CONTI (Conte, Fliscus Contes), Lorenzo
Nacque a Genova nella contrada di S. Donato intorno al 1540 da Giacomo.
Giacomo era figlio di un medico di origine ebrea e apparteneva al ceto mercantile: commerciava in sete ed era patronus di una galera; strettamente legato ai Fieschi (benché non nobile, il C. usa nella sua prima opera e nei documenti di dottorato il cognome gentilizio dell'"albergo" dei Fieschi), Giacomo fu implicato nella congiura di G.L. Fieschi e di conseguenza fu condannato, insieme con i più stretti seguaci del conte, al bando dalla città.
Probabilmente in conseguenza di questo bando il C. studiò legge, oltre che all'università di Padova, anche in quelle di Parigi, Avignone e Tolosa, e con la Francia mantenne sempre uno stretto legame.
Nel settembre del 1560 lo troviamo a Genova per le pratiche del dottorato e dell'ascrizione al Collegio dei giureconsulti della Repubblica, che non riuscì a conseguire immediatamente, poiché dal Collegio fu opposto che il padre, essendo stato "cavaliere" a Chiavari, poteva aver esercitato "arte meccanica". Il Senato della Repubblica stabilì il 3 giugno 1562 che ciò non ostava e il 6 giugno il C. fu cooptato nel Collegio.
Nel 1564 pronunciò a Genova l'orazione per la morte dell'imperatore Ferdinando I e nel 1565 il discorso per l'elezione al Senato di Battista Grimaldi e di Giovanni Cicala, in cui, oltre agli elogi consueti e di prammatica, svolseun'apologia della Repubblica di Genova come Stato perfetto in quanto governo misto (Laurentii Flisci Contes I.U.D. Orationes duae... Altera in creatione prudentissimorum moderatorum Altera in funere Ferdinandi Caesaris, Monteregali 1566).
Ma è con le lotte intestine del 1575 che il C. assunse un ruolo di rilievo nella vita pubblica della città, in stretto collegamento con i gruppi più radicali della nobiltà "nuova": nella primavera era fra gli organizzatori delle "messe dello Spirito Santo", in cui si tentò un coinvolgimento di massa dei ceti popolari nella lotta contro la nobiltà "vecchia". Non a caso alla fine di maggio venne contattato da un inviato francese (che si sospettò venisse a nome di Scipione Fieschi esule) per sentire gli umori della città mentre la Francia stava preparando la missione genovese di Gian Galeazzo Fregoso e di Mario Birago.
Segno dell'avvenuta (se pur temporanea) presa del potere da parte dei "nuovi" fu la partecipazione in giugno del C. all'ambasceria che avrebbe portato, tra mille diffidenze, il saluto della Repubblica a don Giovanni d'Austria.
Ma l'evoluzione della guerra e le successive trattative diplomatiche (che avrebbero condotto la maggioranza della nobiltà "nuova" a un accordo con i "vecchi", accordo sancito dalle nuove leggi promulgate a Casale nel 1576) fecero sì che si venisse a creare una spaccatura tra "nuovi" e gruppi più radicali ostili al compromesso, capeggiati da Bartolomeo Coronata (con cui il C. aveva avuto in passato rapporti di affari, non del tutto chiariti, a proposito dell'isola di Tabarca).
Nel febbraio del 1576 la spaccatura si palesò definitivamente con la scoperta di una congiura al cui capo sembravano essere appunto Bartolomeo Coronata e il C.: l'opposizione riguardava soprattutto i problemi del governo e dell'amministrazione della giustizia criminale, in sintonia su questo tema con altri e ben più ragguardevoli esponenti della nobiltà "nuova". Il timore di costoro era che un'amministrazione della giustizia criminale del tutto autonoma dal Senato e affidata a giuristi forestieri (così come prevedevano le Leges novae istituendo una rota criminale) potesse ledere il potere e l'indipendenzadella Repubblica, nei confronti sia delle famiglie "eminenti" sia delle potenze straniere. Il C. avrebbe a questo proposito affermato: "non è bene che ne venghi qui una giustitia criminale come intende venire mandata dal Re di Spagna... e disse vedrete che a bell'aggio andaremo sotto li Spagnuoli".
Una precipitosa fuga notturna in barca verso la Toscana salvò il C. dall'arresto. Graziato col condono generale stabilito a Casale, poté tornare in Città e il 29 marzo 1576 fu nominato avvocato dei poveri (istituto stabilito dalle nuove leggi); senza successo sarà invece la sua domanda di aggregazione al corpo della nobiltà.
Opposizione politica e questioni personali lo indussero a partecipare forse all'ultimo tentativo di opposizione radicale all'accordo di Casale: il suo nome ricompare infatti nei verbali di interrogatorio del processo per la congiura Satis-Coronata del 1576-77.
Dopo il 1576 deve aver sposato Giulia Partenopeo, figlia di Paolo, annalista della Repubblica, da cui aveva già avuto un figlio. Segno dell'avvenuto reinserimento nella vita cittadina è la traduzione degli Elogia del Foglietta (Gli elogi di M. Oberto Foglietta degli huomini chiari della Liguria, Genova 1579), e il ricordo che di lui ha lasciato Bartolomeo Paschetti nella descrizione degli ambienti intellettuali della città: "ha ottima cognitione delle due lingue, che hoggi dì sono in fiore, si vede alcuna sua compositione per la qual si conosce apieno come egli ne ha buonissima intelligenza".
La conoscenza degli ambienti francesi fece sì che il C. venisse inviato alla fine del 1583 nella Francia meridionale (dove inutilmente rimarrà fino al marzo dell'anno successivo) per trattare il rilascio di alcuni delinquenti che erano fuggiti dal territorio della Repubblica. E sarà Henri d'Angouleme, gran priore di Francia e governatore di Provenza (con cui trattò l'affare), a donargli una copia della Rèpublique di Bodin, di cui nel 1588 pubblicava la traduzione (I sei libri della Repubblica del Sig. Giovanni Bodino tradotti di lingua francese nell'italiana da L. Conti, Genova 1588).
Nella dedica a David Vaccà, uno dei principali giuristi della città, nobile "nuovo", di recente eletto doge, il C. svolge un'apologia della figura di Bodin, di cui sembra conoscere anche aspetti della vita pubblica ("grandissimo uomo nelle lettere e nell'attioni publiche e civili... consumatissimo theologoi sommo filosofo, perfetto mathematico"); sottolinea l'importanza dell'uso del volgare ("fra l'altre opere ... ha dato in luce i sei presenti libri della Repubblica scritti nella sua natural Francese favella; e nel vero giudiciosamente. Percioché contenendo eglino cose di stato, di leggi e di precetti politici, stimò cotali ammaestramenti dover'essere a Popoli di quel Regno tanto più utili, quanto con più facilità potessero esser letti") e individua alcuni tratti dell'originalità dell'impostazione concettuale di Bodin ("dove gli antichi e moderni gravissimi scrittori trattarono quasi tutti della Repubblica e delle leggi ... piuttosto formandole in Idea e quali dovrebbono essere, che quali sono state e sono, poco giovamento perciò recando alla posterità, il Bodino in contrario, riducendo come in atto tutto quello ch'egli ne scrive ... riempie ciascuno di maraviglioso piacere, e porge insieme ampissimo campo di sceglier cose utilissime per lo governo de' popoli, per la salvezza della patria... è stato egli il primo che ... togliendo il velo dell'oscurità a gli infiniti trattati delle spetie di stati e di Republiche, che tanto dierono che fare e che dire a più soblimi intelletti, riduce con chiarezza a tutti i loro inesplicabili dispareri in somma concordia").
L'edizione di questa traduzione ebbe una risonanza non limitata alla Repubblica di Genova (di Bodin e Aristotele si discuterà nella locale Accademia degli Addormentati: Firenze, Bibl. naz., ms. II, III, 475), ma si diffuse rapidamente per l'Italia come testimonia una lettera del novembre del 1588 di Minuccio Minucci ad Antonio Possevino ("io viddi prima i suoi libri di Repubblica in lingua francese ... ai quali ho di nuovo dato un'occhiata, poiché sentivo andar con tanto applauso per le mani degli huomini la conversione italiana"). La traduzione del C. si segnala non solo per l'aderenza testuale, ma anche per i numerosi interventi sia di carattere censorio, sia aggiuntivo (sono opera senza altro del C. le pp. 620 ss. sulla Repubblica di Genova). Intervento censorio però prevalentemente su temi storico-politici piuttosto che religiosi, visto che il Possevino si lamentò poi delle molte haereticorum insidiae lasciate nel testo.
Legata probabilmente al nuovo clima culturale venutosi a creare in città dopo la fondazione dell'Accademia degli Addorment ati (1587) fu la nuova iniziativa letteraria del C., la traduzione dei Mémoires di Comines, dedicata al marchese Ambrogio Spinola (Delle memorie di Filippo di Comines... tradotte dal Mag.co L. Conti, Genova 1594).
Nella dedica il C., dopo un parallelo tra Tacito e Comines, annuncia un suo volume di discorsi che non sono per altro rimasti. Una traduzione questa di Comines che, a differenza della precedente parziale di Nicolas Raince, ebbe un notevole successo editoriale (Milano 1610, Brescia 1611, Venezia 1613, Milano 1623, Venezia 1640).
Il C. morì a Genova il 6 genn. 1606.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Arch. segreto, 1577; 1971; 1972; 2964; 2971, c. 11v; 2972, n. 3; 2976, n. 10, cc. 29-30; Notai ignoti, 220; Biblioteca, ms. 373, Matricula Venerandi Collegii Iuris Consultorum; Senato, Senarega, 382; Genova, Arch. comunale, ms. 273, c. 58r; Arch. Segr. Vaticano, Segreteria di Stato, Genova, 3, c. 268r; 5, cc. 157-158; Arch. gen. de Simancas, Estado, Genova, leg. 1407; B. Paschetti, Le bellezze di Genova, Genova 1583, p. 43; O. Foglietta, Historiae Genuensium libri XII, Genuae 1585 (un sonetto del C.);A. Possevino, Iudiciuni de Nuae militis Galli scriptis... De Ioannis Bodini Methodo historica: libris de Repub. & Daemonomania..., Romae 1592, pp. 105-106, 124; G. Pallavicino, Inventione... di scriver tutte le cose accadute alli tempi suoi (1583-1589), a cura di E. Grendi, Genova 1975, p. 15; R. Soprani, Li scrittori della Liguria, Genova 1667, p. 197; A. Oldoini, Athenaeum Ligusticum, Perusiis 1680, p. 394; A. Neri, Paolo Partenopeo. Notizie biogr. e bibliografiche, in Giorn. stor. e lett. della Liguria, II (1901), pp. 406 s.; M. D'Addio, Les six livres de la République e il pensiero cattol. del Cinquecento in una lettera del mons. Minuccio Minucci al Possevino, in Medioevo e Rinascimento. Studi in on. di B. Nardi, Firenze 1955, p. 545; R. Savelli, Potere e giustizia. Docum. per la storta della Rota criminale a Genova alla fine del 1500, in Materiali per una storia della cultura giuridica, V (1975), pp. 33-74; F. Brandel, Gênes..., in Fatti e idee di storia economica.... Studi ded. a F. Borlandi, Bologna 1977, p. 462; R. Savelli, La repubblica oligarchica. Legislazione, istituzioni e ceti a Genova nel Cinquecento, Milano 1981, pp. 91, 93, 141, 209 ss.