BARTOLINI, Lorenzo
Scultore toscano, nato a Savignano (Prato) il 6 gennaio 1777, morto a Firenze il 20 gennaio 1850. Figlio di un magnano, trasferitosi ben presto a Firenze, a dodici anni poté entrare all'Accademia di belle arti; ma più dovette poi forsello scultore trentino Giovanni Insom. Per procacciarsi i mezzi per studiare, il B. lavorava in botteghe di alabastrai, anche a Volterra, ove lo affascinarono i disegni rigidamente neoclassici del Flaxman; a vent'anni, riuscì a recarsi a Parigi, ove fu accolto nella scuola del David e frequentò poi quella dello scultore F. F. Lemot, facendo subito amicizia con Ingres e con il Fétis. Partecipò al concorso del Prix de Rome del 1802, e ottenne il secondo premio con un bassorilievo raffigurante Cleobi e Bitone. Ricevette allora dal Denon, direttore generale dei musei, la commissione di un busto di Napoleone e del bassorilievo della Battaglia di Austerlitz per la colonna Vendôme; ed eseguì anche altri busti.
Per quanto fosse stato nella scuola del David, sembra che il B. fin d'allora vedesse che l'unica salvezza dell'arte, e della scultura in particolar modo, consisteva nel ritorno allo studio della natura e alla grande tradizione del Rinascimento italiano. E questo suo programma, di decisa reazione al classicismo imperante, egli realizzò specialmente a Carrara, ove Elisa Baciocchi lo chiamò nel 1808 ad insegnare scultura nell'Accademia, e dove seppe suscitare l'entusiasmo dei giovani, e formare numerosi discepoli. Lavoratore infaticabile, a Carrara il B. condusse a termine, tra l'altro, un gruppo di Elisa Baciocchi con la figlia, due loro busti e quello del principe Felice (oggi a Versailles); una statua colossale di Napoleone destinata a Livorno e finita più tardi a Bastia; un monumento ad Elisa adoperato poi per la tomba Angelelli nella Certosa di Bologna; e modellò anche un'Apoteosi di Napoleone, ordinatagli dal Denon, distrutta sullo scorcio del 1813. Nonostante il suo programma anticlassico, il B. raffigurò in peplo e a piedi nudi Elisa e la figlia, e ammantò romanamente il colosso napoleonico.
Passato dall'Elba a visitarvi Napoleone, nel 1814 il B. si stabilì a Firenze e, tranne un viaggio a Roma nel 1847, vi rimase fino alla morte. Ma dapprima le ostilità contro il bonapartista e il novatore furono tali, che il B. fu costretto a dedicarsi di nuovo all'industria dell'alabastro; finché amatori stranieri non gli dettero le prime commissioni: il residente inglese un busto del Byron, ed un Pourtalès l'Ammostatore, che segnò un deciso ritorno al Quattrocento fiorentino. Non tardarono allora rinnovato favore, ordinazioni molteplici, e copiosi aiuti.
Si svolgeva ora il periodo migliore dell'arte bartoliniana: nel 1824 era terminata la Carità educatrice (v. Tav. LII) della Galleria Palatina di Firenze, dove la severità monumentale, ancora classicheggiante, è come umanizzata da un attento studio dal vero e da un libero ricordo degli spiriti e delle forme del Quattrocento, e dove anche è chiaro un intento politico e morale, che non sfuggì al Giordani e che il B. perseguì, pur distaccandosene, in opere posteriori; nel 1836 terminò la Fiducia in Dio (v. Tav. cit.) del Museo Poldi Pezzoli di Milano, celebrata dal Giusti nel famoso sonetto, dalla quale è ormai lontana ogni classica reminiscenza; l'anno dopo era iniziata e presto compiuta la tomba della contessa Sofia Zamojska, in S. Croce di Firenze, e con quest'opera il B. torna decisamente all'architettura tombale del Rinascimento fiorentino. Intanto ideava il grandioso monumento a Niccolò Demidoff; ma che doveva essere terminato, anche nei singoli gruppi, e messo assieme solo dopo la morte dello statuario, sì da apparire oggi disorganico nella totalità e disuguale nelle sue parti, per quanto qualche particolare riveli la miglior maniera del maestro, come la Beneficenza che tiene in braccio e soccorre una bambina estenuata.
L'anno precedente, nel 1839, il B. aveva finalmente ottenuto l'insegnamento della scultura nell'Accademia di belle arti, negatogli quattordici anni prima per preferirgli il canoviano Stefano Ricci. Avuta la cattedra, il B. iniziò spavaldamente la battaglia contro i classicisti, e dando per soggetto agli scolari Esopo che medita le proprie favole, osò porre sul banco del modello un gobbo in carne ed ossa. Seguì uno scandalo e una polemica, la quale diede modo allo statuario di esporre le sue teorie artistiche, che però non sempre, e mai integralmente, applicò nella pratica. Anzi dopo il 1840 - mentre fama ed onori aumentavano, riceveva la Legion d'onore ed era accolto come membro aggregato all'Istituto di Parigi - il B., forse perché, sopraffatto dalle commissioni, doveva servirsi di numerosi aiuti, forse perché una certa stanchezza faceva degenerare lo stile in maniera, si lasciò andare a poco a poco verso quel classicismo che aveva appena finito di combattere. Così, il monumento al conte A.A. di Neipperg, nella Steccata di Parma, eseguito tra il 1840 e il 1841, è tutto concepito classicamente, neoclassiche furono la Ninfa dello Scorpione (1845), e la Ninfa del deserto, terminata poi dal Dupré per il marchese Ala Ponzone di Cremona; classico - quasi a gara con l'Ercole e Lica canoviano - il gruppo di Pirro che scaglia Astianatte, mentre Andromaca - la più bella figura del gruppo - cade tramortita a terra, modellato per il conte Poldi Pezzoli di Milano (modello originale in gesso e tarda fusione in bronzo, nel museo medesimo).
Ma nella Beatrice Donati (1845; gesso originale nella fiorentina Accademia di belle arti e marmo in Russia), pretesto per modellare un piccolo nudo di fanciulla, e nella statua del Machiavelli (1846) per il loggiato degli Uffizî, il B. tornò ad allontanarsi dal classicismo accademico per riattaccarsi piuttosto alla tradizione quattrocentesca.
Nel 1847 si recò a Roma per modellare il busto di Pio IX, e v'ebbe accoglienze trionfali; tornato a Firenze, malgrado la grave età, riprese i lavori iniziati, tra l'altro il monumento a Cristoforo Colombo in Genova, di cui però neppur terminava la statua dell'America; finché una malattia di cinque giorni lo toglieva all'opera assidua, nell'età di settantatré anni.
Il B. sembra reincarnare, al principio dell'Ottocento, una delle più complesse figure del Rinascimento toscano. Come artista almeno nel periodo più felice dell'arte sua, ricercò la bellezza fuor delle formule accademiche, e il vero lungi dalla trivialità; del naturale, scelse quello che più corrispondeva al suo concetto assimilando ogni ispirazione con la potenza dello stile.
Oltre le opere rammentate ricorderemo: Firenze, S. Croce, monumenti a L. E. Alberti, a V. Fossombroni e a Carlotta Bonaparte; e busti varî alla Galleria d'arte moderna e degli Innocenti, al teatro Niccolini, in raccolte private; Lucca, Piazza Grande, monumento a Maria Luisa di Borbone; Pisa, Camposanto, tomba Mastiani; Ferrara, Certosa, tomba Recchi; Parigi, Louvre, Padiglione Sully, busto colossale di Napoleone; Comédie française, busto dell'imperatrice Maria Luisa; Montpellier (Museo), Odalisca; Losanna (Duomo), cenotafio di lady Strafford Canning. Inoltre numerosi busti sparsi dovunque. Oltre trecento gessi originali si conservano nel museo dei gessi di Firenze.
Iconogr.: Ingres, Ritr. di L. B. (1806), coll. Drake del Castillo; id. id. (1820), coll. Lévesque; P. Romanelli, Busto di L. B., Gall. d'arte moderna, Firenze; G. Sabatelli, Ritratto di L. B. (1825) propr. degli Alessandri, Firenze; M. Gordigiani, Ritraito di L. B., R. Gall. degli Uffizî.
Bibl.: G. Scartabelli, Biografia di L. B., Firenze 1852; F. Bonaini, Dell'arte di L. B., Firenze 1852; P. Emiliani Giudici, L. B., in Gaz. des Beaux-Arts, I (1859), pp. 111-116; H. Delaborde, L. B., in Études sur les Beaux-Arts, Parigi 1864, I, pp. 233-486; Ch. Blanc, Ingres, in Gaz. des Beaux-Arts, XII (1867), p. 422 segg.; XIII (1867), pp. 67-68 e 443 segg.; G. Maranghi, Onoranze a L. B., Firenze 1873; P. Marmottan, Les arts en Toscane sous Napoléon, Parigi 1901, pp. 33-43, 254-257 e passim; H. Lapauze, Ingres, Parigi 1911, passim; M. Tinti, L. B. e il classicismo, in Rassegna d'arte, IX (1922), pp. 349-356.