Longobardi
Popolazione germanica originaria della Scandinavia, stanziatasi stabilmente nei pressi dell’Elba nel 1° secolo. Giunti nel Rugiland (Austria meridionale) nel 488, i L. passarono il Danubio nel 526-27. Poco più di venti anni dopo si stanziarono in Pannonia e nel Norico (547-48). Nel frattempo erano entrati nell’orbita politica di Bisanzio, di cui furono alleati nel corso della guerra greco-gotica (535-53). L’imperatore bizantino Giustiniano aveva dato in sposa al re dei L., Audoino, una nipote di Teodorico re degli Ostrogoti, Rodelinda, che portava in dote i diritti degli Amali, l’antica stirpe regia dei Goti ormai in declino. Da questa unione nacque Alboino, il sovrano che guidò la discesa longobarda in Italia e pose fine alla breve stagione del-l’Italia bizantina. Il 3 settembre 569 i L. entrarono a Milano e, dopo essere passati anche da Torino e Asti, posero sotto assedio Pavia. La città sarebbe caduta solo nel 572, poco prima che morisse Alboino. Seguì un periodo turbolento della storia dei L.: il nuovo re Clefi venne ucciso nel 574, e l’anarchia durò fino al 584, quando fu eletto re Autari, figlio di Clefi. La disgregazione dello Stato longobardo fu evitata solo sotto la minaccia dei Franchi, grazie ad Agilulfo (590-616). L’apice della potenza fu toccato con il regno di Rotari (636-52): questi, oltre a estendere le conquiste (Liguria), emanò il celebre editto (643) in cui furono fissate per iscritto tutte le leggi che regolavano la vita dei Longobardi. Dopo la morte di Rotari il regno precipitò in una nuova fase di instabilità politica, in cui si assistette all’alternarsi di re ariani e cattolici. La crisi venne arginata grazie alla politica energica di Liutprando (712-44), che riorganizzò e potenziò l’autorità del potere centrale. Quando Astolfo, successore di Liutprando, conquistò Ravenna (750), il papa Stefano II chiese aiuto ai Franchi. Questi ultimi intervennero sconfiggendo i L. nel 756, stesso anno della morte di Astolfo. Il suo successore, Desiderio, fu l’ultimo re dei L., e venne sconfitto a Pavia (774) dopo aver tentato di inserirsi nelle lotte dinastiche dei Franchi.
Nel primo libro delle Istorie fiorentine al cap. iii M. segnala l’ingresso dei L. nel Rugiland, guidati dal loro re Godeco (o Godogo), formulando subito un giudizio negativo: «furono [...] l’ultima peste d’Italia». Nel cap. viii narra di come Narsete «persuase [...] Alboino re de’ Longobardi, che allora regnava in Pannonia di venire a occupare l’Italia». Alboino, un «uomo efferato e audace», passato il Danubio sconfisse i Gepidi, uccise il loro re Cunimondo (Commundo) e, «mosso dalla sua efferata natura, fece del teschio di Commundo una tazza con la quale in memoria di quella vittoria beeva». Giunto in Italia «occupò in un tratto [...] Milano, Verona, Vicenza, tutta la Toscana e la maggior parte di Flamminia chiamata oggi Romagna». Anche il suo successore Clefi è presentato sotto una luce sinistra: «fu in modo crudele, non solo contro agli esterni, ma ancora contro a’ suoi». Alla sua morte, infatti, i L. non elessero un nuovo re, ma si affidarono a un governo di trenta duchi: «il quale consiglio fu cagione che i L. non occupassero mai tutta Italia». Nei capp. x-xi M. ricorda la proditoria conquista di Ravenna da parte di Astolfo (Aistulfo). Tale azione determinò il papa a chiedere l’aiuto dei Franchi, che infine distrussero il regno longobardo. Si darebbe a vedere, qui, un tratto caratteristico e fatale della storia d’Italia, già evidenziato in Discorsi I xii 19 (anche lì menzionando i L.):
tutte le guerre che a questi tempi furono da’ barbari fatte in Italia furono in maggior parte dai pontefici causate, e tutti i barbari che quella [= l’Italia] inondarono, furono il più delle volte da loro chiamati. Il qual modo di procedere dura ancora in questi nostri tempi, il che ha tenuto e tiene l’Italia disunita e inferma (Ist. fior. I ix).
Nel citato luogo dei Discorsi è esplicito che, quando il papa invocò l’intervento di Carlo Magno, i L. erano «già quasi re di tutta Italia», come a dire che al Paese si apriva allora la possibilità di una vicenda storica radicalmente diversa da quella che, invece, seguì. Tanto più che, secondo il M. delle Istorie, i L. allora «non ritenevano di forestieri altro che il nome» (cap. xi): questa tesi, che M. trae da Biondo Flavio (→), sua fonte principale per la storia dei L., suscitò la critica di Alessandro Manzoni (→).