LOGICA MATEMATICA
. Logica matematica ovvero logistica o logica simbolica o algebra della logica o logica teorica o logica della matematica sono termini fra loro parzialmente equivalenti, per indicare sfumature e svolgimenti diversi di una dottrina il cui nascimento si può, per motivi diversi, far risalire al sec. XVII, ma che si è sviluppata principalmente durante l'ultimo secolo, e anche più precisamente, con caratteristiche sue proprie, nell'ultimo cinquantennio, sotto l'influenza del pensiero matematico. Si può precisare come argomento centrale di essa la forma del pensiero ragionante (o deduttivo), con che - massime se la si riguarda nei suoi più recenti sviluppi - essa si mantiene forse più aderente all'argomento assegnato alla logica da Aristotele, nella sua tripartizione della filosofia, che ciò non sia avvenuto, per la stessa parola "logica", presso talune scuole filosofiche contemporanee. Si giustificherebbe perciò l'opinione di qualche filosofo-matematico contemporaneo (F. Enriques, A. Padoa) che vorrebbero restituirle il semplice nome di logica. Comunque, si dirà preferibilmente logistica o logica simbolica quando si ha principalmente in vista l'uso d'un'ideografia (nn. 1-4), algebra della logica quando di quest'ideografia si considerano particolarmente talune proprietà combinatorie o operatorie (n. 5), logica teorica quando queste proprietà si collegano fra loro in un'analisi matematica e assiomatica (nn. 6, 7), infine logica della matematica quando si ha in vista l'analisi dei raziocinî accolti nel ragionamento matematico (nn. 6, 8). È da notare che un indirizzo di pensiero affermatosi principalmente verso la fine del sec. XIX tenderebbe a far coincidere la matematica col ragionamento logico deduttivo, ragionamento formale, il quale dovrebbe ignorare il contenuto intuitivo o sensibile degli oggetti intorno a cui si ragiona; tuttavia queste stesse correnti di pensiero, per l'affinarsi della critica - e, p. es., con l'enunciazione delle cosiddette antinomie logiche (n. 7) - hanno condotto a riconoscere l'impossibilità d'isolare completamente, nel ragionamento deduttivo, una "pura forma": sarebbe questo residuo non esclusivamente formale a costituire la logica della matematica o metamatematica.
1. Logica simbolica. - Rifacciamoci, come già nella logica aristotelica, all'analisi della proposizione, intendendo, per il momento (n. 3), la parola nel suo significato grammaticale; essa consta di un soggetto e di un predicato riuniti dalla copula: soggetto e predicato sono espressi da nomi (sostantivi o aggettivi, comuni o proprî) o da espressioni equivalenti; un nome comune rappresenta una classe di oggetti o di elementi"; un nome proprio rappresenta un oggetto singolo; d'altronde spesso anche un nome comune è usato in modo da indicare un oggetto singolo; però, ove ci occorra, noi possiamo anche considerare l'oggetto singolo come classe unitaria o elementare. Astraendo, come si è detto, dal contenuto intuitivo o sensibile delle parole, si pongono così in evidenza alcune nozioni fondamentali che si possono simbolizzare, e cioè: a) classi; b) elementi o oggetti; le une e gli altri variabili dall'uno all'altro discorso ma intorno ai quali (restando alle sole considerazioni formali) non si può, in un primo tempo, avere a distinguere altro che l'identità o la diversità; seguendo l'abitudine dei matematici, si potranno rappresentare mediante lettere (p. es. dell'alfabeto latino): con lettere diverse, classi o elementi diversi o non necessariamente uguali; c) alcune relazioni logiche da rappresentarsi mediante simboli a significato fisso: precisamente la relazione di appartenenza di un elemento a una classe, che si simbolizzerà col segno ε scritto fra i simboli dell'elemento e della classe; la relazione di contenenza di una classe in un'altra che si simboleggerà analogamente con; infine un operatore (o simbolo funzionale) che, premesso al segno di un elemento, gli fa corrispondere la classe unitaria formata da quel solo elemento: useremo il segno ι
Così "a ⊃ b" si leggerà "la classe a è contenuta nella classe b"; "x ε a" si leggerà "l'individuo x appartiene alla classe a"; "ι x" sarà ld classe unitaria costituita dal solo elemento x; onde infine saranno fra loro equivalenti le due scritture x ε a e ι x ⊃ a.
Abbiamo adottato (e così faremo di regola anche in seguito) i simboli dell'ideografia logica di Giuseppe Peano che riunisce la semplicità grafica all'elaborazione concettiva e alla conseguenza storica. Si attribuiscono al Leibniz i primi tentativi di realizzazione di una tale ideografia, ch'egli indicò come characteristica universalis, e cui egli assegnò il compito di rendere il ragionamento indipendente dalle divergenze d'interpretazione connesse con l'uso del linguaggio comune; tuttavia il simbolismo del Leibniz non fu né costante, né da lui sviluppato e applicato in guisa da lasciare una qualsiasi traccia. L'argomento fu ripreso durante il sec. XVIII principalmente da J. A. Segner e da J. H. Lambert, tuttavia con tutt'altra veduta, poiché si trattò allora principalmente di simboleggiare talune relazioni e operazioni fra le classi, di cui diremo tosto, e di porre in rilievo talune analogie fra queste e le relazioni e operazioni aritmetiche sui numeri interi. Questo punto di vista ebbe ulteriore svolgimento durante il sec. XIX per opera di A. de Morgan, G. Boole, C. S. Peirce, S. Jevons, H. Mac Coll, A. Macfarlane, E. Schröder; è questo il periodo che si può chiamare dell'algebra della logica. Verso il 1880 o poco dopo incominciarono a occuparsi dell'argomento - indipendentemente l'uno dall'altro - G. Peano in Italia e G. Frege in Germania: il Peano, riattaccandosi dapprima all'indirizzo algebrico e al simbolismo del Boole e dello Schröder, passa poi rapidamente all'indirizzo ideografico, modificando gradualmente il detto simbolismo in modo da renderlo più adatto alla nuova applicazione; il Frege sviluppa invece direttamente un'ideografia indipendente e indirizzata principalmente all'analisi delle nozioni fondamentali della teoria degli aggregati e dei numeri. La complessità di quest'ideografia, dovuta in parte a una poco felice scelta dei simboli e alla loro giusta posizione in aggruppamenti che si risolvono nei simboli componenti solo con una certa fatica, e anche la poco ampia applicazione fattane dall'autore, dànno ragione del suo insuccesso. Appartengono al Peano, oltre al perfezionamento grafico di varî simboli, l'introduzione dei segni ε e ι sopra citati e degl'inversi: ℩ che converte in individuo una classe unitaria, e ??? di cui si dirà. Altri simboli aggiunsero e alcuni modificarono Russell e Whitehead, non sempre utilmente; infine D. Hilbert, abbandonando il vero e proprio programma ideografico, per passare a quello della "metamatematica", di alcuni simboli del Peano abbandonò l'uso, alcuni sostituì con altra forma grafica, qualche altro aggiunse (v. sotto). La scuola di Varsavia ha suggerito taluna modificazione all'ideografia del Peano (come l'anteposizione del segno ⊃, cioè ⊃ a b invece di a ⊃ b) non priva di qualche vantaggio.
Si ha così già un primo rudimento d'ideografia, che, con l'aggiunta di segni d'interpunzione (il Peano usa gruppi di punti funzionanti come le parentesi nelle formule algebriche) è sufficiente, nella sua semplicità, all'espressione di parecchie regole logiche: così il sillogismo in barbara si scriverà a ⊃ c.b ⊃ a : ⊃ .b c.
2. Sulle classi si può operare per riunione, intersezione, negazione; si può cioè di due classi a, b formare la classe somma, contenente tutti e soli gli elementi appartenenti a una (almeno) di esse: si rappresenta con a ⋃ r b e si legge "a o b"; la classe prodotto contenente tutti e soli gli elementi comuni ad esse: si rappresenta con a ⋂ b o con ab e si legge "a e b"; infine si ha la classe complementare o negazione di una classe a, costituita da tutti gl'individui non appartenenti ad a: si rappresenta con −a e si legge "non a". Conviene allora estendere un poco la nozione medesima di "classe" in modo da potere, per es., parlare della somma e del prodotto di due classi come a e −a: la prima conterrà tutti gl'individui pensabili (n. 7) e potrà chiamarsi "il tutto": si rappresenterà con ⋁. la seconda sarà la classe vuota, "il nulla": si rappresenterà con ⋀. Si hanno così le due formule a ⋃ - a = ⋁, a ⋃ - a = ⋀. Notiamo che spontaneamente si è introdotto un nuovo simbolo dell'ideografia logica, il segno "=".
3. Accanto a una teoria delle classi la logica considera una teoria delle proposizioni (assunta ogni proposizione come un tutto anziché come espressione di una relazione fra classi e individui [n. 1]): anche le proposizioni saranno rappresentate nella logica simbolica mediante lettere dell'alfabeto; sopra le proposizioni si opera per affermazione simultanea, per affermazione alternativa, per negazione; si usano per rappresentare queste operazioni gli stessi simboli, rispettivamente ⋂, ⋃, -, precedentemente indicati per le operazioni sulle classi. Inoltre fra le proposizioni può verificarsi la relazione di implicazione: "se è vera la proposizione A, ne segue che sarà vera anche la proposizione B": la si rappresenta col precedente segno ⊃, scrivendo quindi "A ⊃ B". Questa identità di simboli per rappresentare le operazioni e le relazioni fra classi e fra proposizioni è giustificata formalmente da un'identità di proprietà (n. 5), concettualmente da una nota correlazione per la quale si possono caratterizzare i concetti per estensione (attribuzione a determinate classi) ovvero per comprensione (verificazione di determinate proposizioni). Tale correlazione è considerata da alcuni come assoluta equivalenza, per la quale la logica potrebbe tacere di una delle due teorie, siccome doppione dell'altra. Ciò è vero se si ha soltanto riguardo alle applicazioni; non invece quando si studia la logica in sé, perché per molti riguardi la teoria delle proposizioni è più elementare e presupposto di quella delle classi.
L'analogia fra classi e proposizioni porta a osservare che, come le operazioni ⋃, ⋂, agendo fra classi, generano nuove classi, così deve pensarsi che, agendo fra proposizioni, generino nuove proposizioni; è d'altronde di comune esperienza che all'affermazione simultanea o alternativa di più proposizioni si può spesso dare la forma grammaticale di proposizione unica. Conviene perciò togliere alla nozione di "proposizione" il contenuto grammaticale e convenire che si chiama proposizione il risultato di una qualunque successione di operazioni ⋃, ⋂, - effettuate su proposizioni.
4. Una proposizione può essere vera o falsa: da tale distinzione si può astrarre in un'ideografia indirizzata alle applicazioni scientifiche (p. es. matematiche), perché non si avrà mai occasione di enunciare proposizioni altro che vere; a questa osservazione taluni autori, p. es. Peano e la sua scuola, attribuiscono validità illimitata altri invece usano un "segno di asserzione", cui, seguendo il Frege, si dà la forma ⊢. Indicando con A una qualunque proposizione, A ⋂ - A è la proposizione falsa tipica a cui ogni altra si può ricondurre (cfr. nn. 7, 8).
Si chiama funzione proposizionale uno schema di proposizione in cui qualche membro (soggetto o predicato o una parte della espressione di questi) è occupato da segni (variabili, abitualmente ultime lettere dell'alfabeto) privi di senso e sostituibili mediante segni aventi senso determinato (valori attribuiti alle variabili, sempre gli stessi, in un determinato discorso o in una determinata fase di un discorso, per le stesse variabili); in seguito a tale sostituzione la funzione proposizionale diviene una proposizione che potrà essere vera o falsa: quando una funzione proposizionale si scrive nell'intenzione di considerare i "valori della variabile o del gruppo delle variabili per cui essa diviene una proposizione vera", si chiama una condizione: i detti valori della variabile, per cui una condizione è verificata, costituiscono una classe, ed è questo il modo più comune di definire nuove classi: se U(x) è la condizione, si rappresenterà la detta classe con ??? U(x).
Il Peano e la sua scuola scrivono invece x ??? U(x): le ragioni per sopprimere l'inutile prefisso x sono esposte da B. Levi in una Nota dei Rendiconti del R. Istituto Lombardo, 1933.
Si adopera spesso il segno di esistenza (Seinzeichen dei Tedeschi) "E" e il segno di universalità (Allzeichen) " (..)": E x U(x), da leggersi: "esistono x tali che è vera U (x)", equivale allora a - (??? U(x) = ⋀); (x) U(x), cioè: "U (x) è vera, qualunque sia x", equivale a ??? U (x) = ⋁.
I segni E, (..) possono essere affetti anche da più variabili: il Peano non usa segno di universalità e dà al segno di esistenza la forma ???, disponendo la scrittura in modo che è superflua l'indicazione delle variabili.
5. Algebra della logica. - I nomi di somma e prodotto attribuiti alle operazioni rappresentate dai segni ⋃, ⋂, come la forma del segno -, analoga al segno − dell'algebra, sono giustificati da talune notevoli analogie fra le proprietà delle nominate operazioni e le omonime algebriche: così si hanno le proprietà commutative a ⋃ b = b ⋃ a, a ⋂ b = b ⋂ a; le proprietà associative (a ⋃ b) ⋃ c = a ⋃ (b ⋃ c), (a ⋂ b) ⋂ c = a ⋂ (b ⋂ c); le proprietà distributive (a ⋃ b) ⋂ c = (a ⋂ c) ⋃ (b ⋂ c), (a ⋂ b) ⋃ c = (a ⋃ c) ⋂ (b ⋃ c); la - (- a) = a. I segni ⋀, ⋁ godono di alcune proprietà dei numeri 0 e 1 nell'aritmetica: si ha così a ⋃ ⋁ = a ⋂ ⋀ = ⋀, a ⋂ ⋁ = a. E a cagione di tali analogie furono spesso usati (particolarmente prima della sistemazione dovuta al Peano) i segni aritmetici + × − 0 1 〈 > in luogo dei precedenti ⋃ ⋂ - ⋀ ⋁ ⊃ ⊂. Però sono pur molte le proprietà in cui non si riscontrano analogie: così non vale nell'aritmetica l'analoga della doppia distributività indicata sopra per i segni ⋃ e ⋂: così pure non hanno analogia le proprietà a ⋃ a = a, a ⋂ a = a (proprietà semplificative), le - (a ⋃ b) = - a ⋂ - b, - (a ⋂ b) = - a ⋃ - b, a ⋃ ⋁ = ⋁. L'insieme di queste formule e di qualche altra costituisce un sistema di regole di calcolo sopra le classi o sopra le proposizioni, il quale permette d'istituire una teoria formale e combinatoria, analoga per certi riguardi all'algebra dei numeri e che, intorno alla metà del sec. XIX, destò l'interesse e le ricerche di un certo numero di matematici (particolarmente inglesi) col nome di "algebra della logica": ricordiamo fra le proposizioni notevoli di essa quella che, secondo osserva G. Boole, è analoga in qualche modo alla formula di Taylor: "se f(x) è un' espressione algebrica (cioè formata mediante i segni ⋃, ⋂, - colleganti un certo numero di classi assegnate a, b, c,... e una classe x variabile) vale la formula f(x) = xf (⋁) ⋃ (⋁ - x) f(⋀)"; e la legge di dualità per la quale "una relazione fra classi variabili formata coi segni ⋃, ⋂, -, ⊃, ⋀, ⋁, (. .), E (vera per ogni interpretazione delle dette variabili) si converte in un'altra pure vera se vi si cambiano i detti segni rispettivamente e simultaneamente in ⋂, ⋃, -, ⊂, ⋁, ⋀, E, (. .)".. Tuttavia certe peculiari caratteristiche delle nominate proprietà operatorie (forse principalmente le proprietà semplificative che impediscono la generazione illimitata di nuove classi a partire da un numero finito di classi assegnate) fanno sì che l'interesse dell'algebra della logica si esaurisca rapidamente e sia vana la speranza di trovarvi un campo di ricerche paragonabile, anche lontanamente, all'algebra dei numeri. Il principale interesse della logica teorica s'indirizza quindi verso l'assiomatica.
6. La logica della matematica e 1 fondamenti della logica. - Si è detto che nell'ultimo decennio del sec. XIX la filosofia della matematica si era diffusamente polarizzata verso il pensiero che una sostanziale identità dovesse ammettersi fra matematica e logica deduttiva; per cui altro non fosse la matematica se non il più ampio studio e la più ampia applicazione della logica. A tale concezione avevano contribuito in modo decisivo le ricerche sui fondamenti e sulla assiomatica dei diversi rami della matematica: le ricerche classiche sopra l'indipendenza del celebre "postulato delle parallele" e la conseguente possibilità delle geometrie noneuclidee, quelle più recenti sopra il postulato d'Archimede, quelle sulla fondazione della geometria proiettiva indipendente dalla metrica, avevano condotto a immagirare uno schema ideale dell'ordinamento definitivo di una teoria deduttiva, presso a poco in questi termini: Estrazione dal gruppo degli "oggetti" e delle "operazioni" che sono argomento della teoria, di un sistema di "idee primitive", oggetti od operazioni di cui si enuncia il "nome" o il "simbolo" e si esclude ogni bisogno o tentativo di definizione e anche soltanto d'intuizione; altre nozioni possono introdursi nella teoria "definite" mediante le dette idee primitive, il cui significato o la cui intuizione consiste esclusivamente nell'essere legate alle idee primitive mediante le suddette definizioni. Estrazione dall'insieme delle proposizioni la cui enunciazione costituisce la teoria, di un sistema di "proposizioni primitive" (assiomi, postulati) di cui non si cerca dimostrazione e nemmeno si richiede la verità in un significato sensibile o intellettivo, ma dalle quali tutte le proposizioni della teoria derivino mediante l'applicazione delle regole della logica. - Per la ricerca matematica intesa in questo senso tutte le "interpretazioni" delle idee primitive per le quali le proposizioni primitive risultino verificate (e con esse tutte le altre della teoria) sono fra loro equivalenti; d'altronde, possono avere un interesse pratico, ma non sono necessarie. Una notevole osservazione - alla quale non si giunse che attraverso l'esperienza - è che, quando si considera una teoria precostituita (ad es. la geometria, ovvero l'aritmetica) e la questione è di disporvi l'ordinamento logico, né le condizioni sopra enunciate, né quelle che ora aggiungeremo, sono, in generale, sufficienti a determinare la scelta delle idee e delle proposizioni primitive, nella quale scelta decide quindi ancora la volontà del ricercatore. La riserva "in generale" ha questo significato: che l'arbitrarietà è tanto minore quanto più il ramo di scienza studiato sta maggiormente alla radice nella scala delle scienze deduttive: così è possibile una geometria in cui sia idea primitiva il punto ovvero la retta, ovvero la sfera; ma per fondare l'aritmetica dei numeri interi non si può sfuggire ad assumere precisamente il numero intero (o qualche cosa di molto prossimo) come idea primitiva. Per limitare l'arbitrarietà della scelta, è spontaneo (e anche giustificabile mediante ragioni d'ordine teorico) il domandare che idee e proposizioni primitive siano nel minimo numero, fra loro indipendenti, infine (necessariamente) compatibili. La prima di queste richieste non ha che un valore relativo, perché frequentemente l'aumento del numero delle idee assunte come primitive e (più ancora) quello delle proposizioni primitive è conseguenza ed è mezzo per una più profonda analisi; invero, almeno per quanto riguarda le proposizioni primitive, una riduzione di numero che si può considerare banale si ottiene riunendo formalmente più proposizioni in una sola, equivalente all'affermazione simultanea di esse; ma l'osservazione ha valore più essenziale, perché si hanno esempî di "spezzamenti" assai più riposti di idee e di affermazioni. Si ha indipendenza (assoluta) delle idee assunte come primitive quando non è possibile ricavare dal sistema delle proposizioni primitive una definizione di taluna di esse mediante le rimanenti: si dimostra tale indipendenza costruendo "interpretazioni" del sistema delle idee primitive fra le nozioni che si suppongono precedentemente note (quindi, generalmente, in un altro ramo di conoscenze), per modo che le proposizioni primitive risultino verificate e possano continuare ad esserlo quando si muti convenientemente l'interpretazione di una sola (qualunque) delle suddette idee. Si ha indipendenza (assoluta) delle proposizioni primitive quando nessuna di esse può dedursi logicamente dalle rimanenti: si dimostra tale indipendenza costruendo "interpretazioni" del sistema delle idee primitive mediante le nozioni che si suppongono precedentemente note, per modo che tutte le proposizioni primitive, meno una (qualunque), risultino soddisfatte (e quest'una no). Si ha la compatibilità quando dalle proposizioni ammesse non si possono dedurre due proposizioni fra loro contraddittorie: si dimostra ordinariamente (n. 7) la compatibilità di un sistema di idee e di proposizioni costruendo un'interpretazione delle dette idee mediante nozioni note nella quale tutte le proposizioni siano verificate. Un significato più preciso, e più efficace agli effetti dell'analisi del sistema deduttivo considerato, si dà alle condizioni del minimo numero e dell'indipendenza mediante la nozione dell'indipendenza ordinata, la quale richiede che idee primitive e proposizioni primitive siano enunciate in un ordine determinato e che nessuna idea primitiva sia definibile mediante quelle che la precedono (nell'ordine assegnato) e nessuna proposizione primitiva sia dimostrabile mediante quelle che la precedono; senza escludere invece che idee e proposizioni precedenti possano definirsi e dimostrarsi mediante le seguenti. Un'osservazione notevole è questa, che, mentre la ricerca dell'indipendenza ordinata può contribuire all'analisi delle nozioni fondamentali di una scienza deduttiva, è sempre possibile, mediante sole trasformazioni formali, derivare da un sistema di proposizioni ordinatamente indipendenti un sistema equivalente di proposizioni assolutamente indipendenti. L'insieme di queste considerazioni sembra condurre alla concezione di un ordinamento tipico ideale cui dovrebbe tendere una qualunque scienza deduttiva, nel quale le proposizioni di essa scienza sarebbero disposte in gruppi ordinati in modo che le proposizioni di ciascun gruppo fossero conseguenza logica di quelle dei gruppi precedenti e di una qualunque delle proposizioni di esso gruppo, mentre esse fossero tutte indimostrabili mediante quelle sole dei gruppi precedenti. Per nessun sistema deduttivo tale ordinamento ideale è stato eseguito e forse nemmeno esso è eseguibile (almeno per quei sistemi che offre spontaneamente la scienza: non avrebbero interesse sistemi costruiti appositamente ad hoc): tuttavia i problemi che esso pone sono stati origine di ricerche e di risultati notevolissimi, particolarmente riguardo ai fondamenti della geometria.
Un'altra esigenza a cui può soddisfare un sistema d'idee e di proposizioni, la quale è stata posta in evidenza da D. Hilbert, è quella della completezza: è completo un sistema al quale non sia possibile aggiungere alcuna nuova proposizione, indipendente e non contraddittoria con le altre, senza aggiungervi pure nuove idee primitive. Un esempio di fondamentale importanza di un sistema minimo, assolutamente indipendente e completo, è fornito dalle idee primitive e dai postulati dell'aritmetica dei numeri interi, quali furono enunciati da G. Peano (v. numero); ugualmente per il sistema fondamentale dell'aritmetica dei numeri reali (D. Hilbert).
7. Le "interpretazioni" che, secondo si è detto nel numero precedente, servono per discutere l'indipendenza e la compatibilità di un sistema deduttivo, si riconducono ordinariamente, in ultima analisi, alla logica e alla teoria dei numeri naturali: affinché esse possano considerarsi conclusive è necessario ammettere che queste ultime siano prive di contraddizione: il rilievo è stato fatto fin dal 1900 da D. Hilbert, il quale, da allora, fondendo i due argomenti in un solo sistema che chiamò metamatematica, si adoperò insistentemente a risolverne alcune sostanziali difficoltà. Anzitutto non è più possibile - per questo sistema deduttivo fondamentale - di accogliere la esemplificazione (o, come dicemmo, la "interpretazione") come criterio di compatibilità: il Hilbert ha assunto come criterio intrinseco di compatibilità l'impossibilità di dedurre la proposizione A ⋂ - A (n. 4) (dove A è una proposizione che si dimostra poter essere scelta arbitrariamente). Deve essere osservato che taluni tipi di proposizioni, in parte noti da tempo antico, in parte di coniazione recente, sui quali, dai primi anni del secolo XX, fu richiamata l'attenzione dei matematici sotto il nome di antinomie logiche, hanno giustificato il dubbio che tale proposizione assurda non si possa evitare se non restringendo convenzionalmente il campo della deduzione (ad es. la nozione di classe).
Ricordiamo, fra le antinomie logiche d'origine antica, quella cosiddetta del mentitore: "la proposizione - io mento - non è né vera né falsa"; fra le antinomie più recenti quelle del tipo cosiddetto di Richard: "il più piccolo intero che non si possa indicare con meno di cento parole - è senz'altro indicato da questa frase, con meno di cento parole"; quelle del tipo di Russell: "la classe delle classi che non sono elementi di sé stesse - se si ammette che sia elemento di sé stessa, si è condotti a concludere che tale non è; viceversa, se si ammette che non sia, si conclude che tale è". Abbiamo detto "del tipo", perché si mostra che gli esempî si possono moltiplicare e variamente modificare. Per risolvere i paradossi offerti in tal modo sono state escogitate le più varie proposte: il piò frequentemente si è affermato un divieto logico di considerare il "tutto" come totalità delle cose pensabili; dovrebbero invece aversi quanti si vogliano "tutto" costituiti, ciascuna volta, da una classe prefissata contenente tutti gli enti su cui s'intende momentaneamente esercitare il pensiero. Whitehead e Russell hanno immaginato che dovessero classificarsi le "funzioni proposizionali" in una "gerarchia di tipi" a seconda della natura dei valori che s'intende attribuire alle variabili (individui, classi, classi di classi, ecc.): l'espediente non è privo d'inconvenienti non ultimo quello di dover essere in certo modo controbilanciato mediante un "postulato di riduzione". Noi riteniamo possibile evitare le antinomie senza uscire dal quadro ordinario della logica, pur di enunciare esplicitamente i postulati necessarî a dar senso ai termini e di riconoscerne, in qualche caso, l'implicita incompatibilità.
A qualche risultato interessante sono riusciti il Hilbert e qualche suo discepolo dividendo le proposizioni primitive della "metamatematica" in gruppi, per taluno dei quali la dimostrazione della compatibilità riesce (purché si ammetta quella delle altre proposizioni): così ad es. si dimostra la compatibilità e la completezza del gruppo dei postulati della logica delle proposizioni (o delle classi) ammettendo la non-contraddittorietà, con questi, del postulato aritmetico d'induzione completa.
Che possa mai giungersi alla completa risoluzione del "problema di discriminazione" (Entscheidungsproblem, secondo il Hilbert) consistente nello stabilire per la logica (o per la metamatematica) un sistema di proposizioni primitive delle quali si possa dimostrare la sufficienza, la completezza, l'indipendenza e la compatibilità, coi mezzi della logica e senza appelli di natura psicologica o sperimentale, è grandemente dubitabile. A ciò contribuisce il fatto, rilevato già da G. Peano, che il programma ideale, cui facemmo cenno in principio del n. 6, di considerare le idee primitive come puri simboli, senza significato intuitivo, legati soltanto fra loro mediante un gruppo di formule che interpretano le proposizioni primitive, è ineseguibile quando si giunge alle idee e ai postulati della logica: resta sempre un ultimo residuo (che l'analisi formale può restringere, ma non mai annulla) di idee e di proposizioni che debbono enunciarsi mediante le parole del linguaggio comune e intendersi intuitivamente. Non contraddice a ciò il fatto, accennato pure dal Peano e stabilito definitivamente da A. Padoa, della riducibilità delle idee primitive della logica a tre segni indefiniti (che il Padoa fissa in =, ⋂ ???), perché l'affermazione va intesa con la riserva tacita "oltre determinate intuizioni elementari", come sarebbero i significati di "variabile", "sostituzione (attribuzione di valori)", ecc.
8. Chiudiamo con richiamare ancora due osservazioni al confine fra la matematica e la logica: a) È stato rilevato, pure negli ultimi anni del sec. XIX, che in un certo numero di ragionamenti matematici si fa uso, espresso o tacito, dell'ipotesi che sia permesso concludere mediante un'estrazione illimitata di oggetti (elementi), non più precisamente definiti, da una classe assegnata (postulato della scelta o di Zermelo. La legittimità di tale postulato è contestata da molti matematici: il Hilbert lo ha incluso nei suoi "postulati della metamatematica" in una forma un po' velata da un artificio formale; altri ne ritengono necessaria e legittima l'ammissione pura e semplice (v. insieme). b) Negli ultimi decennî una scuola di matematici (L. E. J. Brouwer, H. Weyl) ha posto in dubbio la legittimità di ragionamenti esistenziali fondati sul principio logico del terzo escluso; tale riserva, se non intesa esattamente, può dar luogo a equivoci e a discussioni vane: non si contesta infatti l'assurdo della proposizione A ⋂ - A, ma si ammette possa essere "né A, né - A": ora è chiaro che, logicamente, finché A è una proposizione qualunque, le due proposizioni A ⋂ - A e (-A) ⋂ - (-A) non possono che respingersi insieme o insieme ammettersi, perché si convertono l'una nell'altra col cambiare A nella sua negazione. Cessa l'equivalenza se, ammettendo un significato intuitivo alla nozione di "proposizione affermativa", s'impone alla proposizione A di essere tale, e si rifiuta, nello stesso tempo, l'illimitata validità di - (-A) = A, tale significato intuitivo si verifica, p. es., nelle proposizioni esistenziali, ad es.: "Esiste un numero decimale illimitato che rappresenta il rapporto della circonferenza al diametro", "Esiste una radice di una equazione algebrica". La nominata scuola matematica pretende che non si possa parlare di esistenza di un ente se non quando si può precisare un procedimento che, almeno idealmente (se difficoltà d'indole pratica, p. es., il tempo, possano anche renderlo ineseguibile materialmente) permetta di costruirlo, e di studiarne le proprietà. Tale esigenza ha posto problemi interessanti e ha provocato interessanti affermazioni e conclusioni: impo1ta soltanto che essa non sia assunta in modo esclusivo.
Il. Significato della Logica. - In ciò che precede si è accennato a certe "intuizioni elementari" che stanno alla base delle relazioni e delle formule logico-matematiche. G. Peano e la sua scuola vedono nel simbolismo logico un'ideografia particolarmente adatta all'esposizione delle "scienze deduttive e matematiche", e allo sviluppo positivo di queste attingono la constatazione quasi-sperimentale degli schemi logici del ragionamento, e più precisamente del ragionamento matematico, che la logica è chiamata ad analizzare. Una domanda ulteriore sul significato del ragionamento e quindi della logica stessa, è esclusa da codesta scuola, come estranea alla logica. Ma una tale domanda non può essere evitata da chi non si rassegni a limitare comunque il proprio pensiero, e si può riconoscere che da essa dipendono in gran parte i diversi atteggiamenti che separano i logici e i matematici su alcune questioni fondamentali della teoria degl'insiemi, ecc. Del resto, poiché la logica matematica offre soltanto uno sviluppo o una precisazione della logica classica, dobbiamo aspettarci a ritrovare qui il medesimo contrasto di vedute che divise i "realisti" e i "nominalisti" delle scuole medievali.
L'antica tesi realistica, che Aristotele deriva dall'ideologia platonica - la logica contempla i rapporti fra gli enti di un mondo intelligibile - viene ripresa da alcuni logici matematici contemporanei, come B. Russell; i rapporti logici costituiscono, secondo il filosofo inglese, delle verità, indipendenti dall'ipotesi affatto irrilevante che esista una mente.
La tesi opposta - che si riattacca al nominalismo - appartiene invece ad altri pensatori, come G. Boole, e, fra i contemporanei, F. Enriques: la logica è lo studio delle operazioni del pensiero esatto e delle relative leggi, senza riferimento alla verità di qualcosa che esista fuori di esso (e salvo poi a discutere il problema gnoseologico dell'applicazione della logica alla conoscenza della realtà). Questo senso offre pure un criterio di valutazione e di critica degli sviluppi della logica. Secondo tale veduta, l'Enriques giudica che le proposizioni fondamentali della logica non abbiano un significato primitivo, ma debbano essere definite in funzione delle operazioni che esse esprimono. Alla base del processo logico - e come elementi di esso - si troveranno gl'individui od oggetti invariabili del pensiero, e i giudizî elementari d'identità o di distinzione; l'invarianza dei detti oggetti sarà espressa dai principî logici: d'identità, di contraddizione e del terzo escluso. Per associazione si costruiranno le classi, su cui si potrà operare per riunione e per interferenza, cioè nei modi rappresentati dai simboli del n. 2.
Questo ordine d'idee conduce a giudicare della maggiore o minore convenienza del simbolismo che si voglia adottare. Per es., la classe ottenuta come riunione d'individui appare qualcosa di diverso dal concetto astratto di essa: per riunioni degli scolari A, B, C,..., si ha la scuola, e da questa, per astrazione, si ha lo scolaro (di quella scuola); e così la società e il socio, ecc. Il linguaggio ordinario presenta qui una distinzione che il simbolismo del Peano è incapace di tradurre; e da ciò deriva che questo deve, in cambio, distinguere nella copula del linguaggio comune due significati simbolizzati in ε e ⊃ (n. 1). Dal tener presente quella distinzione verrebbero anche rimosse alcune difficoltà segnalate da C. BuraliForti riguardo alla simbolizzazione delle definizioni per astrazione.
Infine questa veduta della logica chiarisce anche il senso del problema che ha per oggetto la compatibilità di un sistema di assiomi o di postulati. Quando, per costruire una qualsiasi teoria deduttiva, si pongono dei concetti e si enunciano dei postulati che ne porgono la definizione implicita, si assume, in realtà, che codesti concetti possano figurarsi come "classi" costruite a partire da elementi supposti, con operazioni mentali soddisfacenti a date condizioni; e si è costretti, in generale, ad ammettere che gli elementi supposti siano, di conseguenza, in numero infinito, cosicché la costruzione non potrà mai essere definitivamente compiuta. La compatibilità dei postulati sostituisce appunto la non effettivamente eseguibile constatazione che la supposta costruzione, secondo le condizioni date, è possibile. L'infinito acquista in tal modo un senso puramente potenziale, come "virtualità" o "prolungabilità indefinita del processo di riunione mercé cui si costruisce la classe"; cosicché queste vedute si riannodano a quelle dei finitisti (n. 8) e alle tesi espresse, a proposito della teoria degl'insiemi e del postulato di Zermelo, dai matematici francesi: H. Poincaré, E. Borel, H. Lebesgue.
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