Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Gli straordinari sviluppi della logica dell’Ottocento vanno visti alla luce della coeva rivoluzione metodologica della matematica. La logica si sviluppa essenzialmente in due direzioni epistemologicamente opposte: da un lato, la nuova riflessione sull’algebra come scienza delle relazioni porta a concepire un’algebra del pensiero, cioè l’idea che il linguaggio algebrico consente alla logica di esprimere la propria vocazione formale; dall’altro, dall’esigenza di rigore nell’ambito dell’aritmetizzazione dell’analisi matematica, emerge l’idea che la logica fonda la matematica stessa o, almeno, include alcune sue teorie, vecchie (aritmetica) e nuove (teoria degli insiemi).
Introduzione
Il giudizio kantiano, nella Prefazione alla seconda edizione della Critica della ragion pura (1787), secondo cui la logica formale “è da ritenersi come chiusa e completa” è smentito dalla straordinaria espansione della logica nel secolo successivo. Ricordiamo alcuni risultati:
1) la tradizionale teoria del sillogismo è raffinata da Augustus De Morgan in modo da trattare anche inferenze di natura relazionale (tutte le balene sono mammiferi; dunque, tutte le code delle balene sono code di mammiferi) e, più in generale, matura la consapevolezza che un’analisi logica del ragionamento deduttivo esula dai confini della logica tradizionale aristotelica;
2) l’impiego dell’algebra come linguaggio per la logica, a partire dai lavori di George Boole, realizza in buona parte il progetto leibniziano di matematizzazione della logica attraverso un calculus ratiocinator;
3) con Gottlob Frege, per la prima volta dagli Analitici primi di Aristotele, il contenuto di una proposizione viene decomposto non in soggetto e predicato ma in funzione e argomento. Trasporre in logica la nozione matematica di funzione mette Frege in condizione di sviluppare anche un’adeguata teoria della quantificazione: i quantificatori universale (“tutti”) ed esistenziale (“qualche”), cruciali per il linguaggio matematico, ricevono un’analisi finalmente non fuorviata dalla grammatica delle lingue naturali
4) infine si afferma, sempre con Frege, la nozione di sistema formale, che costituisce un perfezionamento della nozione di sistema assiomatico. Un sistema formale, infatti, oltre a specificare i suoi assiomi, esplicita il proprio linguaggio e un insieme prefissato di regole d’inferenza.
Non si possono comprendere queste innovazioni prescindendo dal rapporto che la logica intrattiene con la matematica ottocentesca con cui intreccia i propri interessi e da cui attinge profondi problemi. La logica allenta, e a tratti scioglie, il millenario legame con la filosofia, assume una forma matematica e poi si propone, nella seconda metà del secolo, come fondazione della matematica stessa.
In algebra, con la nascita dell’algebra astratta, e in analisi, con un atteggiamento rigorista di aritmetizzazione o convergenza al discreto, si assiste a due radicali cambiamenti di prospettiva. Nel campo dell’algebra, la nozione di quantità non è più la stella polare, ma assumono preminenza le leggi di combinazione dei simboli indipendentemente dai loro contenuti specifici. Lo sganciamento dell’algebra dall’esperienza numerica del calcolo consente la scoperta di nuovi oggetti formali (per esempio, i quaternioni, estensione dei numeri complessi), spianando la strada alla possibilità di nuove applicazioni della matematica in campi fenomenici differenti, anche quello delle “leggi del pensiero”.
Nel campo dell’analisi, la nozione di limite chiarita da Augustin-Luis Cauchy soppianta definitivamente l’uso problematico degli infinitesimi indirizzando l’attenzione dei matematici verso il problema della fondazione del sistema dei numeri reali. Tale problema porta, nella seconda metà del secolo, alla fase detta dell’“aritmetizzazione dell’analisi” iniziata da Karl Weierstrass e culminata con Richard Dedekind: i numeri reali sono definiti in termini di numeri razionali e quindi di numeri naturali. Come effetto della scoperta delle geometrie non euclidee, peraltro, l’aritmetica è individuata come una base sicura per i concetti analitici a scapito della geometria e, di conseguenza, il tema della fondazione della matematica che emerge da un’esigenza profonda di chiarezza è declinato attraverso il tentativo di una fondazione della teoria dei numeri naturali. Una fondazione logica che esclude il ricorso all’intuizione o all’evidenza psicologica.
Tra il 1847 e il 1879 si costituiscono due fondamentali apparati logici che pur appartenendo a orizzonti concettuali diversi e con compiti opposti (rappresentazione algebrica delle leggi del pensiero/giustificazione della verità matematica e aritmetica in particolare) si contendono nella tradizione storiografica la palma dell’origine della logica matematica.
L’algebra della logica di George Boole
L’opuscolo The Mathematical Analysis of Logic [1847, Analisi matematica della logica] del matematico inglese George Boole contiene la prima descrizione della logica come un sistema algebrico astratto. Sette anni più tardi Boole estende il suo approccio simbolico alla teoria della probabilità nella sua opera maggiore, An Investigation of the Laws of Thought [1854, Indagine sulle leggi del pensiero]. La visione algebrica che Boole ha della logica è radicata nella nuova concezione, fortemente sintattica, della matematica e specie dell’algebra, che si sviluppa nella scuola algebrica di Cambridge. Uno dei principali rinnovatori della matematica inglese, George Peacock elabora negli anni Trenta la distinzione tra “algebra aritmetica”, le cui operazioni riguardano numeri reali positivi, e “algebra simbolica” che studia le proprietà formali delle operazioni algebriche indipendentemente dagli oggetti alle quali si applicano. La matematica è concepita più come una “scienza delle forme” che della quantità, emancipandosi dal compito di esprimere grandezze o rapporti fra grandezze. Piuttosto, la validità di un calcolo algebrico dipende dall’applicazione coerente delle leggi che governano l’uso dei suoi simboli: qualsiasi interpretazione che preservi la verità delle relazioni tra di essi è ugualmente ammissibile. Per esempio, la legge della commutatività x + y = y + x può essere interpretata sia in termini aritmetici (x e y denotano numeri e il simbolo “+” l’addizione), sia in termini insiemistici (x e y denotano classi e il simbolo “+” l’unione disgiunta), sia in termini proposizionali (x e y denotano proposizioni e il simbolo “+” denota la disgiunzione esclusiva).
Se l’essenza della matematica non sta nel suo contenuto, ma nella sua forma, allora la nuova logica di Boole, strutturata matematicamente, elegge giocoforza a oggetto d’indagine la forma del pensiero piuttosto che il suo contenuto. È insomma possibile un’analisi matematica dei processi deduttivi riconducibili a trasformazioni algebriche eseguite in base a regole formali: le leggi logiche hanno una forma algebrica e i simboli su cui opera l’algebra sono rappresentabili come certe operazioni della mente, al riparo da ogni ipotesi e conclusione metafisica sulla sua natura. Questa visione si salda con una profonda analogia: il progetto di matematizzazione della logica permette di conoscere le leggi del pensiero così come la matematizzazione della fisica aveva consentito di conoscere le leggi della natura.
Alla base della logica, in particolare, c’è la capacità nella nostra mente di concepire una classe e di designare gli individui che le appartengono separandoli dal resto. L’atto mentale fondamentale è perciò l’atto di elezione mediante il quale costruiamo le classi. Nell’algebra della logica di Boole, i simboli X, Y, Z, ecc. denotano i membri generici di ciascuna classe; i simboli x, y, z – chiamati elettivi – operano su classi (per esempio, x, indica la scelta della classe degli X); 1 indica sia l’universo del discorso (comprendente ogni classe concepibile di oggetti, esistenti o no), sia il vero; 0 indica sia la classe vuota (il nulla), sia il falso; il simbolo d’identità “=” sta per la copula “è”. Le operazioni sono le seguenti:
x + y denota la classe degli elementi che appartengono alla classe x o alla classe y, ma non a entrambe;
x • y denota la classe degli elementi che appartengono sia alla classe x che alla classe y;
x ̶ y denota la classe degli elementi X che non sono anche Y;
1 ̶ x denota gli elementi dell’universo che non sono X.
La continuità tra l’algebra del pensiero e l’algebra ordinaria è garantita dal fatto che tutte le leggi dell’algebra continuano a valere (commutatività dell’addizione e del prodotto, distributività del prodotto rispetto all’addizione e alla sottrazione). Per esempio, se x, y, z indicano rispettivamente la classe degli uomini, delle donne e degli europei, l’equazione:
z (x + y) = zx + zy
esprime il fatto che la classe degli uomini e donne europei coincide con la classe degli uomini europei insieme alla classe delle donne europee. Specifica invece della logica è la legge dell’idempotenza del prodotto: x2 = x. Da questa legge si ottiene l’equazione di secondo grado: x(1 ̶ x) = 0, ovvero il principio di non contraddizione. Per esempio, se x è la classe dei cavalli e (1 ̶ x) la classe dei non-cavalli, questo principio ci dice che la classe a cui appartengono i cavalli e i non cavalli è vuota. In questo modo, il principio di non contraddizione non risulta primitivo, come nella logica aristotelica, ma si può derivare da leggi matematiche. “Quello che è stato comunemente ritenuto l’assioma fondamentale della metafisica non è altro che la conseguenza di una legge del pensiero, matematica quanto alla sua forma” (Laws of Thought, cit.).
Boole impiega il suo nuovo sistema per tradurre in termini algebrici la teoria del sillogismo di Aristotele. L’uso delle classi si presta alla scopo poiché consente di rappresentare agevolmente le proposizioni categoriche. Per esempio: “ogni X è Y” diventa x(1 ̶ y) = 0 oppure x = xy; “nessun X è Y” diventa xy = 0. In questo modo è possibile ridurre la teoria del sillogismo a una teoria di equazioni e così determinare la validità dei sillogismi usando le regole dell’algebra: l’eliminazione del termine medio nelle premesse conduce a una terza equazione che enuncia la conclusione cercata. Ridurre tutti gli enunciati a equazioni non è senza difficoltà, dal momento che nella prospettiva booleana ciò significa ridurre tutti gli enunciati senza la copula a enunciati con la copula. Per esempio, “Cesare conquistò la Gallia”, che la logica successiva tratterà nei termini di una relazione, per Boole è invece tradotto dal nesso di uguaglianza x = y tra le due classi x e y di un solo elemento: “Cesare” e “colui che conquistò la Gallia”.
L’algebra delle classi sarà sviluppata da Charles Sanders Peirce e, sistematicamente, da Ernst Schröder, la cui opera avrà una profonda influenza su Giuseppe Peano. La struttura algebrica originaria del calcolo di Boole corrisponde a un “anello booleano”: ciò che chiamiamo “algebra di Boole” è il risultato dei lavori novecenteschi di Edward Huntington e di Emil Post.
L’ideografia di Gottlob Frege
Il tedesco Gottlob Frege è la figura più importante della logica dell’Ottocento. Il punto di partenza della sua opera del 1879, Begriffsschrift (Ideografia), dal sottotitolo Un linguaggio in formule del pensiero puro, a imitazione di quello aritmetico, è la questione di come procedere nell’aritmetica in modo puramente deduttivo, con l’unico ausilio delle leggi della logica. La tesi di Frege è che tutte le verità aritmetiche hanno una natura analitica, vale a dire sono conseguenze di verità logiche primitive, conoscibili a priori (da qui l’attributo “logicista” a questa concezione). Frege individua nella vaghezza e ambiguità del linguaggio naturale un ostacolo alla conoscenza dell’aritmetica e dei suoi fondamenti attraverso la sola ragione. Perché il linguaggio naturale è incrostato da elementi estranei al concetto di dimostrazione, oppure impiega parole come “dunque”, “allora”, “di conseguenza” che non ci segnalano le regole d’inferenza effettivamente applicate. Un tale ostacolo si supera con un linguaggio artificiale – l’ideografia – che ammette un’unica interpretazione: un linguaggio in formule depurato da ogni aspetto irrilevante per le dimostrazioni e che fissa i binari rigidi entro cui le dimostrazioni sono strutturate. La denominazione “ideografia” (cioè, scrittura concettuale) deriva dal fatto che questo linguaggio permette di tradurre in simboli il solo contenuto concettuale delle proposizioni matematiche, ossia il loro elemento oggettivo, non intuitivo o psicologico, che risulta essenziale per giustificare le verità matematiche a partire da principi logici.
A Boole Frege rimprovera il fatto di non aver rivestito il suo calcolo di contenuto matematico, limitandosi a rappresentare l’aspetto formale del calcolo logico. Si tratta di un errore perché solo il contenuto esprime l’essenza delle cose. Ma come è possibile individuare questo contenuto in modo univoco e limpido? Il contenuto concettuale di una proposizione è individuato nel ruolo della proposizione in inferenze logiche. Per esempio, le proposizioni:
1) “Bruto uccise Cesare”
2) “Cesare fu ucciso da Bruto”
pur essendo grammaticalmente distinte (esse hanno differenti soggetti e predicati), possiedono tuttavia il medesimo contenuto concettuale, ossia lo stesso ruolo inferenziale: tutto ciò che segue logicamente da 1) segue anche da 2) e viceversa.
Tuttavia se in 1) (o in 2) sostituiamo “Cesare” con “Cassio”, ne alteriamo ovviamente il contenuto e dunque il valore di verità (una proposizione è definibile come ciò che genera un valore di verità: il vero, il falso). Possiamo allora pensare che la struttura di questa proposizione sia data da una componente invariante (“Bruto uccise”) e una componente variabile (“Cesare”). Frege chiama la prima componente “funzione” e la seconda “argomento”. La proposizione 1) può dunque essere vista come il valore della funzione: “Bruto uccise x” con argomento x “Cesare”. D’altra parte, 2) può a sua volta essere vista come il valore della funzione: “Cesare fu ucciso da x” che assume per argomento x “Bruto”. Questo significa che due proposizioni che sono valori di due differenti funzioni e argomenti possono avere lo stesso contenuto concettuale.
Dunque, una stessa proposizione è analizzabile attraverso i molteplici rapporti funzione/argomento in base al fatto di considerare i suoi elementi costanti o variabili:
3) “Catone uccise Catone”
comporta tre decomposizioni dello stesso contenuto concettuale: “x uccise Catone” (vittima); “Catone uccise x” (assassino); “x uccise x” (suicidio).
Il fatto che le funzioni possono avere un qualsiasi numero di argomenti consente un trattamento omogeneo dei predicati e delle relazioni. Il passo successivo è l’elaborazione di una teoria della quantificazione.
La teoria della quantificazione
La tradizionale analisi delle proposizioni in termini della coppia grammaticale soggetto/predicato assegnava al nome proprio “Socrate” in “Socrate è mortale” lo stesso ruolo di “tutti gli uomini” in “tutti gli uomini sono mortali”. Attraverso la coppia funzione/argomento e la distinzione tra variabile e costante questa difficoltà si supera: la proposizione “Socrate è mortale” è il valore della funzione denotata da “(–) è mortale” il cui argomento è denotato dalla costante “Socrate”. Invece “tutti gli uomini sono mortali” è una proposizione complessa al cui interno operano le due funzioni “(–) è uomo” e “(–) è mortale” i cui argomenti sono variabili. Vale a dire, per ogni x, se x è uomo, allora x è mortale. Formalmente (nella nostra notazione diversa da quella fregeana):
∀(x) (U (x) → M (x))
dove U (x) sta per “(–) è uomo” e M (x) per “(–) è mortale”.
Nel quadro della sua teoria della quantificazione Frege risolve anche il problema della generalità multipla, ovvero l’occorrenza in una stessa proposizione di più di una espressione di generalità (“qualcuno”, “ogni”, ecc.). Poiché in aritmetica proposizioni che comportano generalità multipla sono assai frequenti – per esempio: “per ogni numero a, e per ogni numero b, esiste un numero q e un numero r tale che b = (a • q) + r” –, la logica deve essere in grado di esprimere queste proposizioni senza alcuna ambiguità. Nel linguaggio naturale una proposizione del tipo:
4) “ogni uomo ama una donna”
è suscettibile di due interpretazioni contrastanti:
5) “ogni uomo ama una qualche donna”
6) “esiste una determinata donna che è amata da ogni uomo”.
Nei termini della teoria medievale della suppositio il termine “donna” ha in 5) una suppositio confusa tantum e in 6) una suppositio determinata. Nella teoria logica di Frege la differenza fra 5) e 6) è facilmente esprimibile esplicitando il campo d’azione dei quantificatori universale ed esistenziale. Le proposizioni 5) e 6) sono formalizzate in questo modo:
5’) ∀x (U(x) → ∃y (D(y) ∧ A(x, y))
6’) ∃y (D(y) ∧ ∀x(U(x) → A(x, y)):
dove U(x) sta per “x è uomo”, D(y) per “y è donna” e la funzione a due variabili A(x, y) sta per “x ama y”. In 2’) il campo d’azione del quantificatore universale è più ampio di quello dell’esistenziale, in 3’) vale l’inverso.
La teoria della quantificazione elaborata da Frege si differenzia dalla nostra per il rifiuto della nozione booleana di universo del discorso e la presupposizione di un dominio universale. Questo significa che per Frege la logica è una disciplina totalizzante: non esistono punti di vista a essa esterni e superiori, non è possibile l’isolamento del linguaggio della logica del primo ordine (che quantifica su variabili individuali del dominio) da quello della logica di ordine superiore (che quantifica anche su predicati), e, soprattutto, nemmeno risulta possibile la formulazione di questioni concernenti il sistema deduttivo stesso: per esempio, la questione della sua coerenza (il sistema di riferimento riesce a evitare di farci dimostrare una cosa e il suo contrario?) e la questione della sua completezza (il sistema riesce a dimostrare tutte e solo le verità logiche?). Queste questioni saranno al centro del programma formalista di David Hilbert, elaborato negli anni Venti del Novecento.
La notazione logica di Frege
Frege utilizza una notazione logica particolare, differente sia da quella algebrica che da quella di Giuseppe Peano e della sua scuola. La sua notazione è infatti mista – sia simbolica che diagrammatica – basata su un dispositivo visivo di linee orizzontali e verticali che promuove la verificabilità ad oculos della validità deduttiva.
Nella prospettiva fregeana la logica studia le relazioni inferenziali tra atti di giudizio piuttosto che le relazioni di conseguenza tra proposizioni, come sarà per la logica del Novecento. Per questo Frege introduce il simbolo di giudizio: “|–––– ”, che si colloca a sinistra del segno che indica il contenuto del giudizio stesso. Per es.: |–––– A denota il giudizio che ha contenuto A, ovvero l’asserzione che A. Se invece omettiamo la barra verticale “|”, la sola barra orizzontale –––– A si limita a esprimere il contenuto A, ovvero un contenuto rispetto al cui valore di verità chi scrive non si pronuncia.
Assiomi e regole d’inferenza
Un sistema formale distingue tra assiomi e regole logiche. Tra gli assiomi del sistema di Frege figura per esempio la legge a fortiori: A → (B → A) che Frege esprime in questo modo:
Un altro assioma esprime l’autodistributività dell’implicazione: A → (B → C) → (A → B) → (A → C). Ovvero:
Il modus ponens è l’unica regola logica del calcolo: da A → B e A si deriva B. Frege lo rappresenta in questo modo:
Epilogo
Nelle Leggi fondamentali dell’aritmetica (1893), Frege cerca di attuare il progetto dell’Ideografia di fondare tutta la matematica esistente (eccetto la geometria) sulla logica, individuando i principi logici necessari allo scopo. In particolare, la recente fondazione dell’analisi infinitesimale in termini della nozione di insieme infinito rende urgente mostrare che la nozione stessa di insieme, assunta come primitiva, è al fondo una nozione logica. L’idea di Frege è che un insieme o classe può essere descritto attraverso due distinte procedure: se l’insieme è finito, è sufficiente elencarne gli elementi; se invece è infinito, occorre enunciare una proprietà che caratterizza tutti gli elementi dell’insieme. Alla questione di quando due insiemi sono uguali e a quella se una proprietà determina effettivamente l’esistenza di un insieme rispondono rispettivamente due assiomi concepiti da Frege come principi logici universali. L’assioma di estensionalità: due insiemi sono uguali quando hanno gli stessi elementi; e l’assioma di astrazione (o comprensione): data una qualsiasi proprietà (coerente), esiste sempre un insieme formato da tutti e solo gli oggetti che godono di essa.
Tuttavia, si consideri la proprietà di un insieme di “non essere membro di se stesso” e si prenda in esame l’insieme R di tutti gli insiemi che godono di questa proprietà. Domandiamoci: R è un membro di se stesso? Se lo è, allora R gode della proprietà richiesta per appartenere a R, e quindi R non è membro di R; se invece R non è membro di R, allora R gode della proprietà che definisce R, e quindi R è membro di R. Siamo in presenza di un paradosso, o per meglio dire di un’antinomia, ossia di una coppia di proposizioni tra loro contraddittorie che si implicano a vicenda, che scardina l’impianto logicista di Frege. Quest’antinomia è comunicata da Bertrand Russell in una lettera del 16 giugno 1902 a Frege, che si accingeva a dare alle stampe il secondo volume delle Leggi. Con ciò si apre la straordinaria stagione della logica del Novecento.