LOMĀŚ ṚṢI, Grotta di
È il più celebre degli ambienti rupestri scavati sulle alture di Barābar e Nāgārjunī, c.a 25 km a Ν di Gayā, nello stato indiano del Bihar. È composto di due vani: il primo, a cui si accede dall'esterno, è rettangolare (m 9,86 x 5,18) salvo che per il lato breve di sinistra, convesso, che costituisce la controfaccia del secondo vano, che è a pianta centrale (m 4,33 x 5,18). Si tratta della resa in roccia di due capanne, una rettangolare con volta a botte e una rotonda, inserita quest'ultima a un'estremità della precedente. L'interno del primo ambiente è solo parzialmente polito, poiché la grotta non venne mai finita. Linee parallele incise sul pavimento di questo vano e sulle pareti del secondo delimitano spazi interpretati un tempo come imitazioni di assi lignee, ma che documentano in realtà le procedure per il lavoro di scalpellatura. I due ambienti sono ricavati all'interno di un costone roccioso (uno gneiss quarzoso) non nel senso della profondità, ma in quello della lunghezza, sicché la porta, trapezoidale, si trova su uno dei lati lunghi del primo vano. Essa è contornata da un portale che, imitando modelli lignei, è formato da due travi inclinate verso l'interno sormontate da un arco aggettante che chiude con una cuspide sormontata a sua volta da un pinnacolo (riproduzione in pietra di un elemento fittile) - il prototipo dell'arco «a caitya». Sotto di esso vi sono due fasce decorate: quella superiore con un motivo a cerchi che s'intersecano, già attestato sulla ceramica di Harappā e imitante una grata; quella inferiore, che figura originarsi dalle fauci di due màkara (animali mitici), con quattro paia di elefanti ciascuno rivolto verso uno stūpa. I tre stūpa appaiono legati da più giri di fune.
L'interpretazione di questa iconografia si accompagna alla discussione sulla cronologia del monumento, per solito datato intorno alla metà del III sec. a.C. e attribuito, con gli altri ambienti rupestri di Barābar, all'imperatore maurya Aśoka. La grotta di L. R., che reca soltanto iscrizioni del IV sec. d.C., è infatti uguale in pianta a quella di Sudāmā, aperta nello stesso costone roccioso a pochi metri di distanza, la quale non ha tuttavia un portale e all'interno è completamente polita. Un'iscrizione rivela che Aśoka, nel dodicesimo anno di regno, la fece costruire per gli Ājīvika, un'importante comunità di śramaṇa (asceti) rivali dei buddhisti. Sappiamo che anche gli altri ambienti rupestri di Barābar e Nāgārjunī erano stati costruiti per quella comunità. Anche la grotta di L. R. dovette dunque avere la medesima destinazione, e l'iconografia in questione mostrerebbe infatti gli elefanti non già in atto di venerare gli stūpa (come varî, più tardi rilievi buddhisti mostrano), bensì nell'atto di abbatterli: facile metafora scolpita della vittoria degli Ājīvika sui culti buddhisti.
Questa interpretazione permette di considerare la grotta come dovuta alla medesima committenza delle altre minori, e di escludere che il portale, come indicano anche dati tecnico-architettonici, sia un'aggiunta posteriore, come alcuni hanno sostenuto. Si è tuttavia argomentato che la grotta non fu dovuta alla committenza di Aśoka, ma venne scavata nel periodo che va dalla fine del regno di Daśaratha, di lui nipote, all'assassinio dell'ultimo re maurya Bṛhadratha compiuto da Puśyamitra Śuṅga. Solo un accadimento tanto subitaneo e dirompente come il colpo di stato che nel 187 a.C. vide la presa del potere da parte di questo generale di Bṛhadratha, esponente dell'ortodossia brahmanica e persecutore degli śramaṇa, poté interrompere un'opera praticamente già completata che i successori di Aśoka, interessati allo stesso tipo di committenza, avevano voluto simile alla grotta di Sudāmā.
A Barābar, oltre alle grotte di L. R. e di Sudāmā, si trovano quella di Viśva Jhopṛī, anch'essa per la verità non finita pur recando un'iscrizione di Aśoka che la dichiara destinata agli Ājīvika, e quella di Karna Chaupar (o Supiya), consistente di un unico ambiente rettangolare voltato, essa pure dovuta ad Ašoka.
Sulle alture di Nāgārjunī, la grotta di Gopī presenta una pianta rettangolare (m 13,95 x 5,94) Con gli angoli molto arrotondati, che era raggiungibile mediante una ripida scala tagliata nella roccia; quella di Vahiyākā, simile alla precedente, era preceduta da un piccolo portico; quella di Vedhatikā ha pianta rettangolare. Hanno tutte l'entrata trapezoidale e le pareti polite, e sono tutte dovute a Daśaratha.
La grotta di L. R. e le altre dei due complessi, le più antiche dell'India, mostrano come prototipi lignei le avessero da tempo precedute. È stata però anche suggerita una loro derivazione da ambienti rupestri naturali solo in parte modificati dall'uomo e dalla grotta maggiore di Son Bhandār a Rājgīr (v., c.a m 10 x 5) che, solitamente datata al IV sec. d.C., presenta caratteristiche arcaiche come la porta d'accesso trapezoidale e la politura delle pareti.
Bibl.: A. Cunningham, Barabar, in Four Reports Made during the Years 1862-63-64-65 (ASI, Reports i), Simla 1871, pp. 40-53; J. Fergusson, J. Burgess, The Cave Temples of India, Londra 1880, pp. 37-43; M. H. Kuraishi, List of Ancient Monuments Protected under Act VII of 1904, in The Province of Bihar and Orissa, Calcutta 1931, pp. 33-43; A. L. Basham, History and Doctrines of the Ājīvikas, Londra 1951, pp. 150-160; D. R. Patil, The Antiquarian Remains in Bihar, Patna 1963, pp. 15-19, 294-299; J. C. Huntington, The Lomas Risi: Another Look, in Archives of Indian Art, XXVIII, 1974-75, pp. 34-56; S. P. Gupta, The Roots of Indian Art, Delhi 1980, pp. 199-221; S. Huntington, The Art of Arwient India, New York-Tokyo 1985, pp. 49-50.