logica
Il termine designa l'insieme delle dottrine che presiedono al corretto uso dell'argomentazione e del linguaggio al fine di stabilire la verità o la falsità di un enunciato. Il termine l. non occorre nelle opere dantesche, ma occorre ‛ dialettica ' (v.), che è termine con il quale l. è spesso in concorrenza nel Medioevo per designare la corrispondente arte del Trivio.
I libri di testo sui quali al tempo di D. veniva impartito l'insegnamento della l. sono innanzi tutto quelli compresi nell'Organon di Aristotele, e cioè: Praedicamenta o Categorie (v.; v. anche ANTEPRAEDICAMENTA; Relazione), De Interpretatione, Analytica priora (v.), Analitica posteriora, Topica, Elenchi sofistici (v.), ai quali andavano spesso uniti l'Isagoge di Porfirio e l'anonimo Liber sex Principiorum (v.). Venivano inoltre usati trattati del genere delle summulae di cui dalla metà del sec. XIII è celebre quello di Pietro Ispano, poi divenuto papa col nome di Giovanni XXI (v.).
D. ha conoscenza di dottrine logiche: utilizza i procedimenti propri di quest'arte nel Convivio e soprattutto nella Monarchia, oltre che nelle altre opere, e si serve della terminologia relativa.
La l., come arte del Trivio, verte sul linguaggio; è perciò " scientia sermocinalis ". Un nome viene costituito nella sua funzione significativa dall'atto mediante il quale un ‛ impositore ' attribuisce a una sequenza fonica la capacità di designare una certa cosa (v. IMPONITORE, ma si tenga presente il problema dell'origine della lingua secondo D.). Il nome, in quanto assunto dalla l., è detto ‛ termine ' (v.); esso è negativo quando è preceduto dalla negazione (v.) ‛ non ' (‛ non uomo '), è privativo quando ha il prefisso ‛ in ' (‛ imprudente '; v. PRIVAZIONE). Almeno due sono i termini che compongono la proposizione (v.). Due proposizioni sono dette contraddittorie quando differiscono nella qualità (affermativa-negativa) e nella quantità (universale-particolare); sono contrarie se differiscono solo nella qualità (v. CONTRADIZIONE; Contrarietade). Argomento (v.) per eccellenza è il sillogismo (v.; e anche Silogizzare), che risulta di tre proposizioni: due premesse, la prima detta ‛ maggiore ' e la seconda ‛ minore ', e di una conclusione (v.). Le tre proposizioni risultano tutte di soli tre termini: i due componenti la conclusione, di cui il soggetto è detto termine (extremitas) ‛ minore ', il predicato termine ‛ maggiore '; il terzo termine, detto ‛ medio ', compare solo nelle premesse e con esso sono confrontati i termini della conclusione. La diversa collocazione dei termini (soggetto o predicato) nelle premesse dà luogo alle ‛ figure ' sillogistiche. D. conosce anche la distinzione tra materia (v.) e forma (v.) del sillogismo.
Nell'ambito dei procedimenti propri della deduzione (v.; e cfr. anche DEDURRE; Dimostrare; Dimostrazione), D. conosce anche l'operazione dell'implicazione, o consequentia, risultante di due proposizioni, antecedens e consequens (v. CONSEQUENTE), le quali sono in rapporto tale che " impossibile est habere antecedens absque consequente " (Mn II V 22). Procedimento opposto alla deduzione è l'induzione (v.). Altra dottrina logica cui D. fa spesso riferimento è quella della definizione (v. DIFFINIRE; Diffinizione), per la quale il concetto di una cosa è ‛ delimitato ' nella sua specie (v.) mediante l'apposizione di una differenza (v.) specifica a un genere (v.).
Altri termini, usati spesso da D. in espressioni tecniche, sono ‛ accidente ', ‛ gavillare ', ‛ denominare ', ‛ impossibile ', ‛ impossibilitade ', ‛ maneries ', ‛ necesse ', ‛ possibile '; v. tutte queste voci, e anche ARTE, per le espressioni ars vetus, ars nova.