TOMMASI, Lodovico (Ludovico)
– Nacque a Livorno il 16 luglio 1866 da Luigi, tesoriere comunale e possidente, e da Isolina Vivoli, ultimo di cinque figli.
Rimasto presto vedovo, Luigi si risposò con Maria Adelaide Francesca Bertolini. La famiglia si trasferì a Firenze nel 1881 in una villa di proprietà di Adele (come Adelaide veniva chiamata in famiglia) lasciatale in eredità dal primo marito, la cosiddetta Casaccia a Bellariva, fuori porta alla Croce, zona prediletta dagli artisti per eseguire i loro studi dal vero. Ludovico s’iscrisse al conservatorio, dove si diplomò in violino, e il fratello Angiolo all’Accademia di belle arti. Alla Casaccia, intorno ad Adele, si formò presto un salotto che accolse tra gli altri Giosue Carducci, Adriano Cecioni, Odoardo Borrani, Giovanni Fattori, Telemaco Signorini e soprattutto Silvestro Lega (Dini, in I Tommasi, 2011, pp. 15 ss.). Un rapporto speciale unì Lega alla famiglia Tommasi: presentato a Luigi da suo nipote Adolfo, anch’egli pittore, a Livorno nel 1877, fu ospite assiduo alla Casaccia, e nel 1882 vi si stabilì per alcuni anni, divenendo maestro di Angiolo e del giovanissimo Ludovico, che mostrava spiccate doti pittoriche oltre che musicali.
«Mi sembra ancora di rivedere la bella villa sull’Arno e tutte le gentili persone che facevano festa alla figlia di un amico, e mi sembra ancora di udire la melodia di Chopin, che eseguiva il giovanetto Ludovico, quasi mio coetaneo, e un po’ allievo di mio marito [il violinista Ettore Martini]», raccontava Anna Franchi (1935, p. 41), la scrittrice che narrò le vicende dei macchiaioli.
Intorno ai vent’anni Ludovico si muoveva tra due fecondissimi circuiti culturali: quello fiorentino, con le animate iniziative del Circolo artistico, e quello livornese del Circolo filologico (Cagianelli, in Pittori in villa, 1997). Frequentò i salotti letterari di entrambe le città e partecipò alla Mostra della Società di belle arti di Firenze (1884), così come alla I Esposizione di belle arti di Livorno (1886), in occasione della quale la città si propose come vivace polo culturale nazionale, alternativo a Firenze (Monti, 1985). Nell’entroterra, tra le località di Crespina e del Gabbro, le ville di campagna delle ricche famiglie di città si animarono della presenza di intellettuali e artisti alla ricerca di un rapporto diretto con la natura. I Tommasi avevano una villa a Crespina, e Ludovico e Angiolo si recavano nella zona a dipingere dal vero sotto la guida di Lega, che soggiornò al Gabbro presso la famiglia Bandini di Livorno.
Tre Paesaggi del Gabbro. dal marcato impianto orizzontale e dalla sintesi pittorica estrema (1887-89; Pittori in villa, 1997, pp. 159-161) testimoniano il libero alunnato di Ludovico presso Lega: il giovane, privo di formazione accademica, rielaborò il linguaggio bozzettistico che il maestro aveva sviluppato negli anni Ottanta verso un’evoluzione emozionale della sintesi formale macchiaiola, complice un disturbo alla vista che lo affliggeva. Nell’opera Il giardino della villa Tommasi a Bellariva (Pittori in villa, 1997, p. 166), dei primi anni Novanta, le figure femminili, protagoniste della pittura di maestro e allievo, sono associate ai fiori in mezzo a cui sono ritratte, in un felice unicum pittorico che esclude ogni indugio narrativo e suggerisce anziché descrivere.
Traccia della collaborazione dei fratelli Tommasi con Lega è il cosiddetto cofanetto Riccomanni (Daddi, 1978), decorato dai tre pittori intorno al 1886, e destinato ad Anna Cecchini, poi scomposto in tavolette. Sono testimonianze dirette dell’affettuoso rapporto tra maestro e allievo, protrattosi fino all’anno della morte di Lega (1895), una commovente lettera di quest’ultimo (Silvestro Lega, 2003, p. 210) e un suo bellissimo ritratto di Ludovico (1885, Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti).
A partire da questa precoce stagione espositiva, Ludovico presenziò regolarmente a mostre fiorentine e italiane, concludendo numerose vendite (Monti, 1991, pp. 207-209); ma la ricostruzione del corpus e della vicenda del pittore non è semplice a causa della genericità dei titoli indicati nei cataloghi e della dispersione di opere e documenti dopo la sua morte.
Tommasi fu tra gli illustratori del Primo libro dei monologhi di Luigi Rasi (Milano 1888) e dell’Autunno di Guido Menasci (Livorno 1901).
L’irruenza della pennellata di Donna seduta sul carro (1890 circa; Monti, 1991, p. 44) rimanda alla pittura del Lega degli anni Ottanta, ma la libertà cromatica allontana l’opera da una rappresentazione oggettiva, così come in Strada in salita (Pittori in villa, 1997, p. 163, n. 59), dei primi anni Novanta, dove il taglio fotografico alla Signorini occhieggia l’universo simbolista di Giovanni Pascoli o Arnold Böcklin, a Firenze a fine secolo. In Guardianella di oche (1892; Monti, 1991, p. 44) la resa del vero risulta fortemente subordinata alla scelta dell’autore, particolarissima per lo scorcio prospettico a precipizio sul primo piano.
Tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta a Firenze gli artisti, giovani e meno giovani, si ritrovavano in una trattoria in via San Gallo, Il Volturno, di cui decorarono le pareti: «e primo vi dipinse il Lega e i tre Tommasi e vi disegnarono o dipinsero ritratti o animali o paesi d’ogni genere, il Nomellini, il Kienerk, il Panerai, il Fanelli» (Giardelli, 1958, pp. 234 s.). Lega «faceva da chioccia ad una covata di impressionisti livornesi» come scrisse Diego Martelli (cit. ibid., p. 235), tra i quali Ferruccio Pagni, Mario Puccini, Alfonso Hollaender (pianista, con cui Ludovico duettava al violino). Con loro erano i più anziani Egisto Ferroni, Niccolò Cannicci, Francesco e Luigi Gioli, e i maestri Lega, Signorini e Fattori. Fu in questo ambiente che si diffusero le novità importate dal giovane Alfredo Müller di ritorno dalla Francia: i giovani vedevano in lui il profeta della lezione impressionista, suscitando le ire di Fattori, che rifiutava ogni dissoluzione della forma sotto i colpi di una cromia non sempre aderente al vero. Ludovico fu nella schiera dei cosiddetti müllerini (Monti, 1991, pp. 43, 176 s.), attento alle sperimentazioni francesi su luce e colore. Signorini, avverso alla moda delle impressioni, nel 1888 lodava comunque la sobrietà cromatica e l’attenzione alla forma da parte di Tommasi: «si presenta delicatamente distinto e fino nell’ambiente dei suoi dipinti, nella sobrietà del suo colorito e nella intima osservazione della forma in ogni suo contorno» (Labieno, 1888).
Tra il 1888 e il 1891 Tommasi fu a Milano per il servizio militare, continuando a esporre e a frequentare la cerchia del Volturno. Intanto sviluppava quella passione per il disegno che divenne per lui un modo rapido per fermare le impressioni ed entrare in contatto con la realtà tracciando schizzi su qualunque pezzo di carta, come faceva Fattori, anche durante una conversazione, a matita o con una «porcheria qualunque»: brace, pastelli o sigaro spento (Franchi, 1935, p. 42).
Negli anni Novanta fu parte dell’accolita di Torre del Lago, dove Giacomo Puccini acquistò una villa, accogliendovi gli amici pittori che, tra battute di caccia e serate goliardiche nel capanno del Club La Bohème sul lago di Massaciuccoli, definivano un raffinato simbolismo naturalista. Tra i frequentatori, Pagni, Francesco Fanelli, i Tommasi, Angelo Torchi, Plinio Nomellini, Eugenio Cecconi, Renato Fucini. Le doti di musicista di Ludovico furono riconosciute da Puccini, che lo volle come insegnante di musica del figlio. Del 1896, il monumentale Lago di Massaciuccoli (Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti) associa una pennellata ferma a delicate opalescenze su una fuga prospettica che, dal primo piano di dettagli naturalistici à la japonaise, vola a pelo d’acqua fino alle montagne nel fondo. Lo stesso vale per La caduta delle foglie (1897 circa, Livorno, Museo civico Giovanni Fattori), in cui la nitidezza della pittura e la fuga prospettica non nascondono l’atmosfera malinconica, evitando il tono epico cui la grande dimensione poteva indurre.
Il Lago di Massaciuccoli fu acquistato dal re Umberto I alla mostra internazionale della Festa dell’arte e dei fiori, che nel 1896 proiettò Firenze nel pieno del dibattito europeo tra verismo e simbolismo. Opere come In cerca di nicchie (1897; Monti, 1991, p. 46) o Lavandaie mugellane (1898; Tommasi..., 1988, p. 136) traducono con una pittura raffinata una partecipazione inquieta alle mutazioni atmosferiche e al dettaglio naturale, tipica dell’universo poetico pascoliano.
Figlio della cultura macchiaiola ma orientato al superamento del dettato verista, Tommasi «lavora poco nello studio, abituato com’è a lavorare all’aria aperta. Non è il paesista che si contenta di riprodurre un pezzetto di campagna; nei suoi quadri vi è sempre un pensiero, e le figure che animano le sue tele di paese non sono mai messe là per riempire, per completare, ma sono una necessità voluta dal concetto, e sempre si troverà che armonizzano con la natura descritta. Più che la scienza dell’arte, egli possiede la scienza del sentimento, la poesia dell’arte» (Franchi, 1902, pp. 174 s.).
Sul volgere del secolo, in dipinti dalla rapida sintesi pittorica come La lezione di piano o Bigherinaie al lavoro, e ancor più Alla Gamberaia, Settignano (Tommasi..., 1988, pp. 132 s., 144), l’artista alleggerì la pennellata per combinarla con un’elegante linea art nouveau e una cromia sempre più libera, accesa e di grande suggestione.
Nel primo decennio del Novecento Tommasi fu tra i promotori di importanti esposizioni insieme a Galileo Chini, Domenico Trentacoste, Sirio Tofanari, Edoardo Gelli: tra esse l’Esposizione d’arte di Palazzo Corsini in via del Parione a Firenze nel 1904, che valorizzò le scuole regionali, coniugando gusto per il vero e tecniche pittoriche più aggiornate. Nacque un Comitato per l’arte toscana, che allestì nel 1905 una sorta di secessione fiorentina: la I Mostra d’arte toscana in via della Colonna, saloni della Promotrice, in cui Tommasi ottenne un notevole successo per dipinti e disegni esposti, e per la decorazione della sala dei disegni.
Negli stessi anni Tommasi, Nomellini, Chini e altri si riunirono nel gruppo della Giovane Etruria, che esordì all’Esposizione nazionale d’arte di Milano del 1906, proponendosi di riformare la pittura toscana aggiornando la lezione macchiaiola. Il gruppo fu segnalato da Vittorio Pica (1908, pp. 226-228) nella recensione alla Biennale romagnola d’arte di Faenza del 1908, dove Ludovico espose un’opera di chiara assonanza simbolista nomelliniana: il trittico, oggi disperso, Le notti umane (un pannello è noto attraverso una riproduzione, ibid., p. 230), che aveva riscosso successo alla Biennale veneziana del 1907.
Del 1908 è Bambini in un campo di grano, in cui la fusione tra figura e ambiente è operata attraverso barbagli di luce e colore che allontanano ogni pretesa di oggettività, per evocare memorie o visioni naturali.
Nel 1911, all’Esposizione internazionale di belle arti di Barcellona, Tommasi si presentò con Fuoco nella chiglia, interpretazione eroica del tema del lavoro, le cui accensioni cromatiche e spericolatezze compositive gli valsero una medaglia di seconda classe (Marchioni, in Due capolavori ritrovati, 2008).
L’artista praticò largamente la grafica, formandosi all’Accademia delle arti e del disegno di Ravenna con Vittorio Guaccimanni, e fondò nel 1912 la Scuola libera dell’acquaforte con Carlo Raffaelli in un locale dell’Accademia di Firenze. Suoi disegni e incisioni sono conservati al Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi.
Verso una sempre maggior libertà di segno e cromia sono Sotto il pergolato (1912) e Donne che dipanano la lana (Tommasi..., 1988, pp. 156, 160).
Nel 1914 Tommasi compì un viaggio in Romania da cui trasse studi e disegni venduti alla I Esposizione invernale Toscana (1914-15) e alla III Esposizione internazionale d’arte della Secessione a Roma (1915).
Nello stesso anno un lungo articolo ne esaltò la consonanza tra doti musicali e doti pittoriche, mettendone in risalto le scelte musicali d’avanguardia: «Lo spirito di Ludovico Tommasi è fatto principalmente di armonia. Egli si è servito nella pittura di quella fine educazione musicale che lo ha fatto conoscere per uno dei più delicati ed esperti violinisti toscani. Per merito suo infatti sono state eseguite ed apprezzate a Firenze composizioni dei più moderni musicisti francesi come Debussy, Magnard, d’Indy, Kopartz [sic, ma Ropartz], Vierne ed altri» (Stanghellini, 1914, p. 274). Diresse alcuni concerti per la Società Leonardo da Vinci, come ricorda lui stesso in una delle poche lettere conservate (Carteggi e disegni di macchiaioli, 2010).
Ascrivibile a questo giro di anni è Iridescenze, una natura morta di complessi accordi e ricchi impasti cromatici (Monti, 1991, p. 49), di una modernità sorprendente, che incontriamo anche in Vaso con fiori (Ludovico Tommasi, 2002, p. 17, n. 2).
Dagli anni Venti, Tommasi attenuò gradualmente sperimentazioni cromatiche e azzardi prospettici; le eleganze formali art nouveau lasciarono il posto a una pittura di densi impasti e cromie brune, esercitati su ritratti e temi quotidiani.
Morì il 7 febbraio 1941 a Firenze.
Fonti e Bibl.: Labieno [Telemaco Signorini], Esposizione promotrice di belle arti, in La Domenica fiorentina, 12 febbraio 1888; A. Franchi, Arte e artisti toscani. Dal 1850 ad oggi, Firenze 1902, ad ind.; V. Pica, La prima mostra romagnola d’arte a Faenza, in Emporium, XXVIII (1908), 165, pp. 225-236; A. Stanghellini, Un pittore della luce: L. T., in Rassegna d’arte, I (1914), pp. 273-278; A. Franchi, L. T., in Liburni civitas, VIII (1935), pp. 41-50; M. Giardelli, I Macchiaioli e l’epoca loro, Milano 1958, pp. 233-236; Mostra retrospettiva di L. T. (catal.), Firenze 1976; G. Daddi, Silvestro Lega. Spunti e appunti, Oggiono 1978, pp. 61-68; L. T.: espressioni grafiche dal 1920 al 1930, a cura di G.L. Marini - P. Stefani, Firenze 1980; R. Monti, Le mutazioni della “macchia”, Firenze 1985, pp. 9-24; Tommasi: Adolfo, Angiolo, Lodovico, nell’evoluzione della pittura macchiaiola, a cura di A. Parronchi, Firenze 1988; R. Monti, I Postmacchiaioli, Roma 1991, pp. 43-49, 176 s., 207-209; Pittori in villa: Silvestro Lega e l’ambiente dei Tommasi a Crespina e dintorni, a cura di F. Cagianelli - E. Lazzarini, Ospedaletto 1997 (in partic. F. Cagianelli, Rapporti tra pittura e letteratura nella produzione di Lega e dei Tommasi..., pp. 31-60); L. T., 1866-1941. L’evoluzione nel Novecento (catal.), a cura di F. Donzelli, Firenze 2002; Silvestro Lega. Da Bellariva al Gabbro (catal., Castiglioncello), a cura di F. Dini, Firenze 2003, p. 210; Due capolavori ritrovati: Llewelyn Lloyd e L. T. nelle raccolte della Fondazione della Cassa di Risparmi di Livorno (catal., Livorno), a cura di V. Farinella, Milano 2008 (in partic. N. Marchioni, Fuoco nella chiglia. I calafati di L. T. e l’iconografia dannunziana de La nave, pp. 39-49); Carteggi e disegni di macchiaioli. La raccolta Fedi della Galleria d’arte moderna, a cura di C. Palma, Livorno 2010, pp. 122 s.; I Tommasi: pittori in Toscana dopo la macchia (catal., Castiglioncello), a cura di F. Dini, Milano 2011 (in partic. F. Dini, I Tommasi e l’eredità dei Macchiaioli, pp. 15-31).