DEL DUCA, Lodovico
Figlio di Giovan Pietro e fratello dell'architetto e scultore Giacomo, nacque in Sicilia, forse a Cefalù. Talvolta fu erroneamente chiamato Scalza (Scalzi, Scalzo: Nagler, 1924, XVII, p. 14), sicuramente per confusione con lo scultore Lodovico Scalza d'Orvieto.
Il D. appare menzionato per la prima volta in un documento del giugno 1551: una lettera del Vasari a Lorenzo Ridolfi, riguardante una richiesta di 10 ducati per un Lodovico che aveva fuso delle teste di bronzo "all'antica" per decorare il palazzo Ridolfi a Firenze.
All'inizio degli anni '70, il D. collaborò col fratello Giacomo al monumento funebre, realizzato da quest'ultimo, di Elena Savelli in S. Giovanni in Laterano. Sul marmo risaltano numerosi i rilievi in bronzo: un angelo, l'effige della defunta, le armi e tre tondi. Questi tre medaglioni, fusi dal D., illustrano il Giudizio universale e la Resurrezione dei morti.
Il tondo in alto a sinistra rappresenta il Cristo giudice. Al centro un angelo si appresta a suonare la tromba del Giudizio e a chiamare i morti, in parte sotto forma di scheletri, raffigurati nell'ultimo medaglione in basso.
Nel 1575 il D., di nuovo in collaborazione con il fratello, fuse i raggi o fiamme che contornano l'emblema del monogramma di Cristo, destinato alla facciata principale della chiesa del Gesù, eseguito su disegni e modelli di Bartolomeo Ammannati. Nel registro della fabbrica, su cinque volte in cui è citato il nome Del Duca, Giacomo appare unicamente la prima, mentre in quelle successive compare il solo nome del D. (Pecchiai, 1952, p. 71). Si ha inoltre notizia che in merito alla sua retribuzione nacque una controversia per dirimere la quale fu chiamato come esperto Guglielmo Della Porta (ibid., p. 72). Nel 1583 (Schönherr, 1893, n. 11.028), dopo il rifiuto del fratello Giacomo, il D. fu chiamato per la fusione della statua di Massimiliano I inginocchiato per la sua monumentale sepoltura nella Hofkirche di Innsbruck (ill. in Morpurgo, 1937). Era stato lo stesso Massimiliano a intraprendere, fin dal 1502, quest'opera la cui realizzazione si protrasse per più di ottant'anni e a cui parteciparono alcuni tra i più grandi artisti del tempo.
Con un contratto del 15 genn. 1583 (Schönherr, 1893, nn. 11.089, 11.093, 11.094), ratificato dall'arciduca Ferdinando II il 13 marzo dello stesso anno, il D. si impegnò a fondere la statua nella fonderia di Mühlau dietro pagamento di 450 corone e, nel caso in cui il suo lavoro non avesse soddisfatto gli esperti e l'arciduca, a fondere di nuovo l'effigie dell'imperatore a proprie spese. Questa clausola non era puramente formale dal momento che, dopo il tentativo fallito di H. Ch. Loeffler nel 1553, nessuno dei fonditori successivamente interpellati aveva accettato l'offerta. Nel 1584 il D. venne pagato per la statua, che era di fatto la prima opera di grandi dimensioni da lui eseguita fino a quel momento. Deve avere avuto un certo successo a Innsbruck poiché, secondo gli archivi, a spese dell'arciduca Ferdinando II iniziò un apprendista all'arte della fusione del bronzo. Il 12 ott. 1584 mandò da Roma una lettera all'arciduca e nel 1585 era ancora in rapporti con lui (Thieme-Becker).
Durante il pontificato di Sisto V il D. raddoppiò la sua attività nella stessa Roma. Tra il 1586 e il 1590 fuse con Bastiano Torrigiani, che dirigeva la fonderia pontificia, un tabernacolo in bronzo dorato per la cappella del presepio a S. Maria Maggiore (che il papa aveva fatto restaurare), probabilmente su modelli, secondo quanto dice la tradizione, di Riccio e Andrea Soncino (Titi, 1763).
Sull'altare si eleva il ciborio sorretto da quattro angeli che con le mani libere reggono delle cornucopie portacandele. Al D. è attribuibile la fusione del ciborio a forma di tempio e ornato di figurine, mentre Torrigiani sarebbe l'autore dei quattro angeli. Sotto la base è incisa la data del 1590. Il pagamento di quest'opera, che rivela l'influsso di Michelangelo e richiama il tabernacolo Farnese di Giacomo Del Duca attualmente conservato al Museo nazionale di Capodimonte, venne effettuato a rate dal 1587 al 1590 (Bertolotti, 1884, pp. 78, 82).
Nel 1586 cominciarono i lavori ordinati da Sisto V per lo spostamento e l'erezione dell'obelisco oggi in piazza S. Pietro. Sotto la direzione di Domenico Fontana, presero parte alla realizzazione di questa impegnativa opera, molti fonditori, tra i quali, di nuovo, il D. e Bastiano Torrigiani (Bertolotti, 1884, pp. 79, 81). Il D. realizzò i quattro leoni di supporto all'obelisco nel 1588 fondendoli secondo i modelli di Prospero Bresciano e di Cecchino da Pietrasanta. Questi ultimi sono gli stessi artisti che, insieme a Gregorio de Rossi, lavorarono all'obelisco di S.
Giovanni in Laterano, per il quale il D. fornì altri quattro leoni (ibid., p. 81). Ulteriori notizie relative a questi lavori sono giunte in gran numero dai documenti relativi ad un processo intentato da Prospero Bresciano contro Orlando Landi nel 1592 (Bertolotti, 1881).
Nel 1592 il D. eseguì, per conto del nipote del cardinale Savelli, un Crocifisso in bronzo dorato per l'altare, poi dedicato a s. Ignazio, al Gesù. Nel 1598 venne pagato per lavori eseguiti nella basilica del Laterano (Thieme-Becker): senza dubbio si trattava di una sua partecipazione alla decorazione della cappella del Sacramento.
Il suo nome appare, insieme con quello di Antonio Gentili, ambedue in qualità di esperti estimatori, in un documento del febbraio 1600, presentato da Orazio Censore per lavori eseguiti a S. Giovanni ["Giacomo"] in Laterano (Bertolotti, 1884, p. 186). Il 14 dic. 1600 è documentato a Loreto per compiere la stima della cappella della Pietà realizzata da A. Calcagni (Grimaldi-Sordi, 1987). Il D. è infine menzionato per l'ultima volta il 13 giugno 1601, quando la Congregazione di S. Maria di Loreto gli rimise alcune forme di gesso facenti parte dell'eredità del fratello Giacomo, autore della cupola di questa chiesa (Bertolotti, 1879).
Seguendo la moda del tempo, il D. fuse, oltre alle opere sopra menzionate, bronzi di piccole dimensioni tratti da modelli antichi: senza dubbio la copia della statua equestre di Marco Aurelio conservata al Museo nazionale del Bargello di Firenze, alta 38 cm, che porta inciso alla base il nome del fonditore (la statua doveva allora godere di molta popolarità, visto il numero di copie che ce ne sono pervenute). È stata recentemente attribuita (Accascina, 1974) al D. anche una piccola placca bronzea con una Pietà (oggi al Museo regionale di Messina), che presenta molte affinità con la Pietà eseguita dal fratello Giacomo che è stata donata in testamento dalla marchesa Edith Dusmet de Semours alla Gall. naz. d'arte antica di Roma (cfr. M. D'Orsi, in Boll. d'arte, XXXIX [1954], pp. 365 s.). Pare che il D. durante il suo soggiorno a Innsbruck abbia lavorato anche per la corte ducale di Baviera (Hirn, 1885, pp. 375 s.).
Forse fu proprio grazie alla parentela con Antonio Del Duca, suo zio, vero promotore di S. Maria degli Angeli e "cappellano presso" S. Maria di Loreto, se il D., proprio come il fratello Giacomo, fece parte e fu anche, in certo qual modo, consigliere della Confraternita dei fornari, come appare fin dal 1577 dai verbali delle riunioni riguardanti per esempio i lavori a S. Maria di Loreto (Benedetti, 1967, pp. 4, 37). Il suo nome si ritrova anche fra gli artisti che, al seguito di Federico Zuccari, s'impegnarono a osservare lo statuto dell' "Accademia del Disegno" (Heikamp, 1961).
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