MONTINI, Lodovico
MONTINI, Lodovico. – nacque a Brescia l’8 maggio 1896, figlio di Giorgio, direttore del giornale cattolico Il Cittadino di Brescia, e di Giuditta Alghisi, donna di viva spiritualità; fu il primo di tre fratelli, il secondo dei quali Giovanni Battista divenne papa con il nome di Paolo VI.
Compì gli studi elementari e secondari presso il collegio Arici, mentre, per il completamento della formazione religiosa, frequentò l’oratorio Filippino la Pace, dove incontrò, tra gli altri, due sacerdoti d’eccezione, i padri giulio Bevilacqua e Paolo Caresana. Fin dagli anni del ginnasio-liceo partecipò all’associazione studentesca Alessandro Manzoni, animata dal fratello Giovanni Battista e da altri giovani bresciani tra i quali Cesare Trebeschi, e insieme con loro collaborò al giornale studentesco La Fionda.
Ultimate le scuole secondarie, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza presso l’Università di Padova, ma nel 1916 venne chiamato alle armi e partecipò alla prima guerra mondiale, come ufficiale di artiglieria. All’indomani del conflitto tornò agli studi e, per seguire il maestro Vittorio Polacco, si trasferì dall’Università di Padova a quella di Roma, dove nel 1921 si laureò in giurisprudenza. Nel 1922 soggiornò a Ginevra quale funzionario del Bureau International du Travail, dove rimase solo per poco più di un anno. Agli inizi dell’estate 1923, sollecitato dall’idea d’intraprendere la carriera accademica, accettò l’invito di Agostino gemelli che, alla ricerca di giovani studiosi per l’appena sorta Università cattolica, gli mise a disposizione un posto di assistente ‘effettivo’ presso l’istituto di scienze sociali dell’Ateneo. Ma anche questa esperienza fu di breve durata.
Aderì al Partito popolare di Luigi Sturzo, in linea con le scelte del padre Giorgio, che gli aprì le colonne de Il Cittadino di Brescia.
Gli articoli che allora venne pubblicando mostrano come, formatosi nel solco del pensiero di leone XIII e del cattolicesimo sociale di Giuseppe Toniolo, egli fosse legato a un’idea di democrazia affidata in sostanza al senso di responsabilità delle classi borghesi (cfr., per esempio, l’articolo Democrazia?, in Il Cittadino di Brescia, 14 luglio 1923). Successivamente, grazie anche alle riflessioni maturate nell’impatto con il regime fascista, egli avrebbe allargato la sua visione, accogliendo l’idea di una democrazia arricchita dalla partecipazione attiva di tutti i cittadini.
Nell’ottobre del 1924 sposò Giuseppina Folonari, dalla quale ebbe sette figli.
Le attività cui, negli anni Venti e Trenta, Montini si dedicò furono principalmente quelle dell’Azione cattolica (AC). Sul finire del 1924 padre gemelli, che si occupava anche delle Settimane sociali dei cattolici italiani, gli propose di diventarne il segretario. Grazie a tale incarico, fu cooptato nella giunta di AC presieduta da Luigi Colombo. Ma la collaborazione con i responsabili dell’associazione fu presto incrinata da alcune divergenze, in particolare sull’atteggiamento da assumere rispetto al fascismo. Montini pensava che di fronte al regime instaurato da Mussolini l’AC avesse un comportamento troppo remissivo. A suo giudizio, essa avrebbe, invece, dovuto promuovere un forte impegno culturale e formativo che, imperniato sulla dottrina sociale della Chiesa, servisse a preparare una nuova classe dirigente. In tale ottica, nel 1926 fu lieto di contribuire alla fondazione dell’istituto cattolico di attività sociali (ICAS) che l’AC, d’accordo con la S. Sede, aveva ideato per garantire alle istituzioni sociali ‘bianche’ quegli spazi che la Confederazione italiana dei lavoratori (CIL) sembrava ormai incapace di tutelare. Nonostante l’interesse di Montini per questa iniziativa, i suoi rapporti con gli uomini preposti alla guida dell’AC divennero sempre più conflittuali.
Nel novembre 1926, essendo Mussolini sfuggito a un attentato, Colombo inviò al capo del governo una lettera, resa pubblica da L’Osservatore romano, nella quale, dopo essersi compiaciuto per lo scampato pericolo del duce, assicurava la fedeltà dell’AC al «presente regime». Irritato per tale dichiarazione, il 28 novembre 1926 Montini scriveva al fratello Giovanni Battista che l’AC non poteva affermare la fedeltà a un regime, tanto meno a quello fascista.
Le difficoltà della collaborazione con i dirigenti dell’associazione si acuirono nel 1928, quando fu sollecitato a preparare, per conto dell’ICAS, un documento in vista della XV Settimana sociale dei cattolici italiani. In tale prospettiva suggerì di affrontare il tema dell’educazione sociale, nella convinzione che in tal modo i cattolici avrebbero potuto approfondire la loro visione e mettere a punto una proposta capace d’incidere nella società; ma i responsabili delle Settimane sociali preferirono optare per l’argomento presentato da gemelli, che aveva raccomandato di studiare la questione della «vera unità religiosa ». A questo punto Montini decise, sia pure senza clamori, di lasciare l’ICAS e le Settimane sociali e, dopo la nascita dei laureati cattolici, aderì a tale movimento dove, per altro, poteva ritrovare amici e conoscenti suoi e del fratello.
Nel 1927, nella necessità di darsi una professione stabile, era entrato nello studio bresciano dell’avvocato Luigi Bazoli, specializzandosi nel campo delle cause matrimoniali. Al suo impegno di avvocato si accompagnava un’intensa attività pubblicistica. Oltre ad assicurare diversi contributi e segnalazioni bibliografiche per la rivista Studium (dal 1933 organo dei laureati cattolici), prese infatti a scrivere numerosi articoli anche per Il Cittadino di Brescia e per La Voce del popolo.
Tra gli argomenti affrontati in particolare sulle colonne di Studium ricorrevano temi come le corporazioni, l’evoluzione dello Stato moderno, il lavoro, la previdenza. Era dell’idea che l’ordine corporativo costituisse un’importante conquista, ma riteneva che, per rispondere alla sua vera vocazione, esso avrebbe dovuto promuovere una maggiore giustizia sociale.
Nel maggio 1934 Montini ricevette l’incarico di presiedere l’Unione uomini di AC della diocesi bresciana, che conservò fino al 1943. Insofferente per il carattere sempre più vessatorio del regime, seguì con trepidazione le convulse vicende che ne segnarono il crollo e, dopo il 25 luglio 1943, prese parte, in rappresentanza delle forze cattoliche, al governo della città di Brescia. Ai primi di agosto di quello stesso anno ebbe, inoltre, l’opportunità di essere fra coloro che, provenienti per lo più dalle file dei laureati cattolici, si riunirono a Camaldoli per discutere del dopo fascismo e per elaborare un documento, noto poi come Codice di Camaldoli, che avrebbe costituito un importante punto di riferimento per l’impegno politico dei cattolici. La prospettiva di una non più lontana fuoriuscita dal fascismo indusse i diversi partiti a riorganizzarsi e, nell’estate del 1943, anche fra i cattolici bresciani si intensificarono i contatti per studiare il da farsi. Ma, prima di tornare alla normalità, il paese doveva attraversare un momento di particolare gravità, soprattutto dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, quando, di fronte alla costituzione della Repubblica sociale di Salò e all’occupazione militare tedesca dell’Italia del Centronord, si diffuse il movimento della Resistenza armata. Anche nella provincia bresciana nacquero diverse formazioni di partigiani, tra le quali il raggruppamento cattolico Fiamme verdi, cui Montini dette il suo appoggio. Le autorità nazifasciste, informate della sua attività, lo ricercarono; cosicché, per sfuggire alla cattura, fu costretto a lasciare Brescia e a rifugiarsi in Vaticano, dove poté godere dell’aiuto di Giovanni Battista, nel frattempo promosso sostituto della segreteria di Stato.
Durante il soggiorno romano assistette ad alcuni degli incontri nei quali si posero le basi per dare avvio alla Democrazia cristiana (DC). Rafforzò i rapporti con ex popolari come Alcide De Gasperi e Giuseppe Spataro, già amici del padre Giorgio, o con elementi più giovani come Guido Gonella. Durante il 1944 partecipò allo studio per il patto di unità sindacale che condusse alla costituzione della Confederazione generale lavoratori italiani e fu, altresì, tra i fondatori dell’Associazione cristiana lavoratori italiani (ACLI). Il 9 settembre 1944 fu cooptato fra i consiglieri nazionali della DC e il 9 gennaio 1945 fu nominato delegato nazionale per l’attività di coordinamento del movimento economico del partito.
Nel febbraio del 1945, su indicazione del ministro degli Esteri De Gasperi, Montini fu inviato dal governo alla Conferenza di Londra per sostenere la candidatura dell’Italia agli aiuti dell’UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration), costituita per favorire la ricostruzione dei paesi sfibrati dal conflitto. Nel vivo di tale esperienza Montini coltivò la speranza che i popoli potessero incamminarsi verso un periodo di pace; ma, com’è noto, il sopraggiungere della cosiddetta guerra fredda avrebbe concorso a dividere il mondo in due blocchi, con pesanti ripercussioni anche sulla vita politica italiana. L’azione dell’UNRRA si concluse nel dicembre 1947. Nel frattempo Montini era, però, riuscito a promuovere l’Amministrazione per le attività assistenziali italiane e internazionali (AAI) di cui fu a lungo presidente e l’Italia poté, così, attingere ad altre importanti forme di assistenza.
La vita di Montini si andò ormai identificando con la politica. Nella primavera del 1946 fu eletto nel Consiglio comunale di Brescia (dove rimase fino al maggio 1962) e il 2 giugno, presentatosi alle elezioni indette per il referendum istituzionale (rispetto al quale si schierò in favore della Repubblica) e per la nomina della Costituente, entrò nell’Assemblea che redasse la carta costituzionale. A partire dal 1948 sedette ininterrottamente per tre legislature alla Camera dei deputati e nel 1963, per la quarta legislatura, al Senato. Durante la sua attività parlamentare s’impegnò prevalentemente sui temi della politica estera, dedicandosi in particolare alla costruzione dell’Europa unita. Membro del Consiglio d’Europa fin dalla sua fondazione, nel maggio del 1962 ne fu eletto vicepresidente.
Per tutto il periodo in cui De Gasperi guidò il paese, Montini fu lealmente al suo fianco, difendendone l’operato nei dibattiti all’interno della DC prima ancora che in Parlamento. Alcuni studi sulla sua figura tendono tuttavia a rilevare come la sua visione presentasse sfumature peculiari rispetto a quella degasperiana. Innanzitutto sul piano delle relazioni internazionali, essendo Montini portato a concepire l’Europa in una prospettiva non solo politica, ma anche, se non soprattutto, culturale. In altri termini la sua idea di Europa era quella di un ‘laboratorio’ chiamato a favorire l’incontro fra tradizioni, visioni della vita e culture differenti, oltre che fra gli Stati e i loro ordinamenti, in modo da poter giungere alla elaborazione di un progetto di civiltà da proporre al resto del mondo. Secondo questi più recenti studi, il pensiero di Montini avrebbe avuto una connotazione sua propria anche sul terreno della politica interna, dove, rispetto a De Gasperi, avrebbe manifestato una più marcata attenzione per i problemi del lavoro e per le condizioni delle classi più marginali. Si è sostenuto che le sue posizioni fossero, anzi, non distanti da quelle di Giuseppe Dossetti. Interessante è al riguardo l’intervento compiuto durante il Consiglio nazionale della DC dell’aprile 1950, durante il quale sostenne che, se era giusto chiamare alla collaborazione i dossettiani, occorreva che il partito nel suo insieme avviasse una seria riflessione sulla sua missione «storica», poiché altrimenti ci si sarebbe limitati «a fare semplicemente dell’anticomunismo negativo guardando inutilmente indietro ad ideologie sorpassate» (Barbaini, 2010, p. 53). Tra Montini e i dossettiani rimasero però alcune profonde divergenze, sulle questioni della politica interna non meno che su quelle della politica estera. In realtà, diversamente da Dossetti, si batté per l’approvazione del Patto atlantico e per una stretta alleanza dell’Italia con l’America di cui era convinto ammiratore, anche se l’America cui guardava era quella del New Deal piuttosto che quella del liberismo destinato a prevalere nel secondo dopoguerra. Montini si distingueva da Dossetti anche sul piano della politica economica e sociale, dove, pur sentendo viva l’esigenza di un impegno della collettività a sostegno delle classi più indigenti, pensava che la visione dei dossettiani fosse inficiata di utopismo. Non è del resto a caso che, nei primi anni Sessanta, quando vennero profilandosi nuovi equilibri politici nei dibattiti accesisi dentro la DC, fu vicino alle posizioni di chi guardava con diffidenza alla prospettiva di un’alleanza con i socialisti.
Nel 1968 lasciò la vita parlamentare, forse anche per un senso di riserbo cui stimò di doversi attenere dopo che il fratello era stato eletto pontefice. L’abbandono della vita politica non gli impedì, tuttavia, di continuare a occuparsi delle opere di assistenza che aveva seguito per anni.
Nel 1971 il governo lo nominò membro del Consiglio di amministrazione del Fondo delle nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF), dove per altro era già stato dal 1946 al 1964. Forte della precedente esperienza, attese a quell’incarico con passione, interessandosi alle innovazioni pedagogiche e didattiche che avrebbero potuto essere d’aiuto alla crescita delle nuove generazioni. Così come, ormai sempre più radicato nella sua città, sostenne le varie iniziative che il cattolicesimo bresciano era venuto attuando nei vari campi dell’assistenza, dell’editoria, della cultura.
Morì a Brescia il 12 febbraio 1990.
Fonti e Bibl.: le carte di Lodovico Montini sono conservate presso l’Archivio dell’istituto Paolo VI di Brescia, Fondo L. Montini. Per i suoi scritti, oltre ai numerosi articoli sparsi in riviste e giornali di non sempre facile reperimento, cfr. le Prefazioni da lui redatte per diversi volumi pubblicati dall’Amministrazione per le attività assistenziali italiane e internazionali (AAI), il saggio L. Montini, Unità e libertà del lavoro. Unità e libertà sindacale, Roma 1945, e i contributi da lui stesso raccolti in Giorno per giorno tra i protagonisti di un’epoca 1944-1970. Scritti ed appunti di L. M., Firenze 1971. Quanto agli studi concernenti la sua figura cfr., tra gli altri, G. Cigliana, L. M. e gli aiuti internazionali, in Studium, lXXXVI (1990), 3, pp. 357-369; L. M. 1896-1990, Brescia 1991; M. Taccolini, M. L., in Dizionario storico del movimento cattolico. Aggiornamento1980-1995, Genova 1997, pp. 379 s.; L. M. al servizio della Chiesa e dello Stato. Nel decimo anniversario della morte (Brescia, 12 febbraio 2000), Brescia 2000; L. Barbaini, Cattolicesimo, modernità, federalismo in L. M., in Europa vicina e lontana. Idee e percorsi dell’integrazione europea, a cura di F. Sarcina - L. Grazi - L. Scilicone, Firenze 2008, pp. 51-60; G. Montini - G.B. Montini, Affetti familiari, spiritualità e politica. Carteggio 1900-1942, a cura di L. Pazzaglia, Brescia-Roma 2009; L. Barbaini, Limiti e potenzialità dell’esperienza dell’UNRRA nella prospettiva di L. M., in Culture economiche e scelte politiche nella costruzione europea, a cura di D. Felisini, Bari 2010, pp. 23-48; id., La «scelta» europeista di L. M., genova 2010.