NABRUZZI, Lodovico
– Nacque a Ravenna il 27 giugno 1846, figlio di Ettore e di Clotilde Rossi.
Il nonno paterno (1766-1849), di cui prese il nome, era un ingegnere comunale, allora alla fine della carriera, che aveva lavorato alla progettazione e al restauro di strade, ponti, teatri, carceri, ospedali e chiese, riprendendo elementi bizantini secondo la moda del periodo. I Nabruzzi avevano nel duomo cittadino una panca con lo stemma di famiglia, e un’altra ne avevano nella chiesa di Gambellara, dove possedevano qualche proprietà. Tra gli avi veniva ricordato un vescovo originario del Molise, Antonio Lucci, morto a metà Settecento, un ritratto del quale si trovava nella casa paterna di Nabruzzi. In famiglia si raccontava di una provenienza della famiglia dall’Abruzzo; il nome sarebbe stato Lucci, e Nabruzzi sarebbe stata una deformazione del modo dialettale con cui erano chiamati i primi tempi: «Jé quii d’j Abroz».
Nel 1866 Nabruzzi ottenne la licenza liceale presso il liceo pareggiato municipale Dante Alighieri, con qualche settimana di anticipo «perché partiva coi volontari italiani», come si legge nel certificato d’esame (Bologna, Archivio storico dell’Università, Fascicoli personali, ad nomen, 25 maggio 1866): probabilmente si unì ai garibaldini, come i suoi amici. Alla fine dell’anno superò l’esame di ammissione all’Università di Bologna (tra gli esaminatori c’era Carducci) e s’iscrisse al corso di giurisprudenza.
Nel 1867 divenne segretario del Consiglio direttivo dell’associazione repubblicana Unione democratica di Ravenna, che dal 1868 al 1870 pubblicò il foglio Il Romagnolo e che si sciolse quando alcuni giovani, tra cui Nabruzzi, difesero la Comune di Parigi. Nel frattempo frequentò i corsi universitari: alla fine del 1870 aveva sostenuto tutti gli esami con ottimi risultati, ma non arrivò alla laurea, probabilmente a causa dell’impegno politico. Nel giugno 1871 Il Romagnolo riprese le pubblicazioni, e per qualche mese Nabruzzi ne fu responsabile.
Il foglio aveva un nuovo orientamento, favorevole agli ideali della Comune: i redattori si professavano «internazionalisti e comunisti» e rifiutavano il principio di autorità di Mazzini, «perché un popolo deve essere libero di stabilire quello che vuole, non d’osservare quello che un Dio immaginario ha stabilito per mezzo de’ suoi profeti»; Garibaldi mandò la sua adesione («dobbiamo essere coll’Internazionale»; lettera pubblicata il 9 settembre 1871, in Zangheri, 1950, p. 368).
Dopo aver contattato Friedrich Engels nel novembre 1871 («la nostra gioventù operaia» desidera «mostrarsi sulle barricate come gli eroici difensori della Comune parigina»; lettera del 5 novembre 1871 in Romano, 1954, p. 120), Nabruzzi entrò nella cerchia di Michail Bakunin, il quale nel gennaio 1872 gli scrisse che la conciliazione con i democratici era ormai impossibile. Le polemiche tra mazziniani e internazionalisti in Romagna erano molto accese e coinvolgevano rapporti tra parenti, fidanzati, amici e vicini di casa, con scambi di ingiurie, liti, risse, duelli, ferimenti, omicidi. Nabruzzi fu accusato di sequestro da un coetaneo, Francesco Masini, che poi ritirò la denuncia essendo nel frattempo divenuto suo cognato. Nel febbraio del 1872 una riunione a Ravenna sancì la definitiva separazione tra le due tendenze.
Nel marzo 1872, al congresso tenuto in una sala dell’albergo Bella Venezia di Bologna, a cui parteciparono soprattutto sezioni internazionaliste della Romagna, Nabruzzi, che rappresentava la neonata sezione di Ravenna e portava il sostegno di Garibaldi, ebbe un ruolo di primo piano per far prevalere una linea bakuninista. Assieme a Erminio Pescatori, direttore del Romagnolo, fu incaricato di portare a Garibaldi, a Caprera, la mozione conclusiva del congresso, che decise di promuovere una conferenza nazionale. Nel giugno dello stesso anno, dopo il viaggio a Caprera, Nabruzzi andò a Locarno per incontrare Bakunin. Poco dopo fu tra i quattro firmatari della circolare che convocava una conferenza delle sezioni italiane dell’Internazionale a Rimini dal 4 al 6 agosto 1872. Nabruzzi, che rappresentava la sezione di Ravenna e aveva una delega di Garibaldi («io sarò sempre vostro», Caprera 8 luglio 1872; in La Federazione italiana della Associazione internazionale dei lavoratori. Atti ufficiali 1871-1880, a cura di P.C. Masini, Milano 1964, p. 30), fu eletto alla vicepresidenza del congresso. Incaricato di occuparsi, con Andrea Costa, della Commissione di corrispondenza, entrò in contatto con le sezioni internazionaliste in Italia e in Europa.
Nel settembre 1872 si recò nuovamente da Bakunin a Zurigo, dove fu affiliato tra i fratelli internazionali dell’Associazione socialista rivoluzionaria (c’erano inoltre i nazionali, i provinciali e altri rappresentanti locali), con «bacio paterno e stretta di mano», come scrisse Bakunin nel suo diario (annotazione del 12 settembre 1872, in Zangheri, 1993, pp. 361 s.). Poco dopo partecipò al Congresso internazionalista di Saint-Imier, in cui le sezioni anarchiche ruppero con Karl Marx e con il Consiglio generale di Londra.
Nell’autunno del 1872 si trasferì a Bologna insieme con la madre, vedova, e con il fratello Giuseppe (a cui pochi anni prima era stata amputata una gamba); frequentava il caffè comunale, dove aveva sede il Fascio operaio, aderente all’Internazionale, con lo stendardo sociale rosso con orlo nero, ornato di una squadra e di un martello sormontati da una stella con raggi dorati. Nel marzo 1873 riuscì a sfuggire alla serie di arresti che colpì i delegati arrivati a Mirandola, dove avrebbe dovuto tenersi un congresso in occasione dell’anniversario della Comune di Parigi. Pochi giorni dopo, quando a Bologna fu sciolto il Fascio operaio, suo fratello fu incarcerato con una decina di altre persone, tutti prosciolte dopo un paio di mesi. Nabruzzi, a nome della Commissione di corrispondenza, protestò per gli arresti immotivati.
Tra settembre e ottobre 1873 riparò a Locarno con la madre (che aveva fatto parte della sezione femminile del Fascio operaio di Bologna) e una ragazza che Bakunin definì «très difficile à classer» (in un Mémoire justificatif relativo al periodo ottobre 1873 - maggio 1874, riportato da Guillaume, III, 1909, p. 181), molto probabilmente la domestica, che avrebbe seguito la famiglia anche successivamente. Incaricato da Bakunin di fare da contabile e dirigere i lavori di ampliamento della Baronata (una villa acquistata da Carlo Cafiero), fu allontanato nella primavera successiva perché le spese erano del tutto fuori controllo. Nabruzzi e la madre rimasero in esilio.
A Bologna il clima si era fatto pesante. Giovanni Resta, ex direttore del Romagnolo, più volte arrestato e infine mandato al domicilio coatto a Lampedusa, aveva accusato il primo nucleo internazionalista di Ravenna di aver costituito una società segreta di accoltellatori, e oltre 20 persone erano finite in carcere. Il Romagnolo fu sequestrato, anche il nuovo direttore Claudio Zirardini fu inviato al confino a Lampedusa e alcuni compagni, tra cui Giuseppe Nabruzzi, finirono nuovamente in carcere.
Trasferitosi a Lugano, Nabruzzi, dapprima scrivano e poi impiegato in un’agenzia commerciale, divenne redattore del giornale Il Repubblicano, e iniziò a frequentare gli esuli che si ritrovavano al caffé del teatro. Con Tito Zanardelli pubblicò una Guida storico descrittiva commerciale delle tre capitali di Canton Ticino (1875). Nel frattempo fu raggiunto dal fratello Giuseppe, che trovò lavoro all’Hôtel du Parc, dov’era cuoco Joseph Favre. Tra agosto e ottobre 1875 Nabruzzi, Zanardelli e Favre, che si riunivano nell’Osteria del cavallino, pubblicarono L’Agitatore, con cui presero le distanze da Cafiero e da Bakunin. Nel novembre 1875 i tre esuli, assieme a Benoît Malon, fondarono la sezione internazionalista del Ceresio che, in nome di soluzioni evoluzionistiche e sindacali, rifiutava la tattica insurrezionale e definiva il principio cospirativo una delle forme più assolute dell’autorità; Nabruzzi si occupava della corrispondenza con i gruppi internazionalisti in Italia. La sezione fu attiva per un anno. Cafiero trattò Nabruzzi e Zanardelli da agenti provocatori e la federazione del Giura li definì nemici mossi da rancori personali.
Tra la fine del 1876 e gli inizi del 1877 in Ticino si affermò un governo conservatore. Nabruzzi e suo fratello Giuseppe, nel frattempo entrato nella redazione del Repubblicano, furono allontanati dal giornale; l’anno dopo risultano far parte della loggia massonica Il dovere, luogo d’incontro degli elementi radicali.
Nel 1877 Nabruzzi si recò in Francia, dove con Zanardelli trovò lavoro in una tintoria. L’anno dopo fu arrestato con Andrea Costa e Anna Kuliscioff in seguito a una manifestazione per commemorare la Comune. Espulso dalla Francia, riparò a Ginevra e quindi tornò di nuovo clandestinamente a Parigi. Nel dicembre 1880 partecipò al Congresso di Chiasso, dove portò un manifesto scritto con Zanardelli e suggerito da Amilcare Cipriani per promuovere moti insurrezionali in Italia, tornando così sulle vecchie posizioni rivoluzionarie. Arrestato nuovamente a Parigi, lasciò la Francia nell’aprile 1881; passò a Ginevra e quindi in Italia.
A Ravenna – dove fece lo scrivano, il difensore in Pretura, e per qualche tempo l’impiegato comunale straordinario – s’inserì subito negli ambienti anarchici. Nel 1886 le autorità gli negarono il permesso di tenere un comizio a favore dell’elezione di Cipriani; un manifesto, da lui firmato con altri anarchici, fu sequestrato e non poté essere affisso. Nel 1887 fu fra i sottoscrittori di un manifesto che propugnava l’azione rivoluzionaria. Nel 1891 fu particolarmente attivo: partecipò al Congresso di Capolago; fu tra i fondatori del Comitato anarchico di Ravenna; firmò assieme ad altri, tra cui Francesco Saverio Merlino, la circolare per la pubblicazione de La questione sociale; convocò e presiedette una riunione di anarchici di Ravenna e di Forlì nella locanda Aquila d’oro a Faenza. Nel mese di marzo di quell’anno subì una perquisizione che portò al sequestro di molti opuscoli e giornali. Nel 1894 costituì con elementi repubblicani e con altri socialisti anarchici la Confederazione repubblicana collettivista della Romagna, con l’obiettivo di lottare per una Repubblica sociale: imputato di associazione sediziosa, fu prosciolto.
Nel frattempo aveva sposato Amalia Frignani, di quasi trent’anni più giovane (era nata nel 1874), da cui ebbe quattro figli. Dopo che ebbe fatto battezzare i primi due figli, nati nel 1891 e nel 1894, gli anarchici della città lo misero al bando; rimase in contatto con i compagni in Italia in Europa, ma nella scheda biografica della Prefettura nel 1898 è definito «un anarchico solitario» (29 ottobre 1898, in Archivio centrale dello Stato, Casellario politico centrale, b. 3474, f. Nabruzzi Lodovico, in Biografie di “sovversivi“…, 1961)
Forse il battesimo dei figli era legato alla possibilità di ereditare dalla zia Amalasunta, usufruttuaria delle proprietà di famiglia dopo la morte dello zio Francesco. Secondo la Prefettura, Nabruzzi aveva dato fondo al suo patrimonio «per mantenersi nelle sue peregrinazioni politiche» (ibid.), e doveva quindi ricorrere alla zia. Nel 1886 Nabruzzi, insieme con la madre, subì un processo per aver minacciato l’esecutore testamentario dello zio Francesco, entrando nella sua casa e accusandolo di averli defraudati. Il tribunale riconobbe che Nabruzzi era «tormentato non solo dalle strettezze finanziarie, ma eziandio da una malattia […] e quindi già in condizione morale e fisica piuttosto impressionabile, ed inclinata a far cose strane» (Archivio di Stato di Ravenna, Tribunale di Ravenna, Sentenze penali 1886, sentenza 17 febbraio 1886) e che in più si era mosso «forse con ragione», ma condannò l’atto di giustizia privata. A causa dell’eredità, secondo la Prefettura, Nabruzzi fece «scene disgustose» anche con il fratello Giuseppe, «per le quali dovette talvolta intervenire questo ufficio di PS» (Biografie di “sovversivi”…, 1961). In ogni caso, dei quattro fondi di famiglia situati in campagna, a Nabruzzi rimase solo quello in San Michele.
Nel 1908, separatosi dalla moglie, e venduto il fondo, ottenne il passaporto per l’America e si trasferì a Genova. Ricoverato all’ospedale di quella città, fu dimesso alla fine del 1912 e rispedito con foglio di via a Ravenna, dove prese alloggio in una locanda. Morì all’ospedale civile di Ravenna il 12 febbraio 1916.
Nelle note segnaletiche della Prefettura del 1898, viene descritto come un uomo robusto, con capelli neri e baffi, portamento slanciato ed espressione dura.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Ravenna, Atti di ultima volontà, Archivio notarile distrettuale di Ravenna, notaio Giulio Busmanti, b. 14, n. 181 (testamento dello zio Francesco Nabruzzi, 22 aprile 1882); Catasto, regg. 352, n. 699/41; 353, n. 1134; 357, nn. 2337, 2338; 360, nn. 3383, 3685; 366; 373, nn. 1617, 2519; Archivio di Stato di Bologna, Tribunale correzionale, Processo Costa, IV, voll. 11-12; V, vol. 18; Prefettura, Gabinetto, b. 204; Bologna, Archivio storico dell’Università, Fascicoli personali, ad nomen; Imola, Archivio storico comunale, Carte Andrea Costa (una lettera di Giuseppe Nabruzzi a un destinatario sconosciuto, 28 ottobre 1909, in cui rievoca i primi anni dell’Internazionale); Biografie di “sovversivi” compilate dai prefetti del Regno d’Italia a cura di P.C. Masini, in Rivista storica del socialismo, IV (1961), 13-14, pp. 597-602; per il Foglio di famiglia di N. da cui risulta la separazione dalla moglie, la richiesta di passaporto per l’America e il trasferimento a Genova, Ravenna, Ufficio Storico del Comune. J. Guillaume, L’Internationale documents et souvenirs (1864-1878), I-III, Paris 1905-09; M. Nettlau, Bakunin e l’Internazionale in Italia dal 1864 al 1872, Ginevra 1928 (Roma 1970); R. Zangheri, “Il Romagnolo” (1868-1874): un giornale ravennate dal mazzinianesimo al socialismo, in Studi romagnoli, I (1950), pp. 363-371; A. Romano, Storia del movimento socialista in Italia, II, La crisi della Prima Internazionale (1871-1872), Roma 1954; III, La scapigliatura romantica e la liquidazione teorica dell’anarchismo (1872-1882), ibid. 1956; P.C. Masini, Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta(1862-1892), Milano 1969; S. Sozzi, Documenti riservati, inediti, della Prefettura di Forlì sugli inizi del movimento socialista a Lugo ed in Romagna, in Studi romagnoli, XXI (1970), pp. 231-237; Id., Notizie inedite sugli internazionalisti di Ravenna tratte dal carteggio del Gabinetto prefettizio di Forlì, ibid., XXIV (1973), pp. 285-297; R. Broggini, Un gruppo internazionalista dissidente: la sezione del Ceresio, in Anarchismo e socialismo in Italia 1872-1892. Atti del Convegno di studi « Marxisti e “riministi”», Rimini 19-21 ottobre 1972, a cura di L. Faenza, prefazione di E. Santarelli, Roma 1973, pp. 187-208; C. Bassi Angelini, Gli “accoltellatori” a Ravenna (1865-1875). Un processo costruito, Ravenna 1983; R. Zangheri, Storia del socialismo italiano, I, Dalla rivoluzione francese a Andrea Costa, Torino 1993; M. Binaghi, Addio, Lugano bella. Gli esuli politici nella Svizzera italiana di fine Ottocento (1866-1895), prefazione di N. Tranfaglia, Locarno 2002. Sul nonno paterno, sulla panca di famiglia nel duomo e sull’origine abruzzese, M. Gori, L. N., ingegnere ravennate (1766-1849), in Musei ferraresi, 1979-80, nn. 9-10, pp. 109-119.