CALEPPI, Lorenzo
Nato a Cervia il 29 apr. 1741 dal conte Nicola e da Luciana Salducci (Arch. Segr. Vat., Proc. Dat.171, f. 385: atto di battesimo), dopo aver compiuto gli studi medi presso il Collegio dei nobili di Ravenna diretto dai gesuiti, si laureò in utroque iure presso il Collegio dei giureconsulti di Cesena il 3 genn. 1767 (ibid., ff.378-381: certificato di laurea). Nel biennio 1766-1767 fu vicario e commissario generale per la provincia ferrarese dell'arcivescovo di Ravenna, card. Niccolò Oddi. Morto questo (25 maggio 1767), si trasferì a Roma, ove il Garampi lo introdusse nella Curia romana, ordinandolo egli stesso sacerdote l'11 maggio 1772 (ibid., f. 384: attestato dell'ordinazione). Quindi il C. seguì in qualità di uditore il Garampi, nominato nunzio dapprima a Varsavia (1772-1775), poi presso la corte asburgica a Vienna (1776-1785). Alla morte dell'imperatrice Maria Teresa (1780), ne recitò l'orazione funebre. Nel 1782, ritornato temporaneamente il Garampi a Roma, per accompagnarvi Pio VI reduce dalla nota visita a Giuseppe II, il C. restò a Vienna quale incaricato d'affari. Nel 1785 venne designato ablegato apostolico, per la presentazione della berretta cardinalizia al Garampi.
Terminata la nunziatura del Garampi, anche il C. tornò a Roma. Pio VI gli conferì il priorato della chiesa collegiata di S. Maria in Via Lata e cominciò a valersi di lui negli affari politico-diplomatici della S. Sede. Nel giugno del 1786 lo inviò a Napoli per intavolare le trattative con il governo napoletano in merito ad un eventuale concordato.
Partito da Roma, quasi in segreto, con l'istruzione di agire con i mezzi più facili e più conducenti all'intento di un equo e decente accomodamento fra la corte e la S. Sede (Arch. Segr. Vat., Segr. di Stato, Napoli, 306, f. 253), il C. giunse a Napoli il 1º luglio 1786. Si rese presto conto che dietro l'atteggiamento apparentemente conciliativo del marchese Caracciolo si nascondeva la ferma volontà di non cedere alle richieste romane. Tentò allora di appoggiarsi sul generale Acton, confidando anche nella protezione della regina, ma si trattò di una speranza di breve durata. Già alla fine del febbraio successivo (ibid., 310, ff. 94-99) faceva con sobria chiarezza il punto della situazione: "… qui non si pensa ormai più che a rompere la negoziazione o a cercar di conchiudere con troppi sagrificii per parte nostra". Eppure le trattative si protrassero ancora a lungo, con proposte e controproposte. I problemi più dibattuti riguardavano la nomina dei vescovi, i rapporti degli Ordini religiosi residenti nel Regno con i loro generali a Roma, la giurisdizione del nunzio, la concessione dei benefici ecclesiastici. Le due parti si irrigidirono sempre di più su posizioni opposte, rifiutando entrambe di cedere alle richieste dell'altra.
Nel giugno del 1787 il C. suggerì a Roma che Pio VI venisse nel Regno personalmente per raggiungere l'accordo o per bollare pubblicamente il comportamento della corte (cfr. "Qualche idea sulla possibilità di una gita di N.S. in Napoli", ibid., 310, ff. 260-261); ma invece del papa vi si recò il segretario di Stato, cardinale Boncompagni Ludovisi (ottobre-novembre 1787). Anche le sue trattative restarono, però, infruttuose e l'impossibilità di raggiungere un accordo divenne ormai palese. Infatti, partito il cardinale, le relazioni tra il C. e il Caracciolo e l'Acton giunsero alla rottura e il C. lasciò definitivamente il Regno per Roma, ove giunse il 18 genn. 1788.
Durante le trattative il C. si rivelò soprattutto un intransigente difensore dei diritti della S. Sede, agendo con la massima coerenza, ma con scarsa abilità diplomatica. La responsabilità del fallimento delle negoziazioni non può essere, comunque, addossatagli, poiché la rottura derivò dalla diversità di prospettive secondo cui la S. Sede e il Regno di Napoli interpretavano i propri diritti e i reciproci rapporti.
Nel 1792 inizia una nuova fase nell'attività del C., che gli procurò particolari meriti e l'appellativo di "protecteur et père de tous les prêtres français" (Arch. Segr. Vat., Emigr.rivoluz. franc., 5, f. 208), rifugiati nello Stato pontificio. Nell'ottobre 1792 Pio VI aprì, infatti, le porte al clero "refrattario" esiliato dalla Francia, provvedendo alle sue necessità economiche. Dell'organizzazione di questa complessa opera di soccorso si occupò, sotto la dipendenza della segreteria di Stato, per circa quattro anni appunto il C., che sin dal dicembre 1791 aveva cercato di aiutare gli ecclesiastici francesi emigrati, sistemandoli nelle case religiose.
Nel 1795 egli fu nominato anche segretario della "Congregazione deputata da N.S. per gli affari ecclesiastici di Polonia" (Arch. Segr. Vat., Segr. di Stato,Polonia, 344, Add. 5), incaricata di affrontare i problemi di quella Chiesa dopo la terza spartizione dei territori polacchi tra Russia, Prussia e Austria.
Nell'agosto del 1796 il C. fu nominato plenipotenziario pontificio, per condurre le trattative di pace tra la Francia e la S. Sede, che si dovevano svolgere a Firenze con i commissari dell'armata francese d'Italia, Garrau e Saliceti, grazie alla mediazione del ministro spagnolo a Roma, J. N. de Azara.
Giunto a Firenze il 6 settembre, il C. confidava di conseguire, nelle negoziazioni previste, delle condizioni che non fossero incompatibili cm le Istruzioni ricevute dal papa (cfr. Filippone, pp. 656-658): in particolare gli si ordinava di non accettare le richieste francesi - già presentate nei mesi precedenti a Parigi - di una totale sconfessione di tutti gli scritti e gli atti della S. Sede nei riguardi della Rivoluzione, e di contrapporre - se fosse stato necessario ed opportuno - una formula escogitata da mons. Di Pietro, con cui il pontefice "per prevenire qualunque abuso, che si potesse fare dei Brevi, Rescritti suddetti ecc. espressamente dichiara, non aver mai inteso prender parte nelle Civili Ordinazioni dei Governi, e che neppure la prenderà in avvenire…" (ibid., p. 663). Ma nell'incontro con i commissari francesi, il 9 sett., il C. fu invitato a firmare, nello spazio tassativo di sei giorni, un testo immodificabile che - tra le altre pesanti condizioni - riproponeva il temuto articolo che menomava il prestigio del pontefice anche come capo della Chiesa (era il famoso art. 4, in cui il papa, riconoscendo che "des ennemis communs ont abusé de sa confiance et surpris sa religion, pour expédier, publier et répandre, en son nom, différents actes dont le principe et l'effet sont également contraires à ses véritables intentions et aux droits respectifs des nations", avrebbe dovuto revocarli ed annullarli tutti: ibid., p. 706).
II C., che non aveva facoltà di accettare una simile proposta ("giacché non può darsi Plenipotenza in materia di Religione", l'avvertivano le Istruzioni), ritornò a Roma per sottoporla ad una congregazione cardinalizia. Questa, radunatasi il 13 settembre, decise a grande maggioranza di respingere lo schema di trattato che il Direttorio voleva imporre; e il C. ritornò a Firenze latore di un energico e sdegnoso messaggio di rifiuto, da lui stesso redatto (era stato scartato, infatti, il testo più moderato proposto dal Consalvi).
Rientrato definitivamente a Roma il 13 ottobre, il C. fu accolto trionfalmente dalla popolazione che, nell'eccitato clima antirivoluzionario, lo considerò, per il suo intransigente atteggiamento, l'artefice della resistenza ai tentativi firancesi di distruggere la religione e di limitare la sovranità dello Stato pontificio. Ma già pochi giorni dopo il Bonaparte fece sapere, tramite il card. Mattei, di voler riprendete le trattative con la S. Sede. Quest'ultima però temporeggiò nella speranza di potersi assicurare un valido aiuto austriaco per fronteggiare un'eventuale aggressione francese. Tardando l'accordo con gli Austriaci (si trattava dell'infruttuosa legazione a Vienna di mons. Giuseppe Albani) e realizzandosi invece l'invasione dello Stato pontificio da parte francese e la caduta di Ancona, Pio VI si convinse della necessità di riprendere le trattative. Si valse ancora una volta dell'opera del C., che venne inviato al seguito del card. Mattei a Tolentino, per trattare con Bonaparte e Cacault. Le negoziazioni - di cui il C. ci lasciò un resoconto prezioso - furono rapide e dopo appena tre giorni terminarono con un trattato (il testo fu preparato in comune tra il C. e il Cacault) che assicurava ai Francesi il possesso delle tre Legazioni, fissava altre pesanti forme di risarcimento a carico dello Stato pontificio, ma non toccava la politica religiosa del Papato.
Dopoché il trattato fu ratificato da Pio VI il 22 febbr. 1797, il C. restò a Roma e nel maggio successivo venne annoverato tra i chierici di Camera.
Durante l'occupazione di Roma, il C. si rifugiò nel Regno di Napoli (in Sicilia, durante il periodo della Repubblica partenopea), donde partì nel giugno del 1799 alla volta di Venezia. Era presente nella città durante il conclave, cui però non partecipò in nessuna funzione. Il neoeletto Pio VII, poco dopo esser tornato in Roma, lo designò - con l'incarico di svolgere trattative la difesa degli interessi dello Stato pontificio - suo inviato straordinario presso i generali Berthier e Murat. Il C. lasciò Roma il 6 febbr. 1801; si fermò prima a Foligno e nel marzo giunse a Firenze. Qui trattò prima con il governo provvisorio toscano, poi fu accreditato presso il re di Etruria, Lodovico I di Borbone. La sua missione terminò con l'arrivo a Firenze del nuovo nunzio, E. De Gregorio, il 20 ott. 1801.
Nel frattempo, e precisamente il 23 febbr. 1801, il C. era stato nominato arcivescovo di Nisibi, in partibus infidelium.Poté ottenere la consacrazione, però, solo dopo il suo ritorno da Firenze, il 15 nov. 1801. Il 19 dello stesso mese diventò assistente al soglio pontificio e il 23 dicembre successivo nunzio in Portogallo.
Egli giunse a Lisbona il 22 maggio 1802, con Vincenzo Macchi, uditore, e il fedele Camillo Luigi de' Rossi, che ne scriverà poi la biografia.
I principali problemi che il C. dovette affrontare nel Portogallo riguardarono la difficile situazione politica generale e l'emanazione dell'Alvará, la legge del 4 sett. 1804, "la più ingiuriosa all'autorità pontificia" (Arch. Segr. Vat., Segr. di Stato,Portogallo, 138, relazione del 9 ott. 1804), che subordinava al permesso dell'autorità civile - una giunta - i contatti tra i Portoghesi (sia ecclesiastici sia laici) e la Curia romana. Il C. si trovò poi nella necessità di giustificare davanti al mondo gli atteggiamenti di Pio VII verso Napoleone, senza compromettere nello stesso tempo la nunzia in un paese che, negli anni precedenti all'invasione francese, aveva cercato con ogni mezzo di conservare la neutralità. In proposito è interessante notare che il C. già nel 1803 previde l'eventualità di doversi trasferire nell'America latina, il che poi avverrà effettivamente nell'anno 1808.
Quando, infatti, in seguito all'invasione del Portogallo e al decreto di Napoleone con cui si dichiarò decaduta dal trono portoghese la casa di Braganza (II nov. 1807), la famiglia reale si trasferì in Brasile. la seguì anche il C. che giunse a Rio de Janeiro l'8 sett. 1808; primo nunzio che svolgesse la sua attività nell'America latina, mantenendo tuttavia il titolo di nunzio del Portogallo. In ogni caso la sua presenza a Rio gli permise di occuparsi anche dei problemi della Chiesa locale, soprattutto dei rapporti tra l'episcopato e il clero regolare. Egli partecipò attivamente anche agli affari politici della corte: gli fu richiesto tra l'altro di trattare con gli Inglesi il problema dell'apertura dei porti del Brasile alle navi britanniche.
Pio VII, per la sua lunga attività prestata al servizio della S. Sede, lo creò cardinale l'8 marzo 1816, ma prima che il C. potesse tornare a Roma, la morte lo colse a Rio de Janeiro il 10 genn. 1817.
Fonti e Bibl.: Arch.Segr. Vaticano, Carte Caleppi;Ibid., Epoca Napoleonica, Italia XI;C.L.de' Rossi, Memorie intorno alla vita del card. L. C. e ad alcuni avvenimenti che lo riguardano, Roma 1843; V. de Richemont, La première rencontre du pape et de la Republique française. Bonaparte et C. à Tolentino, Paris 1897; L. Rinieri, Della rovina di una monarchia. Relazioni storiche tra Pio VI e la corte di Napoli negli anni 1776-1799 secondo documenti inediti dell'Archivio Vaticano, Torino 1901, ad Indicem;J. Du Teil, Rome, Naples et le Directoire. Armistices et traités 1796-1797, Paris 1902, pp. 223-549: passim; Roma Lusitana, Manoscritto inedito dell'abate Francesco Cancellieri, a cura del marchese De Faria, Milano 1926 (Portogallo e Italia, vol. V), pp. 278-282; P. Savio, Clero francese ospite ne conventi de' cappuccini dello Stato pontificio, in L'Italia francescana, VIII(1933), pp. 77-99, 292-304, 370-387, 506-516, 596-622; H.Accioly, Os primeiros Núncios no Brasil, SãoPaulo 1949, pp. 19-126; L.Pásztor, Un capitolo della storia della diplomazia pontificia. La missione di Giuseppe Albani a Vienna prima del trattato di Tolentino, in Archivum historiae pontificiae, I(1963), pp. 295-383 passim;G.Filippone, Le relazioni tra lo Stato pontificio e la Francia rivoluzionaria, Storia diplomatica del trattato di Tolentino, II, Milano 1967, ad Indicem.