LOMBARDO
. Casata di architetti e scultori operosi nei secoli XV e XVI, dei quali si citano qui i più importanti. Pietro, nato circa il 1435 a Carona sul lago di Lugano, morto nel 1515 a Venezia. Si suppone educato a Firenze da Bernardo Rossellino e da Desiderio da Settignano nello studio dei monumenti sepolcrali, da lui ridotti nel sepolcro Roselli, nel Santo di Padova, a uno schematismo nordico. Eseguì quell'opera dal gennaio 1464 al settembre 1467, periodo della sua dimora in Padova, dove anche eresse la casa Olzignani in stile gotico fiorito alla veneziana. A Venezia, eseguito il sepolcro del doge Pasquale Malipiero (morto nel 1462), dette mano all'iconostasi marmorea della chiesa dei Frari, alla decorazione di San Giobbe, al monumento del Doge Niccolò Marcello (morto nel 1474), che segna la piena maturità dell'artista. Matteo Colaccio, ricordandolo chiaro maestro, alluse ad Antonio e Tullio suoi figli, che gli crescevano attorno addestrati nell'arte: "Statuarios Petrum Lombardum et patrio artificio surgentes filios". Assistito dai figliuoli, eseguì in forma trionfale, nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, il monumento al doge Pietro Mocenigo (morto nel 1476), compiuto nel 1881. L'opera fruttò grande fama allo scultore, tanto che i procuratori di Santa Maria dei Miracoli gli allogarono la decorazione della chiesa, compiuta in gran parte nel 1489 con una profusione di ornati eleganti, fastosi. Dal 1481 al 1490 Pietro Lombardo dava ordine e metro alle molte opere di scultura che i figli con i numerosi aiuti eseguivano. Ciò avvenne maggiormente dal 1490 al 1515. Da Venezia a Padova, a Treviso, a Ferrara, e per le vie adriatiche, si sparse l'arte coltivata da Pietro Lombardo; e per Venezia pare che il genio del protomaestro di Palazzo Ducale aleggi in ogni luogo. Le sue figure rettangolari, lunghe, fasciate, uguali, compassate, ornarono i mausolei magnifici; poi le sue decorazioni si animarono di esseri reali e fantastici, quando i figli lo assistettero e lo sostituirono, e le sue figure allora si sciolsero, uscirono dal lungo prisma rettangolare per sottoporsi al tornio, vissero nell'orbita delle creazioni di Giovanni Bellini.
Nell'architettura, Pietro s'intonò, al suo inizio, con le forme del gotico fiorito, poi complicò le timide forme del Rinascimento veneziano; l'arricchì prima con parsimonia, poi con profusione crescente di ornati, di marmi policromi, di dischi di porfido e serpentino, ricorrendo al colore per scaldare la nuova architettura di stampo classico, per conformarla alle pittoresche facciate gotico-fiorite.
Tullio, nato circa il 1455, morto il 17 novembre 1532 a Venezia. Lavorò con Pietro suo padre nel monumento Mocenigo, e in altri mausolei a Treviso e a Venezia. Operando da solo, rispecchiò un classicismo freddo, superficiale, senza fibra; raggiunse talvolta una speciale eleganza impersonale, una grande virtuosità tecnica, che dona serica morbidezza alle superficie. Nel comporre uno dei rilievi della cappella dell'Arca del Santo a Padova (1500-1502), il suo schema, retto da verticali, è quello di un Bambaja allargato e appiattito: girano le piegoline calligrafiche intorno ai corpi spianati, si ripetono le teste convenzionali adorne di un casco d'anella, tutto s'assoggetta alla consuetudine dello stiacciato, liscio, pomiciato, lustro. Ridotta a poche aride regole la sua grammatica classica, non sa più trarne un linguaggio vivo; e, pure abilissimo, egli resta di una tipica eleganza glaciale. Si veda oltre il busto suddetto, il Bacco ed Arianna del Museo estense di Vienna. Molto lavorò lo scultore a Belluno, Praglia, Treviso, Feltre, Padova, Ravenna, Mantova, e riempì Venezia delle opere sue, sempre distinguendosi, come nell'Annunciazione della cappella del seminario veneziano.
Antonio, nato circa il 1458, morto forse nel 1816 a Ferrara. Lavorò con Pietro, suo padre, e col fratello Tullio a Santa Maria dei Miracoli (1481-89), nel monumento Zanetti a Treviso (1485), e in quello Vendramin ai Ss. Giovanni e Paolo (1493). Da solo scolpì, nella cappella del Santo a Padova, un Miracolo di Sant'Antonio (1505), composizione di freddezza neoclassica, di studio attento dell'antico, ma senza slanci, diligente, arida nella sua lucente levigatezza. Gli stessi caratteri presenta l'arte di Antonio nel grande camino, già nei camerini d'alabastro d'Alfonso I d'Este, a Ferrara, dove lavorò dal 1506 alla fine della vita. Il camino magnifico è in parte a Leningrado, e vi appare, nell'insistente ricamo dei fregi, l'affinità del maestro con gli scultori-ricamatori lombardi, col Bambaja ad esempio, per il modo d'isolare le figure dai fondi incassati e di legare i corpi mediante le pieghe a gomitolo dei drappi.
Girolamo, detto Solari e anche Girolamo da Ferrara, scultore e fonditore, nato a Ferrara circa il 1504, morto circa il 1590. Figlio di Antonio e nipote di Pietro, L. seguitò gli esempî dei due Sansovino. Non di rado la sua attività s'intreccia e si mescola a quella dei suoi fratelli, Aurelio, nato nel 1501 a Venezia, morto il 9 settembre 1563 a Recanati, e Ludovico (1507 o '8-1575). A Venezia, partecipa alla costruzione della Libreria (1532-1548) e ai lavori per la loggetta del campanile di S. Marco (1537-1540). Nella prima è suo il ricco fregio adorno di festoni e putti, che si svolge fra l'ordine ionico e il cornicione, e nella seconda gli sono attribuiti i quattro rilievi con Elle e Frisso, con Teti e Leandro e con la leggenda di Venere. Trasferitosi nel 1543 a Loreto, G. vi scolpisce per la Santa Casa i profeti Ezechiele, Malachia, Mosè e Zaccaria, e intorno al 1550 passa insieme con i fratelli a Recanati. Nel 1559-60 getta, con l'aiuto di Aurelio, il ciborio a foggia di tempietto rotondo, che Pio IV manda al nipote card. Carlo Borromeo, il quale lo destina all'altare maggiore del duomo di Milano. Nel 1570-71 fonde, insieme con il fratello Giulio, il tabernacolo della cattedrale di Fermo (cappella del Sacramento); nel 1576 termina, con la cooperazione di Antonio Calcagni, di Tiburzio Vergelli e di altri, quattro imposte di bronzi a bassorilievi per la Santa Casa di Loreto. Morto Lodovico nel 1575, G. ne continua la statua di Gregorio XIII per Ascoli Piceno, mentre eseguisce da solo il profeta Amos della Santa Casa di Loreto. Per il duomo di tale città modella il candeliere di bronzo, che fa riscontro a quello in forma di cornucopia ideato nel 1547 da Aurelio, e la Madonna con il figliuolo (1583) del portale maggiore, gruppo di bronzo dove si scorge l'aiuto del figlio Antonio che sopravvisse quasi vent'anni al padre. La porta di mezzo del duomo di Loreto, altro lavoro assunto in comune dai fratelli, fu compiuta da Antonio e da Paolo con l'intervento, non sicuro, di Giacomo. Il Vasari giudica G. "scultore eccellente" e gli ascrive troppe cose, in cui riconosce "diligenza, studio e buona pratica", ma oggi la critica è meritamente più severa, e, pure non negando all'esperto plastico, che si formò nella bottega sansovinesca di Venezia, i pregi d'una certa eleganza e schiettezza, specie nei rilievi della Loggetta e negli ornati della Libreria, gli censura l'irregolarità delle forme. Tra le sue opere più degne sono i due tabernacoli di Milano e di Fermo.
V. tavv. XCIX e C.
Bibl.: L. Planiscig, Venezianische Bildhauer d. Renaissance, Vienna 1921; A. Moschetti, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXIII, Lipsia 1929 (con la bibl. precedente); A. Callegari, Pietro L. e il lombardismo nel basso Padovano, in Dedalo, IX (1928-29), pp. 357-85; L. Planiscig, Deux reliefs en marbre de Pietro L., in Gaz. des beaux-arts, 1930, pp. 1-10; id., Pietro L. e alcuni bassirilievi veneziani del '400, in Dedalo, X (1929-30), pp. 461-87; A. Venturi, P. L. e alcuni bassorilievi del '400, in L'arte, n. s., I (1930), pp. 191-205; L. Planiscig, Per il quarto centenario della morte di Tullio L. e di Andrea Riccio, in Dedalo, XII (1932), pp. 901-924.