EUFFREDUCCI, Lodovico
Nacque a Fermo nel 1497 da Tommaso e Celanzia degli Oddi, appartenente alla nobile famiglia degli Oddi di Perugia.
La famiglia dell'E. era di antiche e nobili origini: sin dal sec. X aveva, infatti, tenuto la signoria di Falerone, da cui però, in seguito ai disordini causati dalle lotte per il mantenimento del potere, era stata bandita con un'ordinanza dei Priori dell'8 sett. 1380, che costrinse gli Euffreducci a trasferirsi a Fermo. Qui essi conseguirono ugualmente una posizione sociale elevata, ricoprendo alte cariche e magistrature civili: il bisnonno dell'E., Lodovico, ad esempio, ebbe il titolo di conte di Montechiaro e venne nominato senatore da papa Niccolò V nel 1452 e poi ancora nel 1453 e 1454. Il padre dell'E., Tommaso, fu più volte eletto console della contrada Fiorenza (una delle sei contrade in cui si divideva Fermo), ma morì ancora giovane nel 1498 durante l'assedio di San Pietro degli Agli.
L'esponente più famoso della famiglia dell'E. fu senza dubbio lo zio Oliverotto, che divenne signore di Fermo nel 1502; l'anno successivo fu però vittima della strage compiuta da Cesare Borgìa a Senigallia. Alla morte di Oliverotto, a Fermo scoppiarono numerosi tumulti e il popolo prese d'assalto il palazzo della famiglia dell'E., simbolo dell'odiato tiranno; a stento la madre riuscì a salvarsi, rifugiandosi a Perugia nella casa paterna con i figli: oltre all'E., le tre sorelle, Giovanna, che sposò nel 1521 Valerio Orsini, Caterina, che andò in moglie ad Alfonso Paccaroni, e Zenobia, che divenne moglie di Vincenzo Adami.
A Perugia l'E. trascorse la fanciullezza dedicandosi ben presto alla vita militare ed entrando a far parte delle milizie di Giampaolo Baglioni, signore della città. Tuttavia, il desiderio dell'E. era quello di poter un giorno rientrare in patria. Nel 1513, approfittando del fatto che con la morte di papa Giulio II la sede pontificia era rimasta vacante, fece istanza, tramite il cardinale Alessandro Farnese, legato apostolico per la Marca, e Giampaolo Baglioni, perché il governo di Fermo lo reintegrasse nei suoi diritti di cittadino e lo riammettesse in città. Essendo state rifiutate le sue richieste, l'E. decise di passare alle vie di fatto e con un audace colpo di mano, il 9 marzo dello stesso 1513, si impadronì dell'avito castello di Falerone, dove radunò tutti i fuorusciti e seguaci della sua famiglia e un grosso contingente di armati, con l'intenzione di muovere contro Fermo e rientrare con la forza in città. A nulla valse Pìnvio, da parte del governo fermano, di un commissario, Giovanni Antonio Euffreducci, per farlo desistere dal proposito; pertanto, con l'assenso del governo pontificio, che temeva il propagarsi della rivolta, venne deciso di inviargli contro un corpo di 4.000 fanti con l'ordine di farlo prigioniero; l'E. decise però di abbandonare l'impresa.
Con l'elezione a papa del cardinale Giovanni de' Medici che assunse il nome di Leone X (11 marzo 1513), la situazione mutò radicalmente, in quanto l'E. godeva del favore della famiglia dei Medici; da adolescente infatti era stato anche paggio del futuro pontefice. Approfittando di questa favorevole contingenza e con l'appoggio dei Baglioni e di numerosi altri fuorusciti, fra i quali Girolamo Brancadoro, Giosia e Cesare dei Nobili, il 24 marzo 1514, l'E. rientrò a Fermo accolto con grande giubilo dalla popolazione. Il giorno successivo il Consiglio generale dichiarò aßolite le sentenze di bando e di confisca dei beni relative all'E.; non mancarono tuttavia violenze e tumulti da parte del popolo e delle milizie, in seguito ai quali i membri delle fazioni opposte dovettero lasciare la città. Acclamato signore di Fermo, l'E. richiamò tutti i fuorusciti della sua parte e, convocato di nuovo in aprile il Consiglio, chiese e ottenne il perdono generale per tutti. Il nuovo papa, a cui l'E. aveva inviato un'ambasceria per metterlo al corrente della situazione e perorare la sua causa, decise di accogliere la sua istanza e di riconoscere il regime politico instaurato a Fermo.
Nello stesso 1514 l'E. fu impegnato a combattere in aiuto della Comunità di Gualdo contro quella di Germano e sul finire dell'anno, nel dicembre, venne incaricato di accompagnare Giuliano de' Medici per un'importante ambasceria presso il re di Francia, Luigi XII, che il papa desiderava rassicurare sui vincoli di amicizia e alleanza da parte della S. Sede, allontanando i sospetti del sovrano di un riavvicinamento politico del pontefice con la Spagna. Sempre al servizio di Leone X, l'E., nel febbraio del 1515, con un contingente di cavalleria, e accompagnato dal proprio luogotenente Alessandro Simeoni, si recò a Firenze per unirsi alle forze di Giuliano de' Medici, nominato capitano generale delle truppe fiorentine, che stava organizzando una spedizione in Lombardia contro i Francesi che minacciavano di invadere lo Stato di Milano. Ammalatosi in seguito Giuliano, il comando fu assunto dal fratello Lorenzo, anche se le truppe fiorentine e pontificie rimasero in realtà ferme in Romagna a salvaguardia dei confini dello Stato della Chiesa. L'E. tornò a Fermo nell'ottobre successivo: durante la sua assenza vi era stato il tentativo di impadronirsi della città da parte della fazione avversa, capeggiata dai Brancadoro, ma l'azione era stata ben presto bloccata per intervento del vicelegato della Marca; i ribelli erano stati condannati e i loro beni confiscati.
Nel 1516 l'E. fu chiamato a Roma per organizzare le truppe destinate alla conquista del Ducato di Urbino contro Francesco Maria Della Rovere; nel luglio, al comando di 2.000 fanti, partecipò all'impresa, guidata da Lorenzo de' Medici, che il 18 agosto venne investito del Ducato di Urbino. Ma ancora una volta, approfittando dell'assenza dell'E., a Fermo vi fu un tentativo dei fuorusciti di rientrare in città: capeggiati da Francesco Nobile e Girolamo di Giulio e con l'aiuto di Muzio Colonna, che, con un grosso contingente di armati spagnoli reduci dalla guerra in Lombardia e diretti nel Regno di Napoli, si era accampato nel territorio circostante, misero la città a ferro e a fuoco per quattro giorni. Il papa Leone X inviò prontamente un commissario e poco dopo anche l'E. rientrò da Urbino.
L'anno seguente, 1517, riprese la guerra contro il Della Rovere, che nel frattempo era riuscito a ric ' onquistare buona parte del territorio del suo Stato e a spingere la propria avanzata in Toscana: ma ciò fornì anche l'occasione alle fazioni avversarie di riprendere vigore. Carlo Baglioni, bandito da Perugia e unitosi al Della Rovere, attaccò Fermo saccheggiandola. L'E., che si era portato a Chiaravalle per affrontare il Della Rovere. subì allora una grave sconfitta e, rientrato a Fermo, venne accusato dalla fazione avversaria, capeggiata dai Brancadoro, di essere il responsabile del saccheggio compiuto dal Baglioni. Le lotte tra gli opposti partiti ripresero; ma per volere del pontefice" vi fu un tentativo di mediazione da parte di Orazio Baglioni, che si concluse il 18 ag. 1519 con un accordo tra l'E. e i Brancadoro. La tregua fu provvisoria e le ostilità ricominciarono ben presto, tanto che il papa convocò a Roma i capi delle fazioni perché, in sua presenza, ratificassero la pace. L'E. partì alla fine dell'anno per Roma, ma preferì sostare, durante il viaggio, in un castello degli Orsini, da dove ordì una congiura contro Bartolomeo Brancadoro. Questi, mentre nel gennaio 1520 era diretto a Roma, venne assassinato alle porte della città.
Il Consiglio generale di Fermo, riunitosi il 3 febbr. 1520, dichiarò l'E. ribelle e nemico della città e della Chiesa; da Roma il papa ordinò che fosse fatto prigioniero. Ma l'E., radunata una banda di partigiani, rientrò nel territorio fermano, saccheggiando Carnasciale e impadronendosi dei castelli di San Benedetto, di Servigliano e di Falerone, dove pose il campo. Per scongiurare il pericolo che la ribellione si estendesse in tutto il territorio della Marca, il papa decise di consultarsi con Niccolò Bonafede, vescovo di Chiusi, che in precedenza era stato più volte governatore di città dello Stato pontificio. Richiamato a Roma da Chiusi, il Bonafede assunse una posizione intransigente, ritenendo l'E. il principale ispiratore di tutta la rivolta, e pertanto suggerì al pontefice di dividere il fronte della ribellione convocando a Roma i principali seguaci dell'E., Amadio di Recanati e Zubicco di Fabriano. Per rassicurarli della loro incolumità, fu escogitato come pretesto la necessità di un loro trasferimento presso la guamigione pontificia a Bologna per provvedere alla difesa di quella città. Il Bonafede sosteneva, infatti, l'opportunità di impedire ad ogni costo all'E. di rientrare a Fermo e di dargli una punizione esemplare.
Il pontefice accolse il parere del Bonafede, che fu nominato governatore della Marca con poteri assoluti e commissario generale per lo Stato pontificio, con l'incarico di preparare una spedizione contro l'E. e i suoi seguaci. Il vescovo decise tuttavia di agire per gradi, per evitare che i signori delle città della Marca si insospettissero e coagulassero le proprie forze con quelle dell'E. contro l'intervento pontificio. Decise quindi di utilizzare un modesto contingente di uomini al comando di Giovanni de' Medici., mentre il grosso delle truppe sarebbe rimasto in attesa per intervenire in caso di necessità. Il 14 febbr. 1520 il Bonafede si recò a Fermo, dove la situazione appariva ancora incerta data la presenza di una forte fazione ancora favorevole all'Euffreducci. La città accolse tuttavia positivamente il vescovo, impegnandosi anche a combattere contro l'E., ma chiedendo che, in cambio, venisse alleggerito il carico fiscale. Il Bonafede iniziò quindi una serie di trattative con l'E., che nel frattempo si era accampato a San Benedetto, dove confluìvano continuamente bande di ribelli pontifici e del Regno di Napoli, inviandogli uno dei Priori di Fermo, Francesco da Petriolo, che godeva della stima e della fiducia dell'E., per farlo desistere dal suo progetto e promettendogli il perdono del pontefice. Contemporaneamente anche a Roma il cardinale Franciotto Orsini e altri seguaci premevano perché Leone X, considerando la fedeltà della famiglia dell'E. alla causa pontificia e alla famiglia dei Medici, desistesse dall'impresa. Un altro tentativo di composizione venne fattto dal Bonafede, combinando un incontro ad Ascoli tra l'E. e Giovanni Francesco di Astolfò Guiderocchi, commissario pontificio, che avrebbe dovuto anche sposare una sorella dell'E., perché quest'ultimo deponesse le armi. Ma l'E. accettò l'incontro soprattutto perché ad Ascoli godeva di numerosi appoggi per la sua causa.
Fallite quindi tutte le trattative anche per lo scoperto favore manifestato dal Guiderocchi per l'E., il Bonafede decise di sferrare l'attacco definitivo contro i ribelli con l'aiuto delle truppe che dovevano giungere dalla Romagna. L'E., invece, con l'appoggio di Alessandro da Carnasciale si insediò nell'avito castello di Falerone, dove poté fare rifornimento di armi e di viveri con l'appoggio della popolazione; da lì decise quindi di muovere contro Fermo. Il governo fermano, di fronte a tale pericolo, cercò di convincere il Bonafede a ritirarsi a Macerata in attesa dei rinforzi, ma il vescovo, intenzionato a opporre resistenza ai ribelli, organizzò la difesa della città e, con l'aiuto di Paolo Ciasca, Carlo di Offida e Girolamo Brancadoro, pose la base della resistenza a Grottazzolina.
Il 20 marzo 1520 l'esercito pontificio affrontò i ribelli nella pianura circostante, riportando una strepitosa vittoria: l'E. stesso fu ferito a morte e il suo corpo, trasportato a Fermo, venne esposto pubblicamente a modo di esempio per i vinti. Fu sepolto in seguito fuori le mura della città. Solamente dieci anni dopo venne riportato a Fermo e sepolto nella tomba di famiglia nella chiesa di S. Francesco, dove per volontà della madre gli fu eretto un magnifico monumento funebre, forse opera del Sansovino.
Dell'E. sappiamo, infine, che aveva sposato una certa Giulia Conti di Roma, morta anch'essa nel 1520.
Fonti e Bibl.: Molti documenti, per lo più conservati presso la Bibl. comunale di Fermo, riguardanti l'E. e la sua famiglia, sono stati segnalati e studiati da F. Filippini, Liverotto Uffreducci, tiranno di Fermo, in Atti e mem. della R. Deputaz. di storia patria per le prov. delle Marche, I (1895), pp. 66- 189; due lettere dell'E. a Giampaolo Baglioni e al conte Roberto Buschetta e a Lorenzo de' Medici, duca di Urbino, entrambe scritte da Paterno il 2 marzo 1517, sono conservate presso l'Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. I, 9, cc. 12, 15. Siveda inoltre: F. Guicciardini, Storia d'Italia, IV, a cura di C. Panigada, Bari 1929, p. 17; P. M. Amiani, Memorie istor. della città di Fano, II, Fano 1751, p. 123; G. Fracassetti, Notizie storiche della città di Fermo, Fermo 1841, pp. 51-52; T. Alfani, Memorie perugine dal 1502 al 1527, in Arch. stor. italiano, XVI (1851), pt.II, p. 286; M. Leopardi, Vita di N. Bonafede vescovo di Chiusi, Pesaro 1852, pp. 117-166; G. De Minicis, Serie cronologica degli antichi signori depodestà e rettori di Fermo, Fermo 1855, pp. 30, 50-51; Id., Cronache della città di Fermo, Firenze 1870, ad annos; A. Giorgetti, Lorenzo de' Medici capitano generale della Repubblica fiorentina, in Arch. stor. italiano, s. 4, XI (1883), p. 214.