PATERNO, Lodovico
– Nacque a Piedimonte d’Alife (oggi Piedimonte Matese, nella provincia di Caserta), il 12 febbraio 1533, da un’antica famiglia napoletana discendente di un ramo baronale detto di Castello. Il nome del padre è incerto. Marrocco (1951, p. 5) lo fa discendere da un Giacomo, titolato di nobiltà equestre e notaio, mentre Barbier (2007, I, p. 183) da un Achille, capitano della fanteria spagnola, morto a Milano nel 1559, che aveva sposato Angela Aldomorisco.
La data di nascita si ricava dai versi di un suo capitolo intitolato Del trionfo d’Amore («dal dì, che nacqui, o fossi allor io spento!, / il duodecimo dì, sul mezo giorno, / con trenta tre, nel mille et cinquecento, / duo mesi inanzi aprile» (Rime, pp. 520 s.). Disseminati nel canzoniere sono i riferimenti al luogo di nascita, come nel caso dell’incipit del sonetto, in cui sono evocati i numi tutelari di Piedimonte: «A piè d’un monte, il cui bell’aere spira / et di Marte, et di Febo i pregi insieme» (ibid., p. 317).
La famiglia risiedeva nel quartiere di S. Giovanni, primo nucleo abitativo dell’attuale cittadina, ma possedeva anche una dimora a S. Giovanni a Carbonara, a Napoli, dove Paterno alloggiò spesso.
Secondogenito di sette figli, al fratello Bernardo è indirizzato un sonetto di Giovanni Agostino Caccia nelle sue Rime spirituali, che lo definisce «fisico rarissimo» (Caccia, 1552, p. 135), ovvero esercitava la professione medica. Il suo primo maestro fu l’umanista Francesco Filippo Pedemonte, autore di un commento all’Ars poetica oraziana, apparso a Venezia nel 1546. In seguito studiò legge nell’Università di Napoli e fu discepolo del filosofo aristotelico Simone Porzio (1497-1554) e di Ettore Minutolo, lettori rispettivamente di metafisica e di diritto canonico.
A Napoli entrò al servizio di vari signori, tra cui Alfonso III de Cardenas, marchese di Laino e conte di Acerra, che si dilettò anche di comporre versi, morto nel 1564, a cui Paterno dedicò il poemetto in ottave Il palagio d’Amore.
L’ultima notizia della sua vita è affidata a un atto notarile del 1575 (la notizia in Marrocco, 1951, p. 7). Una fonte popolare, non confermata, vuole che Paterno abbia vestito l’abito di s. Domenico e che sia morto in un convento aversano dell’Ordine domenicano.
Pur nella difficoltà di delineare in maniera chiara il quadro delle esperienze culturali di Paterno, data l’esiguità dei dati biografici, egli si mostra ben inserito nell’ambiente letterario napoletano. È da supporre un rapporto quanto meno paritario con i principali protagonisti della scena poetica napoletana, se Bernardo Tasso, nell’ultimo canto dell’Amadigi, lo presenta nella «[...] compagnia di spirti eletti / che di Sebeto su le vaghe sponde / cantando, con leggiadri, alti concetti / accendeno d’amore il lido e l’onde» (canto C, 40, 1-4), accanto ad Angelo Di Costanzo, Berardino Rota, Luigi Tansillo, Ferrante Caracciolo e Ferrante Carafa, come colui che «col fecondo et elevato ingegno / è già poggiato a sì sublime segno» (ibid., 41, 7-8).
Esordì ad appena venticinque anni con il canzoniere Nuovo Petrarca, pubblicato nel 1560 (Venezia, G.A. Valvassori), dal titolo emblematico, ma ben presto ritrattato a seguito delle feroci critiche dei petrarchisti di stretta osservanza, che obbligarono il giovane poeta a ristampare la raccolta nello stesso anno, sempre per Valvassori, col più innocuo titolo di Rime.
L’ambizioso titolo originario voleva indicare un modo «nuovo» di imitare Petrarca, ossia «svolgerne tutte le possibilità tematiche ed espressive, portando i vari elementi a un livello d’accumulazione e di amplificazione che ne esaurisca la disponibilità di fruizione in altri contesti» (Quondam, 1975 p. 66).
Costituito da 966 componimenti, il canzoniere è diviso in quattro parti, come si legge sul frontespizio: La prima et seconda in vita et in morte di m. Mirtia, La terza de’ varii soggetti, et la quarta de’ Trionfi. Con il nome mimetico di Mirzia, dal mirto pianta sacra all’amore, Paterno celebrò nei suoi versi l’amore gelosamente nascosto per Lucrezia Montalto, moglie del conte Luigi Gaetani d’Aragona, della casa feudataria piedimontese e, alla morte di costui, di nuovo sposa di Cesare Cavaniglia, conte di Troia e di Montella.
Nella parte prima, In vita di madonna Mirtia, prima sezione, sono presenti 344 sonetti, 35 madrigali, 15 canzoni, 10 sestine, 4 componimenti in ottave; la seconda sezione, In materie diverse, reca per lo più testi celebrativi e d’occasione: 157 sonetti, 6 canzoni, 2 madrigali, 1 componimento in ottave, cui seguono poesie in vario metro: Visione della morte, elegie, capitoli e altro; infine un gruppo di sonetti dedicati a Paterno. La parte seconda è a sua volta suddivisa in un libro primo, In morte di madonna Mirtia, recante 176 sonetti, 13 canzoni, 7 madrigali, 4 sestine, 1 componimento in ottave; un libro secondo, costituito da testi d’occasione e di carattere celebrativo, raggruppati sotto il titolo Vari soggetti: 186 sonetti, 1 sestina, 2 canzoni, 2 madrigali; e infine un libro terzo che raccoglie la riscrittura dei Trionfi del Petrarca.
A distanza di un anno, Paterno diede alle stampe, sempre a Venezia per il medesimo editore, un altro libro di rime, Le nuove fiamme, probabile autocitazione tratta dal secondo sonetto della prima raccolta (cfr. Nuovo Petrarca, p. 2, v. 3).
L’insolita titolazione rivela una «operazione d’estensione del repertorio poetico oltre l’ambito specifico delle tematiche amoroso-morali proprie del petrarchismo [...] sicché l’organismo poetico [...] risulta a questo punto soprattutto amplificato di nuove fiamme rispetto a quelle sulle quali si esercitava l’esperienza poetica del petrarchismo ortodosso» (Quondam, 1975, p. 72).
La raccolta si articola in un libro primo Sonetti e Canzoni pastorali, contenente 134 sonetti, 28 madrigali, 21 canzoni, 3 sestine, una terzina; un libro secondo recante il Palagio d’Amore in ottave, più 13 composizioni celebrative; un libro terzo di elegie con 16 composizioni; un libro quarto di egloghe, e precisamente 7 egloghe marittime, 4 amorose, 6 lugubri, 4 illustri, 7 varie; e un libro quinto di 7 nenie e 50 tumuli. In appendice sono collocati tre sonetti di corrispondenza.
Caratteristica propria di questa raccolta è la divisione delle rime per argomento, invenzione che Tafuri (III, 2, 1752, p. 154) prima attribuisce a Paterno, per poi assegnarla a Girolamo Muzio; tuttavia riconosce a Paterno il merito di essere stato il primo a introdurre nella poesia volgare la nenia o epicedio, ovvero il canto lugubre per la morte di qualcuno.
La prima e la seconda parte del Nuovo Petrarca furono ristampate nel 1564 a Napoli per i tipi di Giovan Maria Scotto con il titolo Mirzia, cui si aggiunse una terza parte, che vide la luce a Palermo nel 1568 presso Antonio Maida. Questa terza parte della Mirzia rispondeva alla necessità di arginare le polemiche innescate dal titolo del 1560, «titolo insolente e vano», che l’autore, nella nota ai lettori, attribuisce all’editore veneziano. Il nuovo testo aggiunse 64 sonetti, 8 madrigali e una canzone ai componimenti «in vita di Mirtia», 28 sonetti e 2 madrigali a quelli «in morte» e 30 sonetti e 1 madrigale a quelli «in materie diverse».
Infine, dieci satire di Paterno furono pubblicate nella silloge curata da Mario degli Andini, Satire di cinque poeti illustri, di nuovo raccolte et poste a luce. Con una lettera del Paterno, dove si discorre della latina, et thoscana satira… (Venezia, G.A. Valvassori, 1565), insieme con quelle dell’Ariosto, di Francesco Sansovino, di Ercole Bentivoglio e di Luigi Alamanni. Nella lettera prefatoria Sovra la materia della satira (cc. 4r-7r), Paterno rivendica a sé il merito di aver utilizzato l’ottava rima e l’endecasillabo accanto alla terzina.
Fonti e bibl.: B. Tasso, L’Amadigi, Venezia 1560, p. 607; A. Caccia, Le rime spirituali, Torino s.d., p. 135; Raccolta di opuscoli scientifici e filologici, a cura di A. Calogerà, V, Venezia 1728, p. 258; XII, Venezia 1735, p. 429; G.M. Crescimbeni, Dell’Istoria della volgar poesia..., II, 1, Venezia,1730, pp. 421-423; G.B. Tafuri, Istoria degli scrittori nati del Regno di Napoli..., III, 2, Napoli 1752, pp. 153-156; VI, Napoli 1770, p. 574; P. Napoli-Signorelli, Vicende della coltura nelle Due Sicilie…, IV, Napoli 1785, pp. 340 s.; C. Minieri Riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, p. 260; G. Carducci, La poesia barbara nei secoli XV e XVI, Bologna, 1881 pp. 363-369; A. Lauri, Dizionario dei cittadini notevoli di Terra di Lavoro antichi e moderni, Sora 1915, p. 133; D.B. Marrocco, Il canzoniere di L. P., Piedimonte d’Alife 1951; G. Petrocchi, La letteratura del pieno e tardo Rinascimento, in Storia di Napoli, V, Napoli, 1967-74, p. 306; N. Badaloni, Fermenti di vita intellettuale a Napoli dal 1500 alla metà del 600, in Storia di Napoli, V, 1, Napoli 1971, p. 654; G. Ferroni - A. Quondam, La «locuzione artificiosa». Teoria ed esperienza della lirica a Napoli nell’età del manierismo, Roma 1973, pp. 343 s.; A. Quondam, La parola nel labirinto. Società e scrittura del Manierismo a Napoli, Bari 1975, p. 66; Poesia italiana del Cinquecento, a cura di G. Ferroni, Milano 1978, pp. 194-197; R. Castagnola, Metamorfosi di metamorfosi. Rielaborazioni petrarchesche nel canzoniere di L. P., in Nuova secondaria, XIV (1997), pp. 44-49; Antologia della poesia italiana, diretta da C. Segre - C. Ossola, Cinquecento, Torino 2001, pp. 270 s., 394; R. Cacho Casal, Ariosto, P. e la satira sul prendere moglie: tra imitazione e contestazione, in Giornale storico della letteratura italiana, CLXXXI (2004), pp. 86-106; J.P. Barbier, Ma bibliothèque poétique, VI, De Dante à Chiabrera: poètes italiens de la Renaissance dans la bibliothèque de la Fondation Barbier-Mueller, a cura di J. Balsamo con la collaborazione di F. Tomasi, Genève 2007, I, p. 183; II, pp. 34-37; M. Ariani, I lirici, in Storia letteraria d’Italia, II, Il Cinquecento, a cura di G. Da Pozzo, Padova 2007, pp. 986 s.; S. Fanelli, Le Nuove Fiamme di L. P., in C. Montagnani, Il nuovo canzoniere, esperimenti lirici secenteschi, Roma 2008, pp. 15-50.