigori della legge, Phileto fugge da Verona con un amico, Homopathe, e con lui peregrina lungamente, passando attraverso numerose avventure, per l'Italia, il Mediterraneo e l'Africa settentrionale. Finalmente, sbattuto da una tempesta sulle coste venete, fa ritorno a Verona, ove ritrova la fedele amata e si rappacifica con la famiglia Montano.
L'impostazione autobiografica dell'Istoria di Phileto e la coerenza di alcuni particolari del racconto con la realtà della Verona cinquecentesca (per esempio, l'attribuzione ai personaggi di cognomi storicamente attestati, come Montano) non devono indurre a sopravvalutare l'attendibilità del romanzo del C. come testimonianza di autentiche vicende dellavita dell'autore. A parte, infatti, l'esistenza nel tessuto narrativo dell'Istoria di Phileto di ampie zone di palese carattere fantastico, anche episodi che, per la loro apparenza verisimile e circostanziata, sembrerebbero poter riflettere effettive esperienze biografiche del C., come l'uccisione del rivale e il conseguente esilio dello scrittore da Verona, non trovano alcuna conferma nei documenti dell'epoca e lasciano perciò un largo margine di dubbio circa il loro fondamento reale; e persino fatti sicuramente storici vengono dall'autore riferiti senza rispetto della cronologia: la morte del fratello Girolamo, che l'anagrafe del 1518 registra ancora vivente, è presentata come anteriore all'inizio dell'azione del romanzo (1515 o 1516.). Non come documento biografico, sia pure letterariamente adomato, deve perciò essere letta l'Istoria di Phileto, ma essenzialmente come opera d'arte, nella quale l'autore ha fatto anche confluire, liberamente rielaborandole e trasfigurandole, alcune fondamentali esperienze della sua vita. Già la scelta dei nomi dei personaggi principali del racconto appare suggerita non tanto dal desiderio di renderne irriconoscibile la reale identità, quanto piuttosto dalla volontà di garantire alla vicenda narrata una validità eccedente quella di una semplice relazione autobiografica, e una dimensione esemplare: l'intenzione allusiva è dichiarata esplicitamente per il nome del protagonista (Istoria di Phileto, p. 9), ma è scoperta anche per quelli di Homopathe e di Euphrosine B., nella quale il Biadego riconobbe, probabilmente a ragione, la moglie del Corfino. Il carattere sostanzialmente letterario del romanzo risalta però con evidenza quando si consideri lo sviluppo dei due temi in esso dominanti, l'erotico e l'avventuroso, e l'impegno stilistico dello scrittore: sotto la pagina del C. si avverte la presenza di tutta una illustre tradizione lirica e narrativa e l'influsso, al di là di quello più immediato, ma meno importante - notato dallo Scolari - del Libro del Peregrino di J. Caviceo e della vita del Caviceo stesso di G. Anselmi, di autorevoli modelli. Lo stile dell'Istoria di Phileto risulta, con rispondenza alla varietà di motivi che il romanzo accoglie (ricostruzione delle diverse fasi dell'amore e degli stati d'animo degli innamorati; racconto di intrighi, rapimenti, naufragi), composito, ma sempre di notevole dignità letteraria, e ha i suoi esemplari nel Petrarca e nel Boccaccio. I differenti temi e toni appaiono però, più che compiutamente fusi, accostati gli uni agli altri; né risultano raccolti in piena armonia attorno al motivo conduttore del libro, l'amore e la nostalgia per la donna e per la patria, che soprattutto nelle pagine conclusive del racconto non è privo di accenti suggestivi.
L'Istoria di Phileto si può assegnare con sufficiente certezza, tenendo anche presente che l'autore nel proemio la dice opera dell'adolescenza, al decennio 1520-1530. Impossibile è invece datare le poesie note del C. (trentaquattro sonetti, una canzone, un madrigale), pubblicate in quattro volumi di rime di diversi autori, tra il 1551 e il 1556. Si può però supporre che esse siano sparse testimonianze di un'attività poetica estesasi per un ampio arco di tempo: numerose dovevano essere le rime del C., se il Valerini annunciava nel 1586 che presto ne sarebbero uscite in luce "molte" inedite (Le bellezze di Verona, p. 84). Ciò non avvenne; ma quanto conosciamo della produzione lirica del C. ci consente di ricostruire i tratti salienti della sua personalità poetica: certamente non di singolare rilievo, eppure storicamente interessante. Sottesa alla poesia del C. è la lezione del Canzoniere del Petrarca, seguita con un rigore che attesta la conoscenza e l'accettazione della poetica bembiana (e riecheggiamenti del Bembo lirico non mancano nel Corfino). Il modello petrarchesco non solo orienta in maniera determinante le scelte lessicali del C., la cui lingua è ben lontana da quella eterogenea della lirica cortigiana del sec. XV, ma suggerisce anche alla sua poesia temi, situazioni, soluzioni stilistiche e metriche. Sia che il C. tratteggi il ritratto dell'amata, come nel sonetto "Occhi sereni, occhi che 'l cor m'avete" (Delle rime di diversi, 1553, p. 254); sia che descriva il suo solitario vagare, come nel sonetto "L'incolte piagge, e l'orride montagne" (Rime di diversi, 1556, p. 282); sia che mediti sulla caducità umana, come nel sonetto "Ahi come ratto se ne porta il sole" (ibid., p. 283), sempre mostra di aver presente il magistero del Petrarca. Poche liriche del C. si discostano dalla ripresa di motivi e di toni petrarcheschi: tra queste, il sonetto "Piova sangue, e dal ciel cada ogni stella" (ibid., p. 280), in cui la disperazione amorosa dell'autore si effonde con violenta drammaticità, e il sonetto "Chieggio perdono i' fui poco cortese" (Dellerime di diversi, 1551, p. 164), nel quale uno spunto "realistico" (l'innamorato che colpisce con una palla di neve l'amata) viene collegato alle tradizionali metafore delle fiamme d'amore e del cuore di ghiaccio per produrre un esito arguto.
Opere: Istoria di Phileto veronese, a cura di G. Biadego, Livorno 1889 (pagine scelte dall'Istoria in Novellieri del Cinquecento, a cura di M. Guglielminetti, I, Milano-Napoli 1972, pp. 46-63); Delle rime di diversi eccellentiss. autori nella lingua volgare libro quarto, Bologna 1551, pp. 164-165; Delle rime di diversi eccellenti autori libro sesto, Venezia 1553, cc. 253r-254r; Delle rime di diversi illustri signori napoletani e d'altri nobilissimi ingegni libro quinto, ibid. 1555, pp. 255 [ma 287]-290; Rime di diversi signori napolitani e d'altri, libro settimo, ibid. 1556, pp. 276-290.
Fonti e Bibl.: La famiglia Corfino è ricordata tra quelle famose di Verona da M. Moro, Pomposi fregi di Verona, Verona 1611, p. 34. Notizie sulla sua origine e sui suoi componenti in due opere di A. Torresani, conservate manoscritte (sec. XVII) nella Bibl. com. di Verona: Elogiorum histor. nobilium Veroriae propaginum sectio secunda (ms. 808. II, 147); Genealogicae probatae tabulae nobilium Veronae propaginum (ms. 974, c. 11). Un cenno su di essa in A. Cartolari, Famiglie già ascritte al Nob. Consiglio di Verona, Verona 1854, II-III, p. 35. Lo stemma gentilizio dei Corfino è riprodotto in una raccolta di stemmi veronesi, compilata nel 1580 da M.A. Corfino (Verona, Bibl. com., ms. 967, c. 21): ovale, tagliato a metà da una fascia, ha nella parte superiore due cuori rossi in campo azzurro, in quella inferiore un cuore azzurro in campo rosso. Il C., non menzionato in nessuno degli scritti fin qui ricordati, è registrato (in un primo tempo con i genitori e i fratelli, in seguito con la moglie e i figli), sotto la contrada del Ponte della Pietra, nelle Anagrafi del 1501, 1515, 1518, 1530, 1541, 1545, 1552, 1555, e nel Campione dell'estimo del 1545 (Arch. di Stato di Verona, Ant. Arch. Veronesi). Le incoerenze delle Anagrafi nel fissare l'età del C. giustificano l'incertezza sull'anno della sua nascita. Le cariche pubbliche ricoperte dal C. sono registrate in I. A. Verza, Veronensium civium nomina quae in comitiis magnifici Consilii ac in officiis magnificae civitatis reperiuntur ab anno domini MCCCV per annum MDCCLVII, pars altera, cc. 56-57, ms. dell'Arch. di Stato di Verona (segn. Comune 150). La data di morte del C. si legge in una supplica presentata il 23 giugno 1556 da due suoi figli, Dionisio e Geronimo, ai Rettori e al Consiglio di Verona, affinché concedessero allo zio materno, Ludovico Bagolino, di succedere nel vicariato d'Angiari a loro padre (Arch. di Stato di Verona, Atti del Consiglio, segn. Comune 83, c. 169r). Si avverta anche che il luogo di nascita e di morte del C. non è attestato da nessun documento; ma non pare dubbio che sia Verona. Si veda, inoltre, A. Valerini, Le bellezze di Verona, Verona 1586, pp. 3, 84; S. Maffei, Verona illustrata, III, 2, Milano 1825, p. 382; G. Biadego, Catalogo descrittivo dei mss., Id., Notizie biogr. di L. C., in L. Corfino, Istoria di Phileto, pp. VII-XXVII(vedi anche la rec. anonima all'edizione del romanzo del C., a cura di Biadego, in Giornale storico della letteratura italiana, XXXIV [1889], pp. 447 s.); A. Albertazzi, Il romanzo, Milano 1902, pp. 54 s.; M. Augé-Chiquet, D'une "canzone" de C. a la "Psyché" de Corneille, in Revue d'histoire littéraire de la France, XV (1908), pp. 507-510; A. Scolari, Un romanzo veronese dedicato a Isabella d'Este, in Giorn. stor. della lett. ital., LXXXIV (1924), pp. 75-83 (ora in Scolari, Pagine veronesi, Verona 1970, pp. 71-83); G. Raya, Il romanzo, Milano 1950, p. 96; G. Toffanin, IlCinquecento, Milano 1960, pp. 212 s.; M. Guglielminetti, Introduzione ai Novellieri del Cinquecento, Milano-Napoli 1972, p. XV; B. Porcelli, La novella e la narrativa, in La letteratura italiana. Storia e testi, IV, 2, Bari 1973, pp. 210-213.