VARTHEMA, Lodovico de
Viaggiatore italiano del sec. XVI. Sembra probabile (in via congetturale) che nascesse a Bologna, intorno al 1465-1470. Ed è anche da credere che avesse per qualche tempo seguito il mestiere delle armi. Sappiamo che nel 1500 si partì da Venezia e, sbarcato in Egitto ad Alessandria, si recò al Cairo, poi, ripreso il mare, a Beirut e a Tripoli di Siria, e di qui ad Aleppo e a Damasco, dove si trattenne fino all'aprile del 1502 per apprendere l'arabo. Stretta qui amicizia con un cristiano rinnegato che guidava una numerosa carovana di pellegrini mussulmani, si condusse insieme con questi alla Mecca, compiendo per primo fra gli occidentali quel viaggio e per primo lasciandoci della regione e delle cerimonie religiose cui fu presente, una viva e fedele descrizione. Invece di tornare poi in Siria, si unì ad altri pellegrini diretti in Persia, ma ad Aden, accusato di essere spia dei Portoghesi, fu gettato in prigione e poi condotto a Rada (Rauddha), a N. di San'ā, dove riuscì a entrar nelle grazie della sultana, e così a farsi rimettere in libertà. Poté anzi a suo agio scorrere in lungo e in largo lo Yemen, che nessun Europeo aveva visitato prima di lui; quindi passò in Persia, si spinse fino a Herāt, e da Hormuz volse in India, in compagnia di un mercante persiano conosciuto a Shirāz. Costeggiato il Malabar, approdò a Ceylon, e da Ceylon risalì il Coromandel fino a Palicat, traversò quindi il Golfo del Bengala per toccar terra a Tenasserim nel Siam, e poi, con altre navigazioni, a Chittagong (Banghella) e a Pegù. Continuò quindi il suo itinerario per Malacca, Sumatra, le Molucche, Borneo e Giava, donde tornò a Malacca e a Calicut. A Calicut il Varthema s'incontrò con due mercanti di Milano, che avevano accettato di aiutare, fabbricando pezzi d'artiglieria, i preparativi degl'Indiani contro i Portoghesi, e si condusse in modo da meritare la fiducia di questi, al cui fianco combatté nello scontro navale di Cananor (16 marzo 1506). Ne ebbe in compenso dal viceré F. d'Almeida la carica di sorvegliante dei mercanti, ma tornò presto alle armi, portandosi così valorosamente, che venne dal viceré stesso creato cavaliere sul campo di battaglia. Ottenuto alla fine di rimpatriare, lasciò l'India il 6 dicembre 1507 con una squadra di navi portoghesi comandata da Tristan d'Acunha. Compiuta la circumnavigazione dell'Africa, approdò a Lisbona nel giugno del 1508 e si ebbe a Cintra dal re Manoel la conferma del titolo concessogli dal D'Almeida. Da questo momento si perdono le tracce del Varthema; si sa solo che nel novembre dello stesso anno era a Venezia a riferire in Consiglio dei suoi viaggi. È sicuro però che passò gli ultimi anni della sua vita a Roma dove morì certo innanzi il giugno del 1517.
L'itinerario che di lui ci rimane (ultima ed. italiana, a cura di P. Giudici, Milano 1928) e al quale è affidata la sua fama raccoglie ed espone i risultati di una lunga esperienza di viaggi, relativi a regioni che in parte venivano per la prima volta rivelate agli Europei. Come ad altri viaggiatori di quell'epoca, non sono mancati al V. critiche e rimproveri, specialmente per quanto si attiene alle notizie che egli ci dà sulle Isole della Sonda, nelle quali egli avrebbe preceduto di qualche poco l'arrivo dei Portoghesi (v'è anche un accenno esplicito alle stelle visibili nel continente australe, e uno un po' vago dell'esistenza di un continente abitato, a mezzogiorno di Giava, sulla cui identificazione tuttavia non possono cader dubbî). Ma in realtà lacune e contraddizioni, che non meravigliano in chi, a tanta distanza di tempo, deve render conto di peregrinazioni così lunghe e movimentate, non possono toglier fede a un racconto nella sua semplicità schietto e dimesso, quanto pochi di quello e del secolo seguente. Uomo d'arme e spirito pratico senza pastoie dottrinali né borie cavalleresche, il V. appartiene a quella numerosa schiera d'Italiani che hanno saputo porre il proprio acume di osservatori, il proprio buon senso e soprattutto la propria eccezionale intuizione a servizio di una curiosità istintivamente volta a nobilitare e potenziare la dignità umana. La sua semplicità e naturalezza non sono segno di povertà spirituale, ma di un'immediatezza e di una concretezza che attestano, al contrario, una natura complessa, da cui l'esperienza distilla un raro approfondimento dell'uomo e del mondo in cui opera. L'Itinerario costituisce un prezioso riflesso dell'Oriente arabo e indiano, non veduto soltanto, ma vissuto e penetrato dal didentro, e perciò colorito da un brio che trapassa qua e là in una temperata e diffusa ironia. Pubblicato per la prima volta nel 1511, ebbe un enorme successo: quaranta edizioni a stampa nel sec. XVI, senza contare i numerosi estratti, e una decina nel successivo. Oltre che in latino (1511), fu tradotto in tedesco (1515), in spagnolo (1520), in fiammingo (1544): in francese (1556) e in inglese (1577) e utilizzato così dai geografi come dai cartografi per almeno due secoli.
Bibl.: A. Bacchi della Lega, L. de V., viaggiatore bolognese del sec. XV, in Atti e memorie della R. Deput. di stor. patria per le Romagne, 4ª serie, VII, Bologna 1918; introduzione di R. Temple all'ultima edizione inglese della traduzione di J. W. Jones, Londra 1929.