LOFFREDO, Lodovico Venceslao
Nacque a Napoli il 5 apr. 1758 da Niccola Maria, marchese di Monteforte e principe di Cardito, e dalla nobildonna Eleonora Sacrati. Alla morte del padre (18 apr. 1767) ne ereditò, oltre ai possedimenti, ambedue i titoli.
La famiglia, di lontana origine normanna, era da secoli nel Mezzogiorno d'Italia; oltre a detenere vasti possedimenti feudali, era iscritta nel Libro d'oro della nobiltà napoletana in virtù dell'appartenenza ai seggi di Capuana e di Portanova, rispettivamente attraverso i rami dei principi di Migliano, dei marchesi di Sant'Agata e dei principi di Cardito. Alla nascita del L. essa era tra le meglio inserite nell'entourage di corte della nuova dinastia borbonica.
Dopo gli studi il L. passò al servizio della casa regnante, svolgendo incarichi diplomatici che, dai tardi anni Ottanta, lo portarono, tra l'altro, in Danimarca, Prussia, Francia e Toscana. Tenutosi rigorosamente in disparte durante la breve stagione repubblicana del 1799, vide ripagata la sua fedeltà alla dinastia - non comune tra gli aristocratici napoletani dell'epoca - con rilevanti cariche politiche durante la prima restaurazione borbonica (1799-1805). Fu anche ascritto agli ordini cavallereschi più esclusivi, quali il R. Ordine di S. Gennaro e l'Ordine di S. Ferdinando e del Merito (di cui fu cavaliere gran croce).
È del 1805 l'episodio più importante di questa fase. Venne inviato a Milano a fianco del ministro degli Esteri, M. Mastrilli marchese del Gallo, per l'incoronazione di Napoleone a re d'Italia, con l'incarico di ottenerne l'impegno a non invadere il Regno di Napoli in cambio del riconoscimento da parte della dinastia napoletana del nuovo Regno con capitale Milano. Ma nel frattempo la regina Maria Carolina d'Asburgo Lorena stava tramando con i fautori della coalizione europea antinapoleonica. Napoleone era al corrente della situazione poiché era stata intercettata corrispondenza nella quale la regina di Napoli non si era fatta scrupolo di scrivere che "non si trucidava l'armata francese di occupazione soltanto per paura che un'altra avrebbe preso il suo posto" (Cortese, in Colletta, II, pp. 182 s.). Giunto a Milano il 21 maggio 1805, il L. subì una prima umiliazione il 26 maggio, giorno dell'incoronazione, quando, con il pretesto che le sue credenziali non riconoscevano esplicitamente Napoleone come re d'Italia, fu costretto ad assistere alla cerimonia confuso tra la folla. Venne, infine, ricevuto da Napoleone il 2 giugno e, trattato in malo modo, si sentì ingiungere di riferire alla regina che i suoi intrighi erano noti e che i suoi figli avrebbero maledetto "la sua memoria, perché non le lascerò nel suo regno abbastanza terra quanta occorre per seppellirla" (Tivaroni, p. 228).
Nel febbraio 1806 i primi squadroni dell'esercito francese facevano il loro ingresso a Napoli, che la famiglia reale aveva abbandonato già qualche settimana prima alla volta della Sicilia. A differenza di altre figure della corte, nel decennio francese il L. non seguì i Borboni a Palermo e rimase nel Mezzogiorno continentale, ritirato dalla vita pubblica e probabilmente coltivando nel chiuso delle sue imponenti tenute la sua passione amatoriale per le scienze naturali. Nel 1815, al ritorno a Napoli dei Borboni dopo la caduta di re Gioacchino Murat, essa gli fu riconosciuta con la nomina (9 nov. 1815) prima a socio ordinario, poi a presidente del R. Istituto di incoraggiamento, che nella capitale del Mezzogiorno assolse tra l'età napoleonica e l'unificazione nazionale una funzione paragonabile a quella svolta nelle principali monarchie dell'epoca dalle Accademie delle scienze.
Era l'avvio di una parabola ascendente che, nel giro di pochi anni, avrebbe fatto di lui uno dei più importanti uomini di governo del Regno. Sempre nel 1815 Ferdinando IV (poi I) di Borbone lo insediò, infatti, alla direzione generale della Commissione della pubblica istruzione, chiave del sistema scolastico dell'intero Mezzogiorno; due anni più tardi, nel 1817, lo accolse tra i suoi collaboratori più intimi e fidati nel Consiglio di Cancelleria.
Durante il nonimestre costituzionale del 1820-21 la posizione del L. ricalcò quella adottata dal sovrano. Con una certa soddisfazione il 27 marzo 1821, a reazione ormai consumata, scriveva a Luigi de' Medici: "Tutto è finito da noi. La mancanza assoluta di giudizio della nostra nazione, fa sì che al meno, tutto si fonde come la neve al sole; così il '99, così il '21" (Arch. di Stato di Napoli, Borbone, 698.II). Il 12 aprile, in quanto direttore generale della Istruzione pubblica, fu nominato presidente di una delle quattro giunte di scrutinio (consacrata a "persone che pubblicarono opere in stampa, e che istruirono la gioventù nelle scuole pubbliche e private") incaricate dell'epurazione di chi, nei mesi precedenti, troppo si fosse esposto in senso liberale. Svolse l'incarico con una certa moderazione.
Qualche mese più tardi (all'inizio del 1822), partito l'ultrareazionario A. Capece Minutolo, principe di Canosa, per l'esilio, entrò nel governo quale ministro consigliere di Stato, con l'incarico di supplire il presidente in caso di assenza. Nel 1824, quando, per le insistenze del cancelliere austriaco principe K. von Metternich, il re accordò infine al Regno una Consulta generale (cui era devoluto il contenzioso amministrativo e che era chiamata a svolgere una funzione pseudo-rappresentativa per temperare gli umori inquieti dell'opinione pubblica di orientamento antiassolutista), il L. ne assunse la presidenza, che tenne fino alla morte.
L'assommarsi delle cariche accrebbe la sua fortuna, tanto che al culmine della sua carriera introitava da esse la somma ragguardevole di 3000 ducati annui. Scarsamente in sintonia con il primo ministro Medici (che considerava eccessivamente influenzato da una visione amministrativa, più che schiettamente dinastica, dello Stato), nei suoi ultimi anni il L. venne tuttavia criticato sotterraneamente dai fedelissimi del Canosa, che lo reputavano a loro volta insufficientemente reazionario; un rilievo forse fuori bersaglio, se è vero che in una lettera del 26 apr. 1827 al Medici mostrò di disprezzare i Consigli provinciali (con i quali, in omaggio a un adattamento ai tempi tutto di facciata, era chiamato dalla sua carica a dialogare), descrivendoli come diretti "da presidenti imbecilli o liberali", sempre pronti a dire "quello che non conviene al governo" (Arch. di Stato di Napoli, Borbone, 698.II).
Il 9 maggio 1826, nella sua villa di Pozzuoli, "in ottimo stato di salute" aveva steso il proprio testamento. Dalla moglie, Zenobia Revertera, non aveva avuto figli e per questo desiderava istituire un maggiorasco a beneficio dell'agnata più prossima, Marianna Loffredo, figlia di Gerardo, del ramo parallelo dei Loffredo di Migliano e sposa di don Francesco Caracciolo, principe di Santobuono, a condizione che il loro primogenito e gli eredi di questo inquartassero nelle loro insegne araldiche le armi dei Loffredo, assumendo in tutti gli atti pubblici tra i propri titoli anche quello di principe di Cardito.
I ritratti di maniera stesi al momento della morte ne celebrarono, oltre alla determinazione antirivoluzionaria e alla calda adesione ai valori della monarchia e della società per ceti, l'impegno per l'Istituto di incoraggiamento - ai cui soci garantì un regolare gettone di presenza - e in generale per gli studi superiori: per esempio l'apertura agli studenti della Biblioteca universitaria, l'istituzione di una cattedra di chimica applicata alle arti nell'Università, il miglioramento delle dotazioni dei gabinetti di zoologia, chimica, fisica sperimentale, medicina, veterinaria, l'arricchimento dell'Orto botanico della capitale; nonché il mecenatismo verso le ricerche archeologiche nell'area flegrea e soprattutto a Pozzuoli, dove amava soggiornare e aveva fatto edificare una villa, in prossimità dell'antico Bagno ortofonico. In particolare, il L. fece riutilizzare uno dei serbatoi antichi di Pozzuoli come bacino di deflusso per l'acqua piovana, finanziò la costruzione di una strada Baia-Miseno-Monte di Procida-Fusaro e dispose il restauro del porto di Miseno.
Ciò che le sue ultime volontà lasciano trasparire è soprattutto il ritratto di un uomo rimasto fondamentalmente ancorato allo spirito dell'antico regime. Paternalista ma non ingeneroso nei confronti della servitù, alla quale distribuiva lasciti ad personam, impegnava parte del suo cospicuo patrimonio - la sua rendita era stimata intorno ai 18.000 ducati annui - nell'istituzione di un ritiro per dame nobili a Pozzuoli - "mancando in questo Paese uno stabilimento per povere nobili donzelle, che non trovano a collocarsi, per cui debbono entrare in un Monastero senza vocazione, o debbono prendere il primo uomo che incontrano, rendendo sempre più disprezzevoli i cognomi, che portano, che pur troppo le circostanze de' tempi hanno reso abietti" - o, in alternativa, di due orfanotrofi, uno a Cardito, l'altro a Monteforte. Il ricovero per le fanciulle nobili, dove il L. immaginava di far riunire dopo la sua morte (previo versamento iniziale di una somma di 2000 ducati a fondo perduto da parte di ciascuna delle ospiti) alcuni bei nomi, per quanto decaduti, del Libro d'oro, "con preferenza al già sedile di Capuana, ch'era quello a cui era affiliato" (Testamento, p. 10), non aprì mai i battenti, per la contestazione di questa clausola del testamento da parte dell'erede, che non condivideva, evidentemente, il suo austero ethos di ceto e che, viceversa, era determinata a far sua anche la porzione di rendita (7000 ducati, dei 18.000 complessivi annui) che avrebbe dovuto finanziarlo. In forza del deciso intervento del governo, vennero aperti invece nel 1840 i due orfanotrofi, prima affidati alla gestione amministrativa del Demanio e poi, a partire dal 1848, a quella dei Decurionati (Consigli comunali) di Cardito e Monteforte.
Il L. morì a Napoli il 15 sett. 1827.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Assienti, 143; Ministero degli Affari esteri, 6783; Archivio Borbone, 698.II, 1117.I; Testamento del principe di Cardito. Istituzione del maggiorato, Istituzione del ritiro, Napoli s.d. [ma 1828]; S. Gatti, Elogio di L. L. principe di Cardito…, Napoli 1828; Necrologia, in Atti del R. Istituto d'incoraggiamento alle scienze naturali di Napoli, s. 1, V (1834), pp. 349-352; C. Minieri Riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, p. 181; L. Cagnazzi, La mia vita, a cura di A. Cutolo, Milano 1944, pp. 125 s., 134; P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, a cura di N. Cortese, Napoli 1969, II, pp. 182 s.; III, pp. 137, 292, 319 s.; E. Ricca, La nobiltà delle Due Sicilie, III, 1, Napoli 1865, p. 213; B. Candida Gonzaga, Memorie delle famiglie nobili delle province meridionali d'Italia, V, Napoli 1879, pp. 92-98; C. Tivaroni, L'Italia durante il dominio francese, II, Roma-Torino-Napoli 1889, p. 228; E.O. Mastrojanni, Il Reale Istituto d'incoraggiamento di Napoli 1806-1906, Napoli 1907, p. 215; G. Cingari, Mezzogiorno e Risorgimento. La Restaurazione a Napoli dal 1821 al 1830, Roma-Bari 1976, pp. 35, 89, 93, 214, 245; G. De Sapio, Un principe munifico: L.V. L. nel 150° anniversario della sua morte, in Il Rievocatore, XXVIII (1977), 7-8, pp. 5-27.