LOMBARDIA (XXI, p. 419; App. II, 11, p. 228; III, 1, p. 1001)
La popolazione della L., di 7.153.089 ab. nel 1959, è aumentata a 8.865.909 alla fine del 1976; la sua densità relativa è pertanto salita da 300 a 372 ab. per km2, imponendosi come una delle più alte fra le regioni italiane, preceduta solo dalla Campania (392). Durante l'ultimo quindicennio la L. ha mantenuto, accentuandoli ancora, i contrasti di popolamento già esistenti al suo interno: le province occidentali (Milano, Varese e Como) registrano i maggiori incrementi dal 1958 al 1973 (rispettivamente +39,9%, +39,6% e +23,8%), raggiungendo densità relative fra le maggiori del paese (nell'ordine 1462, 649 e 368 ab. per km2); seguono le province orientali, mentre le meridionali (Pavia, Cremona e Mantova) manifestano un regresso medio del −4,5%, più sensibile nel Cremonese (−9,2%). I capoluoghi, che un secolo fa costituivano il 15,9% della popolazione lombarda, continuano, sulla spinta dei processi di urbanizzazione, ad accrescere la loro incidenza, passata oggi al 29,6% del totale. In testa è Milano i cui abitanti costituiscono il 42,2% della provincia; fa eccezione Mantova che dal 1861 a oggi riduce la sua incidenza demografica dal 23,8 al 17,2% della provincia.
Il movimento naturale è stato assai vivace nel quindicennio passato. Il tasso di mortalità si è mantenuto in media intorno al 10,3‰, un po' al di sopra della media nazionale, ma con rilevanti diversità territoriali: l'area meridionale lombarda fa registrare dei tassi più elevati (dal 12,8‰ in provincia di Mantova al 14,7‰ della provincia di Pavia), inoltre la mortalità è più elevata nei capoluoghi rispetto al resto della provincia, eccetto le province meridionali e l'area montana in cui accade l'inverso. Il tasso di natalità ha manifestato un andamento parabolico: è cresciuto dal 14,3‰ del 1954 al 17,4‰ del 1967 per poi ridursi fino al 15,3‰ attuale, appena al di sotto della media nazionale; inoltre lo stesso tasso riferito alle sole province risulta sensibilmente più elevato di quello dei capoluoghi, con l'unica eccezione di Pavia. La diversa distribuzione geografica dei tassi di natalità emerge in modo assai netto: l'area meridionale, esclusi i capoluoghi, appare contrassegnata da valori fra 11,1 e 13,9‰; il resto della regione, sempre esclusi i capoluoghi, fra 16,2 e 17,7‰. I tassi di natalità, infine, dei capoluoghi lombardi manifestano una netta tendenza all'uniformità: nel 1958 variavano infatti fra 11,2‰ di Pavia e 19,9‰ di Sondrio; oggi soltanto fra 12‰ di Cremona e 14,7‰ di Brescia. L'indice di sopravvivenza si mantiene intorno al 5‰, di non molto inferiore a quello medio statale (6‰), ma appare negativo per due province meridionali: −1,4‰ in provincia di Cremona e −3,3‰ in quella di Pavia.
A rinforzare la struttura demografica lombarda ha contribuito l'eccedenza del movimento migratorio che ha manifestato negli ultimi anni una spiccata tendenza a ridursi. Le migrazioni con l'estero presentano un sostanziale equilibrio, ché i rimpatri (9766) tendono a portarsi allo stesso livello degli espatri (10.084); i quattro quinti del movimento si effettua nell'ambito europeo e il 60% ha come meta e provenienza la Svizzera. L'entità della dinamica sociale della popolazione è di poco superiore, nei due sensi, a quella del 1958: 514.000 persone rispetto a 485.000; l'incremento annuo positivo si è ridotto da 73 a 37.000 persone attratte per la maggior parte dall'area compresa fra Milano, Varese e Como. Minore è stata la tendenza all'inurbamento: ne è esempio tipico la città di Milano che ha avuto in tutto il quindicennio degl'indici d'immigratorietà in continua riduzione (da 40,3‰ a 21,4‰) nettamente inferiori a quelli del resto della sua provincia (da 53,2 a 38‰ nello stesso periodo). Negli ultimi anni il bilancio del movimento migratorio in alcuni grandi centri della regione è mutato da positivo in negativo (Mantova da +11,9‰ a −2,4‰, Como da +14,6 a −4,4‰, Milano da +21,7 a −10,6‰) mentre resta in complesso negativo, pur con alterne vicende, nelle campagne lombarde meridionali (da −0,3 a −6,7‰ in provincia di Pavia, da −18,7 a −0,2‰ in quella di Cremona).
Condizioni economiche. - La struttura economica della regione ha proceduto nella tendenza, già manifestatasi prima del 1958, di una contrazione dell'occupazione nel settore primario, passata dal 15 al 5,2% della popolazione attiva con più di 14 anni (in Italia dal 33,9 al 17,3%) e di uno sviluppo degli altri due, il secondario che passa dal 55 al 60,3% (Italia dal 35,6 al 43,5%) e il terziario che sale dal 30 al 34,5% (30,5 e 39,2%). Nell'ambito dei confini regionali tale struttura si articola in modo diverso: le aree montane e meridionali fanno registrare un'occupazione agricola nettamente superiore alla media regionale (nel Mantovano 25,4%), l'area centrale vi si manifesta invece con percentuali molto esigue (1,4% nel Varesotto e nel Milanese) e un'elevatissima occupazione industriale (70,2% in provincia di Varese). Il numero complessivo degli addetti all'agricoltura si è ridotto di quasi tre quarti passando da 588.000 a 168.000, ma la produzione agricola non ha subìto riduzioni degne di nota per le tecniche colturali progredite, le pratiche irrigue, la meccanizzazione e l'impiego di fertilizzanti sintetici. La L. consuma oggi il 10,2% dei concimi fosfatici utilizzati in Italia, il 12,5% di quelli azotati e il 18,7% di quelli potassici.
Il frumento è passato da una produzione di 8,3 milioni di q nel 1957 a 8,7 nel 1976 e il rendimento unitario è salito da 27,7 a 47,2 q per ha (Italia 26,8), costituendo solo il 5,2% della superficie ma il 9,1% della produzione nazionale; il granoturco da 10 a 11,2 milioni di q, un quarto circa della produzione statale (produzione per ha 45,4 e 69,3; Italia 60,0); la patata ha avuto una riduzione di superficie di ben 12.000 ettari (−70,7%), è passata da 3,2 a 1,2 milioni di q, ma il suo rendimento unitario è salito da 185,8 a 214,9 q per ha (Italia 172,8). La coltura del riso ha avuto una buona ripresa: la superficie è aumentata di quasi la metà (45.000 ha nel 1958, 63.700 nel 1976) e analogo aumento ha avuto la produzione (da 2 a 2,9 mil. di q), costituendo il 32% della produzione italiana. Sostanzialmente invariate le foraggere avvicendate e permanenti, passate da 72 milioni di q a 71,4 (19,8% della produzione italiana). Continua la decadenza della bachicoltura (1958, 1.028.000 kg; 1976, 11.326 kg). Nel campo dell'allevamento si osserva un leggero aumento dei bovini: 1.646.000 capi nel 1957, 1.905.400 nel 1976 (22% del patrimonio italiano), di cui 759.600 vacche da latte (26% del totale nazionale), un rilevante incremento dei suini, più che triplicatisi (da 466.000 a 1.915.800, 20% del patrimonio italiano), una diminuzione dei caprini (da 29 a 17.000) e una forte riduzione, di oltre due terzi, dei cavalli (da 143 a 38.000). La continua contrazione del patrimonio equino è da porre in rapporto all'espansione della meccanizzazione agricola: nel 1972 la L. aveva più che raddoppiato il numero dei trattori che possedeva nel 1958 (84.000 rispetto a 35.000).
Le attività manifatturiere impiegavano, nel 1971, 1.592.233 addetti, pari al 30,1% della popolazione italiana occupata nel settore. Negli ultimi anni si è assistito a una rilevante espansione delle industrie meccaniche, oggi al primo posto, con le industrie metallurgiche, per la manodopera occupata: 641.229 addetti (321.616 nel 1954), pari al 35,4% degli addetti italiani del settore, concentrati per oltre la metà (56,8% della L.) in provincia di Milano. Il settore tessile, pur avendo perso la preminenza che ebbe in passato, viene al secondo posto nella regione (207.712 addetti, pari al 13% dei posti di lavoro industriali in L. rispetto al 35% del settore meccanico) e rappresenta il 38,2% del totale italiano. Notevole incremento ha avuto anche l'industria chimica, con 110.197 addetti (70.228 nel 1954) che mostra una rilevante concentrazione territoriale (76,5% degli addetti lombardi si trova nel Milanese). Rilevante è il ruolo della L. anche in altri settori: i giocattoli (49,5% dei posti di lavoro italiani), i prodotti in materie plastiche (45,7%), gli articoli di gomma (39,6%), poligrafiche ed editoriali (38,3%), e carta (31,%). Negli anni fra il 1957 e il 1974 è stato sensibile l'incremento realizzato nella produzione di energia elettrica, triplicatasi, per quanto in rapporto a quella italiana sia scesa, in questi 17 anni, dal 19,6 al 17% per il forte sviluppo delle altre regioni. La produzione fu di 8376 milioni di kWh nel 1957 e di 25.357 nel 1974 ed è data per la maggior parte dagl'impianti termoelettrici (62% del totale), mentre prima prevaleva l'origine idrica. Notevoli impianti idroelettrici sono sorti a Grosio (Valtellina), Roncovalgrande (Varese) e S. Fiorano (Valcamonica); imponenti centrali termiche sono sorte a Ostiglia, Cassano, Tavazzano e Turbigo. La L. supera tutte le altre regioni per produzione di energia elettrica (segue la Liguria con 17.192 milioni di kWh), ma a causa dell'elevato consumo (29.618 milioni di kWh nel 1974 di cui il 68% assorbito dalle industrie) è costretta a prelevarne dalle altre regioni italiane e dall'estero. I giacimenti di metano della pianura padana sono in via di graduale esaurimento per cui la L. deve importarne. Un rilevante sviluppo ha avuto di recente in L. il settore commerciale, soprattutto le imprese di grande distribuzione (supermercati, grandi magazzini, ecc.) che costituiscono un terzo del totale nazionale con una concentrazione assai cospicua in provincia di Milano (83% del settore lombardo). La L. vanta una considerevole attrezzatura alberghiera (9% dei posti letto italiani negli esercizi alberghieri) e ha ricevuto nel 1973 il 12% delle presenze registratesi in Italia.
Comunicazioni. - La rete stradale, specie quella statale e provinciale, si è ingrandita: le statali son passate da 1357 km nel 1959 a 3208 nel 1974 (9,2% di quelle italiane), le provinciali da 3482 a 8797 (10,6%); alle autostrade già esistenti (547 km nel 1974) si sono aggiunti i tratti lombardi della Brescia-Piacenza-Torino, della Como-Lugano e le tangenziali di Milano. Gli autoveicoli ammontavano nel 1974 a 2.807.300 (1959: 422.933), cioè rappresentavano il 18,2% del parco italiano (19,8% nel 1959), con una media di 3,1 ab. per autoveicolo rispetto ai 3,8 della media nazionale. Negli aeroporti lombardi, nel 1975, gli arrivi e le partenze sono stati 95.054 (19% del totale nazionale) con un movimento complessivo di 5.001.411 passeggeri (22%) e 902.950 q di merci (34,9%); da pochi anni è stato aperto al traffico l'aeroporto di Bergamo a Orio al Serio.
Bibl.: C. Saibene, Il versante orobico valtellinese, Roma 1959; R. Pracchi, Lombardia, Torino 1960; E. Buffa, La bonifica montana e lo sviluppo economico e sociale dell'Appennino Pavese, 3 voll., Pavia 1963; M. Romani, Un secolo di vita agricola lombarda (1861-1961), Milano 1963; P. Dagradi, L'area industriale milanese, Pavia 1964; Amministraz. Prov. di Milano, Problemi del Lodigiano, 4 voll., Milano 1966; Autori vari, Il Cremasco, ivi 1967; E. Massi, L'Oltrepò Pavese, Roma 1967; G. Corna Pellegrini, Studi e osservazioni geografiche sulla regione-città. La media Valle d'Olona, Milano 1969; M. A. Belasio, Como-Chiasso conurbazione di frontiera, Roma 1970; G. Nangeroni, Geografia fisica della provincia di Sondrio, Sondrio 1971; Autori vari, Area meridionale lombarda. Alcuni aspetti caratteristici, Milano 1972; F. G. Agostini, Aspetti del popolamento attuale della montagna lariana, Como 1972; E. Dalmasso, Milano capitale economica d'Italia, Milano 1972; G. Staluppi, Processi evolutivi sulla Bassa irrigua, ivi 1976; id., Strutture, infrastrutture e dinamica demografica, in Lombardia, Roma 1977.
Preistoria, Protostoria. - L'episodio più vistoso degli ultimi decenni è stata la scoperta delle incisioni rupestri (già parzialmente note) della Valcamonica, le quali vanno dall'Epipaleolitico all'età romana. Il grandioso complesso è in parte compreso in un parco nazionale creato per la loro valorizzazione. Importanti pure gli studi sulla preistoria lombarda che hanno definito varie culture in quella che veniva genericamente detta palafitticola e che occupava un vastissimo arco di tempo. A parte modestissime tracce forse del musteriano, rinvenute non in stratigrafia (Buco del Piombo e Tanùn presso Erba), le più antiche culture attestate sembrano essere quella "di Sasso-Fiorano" (Vhò di Piadena) e quella del "vaso a bocca quadrata" (Isolino di Varese e Cazzago Brabbia), entrambe del Neolitico medio. La seconda in L. si presenta con insediamenti su palafitte. Nel Neolitico superiore si diffonde la cultura "della Lagozza" (v. italia: Preistoria, App. II, 1, p. 89) la quale influenza anche la successiva prima età del Bronzo. Elementi per lo più di tradizione di tale cultura si trovano all'Isolino di Varese, al Vhò, a Polada. La cultura "di Remedello" (Mosio, Volongo, Cà di Marco; v. anche lombardia, vol. XXI, p. 429) è stata invece inserita entro un ambito più vasto sia per la presenza del vaso campaniforme sia per i rapporti con l'Eneolitico franco-iberico e col Mediterraneo orientale. Un attardamento, per gli scheletri rannicchiati, si ha talvolta nella cultura "di Polada", della prima età del Bronzo (v. italia: Preistoria, App. II, 1, p. 90), la quale ha pure rapporti con la cultura della Lagozza e quelle coeve della penisola e del centro-Europa. Gl'insediamenti sono o su palafitte sull'acqua (Monate) o su "bonifiche" (Bande di Cavriana, Barche di Solferino). Questa cultura, diffusa soprattutto nella zona del Garda, ha ceramica con anse a gomito e sopraelevazione "ad ascia", spilloni, bracciali a spirale, pugnali e asce a flabello, in bronzo. Alla fine della prima età del Bronzo la cultura di Polada sembra subire una crisi per cui cessano i vecchi stanziamenti e ne sorgono di nuovi. Si ha allora la "Subpolada", presente soprattutto all'Isolone di Volta Mantovana. La ceramica è più evoluta con anse lunate; tra i bronzi vi è lo spillone con testa a clessidra. Una continuità fra le due culture è attestata a Bande di Cavriana e al lago Lucone. Dalla media età del Bronzo fin verso l'inizio dell'età del Ferro si ha anche nella bassa L. la cultura "terramaricola" nota fin dagli studi di L. Pigorini (v. vol. XXI, p. 430), la quale viene assimilata alla coeva cultura "di Peschiera". Tra la fine della media età del Bronzo e il Bronzo finale compaiono le necropoli a cremazione di quel "Protovillanoviano" definito da G. Patroni nel 1937. Nel periodo più antico (Ponte Molino, Monte Lonato, Pietole) le urne sono tondeggianti e più stretto è il rapporto con le terremare, mentre più tardi le urne si fanno biconiche. Sempre a una fase antica appartiene la cultura "di Canegrate" (detta "Protogolasecca" da F. Rittatore) in netto rapporto con i "Campi di urne" transalpini e attestata nella L. nord-ovest. Più tarda (Bronzo finale) è la necropoli di Fontanella Mantovana cui si collega tipologicamente l'insediamento di Vidolasco. Dalla fine dell'età del Bronzo alla romanizzazione domina, nella parte occidentale occupata dai Liguri, la cultura "di Golasecca" (v. vol. XXI, p. 430), mentre nella parte orientale si ha solo qualche traccia d'importazione dall'area atestina. Il "Golasecca" è stato suddiviso in tre fasi, con caratteristiche peculiari specie nella ceramica e in rapporto con le culture coeve dell'alta Italia con le quali ebbe rapporti commerciali. La necropoli della Cà Morta è un documento della continuità fra il "Protogolasecca" nella sua II fase e il "Golasecca" III compreso.
Bibl.: Storia di Milano, vol. I, Milano 1953; F. Rittatore Vonwiller, Riv. Sc. Preist., XV (1960), p. 116 segg.; Piccola guida della preistoria italiana, Firenze 1962; R. Peroni, Mem. Museo civico di storia naturale di Verona, IX (1963), p. 49 segg.; Storia di Brescia, I, Brescia 1963; R. Peroni, G. L. Carancini e altri, Riv. Arch. Como, n. 150-151 (1968-69), p. 24 segg.; Atti dei Congressi di Archeologia e Storia nella Lombardia, Como 1969 segg.; R. Peroni, L'età del bronzo nella penisola italiana, vol. I, Firenze 1971; O. Cornaggia Castiglioni, La cultura di Remedello, Milano 1971; L. Pauli, Studien zur Golasecca Kultur, Heidelberg 1971; E. Anati, Evoluzione e stile nell'arte rupestre camuna, Capodiponte 1975.