LORENZO da Pisa
Nacque da Giovanni, a Terricciola, tra Pisa e Volterra, intorno al 1390.
Secondo le ricerche di Tempesti, pubblicate da Moreni, L. apparteneva a un ramo decaduto della potente famiglia pisana dei Gambacorta e nacque orfano del padre, Giovanni di Lorenzo. Ambrogio Traversari, in una lettera, ricorda invece la morte del padre del suo studente L. nella peste di Pisa del 1430 (Mercati, 1939). L'appartenenza alla casata dei Gambacorta potrebbe comunque spiegare la protezione di cui L. godette da parte dei Medici, che diedero asilo e aiuto alla famiglia che aveva favorito l'estensione della signoria medicea su Pisa nel 1406. L. ebbe un fratello, Gerardo, e una sorella, Bartolomea, che sposò un esponente della famiglia Palmieri (Casini, p. 69 n. 303).
Le molteplici attività e le opere di L. sono registrate da una breve biografia vergata in due versioni dal nipote Teofilo, figlio di Gerardo (Pisa, Biblioteca universitaria, Mss., 688, cc. 95v, 113-115); alcune apparenti contraddizioni del biografo e una vita tanto eclettica avevano condotto a dubitare che l'umanista e il canonico di S. Lorenzo fossero la stessa persona (Mercati, 1938). La ricostruzione di Teofilo, databile agli anni successivi al 1476 (solo in quell'anno avrebbe potuto definirsi infatti "medicine doctor", c. 95v; cfr. A.F. Verde, Lo Studio fiorentino, III, 2, Pistoia 1977, p. 903 n. 1235), si può invece giudicare in larga parte attendibile sulla base di dati documentari e riferimenti autobiografici estratti dall'opera di L., che fanno cadere, anche secondo Field, molte delle obiezioni mosse da Mercati.
L'oreficeria doveva essere la professione di famiglia, se è lecito identificare il padre di Teofilo con il "Gerardo del fu Giovanni da Terricciola, orafo" che appare in documenti pisani del 1438 e 1457 (M. Fanucci Lovitch, Artisti attivi a Pisa fra XIII e XVIII secolo, I, Pisa 1991, p. 229; II, ibid. 1995, p. 182).
Teofilo afferma che il governo di Firenze, dopo aver commissionato a L. alcuni modelli di triremi in argento come dono per gli ambasciatori di Venezia, rifiutò l'opera inducendo L. ad abbandonare "ob indignationem" il mestiere di orafo (c. 95v); lo sconforto seguito al rifiuto è confermato dallo stesso L. in una dedica a Cosimo de' Medici dei dialoghi De misericordia (Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Clm, 109, c. 1v). L'episodio è forse da collocarsi intorno al 1425, anno in cui il Senato veneto trattò una tregua intercedendo fra Firenze e i Visconti.
Negli anni immediatamente successivi L. dovette entrare nella sfera d'influenza della famiglia de' Medici. Giovanni di Bicci, padre di Cosimo il Vecchio, nel 1428 lo fece primo rettore della seconda prebenda canonicale della basilica di S. Lorenzo, sotto il titolo di S. Giovanni Battista. I Medici si riservavano direttamente l'elezione dei canonici di S. Lorenzo, che il papa equiparò, nel 1432, alla Chiesa metropolitana.
Dopo gli studi presso la scuola degli agostiniani di S. Spirito, dove poteva seguire le lezioni di Evangelista da Pisa, L. dovette apprendere il greco da Ambrogio Traversari che di lui scrive in una lettera del 1430 come di un fervido studioso, sebbene appena iniziato alle lettere (Mercati, 1939). Teofilo aggiunge che L. avrebbe intrapreso gli studi di arti liberali e teologia a Bologna e Ferrara, ma non si hanno testimonianze della presenza di L. in quegli Studia.
Nel 1431 fu chiamato "ad legendum librum Dantis" presso la facoltà delle arti dello Studio fiorentino, incarico che tornò a ricoprire (con stipendio maggiorato) nel 1435 (Statuti della Università di Firenze). La rielezione ha particolare interesse se si pensa che, negli anni precedenti, lo Studio aveva sospeso ogni chiamata per incerti economici, eccetto quella di Francesco Filelfo che espose proprio Dante dal 1431-32 al 1434. Non è rimasta alcuna testimonianza di L. come dantista, interesse in cui non sembra essersi applicato altrimenti che nell'attività di lettore. Secondo Teofilo egli avrebbe tenuto pubbliche lezioni anche sul Salterio, cosa che però non risulta da altre fonti.
Prima del 1438 L. dedicò al cardinale Giordano Orsini i tre libri del De natura daemonum et tentatione, nei quali si legge una vena di quel gusto per il magico che sposa la tradizione ermetica tanto presente nell'ambiente culturale fiorentino frequentato da Lorenzo.
La biografia si chiude indicando L. come "canonicus venerabilis in Sancto Laurentio [(] nec non et in ecclesia maiori civitatis Pisarum" (c. 114v); una notizia su cui gli archivi arcivescovili sembrano tacere, ignota agli studiosi di storia locale e che aveva pregiudicato l'attendibilità della fonte.
Quest'indicazione porta inoltre a interrogarsi sul significato da assegnare all'appellativo di "pisanus" con cui si accompagna il nome di L. ("Laurentius canonicus pisanus" o "Laurentius praesbyter pisanus" sono le forme che si leggono più frequentemente nei documenti come nei titoli delle sue opere). Più stringente ancora la firma "Laurentius pisanus canonic[us] ecclesiae maiori[s]" in calce a una lettera a papa Paolo II, trascritta nel citato ms. 688 (c. 28v; l'errore di datare quest'epistola al 1468 si deve a semplice svista del trascrittore). Nella Cronotassi di Zucchelli si nomina però, sotto l'anno 1441, "Lorenzo di Giovanni da Terriciola" come procuratore dell'arcivescovo Giuliano Ricci. Dunque, se non si ha la certezza che fosse canonico, si sa che L. fu familiare dell'arcivescovo e che fu interno alle vicende del duomo pisano.
Scrive ancora Teofilo che L. sarebbe stato a Roma in qualità di cubicularius del papa Niccolò V, notizia senza fondamento documentario. Secondo le regole di S. Lorenzo il canonico non poteva allontanarsi dal suo ufficio per due mesi consecutivi, se non previa autorizzazione del priore o dei patroni (Moreni, I; Mercati, 1938), ma grazie alla protezione dei Medici a L. potevano sicuramente essere accordate la missione a Roma come la richiesta del viaggio di studi a Bologna e Ferrara.
A Niccolò V, L. dedicò il suo Dialogus humilitatis, il cui esemplare di dedica fu miniato da Benozzo di Lese (Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat., 961). L'opera, composta sul finire degli anni Cinquanta, ha per argomento la liberazione dell'uomo dal desiderio e dal peccato attraverso l'umiltà che conduce alla penitenza. Alla fine di quel decennio, o nei primi anni di quello successivo, si colloca la stesura dei quattro dialoghi De amore, in cui maggiormente si riversa la cultura umanistica di Lorenzo. Una nuova cosmologia, in cui la dottrina platonica dell'amore come vincolo dell'universo si innesta sulla filosofia della natura tradizionale (la teoria degli elementi e quella delle impressioni degli astri sui corpi inferiori), è l'argomento del fittizio dibattito che si svolge sullo sfondo di S. Spirito, culla di quella ispirazione agostiniana platonizzante che domina negli scritti di L. (Zambelli).
Dietro alcuni dei personaggi dei dialoghi di L. (che compose pure i Dialogi quinque, sulla natura del peccato, nei primi anni Sessanta e quelli del De pace) si possono individuare le figure del nipote Matteo Palmieri (figlio della sorella Bartolomea), di Antonio Agli (anch'egli canonico in S. Lorenzo), Niccolò Tignosi, Evangelista da Pisa, Leonardo Dati e forse di Marsilio Ficino. Di costui L. dovette essere "familiaris intimus", secondo quanto era scritto sotto il suo ritratto nel capitolo della collegiata di S. Lorenzo (Moreni, II, p. 197) e per quanto risulta dalla lettera che Ficino scrisse a Cosimo de' Medici promuovendo presso il signore l'immane commento, oggi perduto, al Cantico dei cantici che L. aveva scritto in diciotto libri.
L'opera di L. che dovette avere la maggiore diffusione fu l'Enchiridion, una raccolta di massime, organizzata per argomenti (per vizi e virtù, ma anche sul sacerdozio, sulle qualità di una moglie, ecc.); si conservano inoltre i testimoni manoscritti del De vita monastica, del Sermo de temptatione Iesu, del De gradibus virginitatis, del De Pascha et Resurrectione, dei Commentaria in Psalmos come di numerose altre opere minori, orazioni ed epistole (Mercati, 1938; Kristeller) di L.; molti dei titoli citati da Teofilo sono però perduti, come non è rimasta traccia dell'attività di predicatore di L., che tenne un celebrato quadragesimale nel 1451.
Ignoriamo, se non le date approssimative delle sue opere, ogni altra attività di L. dalla fine degli anni Quaranta alla morte. I ricordi della basilica S. Lorenzo ne segnano la data al 4 sett. 1465; il nipote concorda sull'anno (compatibilmente con l'uso della datazione in stile pisano), ma la posticipa di due giorni, aggiungendo che L. morì all'età di settantacinque anni.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Mediceo avanti il principato, CLV, cc. 10-11; Pisa, Biblioteca universitaria, Mss., 688, cc. 28v, 95, 113r-115r; M. Ficino, Opera, Basileae 1576, p. 615; D. Moreni, Continuazione delle Memorie istoriche dell'ambrosiana imperial basilica di S. Lorenzo, Firenze 1816, I, p. 24; II, pp. 192-195, 197, 368, 371, 380; Statuti della Università di Firenze e Studio fiorentino, a cura di A. Gherardi, Firenze 1881, pp. 415, 441; S. Salvini, Fasti consolari dell'Accademia fiorentina, Firenze 1717, pp. XV s.; G. Prezziner, Storia del pubblico Studio e delle società scientifiche e letterarie di Firenze, Firenze 1810, I, pp. 98, 103; N. Zucchelli, Cronotassi dei vescovi e arcivescovi di Pisa, Pisa 1907, p. 165; A. Mancini, Laurentius canonicus Pisanus, in Boll. stor. pisano, I (1932), pp. 33-47; P.O. Kristeller, Supplementum Ficinianum, Firenze 1937, II, pp. 276, 349; G. Mercati, I codici latini Pico Grimani Pio, Città del Vaticano 1938, pp. 84 s., 104-115, 279-283; Id., Ultimi contributi alla storia degli umanisti, I, Città del Vaticano 1939, p. 69; Il Catasto a Pisa del 1428-29, a cura di B. Casini, Pisa 1964, pp. 69 n. 303, 82 n. 355; P. Zambelli, Platone, Ficino e la magia, in Studia Humanitatis. Ernesto Grassi zum 70. Geburtstag, a cura di E. Hora, München 1973, pp. 127 s.; A. Field, The origins of the Platonic Academy of Florence, Princeton 1988, pp. 12, 136 s., 158-174, 275-281; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Gambacorta di Pisa; Enc. dantesca, III, pp. 692 s.