LORENZO d'Antonio
Non si conosce la data di nascita di L., maestro vetraio e cappellano di S. Pier Maggiore a Firenze, probabilmente originario, come attestano alcuni documenti che lo riguardano (Badiani, p. 158), di Pelago, nei pressi di Firenze. L'attività di L. si svolse soprattutto a Firenze, dove, dopo aver partecipato alla realizzazione delle vetrate delle cappelle dei Pazzi in S. Croce e Barbadori in S. Felicita, venne chiamato dall'Opera di S. Maria del Fiore insieme con il collega e capobottega Guido di Niccolò da Pelago e con i compagni Carlo di Francesco Zati e Giovanni d'Andrea (Marchini, 1955; Gianandrea, p. 219). Le vetrate a loro allogate appartenevano alla fase terminale dei lavori di invetriatura del capocroce del duomo, eseguiti in un arco di tempo compreso tra il 1435 e il 1443 da vari maestri e botteghe sotto la supervisione di Lorenzo Ghiberti, autore del progetto decorativo - esaltante la genealogia di Cristo - e di alcuni dei cartoni per le vetrate (Acidini Luchinat). A L. spettò l'esecuzione della monofora della cappella di S. Paolo con la rappresentazione dell'apostolo, commissionata nel settembre del 1441 e consegnata agli inizi dell'anno successivo (Poggi, p. LXXXVI), in cui il vetraio si mostra esecutore fedele del disegno di Ghiberti, assecondando con i piombi il ductus lineare e morbido del maestro - come, per esempio, nelle eleganti ricadute del manto - e componendo attraverso grandi campiture cromatiche, pur senza dimenticare il dettaglio prezioso: lo dimostra il raffinato ma sobrio effetto di ricchezza ottenuto nel manto di s. Paolo grazie a un sapiente uso del vetro placcato e inciso.
Con la bottega di Guido di Niccolò L. realizzò, sempre nella tribuna del duomo, le vetrate per le cappelle di S. Stefano nel 1442, di S. Antonio, di S. Iacopo Maggiore e di S. Tommaso nel 1443, ancora su cartoni forniti da Ghiberti (ibid., p. LXXXIV).
L'impronta dell'équipe di Guido si avverte in maniera sensibile nella scelta dei colori che sono netti, vivi, preziosi nelle tonalità brillanti del blu, verde, rosso e rari con il marrone prugna, avvicinandosi nel complesso a quella trasparenza, tuttavia ineguagliata, che è una delle caratteristiche dell'occhio di facciata di S. Croce (Lorenzo Ghiberti, p. 243). "Sigla" di L. sembra essere la figura allungata ed elegante, ma allo stesso tempo salda nei volumi e nell'impostazione spaziale, che si ritrova sia nell'immagine di s. Paolo sia in quella di s. Iacopo.
Secondo Straelen (pp. 89 s.) a un maestro della cerchia di Guido di Niccolò, e in particolare a L., potrebbe essere assegnata anche l'esecuzione della magnifica vetrata, per gli occhi del tamburo della cupola, con la Deposizione; il disegno, fornito da Andrea del Castagno nel 1444, presenterebbe infatti nella resa in vetro una chiara distribuzione di superfici cromatiche e un contorno deciso, elementi che la rendono vicina ai modi di L. e diversa invece da quanto avviene nelle vetrate di Bernardo di Francesco, cui spesso la vetrata è attribuita, nelle quali si tende alla fusione e alle sovrapposizioni cromatiche.
Opera certa di L. è invece la vetrata con Santi e il Miracolo del sacro cingolo, eseguita per la cappella maggiore della pieve di S. Stefano (oggi duomo) a Prato (Badiani, p. 149) a sostituzione di una finestra più antica - commissionata nel 1413 a Niccolò di Piero Tedesco su cartoni di Lorenzo Monaco e raffigurante una Maiestas Domini (ibid., p. 147) - dimostratasi poco stabile già dal 1417, quando si cominciano a registrare pagamenti (ripetuti nel 1418 e nel 1419) per la sua riparazione. Nel 1452 furono stanziati 1200 fiorini per rifarla ex novo, allogandola appunto a L. che la consegnò nel 1460 (Badiani, p. 148).
In un pagamento datato 16 luglio 1452 si legge che un disegno raffigurante S. Stefano fu portato da Prato a L. che risiedeva a Firenze. Dalle note documentarie risulta ancora che egli fu pagato 1064 lire, al costo di 14 ciascuna, per 76 braccia quadrate, equivalenti all'intera superficie della vetrata (Marchini, 1963). Riguardo al disegno per la finestra, è ormai criticamente assodata la paternità di Filippo Lippi, impegnato in quegli anni proprio nella ridipintura della medesima cappella (Marchini, 1975; Martin, p. 129); evidenti sono infatti le analogie compositive e stilistiche tra la vetrata e i dipinti di Lippi, in particolare con la tavola dell'Assunta, destinata alla chiesa pratese di S. Margherita. Lontani dal linguaggio lippesco sono però le figure esili, avvolte in ondosi mantelli, e i tabernacoli ancora dal sapore tardogotico, ricondotti alla mano di Lorenzo. L'ipotesi avanzata da Badiani (p. 150), per giustificare tali elementi di arcaicità, che L. abbia riutilizzato parti della precedente vetrata del primo Quattrocento, non convince Martin (p. 130) che, giustamente, spiega tali evidenze con il riuso da parte del vetraio di cartoni conservati nella sua bottega. Del Nunzio puntualizza anzi il ruolo svolto da L. nello sviluppo della quadratura a baldacchino nella vetrata iconica: "i baldacchini di Lorenzo [(] già palesano i sintomi di modificazioni strutturali: sebbene ancor memori di quelli del Ghiberti, i tabernacoli mostrano un'enumerazione degli elementi del lessico gotico più ridotta, non esuberante e limitata alle strutture verticali". Quanto alle bordure dei pannelli centrali a fogliette avvitate, estranee al linguaggio di Lippi, illuminanti risultano tanto i raffronti fatti da Burnam tra le bordure pisane e fiorentine quanto la sua conseguente ipotesi critica sulla circolazione tra le varie botteghe toscane di repertori ornamentali e sul complesso rapporto di prestiti e scambi avvenuti fra i maestri vetrai avvicendatisi nei diversi cantieri.
Di L. non sono noti il luogo e la data di morte.
Fonti e Bibl.: G. Poggi, Il duomo di Firenze. Documenti sulla decorazione della chiesa e del campanile tratti dall'archivio dell'Opera (Berlino 1909), a cura di M. Haines, Firenze 1988, pp. LXXXIV, LXXXVI; A. Badiani, Le antiche vetrate del duomo di Prato, in Arch. stor. pratese, XII (1934), pp. 145-158; H. van Straelen, Studien zur florentiner Glasmalerei des Trecento und Quattrocento, Wattenscheid 1938, pp. 89 s.; G. Marchini, Le vetrate italiane, Milano 1955, p. 43, n. 56; Id., Il Tesoro del duomo di Prato, Milano 1963, p. 112, doc. 92; Id., Filippo Lippi, Milano 1975, p. 210; Lorenzo Ghiberti, "Materia e ragionamenti" (catal.), Firenze 1978, p. 243; E. Borsook, The mural painters of Tuscany: from Cimabue to Andrea del Sarto, Oxford 1980, p. 75; M. Del Nunzio, L'evoluzione nell'uso degli elementi architettonici di inquadramento nelle vetrate iconiche a baldacchini dal Medioevo al Cinquecento, dissertazione, Università degli studi di Roma "La Sapienza", a.a. 1990-91, p. 102; C. Acidini Luchinat, Le vetrate, in La cattedrale di S. Maria del Fiore a Firenze, II, Firenze 1995, pp. 273-301; F. Martin, Domenico del Ghirlandaio delineavit? Osservazioni sulle vetrate della cappella Tornabuoni, in Domenico Ghirlandaio 1449-1494. Atti del Convegno internazionale,1994, a cura di W. Prinz - M. Seidel, Firenze 1996, pp. 118-140; R.K. Burnam, Le vetrate del duomo di Pisa, Pisa 2003, p. 62; M. Gianandrea, Le vetrate a Firenze tra Trecento e primo Quattrocento e il caso di S. Maria del Fiore, in Vetrate medievali in Europa, a cura di X. Barral y Altet, Milano 2003, pp. 217-229.