LOMBARDIA
(XXI, p. 419; App. II, II, p. 228; III, I, p. 1001; IV, II, p. 355)
La realtà lombarda è piuttosto variegata e complessa, sia dal punto di vista geografico-fisico, sia da quelli demografico, economico e sociale. Si tratta infatti di una regione comprendente più di 1500 comuni, raggruppati in 11 province (due delle quali − Lecco e Lodi − istituite nel 1992) che copre 23.858 km2 (quasi l'8% del totale nazionale), con una grande varietà morfologica (40,6% montagna, 12,4% collina, 47% pianura). Con una popolazione (al censimento 1991) di 8.856.074 abitanti (il 15,6% del totale nazionale, con una densità media di 375 ab./km2, ma con estremi di 1413 ab./km2 della provincia di Milano e di 55 per quella di Sondrio), la L. si pone al vertice della graduatoria fra le regioni italiane, e la sua popolazione è superiore a quella di diversi paesi europei.
L'area ove è maggiore l'addensamento demografico interessa meno della metà del territorio regionale e ne è, di fatto, il centro nevralgico e il baricentro non solo economico, ma anche geografico.
La lettura e l'interpretazione delle realtà della L., nonché del loro evolvere nel tempo, devono perciò tenere conto delle straordinarie diversità presentate dalla regione, e non appiattirle su stereotipi validi soltanto per una sua parte, benché centrale da più punti di vista, ma tale comunque da non dare un'immagine realistica dei caratteri della Lombardia. Le stesse suddivisioni morfologico-statistiche (montagna, collina, pianura) non forniscono una griglia di lettura adeguata. Anche al loro interno sono presenti sensibili diversificazioni che originano una ricca gamma di realtà tipologiche sia nell'ambito della montagna, che della collina e della pianura. Alla costruzione di questa diversità concorrono, in primo luogo, i fattori geologico-morfologici, ma alla creazione degli assetti di questi spazi molto ha contribuito l'uomo sia con il trascorrere dei secoli, sia nel corso degli ultimi, vorticosi, decenni, a partire dagli anni Venti e poi, soprattutto, Cinquanta. In particolare, dopo i grandi movimenti di popolazione e il consolidamento dello sviluppo economico, e industriale in modo specifico, dopo il boom degli anni Sessanta, la serie di crisi che ha colpito l'economia mondiale e italiana dal 1973 ha modificato profondamente gli assetti demografico-insediativi ed economico-produttivi.
Con gli anni Settanta si assiste a una sostanziale accelerazione dei processi economico-sociali, e delle relative proiezioni territoriali, in atto già dagli anni Cinquanta. Si consolidano e si potenziano le fasi di crescita in alcune aree che già in precedenza avevano mostrato sintomi di risveglio economico, mentre vengono avviati nuovi processi in aree che fino ad allora ne erano state escluse e che, in più di qualche caso, avevano denunciato la persistenza di fasi di ristagno, quando non di decadenza economica e sociale. In particolare, in L. esistevano già, fin dall'anteguerra e talvolta ancor prima, aree definibili come di ''sviluppo periferico'' ante litteram, contraddistinte da specializzazioni produttive di tipo tradizionale: dalla Brianza (mobili) al Vigevanese (calzature), al Comasco (tessili), alle valli bresciane (piccola siderurgia e meccanica), ecc., cui si devono aggiungere altre aree, caratterizzate invece da industrie di maggiori dimensioni, spesso ''pesanti'', ma pur sempre non-centrali, come la direttrice Legnano-Busto A.-Gallarate, Lecco, Varese, e che costituivano il contrappeso, per così dire, al polo milanese e ai suoi satelliti di Sesto San Giovanni, Arese, Desio, Varedo, ecc., fisicamente prossimi alla metropoli, e direttamente dipendenti da nuclei direzionali in essa localizzati.
La geografia dell'industria lombarda a partire dagli anni Settanta subisce una progressiva evoluzione, che in parte rafforza e in parte modifica la situazione sino ad allora consolidata: aree di vecchia industrializzazione leggera (province di Como e Varese) vedono una rilevante riorganizzazione e intensificazione dei rapporti funzionali nell'ambito dei settori tradizionali, con l'affermarsi di prodotti o di tecniche di produzione più avanzati, accompagnati da un aumento nel numero delle imprese, senza però grandi incrementi dell'occupazione. Il vecchio cuore industriale perde occupati in termini sia relativi sia, spesso, assoluti (come Milano e l'area a Nord), sovente registrando uno spostamento di occupazione verso il settore terziario. Nonostante la caduta dei tassi occupazionali, il secondario non mostra sostanziali cedimenti; si modificano però i comportamenti localizzativi e un certo numero di industrie è selettivamente spinto a occupare altre aree dello hinterland milanese, meno congestionate, come il Sud-Est, che si mostra particolarmente vitale, dal momento che il potenziamento della base industriale si accompagna a un rilevante fenomeno di crescita dei servizi, anche avanzati.
La crescita maggiore, però, si registra nelle province di Bergamo e di Brescia, dove si rafforzano i vecchi nuclei industriali (i capoluoghi, Dalmine, Lumezzane, le valli Camonica e Trompia) e compaiono numerose attività di trasformazione leggera nelle aree di alta e di bassa pianura, che fino al decennio precedente ne erano interessate in forme marginali (e ciò è parzialmente valido anche per il Mantovano). Infine, anche alcune aree ancora a forte connotazione rurale ospitano impianti delocalizzati dalle zone più congestionate, talvolta associandosi a piccole attività di origine locale (bassa Valtellina, Val Seriana, parte del Cremonese e del Mantovano).
Questi processi, quindi, hanno provocato fenomeni di espansione della base industriale della L. in tutta la fascia centrale, sia in quella di alta pianura e collina − con ''infiltrazioni'' nelle basse valli prealpine, e con un progressivo ampliamento verso la bassa pianura a ridosso di Milano − sia in un buon numero di aree con presenza industriale medio-bassa sparse in territori ancora rurali o addirittura a forte componente produttiva agricola. Spesso questa geografia dell'industria lombarda è legata a rilevanti fenomeni di specializzazione produttiva, dovuti sia all'evoluzione di settori tradizionali, sia a recenti processi di crescita fondati sulla possibilità di realizzare economia di scala.
Oltre ai distretti produttivi già ricordati, si segnalano la Val Sassina, Gardone Val Trompia e Lumezzane (prodotti di metallo), l'area di Parabiago (calzature), valli Gandino e Seriana (tessili), Castelgoffredo (tessili-calzetteria), Suzzara (macchine agricole), ecc. Accanto alle aree a rilevante specializzazione industriale, esistono anche zone con forme diverse di valorizzazione economica, come quelle turistiche (montane: Madesimo, Aprica, Valmalenco, Bormio, Livigno, Foppolo, Ponte di Legno, Tonale, ecc., ma anche lacustri, dal Verbano al Lario, al Sebino, al Benaco), che interessano soprattutto l'area montuosa e le sue adiacenze collinari, e altre a rilevanti potenzialità agricole, come vaste porzioni della bassa pianura, dal Pavese (risicoltura) al Milanese, Lodigiano e Cremonese (allevamento e industrie derivate), al Mantovano (cereali e allevamento), ma anche di montagna e collina, come quelle vitivinicole (Oltrepò pavese, Franciacorta e media Valtellina) o frutticole (ancora Valtellina). In tal modo, anche le aree di montagna e di bassa pianura, che negli anni Cinquanta, e ancora in quelli Sessanta, erano i territori regionali maggiormente sottoposti a processi di decadenza demografica ed economica, tanto da essere classificati come ''depressi'', ora paiono aver raggiunto livelli di stabilità accettabili, e talvolta addirittura di rivalorizzazione, dal momento che l'eccessivo carico demografico rispetto alle ridotte risorse locali, si è almeno in parte riequilibrato, sia per effetto dell'emigrazione e della diminuzione dei tassi di natalità, che per la crescita di attività locali e per le opportunità offerte dallo sviluppo di aree limitrofe un tempo arretrate, e ora facilmente raggiungibili tramite i mezzi di trasporto privato e pubblico. Il territorio regionale non mostra più vaste e ininterrotte sacche di spopolamento e di arretratezza o di decadenza economica, ma semmai aree interstiziali di scarso peso economico, collocate però a ridosso o in mezzo ad altre a più elevato livello di sviluppo, così che la popolazione locale può trovare, solitamente, occupazione entro ambiti territoriali non troppo estesi e con tempi di pendolarismo non insopportabili, benché talvolta non poco rilevanti.
Dopo un decennio di crisi, all'inizio degli anni Ottanta lo spazio centrale comincia a mostrare segnali di una ritrovata funzionalità propria di una nuova ''logica'' organizzativa: il centro metropolitano vede rafforzarsi, fino a diventare quasi esclusivo, il suo ruolo di sede e nucleo gestore delle attività più strategiche e rilevanti per lo sviluppo e il controllo della società contemporanea, che vanno dal campo economico-finanziario (banche, grandi gruppi economici privati e pubblici) a quello culturale (grandi testate giornalistiche, istituzioni accademiche, teatri, reti televisive), a quello politico (istituzioni, partiti politici, sindacati di imprenditori e lavoratori), ecc.
Accanto a queste, che sovente si accaparrano uno spazio nella city, e cioè nel centro più esclusivo della città, altre attività e funzioni si ritagliano uno spazio nelle aree semicentrali, periferiche o periurbane, ma sempre a diretto contatto con il cuore della metropoli o sulle vie e in nodi di accesso più importanti o di maggiore scorrimento: grandi strutture ospedaliere, impianti ludico-sportivi, grandissima distribuzione (ipermercati), spazi fieristici, ecc. Una serie di servizi di livello elevato e di rappresentanza che, comunque, tramite la localizzazione semi-centrale o periurbana, acquisiscono prestigio e accessibilità, usufruendo delle infrastrutture presenti, già destinate a garantire i flussi intra- e inter-metropolitani, e godendo di notevoli vantaggi di posizione. Talvolta queste attività si sviluppano in centri-satellite (in cui sono compresenti funzioni residenziali, commerciali, direzionali, ludiche) realizzati ad opera di gruppi finanziario-immobiliari, che cercano di ricostruire in aree periurbane ambienti di elevata qualità urbana onde attirarvi nuclei familiari e imprese legati soprattutto alle professioni liberali e al nuovo terziario superiore e d'ufficio.
Dopo la realizzazione pioniera a opera dell'ENI di Metanopoli negli anni Cinquanta e il tentativo, a partire dal 1964, di fondare una ''città nuova'' completa (con forte presenza di attività industriali) nella pianura bergamasca (Zingonia), le nuove realizzazioni hanno puntato su località vicino Milano, ma in cui i valori fondiari non fossero ancora a livello urbano: quindi, come già Metanopoli, nella fascia sud e sud-est del capoluogo (Milano-San Felice, Milano Due e Milano Tre).
Il lungo periodo di crisi economiche e di riprese che si sono avvicendate ha accelerato e intensificato (e quasi forzato) dei processi che, in forma embrionale o già avanzata, erano presenti nella società e nell'economia italiana, e lombarda in particolare, portando a forme parallele e correlate di selezione e redistribuzione (accentramentodispersione) delle attività economiche (agricole, industriali, delle varie branche del ''terziario'': commerciale, di servizio, direzionale; pubblico e privato), con macroscopici processi di riorganizzazione degli spazi regionali. Ne è scaturita quindi una nuova carta dell'uso del suolo, in parte convergente con le tendenze precedenti, in parte divergente. In particolare, su tutto il territorio regionale si assiste a modalità di trasformazione che prevedono un grande espandersi, sovente incontrollabile per la sua tumultuosità e capillarità, della rete stradale minore e dell'ediliza privata (sia di tipo residenziale che produttiva, separate o, più sovente, frammiste).
I processi in atto, se hanno ampliato le aree interessate dallo sviluppo, e quindi introdotto nuovi strati di popolazione e nuovi ambiti territoriali a forme di vita più moderne, hanno nello stesso tempo allargato a macchia d'olio le aree fortemente compromesse dal punto di vista ambientale, in modo temporaneo o irreversibile: dall'erosione indiscriminata dello spazio verde, agricolo o naturale, all'inquinamento delle falde idriche (da parte delle attività industriali e agricole ma anche delle concentrazioni urbane) e dell'aria (scarichi industriali, fumi urbani, effetto della circolazione automobilistica; inquinamento acustico), al permanere di sacche di malessere sociale, specie giovanile, nelle aree periferiche e all'affermarsi di ''nuove povertà'' (specie fra gli anziani e gli immigrati, assai numerosi, dal Terzo Mondo), al radicarsi tenace di forme di grande criminalità organizzata, che trova negli strati più marginali della popolazione la propria manovalanza, e in tutta la società le proprie vittime, consenzienti (tossicodipendenti) o involontarie (soggette ai vari rackets).
Bibl.: C. Muscarà, Geografia dello sviluppo, Milano 1967; AA.VV., Ricerche sull'assetto territoriale della Lombardia, a cura di C. Saibene, ivi 1976; AA.VV., Milano, megalopoli padana, valli alpine, a cura di G. Corna Pellegrini, Bologna 1977; AA.VV., Megalopoli mediterranea, a cura di C. Muscarà, Milano 1978; I.Re.R., La Lombardia e l'Europa di fronte alla ripresa dell'economia mondiale, ivi 1984; A. Celant, P. Morelli, La geografia dei divari territoriali in Italia, Firenze 1986; AA.VV., L'Italia geoeconomica, a cura di G. Valussi, Torino 1987; I.Re.R., Progetto Milano, Fondazione Agnelli, Il sistema metropolitano italiano, Milano 1987; I.Re.R., Progetto Milano, Trasformazioni territoriali e organizzazione urbana, ivi 1989; Città e poli metropolitani in Italia, a cura di G. Scaramellini, ivi 1991.
Archeologia. - Nuovi studi e recenti rinvenimenti hanno permesso di meglio precisare il quadro della preistoria e protostoria della L. (v. App. IV, ii, p. 357).
Diverse stazioni del Paleolitico inferiore e medio sono state scoperte nella L. orientale, in particolare lungo la cerchia morenica del lago di Garda e su rilievi isolati della pianura bresciana. Nel Paleolitico medio i siti coincidono con i depositi loessici del Pleistocene superiore, interessati da steppe-praterie frequentate dai grandi mammiferi e quindi dai cacciatori paleolitici. Numerose stazioni del Mesolitico sono state identificate sia lungo passi alpini, dove i bivacchi erano collegati agli spostamenti stagionali dei branchi di animali, sia in pianura ai margini di terrazzi fluviali o sulle rive dei laghi alpini o dei bacini intramorenici, sedi di accampamenti più o meno stabili. Le più antiche stazioni neolitiche (fine 5° millennio a.C.), del ''gruppo del Vhò'', sono situate in particolare nel Cremonese e nel Mantovano, con attestazioni nel Bresciano, verso il Garda, ma anche nel Pavese. Al ''gruppo dell'Isolino'' fanno capo stazioni situate presso i laghi prealpini della L. nord-occidentale.
Con l'inizio del 4° millennio si verifica un radicale cambiamento (cultura dei ''vasi a bocca quadrata''). Nella L. orientale gli insediamenti situati lungo i paleoalvei del Po e dell'Oglio e nell'anfiteatro morenico del Garda documentano un'economia basata su pastorizia, allevamento e agricoltura, con scambi commerciali con altre regioni. La cultura dei ''vasi a bocca quadrata'' interessa anche la Valcamonica (Breno, Rogno e Cividate Camuno) e il Comasco (Monte Lucino), mentre più a ovest persiste la tradizione del gruppo dell'Isolino e la cultura dei ''vasi a bocca quadrata'' si afferma in modo autonomo. Nel Neolitico superiore la cultura della Lagozza interesserà innanzitutto l'area varesina, poi anche la L. orientale.
Nell'età del Rame (2800-1800 a.C.) si sono riconosciuti tre gruppi differenziati geograficamente e culturalmente: il primo nell'area perialpina con sepolture in roccia o sottoroccia; il secondo nell'area di pianura con sepolture singole in fossa; il terzo in Valcamonica e Valtellina, documentato da massi, stele e statue-stele con raffigurazioni incise. A una prima fase dell'Eneolitico (white ware), seguono le fasi di Remedello e quella del ''vaso campaniforme'', diffuso nell'area prealpina. Gli scavi recenti delle sepolture collettive del Sasso di Manerba e degli insediamenti e relative aree funerarie di Monte Covolo (Brescia) e di Trescore Balneario (Bergamo) hanno fornito importanti dati per la conoscenza di questo periodo in Lombardia.
Recenti studi consentono oggi di meglio definire la Media età del Bronzo nella L. occidentale, area estranea alla cultura palafitticola-terramaricola. Con la cultura della Scamozzina (14°-13° secolo), caratterizzata dal rito crematorio con deposizione in urna delle ossa combuste e del corredo, e con la successiva cultura di Canegrate, legata all'area alpina nord-occidentale, si ha una netta cesura del territorio lombardo fra la parte occidentale e quella orientale, lungo l'Adda e l'Oglio, con differenze culturali che persisteranno sino alla divisione augustea in regioni.
La cultura di Canegrate si evolve nel Protogolasecca tipo Ascona (12°-11° secolo), ben documentato, oltre che dalla necropoli eponima e da alcune tombe del Canton Ticino e delle province di Varese e Milano, dall'importante ripostiglio della Malpensa, e nel Protogolasecca tipo Ca' Morta-Malpensa (10° secolo), presente nell'area prealpina, a Vidolasco (Cremona) e nel Pavese. La cultura di Golasecca, per cui è stato ipotizzato un apporto iniziale di elementi celtici d'oltralpe risalente alla fine dell'età del Bronzo, interessa un'ampia area con uno sviluppo ininterrotto per circa un millennio, sino alle invasioni galliche. Determinante è il fatto che la zona interessata da questa cultura è punto di transito verso importanti passi alpini, tramite fra la penisola italiana e quindi il bacino mediterraneo, e l'Europa continentale.
Nel 5° secolo a.C. si formano centri protourbani corrispondenti ai successivi oppida gallici e alle principali città dell'età romana e moderna. La loro nascita è connessa all'espansione etrusca a nord del Po e alla fondazione di empori commerciali. L'abitato di Forcello di Bagnolo S. Vito (Mantova), recentemente scoperto, è il sito più importante in L., punto d'incontro fra le vie fluviali provenienti dall'Adriatico e le vie interne provenienti dall'Etruria tirrenica. Materiali del Golasecca iii A, ceramica attica, vasellame etrusco, ecc., documentano nel 5° secolo a.C. la presenza di abitati, anche di notevole estensione, lungo la via pedemontana (Brescia, Bergamo) o in prossimità di valichi alpini (Como) o in pianura, alla confluenza di importanti rotte commerciali (Milano).
Con l'invasione gallica a inizi 4° secolo muta radicalmente il quadro generale, con un'area propriamente gallica, insubre e cenomane (Milano e zona orientale), un'area alpina e subalpina progressivamente influenzata dalla cultura La Tène e un'area con aspetti culturali misti, tipici delle due altre zone, uniti a caratteri locali (Lomellina).
Dalla fine del 3° e soprattutto nel 2° secolo è evidente nei corredi tombali una trasformazione culturale dovuta alla romanizzazione che, al di là degli interventi iniziali di carattere militare (vittoria sugli Insubri a Casteggio e conquista di Milano, 222 a.C.; fondazione nel 219 a.C. di Cremona, prima colonia latina a nord del Po; vittoria di M. Claudio Marcello nel 196 a.C. su Insubri e Comensi), sembra essere avvenuta in modo non violento, con un progressivo inserimento della Cisalpina del mondo romano, favorito anche dal probabile insediamento di famiglie di Italici.
A eccezione di Cremona (il cui agro viene la prima volta centuriato dopo la fondazione), contestualmente alla concessione del diritto latino (89 a.C.) e della cittadinanza romana (49 a.C.), hanno luogo imponenti trasformazioni agrarie con la centuriazione di gran parte del territorio, preceduta e accompagnata dalla creazione di un'ampia rete viaria. Contemporaneamente ha inizio la lenta trasformazione dei centri insubri e cenomani. Milano e Brescia già nella prima metà del 1° secolo a.C. si dotano di edifici pubblici: il santuario repubblicano a Brescia e forse un tempio nei pressi del Foro a Milano costituiscono episodi urbanistici di notevole rilevanza politica, legati a modelli architettonici d'ispirazione ellenistico-italica. A età cesariana sono da riferire probabilmente le mura di Milano e di Como; nelle altre città i monumenti pubblici più antichi sono di età augustea, periodo a cui risale anche la sistemazione urbanistica generale di alcune città.
Secondo l'ordinamento augusteo, la L. viene divisa fra la Regio X, Venetia et Histria (L. orientale), la XI, Transpadana (L. occidentale) e, in piccola parte, fra l'VIII, Aemilia, e la IX, Liguria. Con Augusto vengono sottomesse nel penultimo decennio a.C. le popolazioni alpine rimaste sino ad allora indipendenti. La Valcamonica diviene adtributa a Brescia, conseguendo poi autonomia amministrativa. Il centro principale, Civitas Camunnorum (Cividate Camuno), conserva ancora l'impianto ortogonale e importanti edifici pubblici (terme, teatro e anfiteatro). Non lontano, a Breno, è stato recentemente rinvenuto un grande santuario, dedicato a Minerva, collegato al culto delle acque.
Da questo momento la L. diviene economicamente importante sia per i prodotti locali sia quale tramite commerciale dall'Adriatico verso l'Europa. Le sue città, soprattutto Brixia e Mediolanum, ma anche Novum Comum, Cremona, Ticinum (Pavia), Laus Pompeia (Lodivecchio), raggiungono notevole ricchezza, documentata da monumenti pubblici e da domus private di cui talora restano mosaici pavimentali e pitture parietali di alto livello. Nel territorio sono presenti resti di ville rustiche o residenziali, queste situate soprattutto in collina o lungo i laghi di Como, Iseo e Garda. La regione è densamente popolata, come documentano le molte necropoli, a volte con ricchi corredi.
Dopo la crisi della prima anarchia militare (69 d.C.) che vede anche il saccheggio di Cremona, Vespasiano favorisce il restauro delle città nord-italiche: a Brescia sorge sul preesistente tempio il nuovo Capitolium, interventi di sistemazione si hanno nel Foro (Basilica) e nel santuario sul colle Cidneo. Nella seconda metà del 2° secolo e in età severiana si ha sicuramente un rinnovamento edilizio nelle principali città, testimoniato sia a Milano che a Brescia da resti di monumenti pubblici o da elementi architettonici isolati. Con il 3° secolo la L. è di nuovo interessata da operazioni militari: gruppi di Alamanni giunti sino a Milano vengono respinti da Gallieno (260 d.C.). La seconda metà del 3° secolo coincide con un periodo di recessione, documentato dal temporaneo abbandono o impoverimento degli edifici, dalla scarsità di circolazione monetaria, dal rinvenimento di numerosi ripostigli monetali occultati in situazioni di pericolo.
Con la spartizione tetrarchica dell'impero, Milano diviene sede della corte imperiale. Si apre così per la città un periodo di ristrutturazioni edilizie: viene ampliato il percorso delle mura, sono costruiti il palazzo imperiale che occupa un largo settore urbano, il circo, le terme e una lunga via porticata di accesso alla città. Nel territorio si riflettono i miglioramenti economici determinati dal nuovo ruolo di Milano. Si assiste a un rifacimento delle rete viaria documentato da numerosi miliari, mentre in molti casi vengono costruite e ampliate le ville esistenti o costruite grandi ville residenziali, come a Desenzano (Brescia) o a Palazzo Pignano (Cremona). Tuttavia le scorrerie dei barbari e le lotte di generali o imperatori, che spesso avranno come teatro la L., e le gravi difficoltà economiche determinano una crisi generale, particolarmente evidente dalla metà del 5° secolo.
In età tardoromana o gota viene creato nelle aree prealpine un sistema di fortificazioni, di cui esistono resti significativi in Valcamonica, nell'alto e basso Garda, a Castelseprio (Varese), nell'Isola Comacina e in altre località comasche e varesine. Vedi tav. f.t.
Bibl.: P. Tozzi, Storia padana antica. Il territorio fra Adda e Mincio, Milano 1972; Atti del 1° Convegno Archeologico Regionale (Milano 1980), Brescia 1981; Notiziario della Soprintendenza archeologica della Lombardia, 1981-90; Archeologia in Lombardia, Milano 1982; E.A. Arslan, Lombardia ("Itinerari archeologici", 9), Roma 1982; G. Cavalieri Manasse, Lombardia, in G. Cavalieri Manasse, G. Massari, M.P. Rossignani, Piemonte, Valle d'Aosta, Liguria, Lombardia ("Guide archeologiche Laterza", 1), Roma-Bari 1982, pp. 224-344; Archeologia urbana in Lombardia. Valutazione dei depositi archeologici e inventario dei vincoli, Modena 1984; La Lombardia dalla Preistoria al Medioevo, Milano 1985; La Lombardia tra protostoria e romanità. Atti del 2° Convegno Archeologico Regionale (Como 1984), Como 1986; Gli Etruschi a Nord del Po., Catalogo della Mostra Mantova 1986-87), i-ii, Mantova 1986-87; R. De Marinis, La cultura di Golasecca: Insubri, Orobi e Leponzi, in Italia omnium terrarum alumna, Milano 1988, pp. 159-247; Gli Etruschi a Nord del Po. Atti del Convegno (Mantova 1986), Mantova 1989; Milano capitale dell'impero romano, 286-402 d.C., Catalogo della Mostra (Milano 1990), Milano 1990.
Arte. - L'arco temporale preso in considerazione in questa sintetica rassegna copre circa un ventennio, periodo particolarmente significativo per l'elaborazione e la messa a punto di un nuovo concetto di bene culturale. Il dibattito teorico, che prese l'avvio con le riflessioni metodologiche di A. Emiliani a metà degli anni Settanta circa, trova un riscontro concreto anche nella prassi amministrativa della regione L. che cerca di disciplinare quei settori che erano stati delegati dallo stato alle regioni (quali musei e biblioteche "di enti o di interesse locali") nel tentativo d'interpretarli con la maggiore ampiezza possibile e riconducendo al loro interno una molteplicità di beni culturali (l. regionale 39/1974). Nel corso di questi anni si sono andate accumulando e progressivamente moltiplicando proposte, progetti, iniziative, realizzazioni, tutte tese a una redifinizione della mappa della geografia storico-artistica della regione. Si può ben dire che lo sforzo prioritario di tutte le istituzioni coinvolte nella salvaguardia e gestione del patrimonio artistico, come pure la maggioranza delle numerosissime iniziative editoriali (che per sommi capi si elencheranno in bibliografia), sia stato quello di un'attenzione puntigliosa e sistematica alla ricognizione topografica, all'indagine ''sul campo''.
Nel tracciare le linee di tendenza di questo intenso periodo e non sottovalutando la difficoltà di riorganizzare in sintesi la grande quantità di esposizioni, interventi, recuperi, restauri, pubblicazioni, convegni, studi, ecc., piace partire dall'importante rassegna milanese del 1973, Il Seicento lombardo, che costituì una fondamentale occasione di verifica, anche se limitata a una fase storica circoscritta, l'età dei Borromeo. La mostra, frutto di un sistematico lavoro di recupero storico-artistico e di programmati restauri (che costituirà poi il modello per successive esposizioni), si pone come prezioso antecedente di un rinnovato interesse per la cultura artistica del Seicento lombardo che ha fatto registrare nell'ultimo decennio una sensibile ripresa di studi, di ricerche, di esposizioni, anche se disomogenee quanto a risultati scientifici. Per brevità si segnala l'accuratissima ed esauriente ricognizione del territorio bergamasco, poi confluita nella monumentale esposizione Il Seicento a Bergamo (1987), nella quale si scelse di esporre, almeno per campioni, l'intero panorama della produzione pittorica della bergamasca secentesca, in modo esauriente quella degli artisti locali e in modo più selezionato quella degli stranieri operanti nel territorio. Ancora, il volume Il Seicento in Valtellina (1989), studio particolarmente interessante perché indaga e ricostruisce per la prima volta con dovizia di dati un patrimonio artistico spesso trascurato dalla storiografia. Infine, in ordine di tempo, la mostra Il Seicento a Como, svoltasi tra il 1989 e il 1990, che ha avuto il merito, partendo dalla disamina di alcuni dipinti collocati presso il Museo Civico, di tracciare un breve, ma completo excursus sulle principali vicende storico-artistiche della Diocesi comasca.
Ritornando ai primi anni Settanta, è da segnalare lo straordinario ritrovamento a Mantova da parte di G. Paccagnini degli affreschi e delle sinopie del Pisanello in uno degli edifici della Corte Vecchia in Palazzo Ducale (1972). Il ciclo cavalleresco arturiano costituisce un documento di fondamentale importanza per la conoscenza del gotico internazionale in Italia (e testimonia della fama di cui godette l'artista, del quale purtroppo sono andati perduti affreschi con scene di caccia nel castello di Pavia). Sempre in territorio mantovano sono da ricordare gli affreschi della navata della chiesa di San Tommaso ad Acquanegra sul Chiese, già annessa a una comunità benedettina: segnalati a metà Ottocento, furono riportati completamente alla luce grazie a I. Toesca, che iniziò la campagna di restauro nel 1977; databili tra l'11° e il 12° secolo, costituiscono per qualità ed estensione tra i massimi documenti della pittura romanica lombarda.
Coeva è la documentazione pittorica ritrovata casualmente a Pavia nel 1965 nell'abside della navata laterale destra della chiesa di Santa Maria Gualtieri. Durante i lavori iniziati nel 1976, che hanno permesso il recupero di parte dell'antico edificio, sono venuti alla luce affreschi dell'11°-12° secolo sulle volte della navata centrale. Solo in alcuni frammenti la sostanza pittorica è conservata quasi intatta, in particolare nell'angelo sull'arco trionfale e nei cavalieri apocalittici, nella terza volta da ovest. Nelle altre parti sono lievi tracce del disegno preparatorio e alcuni resti di cromia. È comunque riconoscibile l'angelo che porta l'incenso all'ara nell'ultima volta da ovest, nel grande clipeo al centro. Il ciclo pavese, nel quale è possibile riconoscere un significativo programma iconografico che svolge i temi tratti dall'Apocalisse, sembra in parte ricollegarsi ad alcuni cicli fondamentali della pittura lombarda a Civate e a Novara e a centri di cultura bizantina come Torcello. Ancora a Pavia è da segnalare il ritrovamento (1981) dell'affresco raffigurante la Dormitio Virginis nella chiesa di San Michele, di anonimo del 12° secolo. È ciò che rimane della complessa decorazione della nicchia ricavata sulla parete conclusiva del transetto meridionale della chiesa. Più recente (1985) è la scoperta di alcuni frammenti di affreschi in provincia di Sondrio, a Tirano, nella cappella di Santa Perpetua, datati da C. Bertelli all'epoca carolingia. Di un artista dell'8° secolo sono invece, sempre secondo Bertelli, i dipinti murali con rappresentazione della Majestas Domini e immagini di santi e monache del monastero di Santa Maria, Torre a Torba, in provincia di Varese. Segnalati per la prima volta nel 1973 da A. Peroni, furono restaurati nel corso del 1975-76 e costituiscono una testimonianza rarissima della pittura all'epoca del crollo del regno lombardo. È interessante che questi affreschi, che conservano tratti ereditari tardoantichi appena rinverditi da nuovi apporti bizantini, ma assimilati in un'ottica del tutto locale, siano così vicini territorialmente all'importantissimo ciclo con Storie dell'Incoronazione di Cristo di Santa Maria foris Portas a Castelseprio. A seguito di analisi effettuate a metà degli anni Ottanta dalla Soprintendenza per i Beni artistici e storici di Milano, sugli intonaci e sul supporto murario, è emersa l'evidenza di tre fasi di fissatura dell'abside prima della decorazione pittorica, e sulla scorta dei risultati di altre analisi scientifiche, Bertelli ha riproposto una collocazione degli affreschi alla prima metà del 9° secolo, in concomitanza con l'introduzione di correnti bizantine nella metropoli.
Ma al di là dei ritrovamenti casuali, è da segnalare il configurarsi di una prassi di tutela che privilegia l'aspetto programmatico degli interventi, con l'attivazione di contatti a livello paritetico di diverse istituzioni, quali soprintendenze, università, musei, assessorati alla cultura. L'interesse posto da alcune province, per es. Bergamo e Como, nella salvaguardia del proprio patrimonio artistico, con la messa a disposizione di cospicue somme di denaro, è indicativo di questo tentativo di superare una concezione limitativa e di emergenza della tutela. A una ricognizione delle emergenze (si veda la parte relativa alla L. nel progetto, finanziato dal ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Memorabilia: il futuro della memoria, del 1988) viene affiancata una prassi operativa fondata su accurate campagne di documentazione fotografica, di schedatura e di restauro, che permettono una capillare indagine conoscitiva del territorio..
Contemporaneamente all'intensa attività di restauro, è da segnalare la realizzazione di numerosissimi interventi di riordino e di revisione di raccolte e di collezioni, oltre all'allestimento di nuove strutture museali (di cui si segnala una sintetica selezione): o di carattere etnografico (Pescarolo, Museo del Lino, 1975; San Benedetto Po, Museo Civico Polironiano), o naturalistico (Treviglio, Museo Civico naturalistico, 1974; Induno Olona, Civico Museo di Storia naturale, 1976; Morbegno, Museo Civico di Storia naturale, 1974), o archeologico (Cividate Camuno, Museo archeologico della Valchiavenna, 1981; Arsago Seprio, Museo Civico archeologico), nonché l'istituzione di nuovi musei diocesani, come a Brescia, Bergamo e Mantova, e della Galleria d'arte contemporanea (Suzzara). In altri capoluoghi di provincia, come a Sondrio, per l'accrescersi delle collezioni, per nuove esigenze di spazi espositivi e servizi implicate dalla mutata concezione del museo, non più civico, ma del territorio, la sede del museo viene spostata in un altro edificio, palazzo Sassi, dopo elaborati lavori di ristrutturazione ispirati ai criteri del restauro conservativo (1989). E a Como, in palazzo Volpi, viene istituita una Pinacoteca Civica sede di interessanti esposizioni a cominciare da quella del 1981, Collezioni Civiche di Como: proposte, scoperte, restauri, poi seguita (1986) da quella sugli Arazzi del Cinquecento a Como, e da quella sugli affreschi staccati provenienti dal Monastero di Santa Margherita a Como, raffiguranti le Storie di S. Liberata e Faustina, che costituiscono una delle testimonianze più alte della pittura lombarda di questo secolo. Contemporaneamente, a Brescia, è in atto la sistemazione di un vasto e splendido complesso monumentale, quello del monastero di S. Salvatore, uno dei massimi esempi dell'architettura altomedievale dell'Italia settentrionale, dove verrà realizzato un museo nel quale confluiranno tutti i materiali illustrativi dei diversi aspetti (archeologici, storico-artistici, architettonici, urbanistici) della città e del suo territorio. In tale complesso − che si porrà come polo centrale della riorganizzazione del sistema museale bresciano (per es. Pinacoteca Tosio Martinengo, Museo delle armi, ecc.) − si è nel frattempo svolta un'interessante attività espositiva culminata con l'organizzazione, tra il 1987 e il 1990, delle tre grandi mostre di rilevanza internazionale dedicate al Pitocchetto, al Moretto e al Savoldo.
Infine, a Pavia, nell'imponente complesso del Castello Visconteo, sono stati concentrati i musei civici comprendenti numerosissime sezioni, nonché il Museo pavese di Scienze naturali.
Più numerosi i contributi critici radicalmente innovativi relativi al Quattrocento, soprattutto al tema della cultura figurativa lombarda tra il 1480 e il primo Cinquecento, nel periodo coincidente con i soggiorni di Leonardo a Milano e con la massima diffusione di motivi da lui derivati nell'ambiente locale. Di particolare interesse la stimolante rassegna Zenale e Leonardo. Tradizione e rinnovamento della pittura lombarda (1982) che, rifuggendo dai consueti criteri monografici, è ricca di proposte critiche non definitivamente acquisite. Di rilievo anche per il 17° secolo il recupero di personalità poco conosciute, o la ridefinizione dell'attività di artisti anche molto famosi, così come la rivisitazione di epoche e ambiti culturali in parte trascurati dalla storiografia. Tutte queste nuove acquisizioni sono il frutto, in parte coordinato, di studi originati da importanti esposizioni (e qui si accenna solo a quella dei Campi e della Cultura artistica cremonese del Cinquecento, a quella dei Piazza da Lodi, e a quella di Giulio Romano a Mantova, nella rinnovata sede del Museo Civico di palazzo del Te), e di un'intensa e rigorosa attività editoriale, spesso finanziata da istituti di credito (serie dei volumi dedicati ai centri della pittura lombarda, corpus dei pittori bergamaschi); nonché dalla nascita e diffusione di numerose riviste, spesso di taglio storico, quali per es. Archivi di Lecco, Archivio Storico della Diocesi di Como, Annali di Storia Pavese, ecc. Per quanto riguarda poi il 18° secolo, piace ricordare l'imponente rassegna milanese del 1991, relativa appunto al Settecento lombardo, che costituì, come d'altronde attesta la ricchissima bibliografia, l'ultima di una serie di esposizioni indaganti artisti, caratteri, tipologie della produzione artistica di questo territorio.
Bibl.: G. Paccagnini, Il Pisanello e il ciclo pittorico cavalleresco di Mantova, Milano 1972; Id., Pisanello alla corte dei Gonzaga, ivi 1972; Il Seicento lombardo, Catalogo della mostra, i,ii,iii, ivi 1973; AA.VV., Storia di Monza e della Brianza, 2 voll., ivi 1973; Tesori d'arte nella terra dei Gonzaga, Catalogo della mostra, Mantova 1974; Lo studiolo d'Isabella d'Este, a cura di S. Béguin, Parigi 1975; I Pittori bergamaschi. Il Cinquecento, i, Bergamo 1975; I Pittori bergamaschi. Il Settecento, i, ivi 1975; Pavia. Cent'anni di cultura artistica, Milano 1976; I Pittori bergamaschi. Il Cinquecento, ii, Bergamo 1976; Rubens a Mantova, Catalogo della mostra, Mantova 1977; AA.VV., Indagine sulla didattica dei beni culturali in Lombardia, Milano 1977; I Longobardi e la Lombardia, Catalogo della mostra (San Donato Milanese), ivi 1978; I Pittori bergamaschi. Il Cinquecento, iv, Bergamo 1978; Notiziario del Centro per i Beni Culturali e Ambientali della Lombardia, Milano 1978-83; I Fantoni. 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Maria Assunta in Treviglio, Treviglio 1987; Giacomo Ceruti, il Pitocchetto, Catalogo della mostra, Brescia 1987; Il Seicento a Bergamo, Catalogo della mostra, Bergamo 1987; Alessandro Bonvicino. Il Moretto, Catalogo della mostra (Brescia), Bologna 1988; Arte in Lombarda tra Gotico e Rinascimento, Catalogo della mostra, Milano 1988; Pinacoteca di Brera. Scuole lombarda e piemontese 1300-1535, ivi 1988; Pittura a Pavia dal Romanico al Settecento, a cura di M. Gregori, Cinisello Balsamo 1988; M. Rossi, A. Rovetta, Pittura in Alto Lario tra Quattro e Cinquecento, Milano 1988; Il Seicento a Como, Catalogo della mostra, Como 1989; Pittura a Mantova dal Romanico al Settecento, a cura di M. Gregori, Cinisello Balsamo 1989; La Pittura in Italia. Il Seicento, Milano 1989; L'Europa dei Razionalisti, Catalogo della mostra, Como 1989; Il '300 a Como. Gli affreschi del monastero di S. Margherita, Catalogo della mostra, ivi 1989; Bergamo/Restauri 1983. Interventi di restauro eseguiti nella provincia di Bergamo, a cura di P. Venturoli, Bergamo 1989; Musei di Lombardia, a cura di A. Garlandini e T. Serra, 2 voll., Milano 1989; I Piazza da Lodi. Una tradizione di pittori nel Cinquecento, Catalogo della mostra, ivi 1989; Pinacoteca di Brera. Scuole lombarda, ligure e piemontese 1535-1796, ivi 1989; Giulio Romano, Catalogo della mostra, Mantova 1989; S. Coppa, Il Seicento in Valtellina. Pittura e decorazione in stucco, in Arte Lombarda, 1989, 1-2; Bergamo/Restauri 1984-1989, a cura di O. Previtali, Bergamo 1990; La Pittura in Italia. Il Settecento, Milano 1990; I Pittori bergamaschi. Il Settecento, iii, Bergamo 1990; Pittura a Cremona dal Romanico al Settecento, a cura di M. Gregori, Cinisello Balsamo 1990; Settecento lombardo, Catalogo della mostra, a cura di R. Bossaglia e V. Terraroli, Milano 1991; Pittura a Bergamo dal Romanico al Neoclassico, Cinisello Balsamo 1991; Giuseppe Antonio Petrini, Catalogo della mostra (Lugano), a cura di R. Chiappini, Milano 1991; Sacri Monti. Devozione, arte e cultura della Controriforma, Atti del Convegno internazionale (Villa Cagnola di Gazzada, 10-13 maggio 1990), a cura di L. Vaccaro e F. Ricardi, ivi 1992; Pittura tra Ticino e Olona. Varese e la Lombardia nord-occidentale, Cinisello Balsamo 1992; Il Settecento in Valtellina, a cura di S. Coppa, Bergamo 1993.
Tutela dei beni architettonici. - L'emergenza determinatasi nell'immediato dopoguerra per i danni sofferti da numerosi monumenti, in special modo a Milano, ha trovato in L. Crema, soprintendente ai monumenti della L., e nei restauratori L. Grassi, A. Pica, F. Reggiori, quella capacità e attenzione critica, che il dibattito sul restauro architettonico andava sviluppando in quegli anni. Si sono avuti così i necessari e noti restauri milanesi della basilica di Sant'Ambrogio, del monastero di San Vittore, del convento di Santa Maria delle Grazie, del campanile di San Pietro in Gessate, dell'Ospedale Maggiore; oppure, a Brescia, della chiesa di Santa Maria dei Miracoli.
Negli anni Cinquanta il problema degli interventi straordinari comincia lentamente a saldarsi a quello della tutela ordinaria. Di quegli anni sono i restauri a Crema, dapprima quello del Duomo, pur se criticato per operazioni di ripristino; poi del Palazzo Comunale, il cui intervento, diretto da C. Perogalli e S. Mosconi, tentava di unire in armonia le esigenze di una moderna utilizzazione, di un accorto consolidamento e di una possibile lettura delle diverse stratificazioni del monumento.
L'opera di consolidamento e protezione di molti monumenti lombardi si basa a partire dagli anni Sessanta su un uso sempre più consistente delle tecnologie più avanzate e in special modo del cemento armato, non sempre con la necessaria accortezza critica nei restauri e il rispetto di strutture e forme originarie. È il caso del Duomo di Lodi, che ha subito la perdita delle volte e del sistema di copertura. Tuttavia le critiche non possono essere generalizzate, dato il numero e la varietà degli interventi di quegli anni. Volendo segnalare i più noti: a Milano il consolidamento delle fondazioni nella chiesa di Sant'Eustorgio (1964, F. Nardis) e nel Seminario Arcivescovile (1968, F. Terrusi) e il consolidamento delle murature e il rifacimento del tetto con operazioni di liberazione nella basilica di San Simpliciano (1968, L. Gremmo); a Sesto Calende il consolidamento delle fondazioni, la legatura dei pilastri e opere di protezione nell'Abbazia di San Donato (1968, L. Gremmo); a Como il rafforzamento dei piloni della cupola nella Cattedrale. Rilevante è stata inoltre l'attività della Soprintendenza alle Antichità della L., che ha visto operare a Milano Mirabella Roberti nel muro orientale del Circo romano, nel Ponte romano del corso V. Emanuele, nel muro della Fortezza di San Vittore e nel Battistero in Piazza del Duomo. Va menzionato il restauro delle pietre del San Michele Maggiore a Pavia (dal 1964, P. Sanpaolesi) in cui si è preservata la materia autentica mediante accorti procedimenti chimici.
Negli anni più recenti complesse tecniche di protezione e consolidamento e studi scientifici accurati hanno sorretto i grandi interventi avviati dalla Soprintendenza ai Beni ambientali e architettonici e da altri enti. Nonostante l'approfondimento delle tematiche del restauro architettonico, si è lamentata la mancanza d'impegno generalizzato verso le testimonianze storiche e l'assenza di collaborazione fra le amministrazioni preposte alla tutela e fra queste e la cultura universitaria, in una regione che fra l'altro possiede la particolare emergenza del degrado ambientale dovuto alla pesante industrializzazione.
Fra i restauri più significativi si segnalano, a Cremona, quelli del Torrazzo e della chiesa di San Bassano (1976 e 1979, M.T. Saracino); a Lodi della chiesa di San Francesco (1979, L. Gremmo); a Milano nel Duomo con gli interventi consolidativi ai quattro piloni del tiburio e il restauro conservativo della facciata stessa per opera di C. Ferrari da Passano, nonché delle vetrate del monumento; della Cappella di Sant'Aquilino in San Lorenzo; del Castello di Vigevano (1978, L. Gremmo) con il ripristino delle coperture e la liberazione degli edifici dalle molte sovrastrutture; a Como dei Podi Pliniani sulla facciata del Duomo (1987, S. Righini Ponticelli). Vedi tav. f.t.
Tutela dei beni ambientali. − La Regione L. è andata dotandosi dall'inizio degli anni Settanta di strumenti legislativi atti alla salvaguardia e al riequilibrio ambientale senza d'altro canto riuscire a concretizzare molto in tale direzione. Nel 1972 si è costituita una ''Commissione speciale di studio e di ricerca sui parchi naturali della Lombardia'' da cui è conseguita la prima legge lombarda in materia di riserve naturali, la 58/1973 ("Istituzione delle riserve naturali e protezione della flora spontanea"). Il secondo intervento legislativo, la 2/1974 con successive integrazioni e modificazioni fino al 1976, ha dettato la normativa urbanistica per la tutela e istituito il parco lombardo della Valle del Ticino. Fra il 1975 e il 1985 diversi parchi naturali sono stati previsti attraverso apposite leggi (Nord-Milano; Groane; Colli di Bergamo; Pineta di Appiano Gentile e Tradate; Montevecchia e Valle del Curone; Monte Barro; Adamello; Adda; Valle del Lambro; Campo dei Fiori; Mincio; Serio), mentre si è imposto all'attenzione il problema del parco a fini multipli del delta del Po.
Per quanto riguarda il tema dei centri storici, con la 51/1975 e la 311/1975 si sono stabilite procedure per la formazione di piani particolareggiati e d'inventario degli stessi centri.
Bibl.: 2ª mostra internazionale del restauro monumentale, Catalogo, a cura di M. Dezzi Bardeschi e P. Sanpaolesi, Venezia 1964; Arte a Pavia-Salvataggi e Restauri, Pavia 1966; A. M. Romanini, A proposito di restauro architettonico, in Paragone, 257 (1971), pp. 23-28; Consiglio Regionale Lombardo, I parchi della Lombardia, Lavori della commissione speciale di studio e di ricerca, Milano 1972; I centri storici della Lombardia, a cura di A. Mioni e R. Rozzi, ivi 1975; M. Balbo, L. Pellegrini, L'organizzazione del territorio tra piano e interventi, ivi 1979; Restauro e cemento in architettura, a cura di G. Carbonara, Roma 1981; L. Gremmo, Il restauro del castello di Vigevano: osservazioni, documenti, ipotesi, in Bollettino d'arte, 12 (1981), pp. 123-38; Attività della Soprintendenza 1977-1981: Restauri archeologici in Lombardia, Como 1982; S. Righini Ponticelli, Il restauro dei Podî Pliniani sulla facciata del Duomo di Como, in Bollettino d'arte, suppl. al n. 41 (1987), vol. ii, pp. 233-46.