DE FERRARI, Lorenzo
Figlio del pittore Gregorio e di Margherita di Domenico Piola, fu battezzato a Genova il 14 nov. 1680 (De Masi, 1945, p. 7).
La vita dedicata al pittore dal biografo degli artisti genovesi C. G. Ratti (1769), unitamente alle precisazioni della De Masi, costituisce la fonte prima delle notizie riguardanti il De Ferrari. Il profilo critico, dopo le "voci" di Orlando Grosso, in Thieme-Becker (1915) e nell'Encicl. Ital. (1934), basate essenzialmente sulle fonti storiche, è stato tracciato da E. Gavazza (1963, 1965). In seguito, una serie di saggi, anche di altri studiosi, ha ulteriormente contribuito alla sua conoscenza con la pubblicazione di opere inedite, con aggiornamenti e revisioni critiche.
Si è così venuta delineando sempre più nitidamente la figura di un artista di discreta levatura, la cui importanza, più che nella qualità non elevatissima delle sue opere, è stata individuata nel ruolo di comprimario che egli rivestì nell'ambito della produzione artistica genovese fra la fine del sec. XVII e i primi decenni del successivo. Ripercorrendo l'iter artistico del D., si assiste a una continua oscillazione fra vecchio e nuovo, fra soluzioni già sperimentate e nuove invenzioni, adottate sia per volontà di adeguamento al modificato clima culturale sia per una naturale disposizione ad un fare corretto e disciplinato che ben si accordava alle nuove istanze del gusto orientato sempre più decisamente in senso classicistico.
Manifestò molto precocemente una notevole predisposizione alla pittura; dopo lo studio delle "umane lettere", divenne allievo del padre che, dapprima lo fece esercitare sulle proprie opere ed in seguito, viste le capacità dimostrate dal figlio sia come disegnatore sia come pittore, lo condusse nei palazzi genovesi dei Balbi e dei Durazzo, affinché Potesse copiare i dipinti dei grandi maestri - A. Van Dyck e Guido Reni in particolare - che in queste dimore erano conservati (Soprani-Ratti, 1769, p. 264).
Riconducibili a tale attività di apprendistato sono due disegni, entrambi desunti da ritratti di Vari Dyck e conservati a Darmstadt (Hessisches Landesmuseum): un Ritratto di uomo in armi, AE 2056, da un dipinto dell'artista fiammingo ora nel Cincinnati Art Museum (riprodotto in G. Glück, Van Dyck, Stuttgart-Berlin 1931, tav. 179), e un Ritratto di ufficiale genovese, AE 2057, il cui modello è in G. Glück, cit., tav. 209. Sebbene i due disegni risultino fedelmente esemplati sulle opere del Van Dyck, in essi si possono già cogliere alcuni elementi, quali l'arrotondamento dei volti o la netta definizione delle figure, che diverranno sigle del più maturo stile dell'artista (Newcome, 1978, pp. 62 s.).
Alla prima attività del D. sono state ricondotte dalla M. Newcome (1972, cat. 141; 1978, p. 63) due composizioni ad acquarello e penna, relative con ogni probabilità al concorso bandito nel 1700 per la decorazione ad affresco della sala del Maggior Consiglio del palazzo reale (ducale) di Genova, affidata poi a Marcantonio Franceschini, che la realizzò fra il 1702 e il 1704, ed andata distrutta da un incendio nel 1777.
Si tratta di due disegni conservati all'Accademia Ligustica di Genova (inv. 97, 98), raffiguranti L'Embriaco davanti a Gerusalemme prepara la macchina ossidionale con i legni delle navi genovesi e La divisione delle spoglie di Gerusalemme, già dubitativamente riferiti a D. Piola (P. Torriti, La Quadreria dell'Accad. Ligustica di belle arti, Genova 1963, tav. LXXIII).
La successiva attribuzione al D. proposta da Newcome (ibid.), che associa alle composizioni dell'Accademia una serie di disegni della collezione genovese di Palazzo Rosso (nn. 2189, 2658, 2188, 2661), è stata recentemente rimessa in discussione in favore di un più generico riferimento, tanto delle composizioni della Ligustica che dei disegni del museo genovese, all'atelier di D. Piola (Biavati, 1980).
Da ritenersi relativi alla produzione dell'artista agli inizi del Settecento sono due dipinti fortemente improntati dallo stile del padre: Tobia e l'angelo (Genova, Palazzo Bianco, proveniente da casa Piola: Griseri, 1955, p. 45) e Zaccaria scrive il nome di suo figlio Giovanni Battista, apparso alcuni anni fa a Londra sul mercato antiquario (Sothebys, Londra, 6 apr. 1977, come Gregorio De Ferrari; Newcome, 1978, p. 64).
Lo stile di Gregorio continuò a lungo a costituire un essenziale punto di riferimento per il D., allievo e collaboratore del padre fino alla morte di questo, nel 1726. Ciò ha dato origine a tangenze stilistiche che hanno talvolta reso problematica la distinzione fra le opere dovute alla collaborazione fra i due artisti e quelle riconducibili alla mano del solo Lorenzo.
È il caso di una tela con Eco e Narciso (Genova, Cassa di risparmio di Genova e Imperia), già ritenuta frutto del lavoro comune di padre e figlio (Torriti, 1976), ma di recente attribuita al solo D., che tuttavia nel realizzarla si sarebbe ispirato a un disegno di Gregorio (Newcome, 1978, p. 64). Analoghi problemi attributivi si sono in parte riscontrati a proposito delle sette tele con Le storie di Ercole, già a Genova, palazzo Cattaneo Adorno, datate agli anni 1715-26 (Torriti, 1970; Newcome, 1978, p. 64). I rapporti di collaborazione che il giovane D. stabilì con il padre con l'atelier di casa Piola emergono anche da due disegni, ascritti attualmente al D. e conservati nella raccolta di Palazzo Rosso (cfr. Griseri, 1955, p. 46; Bean, 1958; Newcome, 1978, pp. 64 s.).
Durante questi anni il D. eseguì anche un disegno per la stampa, come si rileva dall'iscrizione "Laurentius de Ferrariis inven. et delin.", che appare su un'Allegoria in onore del doge Lorenzo Centurione incisa dallo stampatore praghese M. J. Limpach, datata a 1717 (Roma, Gabinetto nazionale delle stampe, n. 5823; cfr. Newcome, 1978, pp. 72 s.).
Così come nei disegni e nei dipinti, l'influsso dello stile di Gregorio si rileva determinante anche nelle prime realizzazioni ad affresco. del De Ferrari. A detta delle fonti infatti, i modi paterni, che l'artista "poi rifiutò per uno stile più largo, più ragionato, più confacente al suo genio" (Alizeri, I, 1846, p. 213), caratterizzarono il primo lavoro che il giovane D. "di suo ritrovato" esegui "in pubblico", ovvero la decorazione oggi perduta di una cappella nella chiesa genovese di S. Stefano, dove affrescò nella volta S. Ampelio tra una gloria di angeli e alcuni Monocromi nelle pareti (Soprani-Ratti, 1769, p. 264).
Nell'arco di anni fra il 1715 e il 1726 il D. collaborò, in qualità eli aiuto del padre, alla decorazione della chiesa genovese di S. Croce, per la quale, forse in un tempo precedente (Gavazza, 1965, p. 10), aveva già dipinto una pala con i SS. Niccolò, Matteo e Lucia.
L'intervento riguardò in particolare gli affreschi della cupola, del tamburo, della volta presso la porta e di una lunetta dell'abside. Se le fonti (Ratti, 1766, pp. 267 s.; Id., 1780, pp. 300 s,; Alizeri, II, 1847, pp. 745 s.; Id., 1875, p. 267), concordi a proposito della collaborazione fra i due artisti, confermano le indicazioni del Ratti che ascrive al D. "gli angeli che sono nella volta presso alla porta e il grande fresco che resta sopra l'altar maggiore con l'invenzione del Santo Segno della Croce" (Soprani-Ratti, 1769, p. 264), non altrettanto si può dire per la critica più recente, parzialmente discorde nel distinguere gli interventi dei due artisti. Se infatti si ascrive concordemente al D. la lunetta dell'abside (il cui soggetto è in realtà Costantino regge la Croce davanti al pontefice), più difficile sembra il giudizio per l'affresco nella volta presso la porta, dove un medaglione a monocrorno con La visione di Costantino fa da sfondo a un Gruppo di angeli in volo. Questo è infatti ritenuto dalla Newcome (1978, p. 66) opera del solo D., mentre per la Gavazza (1977, p. 9) è da ascriversi all'artista solo il monocromo di fondo, poiché il Volo degli angeli sarebbe invece di Gregorio.
Sempre in relazione ai lavori di S. Croce, analoghe disparità di opinione emergono riguardo a un disegno della raccolta di Palazzo Rosso, n. 2156, che è forse un primo pensiero, solo parzialmente realizzato, per la lunetta dell'abside (Gavazza, 1965, p. 87; Newcome, 1978, pp. 66 s.). Recentemente si sono inoltre ascritti al D. tre disegni con Il trionfo della Croce della raccolta di Palazzo Rosso: il n. 2101 e il n. 2107, già attribuiti a Gregorio e messi in relazione con l'affresco della cupola di S. Croce (Disegni..., 1963, cat. 24, 25), e il n. 4343, sul cui verso appare una scritta che ne fissa il termine ante quem al 1724 (Newcome, 1978, pp. 66, 76).
Durante gli anni in cui attese ai lavori di S. Croce, le fonti affermano concordemente che il D. prestò la sua collaborazione anche a Paolo Gerolamo Piola, impegnato in quel periodo nella decorazione della chiesa genovese di S. Marta. Dapprima la partecipazione del D. si limitò al ruolo di aiuto, ma quando nel 1724 morì il Piola, il D. ne continuò l'opera secondo i suo disegni (Soprani-Ratti, 1769, p. 192).
La critica, dopo le non sempre coerenti notizie fornite dalle fonti in proposito (Ratti, 1766, pp. 265; Id., 1780, p. 289; Alizeri, II, 1847, p. 757; Id., 1875, p. 271), ha individuato la mano del D. nelle quattro Allegorie di Virtù dipinte nelle arcate prossime al presbiterio (per La Purezza, un disegno di P. G. Piola [Genova, Palazzo Rosso, n. 2745] rivela strette analogie e limitate varianti rispetto alla realizzazione: Gavazza, 1965, pp. 18 s., 88 s.; Id., 1975, p. 12).
Stilisticamente prossima agli affreschi del D. in S. Croce è la decorazione di una piccola galleria in palazzo Pallavicini Podestà (Genova, via Garibaldi), dove dipinse nel soffitto alcune Figure mitologiche e monocromi decorativi nelle pareti. Il linguaggio ancora fortemente legato allo stile paterno e la molto probabile desunzione degli stucchi che corredano l'affresco da un disegno di P. G. Piola (Genova, Palazzo Rosso, n. 4434) hanno suggerito per quest'opera una datazione di poco successiva al lavori di S. Croce (Gavazza, 1965, pp. 89 s.).
Databili entro la fine del terzo decennio del secolo sono anche alcune pale dipinte dal D. per chiese genovesi o del Ponente ligure, nelle quali, come negli affreschi realizzati in quello stesso periodo, lo stile dell'artista non si rivela ancora pienamente autonomo e la composizione, nel ricordo di Gregorio, tende ad essere ancora piuttosto libera e slegata. Caratteristica che, più evidente forse in altri dipinti, affiora comunque anche nella "molto controllata" pala con La Vergine con il Bambino tra i santi, della parrocchiale di Tosse, opera per la quale sono state confermate, dal ritrovamento di testimonianze documentarie (Mattiauda, 1980-81), l'attribuzione e la datazione proposte dalla Gavazza (1965, pp. 107 s.) che rese noto anche il disegno preparatorio per la pala (Genova, Palazzo Rosso, n. 2139).
Una stretta aderenza ai modi di Gregorio ed una composizione non ancora del tutto "riordinata" avvicinano agli affreschi di S. Croce la pala della chiesa di S. Michele a Celle (Savona) con La Vergine e i ss. Biagio e Francesco di Sales. Verso la fine del terzo decennio del secolo sono state invece datate La Madonna del Rosario (Genova, già Nostra Signora del Rifugio, attualmente nel convento delle brignoline; Magaglio, 1981, p. 58), e la Vergine in gloria (Genova, depositi di Palazzo Bianco), quest'ultima identificata con la tela ad olio raffigurante l'"Assunzione della gloriosissima Vergine al Cielo", eseguita dal D., a detta del Ratti (1769, p. 266), per la facciata della sala dei Sindacatori straordinari del palazzo reale (ducale) di Genova (Gavazza, 1965, pp. 108-110).
Allo stesso periodo si colloca inoltre l'esecuzione di una piccola cappella interamente decorata nella chiesa della Concezione di Sassello, ascritta al D. in base a considerazioni stilistiche, non essendo stato trovato finora riscontro dell'attribuzione né nelle fonti né nei documenti (Gavazza, 1965, p. 109). La decorazione della cappella, costituita da monocromi ad affresco e da un ovale ad olio con La Vergine che porge il Bambino a s. Antonio entro una cornice in legno e stucco dorato, rivela comunque numerosi punti di contatto con le contemporanee realizzazioni dell'artista, in particolare con la pala di Nostra Signora del Rifugio e con quella della parrocchiale di Tosse.
Nel terzo decennio del secolo il D. realizzò anche gli apparati per le celebrazioni che si tennero nella chiesa del Gesù di Genova in occasione della canonizzazione di Luigi Gonzaga e di Stanislao Kostka, che ebbe luogo il 13 nov. 1726 (Soprani-Ratti, 1769, p. 270).
Un interessante disegno con Studio per la decorazione di una porta (Washington, D. C., David Rust Collection) è stato messo in relazione con tali apparati ed è stato attribuito al De Ferrari (Newcome, 1978, pp. 67 s., tav. 76). Stilisticamente e iconograficamente molto vicino al disegno della collezione Rust è un piccolo studio della raccolta di Palazzo Rosso, n. 3655.
Per la chiesa del Gesù di Genova il D. affrescò anche quattro cupole che si aprono nelle navate laterali e, in particolare, all'altezza della seconda e della terza cappella della navata di destra e della prima e della seconda di quella di sinistra, realizzando queste decorazioni con intenti decisamente scenografici accentuati dall'uso del cartone stuccato e dipinto (cfr. Gavazza, 1965, pp. 100-102; Newcome, 1978, p. 69; Mostra..., 1980, cat. 22, anche per i numerosi disegni preparatori e per la questione della datazione).
Negli anni successivi il D. fu comunque impegnato nella decorazione di numerosissimi ambienti in palazzi privati genovesi.
Intorno al 1730 è databile l'esecuzione di un medaglione ad affresco con Prometeo che dà vita alla statua, dipinto entro monocromi che coprono il soffitto e le pareti dì un salotto del palazzo BrignoleDurazzo (Genova, piazza della Meridiana), dove l'artista affrescò probabilmente anche un altro ambiente con Una dea che sparge fiori, tanto pesantemente ridipinto da non consentire giudizi precisi. Il Ratti (1769, p. 264), a proposito di tali affreschi, osserva che il D. lì avrebbe eseguiti secondo una nuova maniera ormai lontana dallo stile paterno, giudizio che si adatta particolarmente ai monocromi dei tondi, alle figure delle lunette e ai putti.
Successivamente la "trasformazione" stilistica già osservata nel palazzo BrignoleDurazzo si viene accentuando nell'affresco di un soffitto di casa Sauli (oggi inglobato in palazzo Gardella, Genova, via S. Lorenzo) con Venere che consegna le armi ad Enea. La datazione di questa opera al 1730-34 trova conferma anche nell'analisi di due disegni preparatori, uno per il centro del soffitto con Venere tra le Grazie (Genova, Palazzo Rosso, n. 2164) e l'altro (Firenze, Uffizi, Gabinetto disegni e stampe, n. 7170 s.), che sembra essere un primo pensiero per l'intero affresco (Gavazza, 1965, pp. 91 s.).
Nel 1734 il D., "mai uscito dalla patria", intraprese un viaggio alla volta di Roma (Soprani-Ratti, 1769, p. 268), dove si trattenne per circa due mesi. Durante questo breve soggiorno, oltre "ad osservare le stupende Opere di eccellenti Pittori, e Scultori", fece incetta di tutte le stampe che gli riuscì di trovare. Visitò, ottenendone cortesi accoglienze e dimostrazioni di stima, il Conca, il Benefial e il Masucci. i quali, a detta del Ratti, già lo conoscevano per fama. Al ritorno, attraversando la Toscana, si trattenne alcuni giorni a Firenze, dove conobbe il Gabburri: questi volle che il D. venisse iscritto all'Accademia del disegno, della quale egli era luogotenente.
Ritornato a Genova, l'artista riprese la propria intensa attività di affrescatore. Secondo le fonti fu eseguita in questo momento la perduta decorazione della chiesa di S. Sebastiano (demolita nel 1872), dove dipinse nella volta della navata centrale L'Assunta in mezzo agli angeli, tra "capricciosi ornamenti", lodatissima sia dal Ratti (1769, p. 269) sia dall'Alizeri (II, 1847, p. 668).
Intorno al 1734, probabilmente dopo l'esperienza romana, si colloca anche l'esecuzione degli affreschi della galleria della cappella di palazzo Durazzo (Genova, via Balbi 10), dove la decorazione del D. con quadrature e monocromi di soggetto mitologico si inserisce su quella eseguita alla fine del secolo precedente da G. A. De Ferrari.
A suggerire una datazione a questo momento hanno contribuito sia le quadrature, molto vicine a quelle di casa Sauli, sia la trascrizione di un monocromo raffigurante La fuga di Enea da Troia, derivata dall'incisione di Agostino Carracci dall'analogo soggetto dipinto da F. Barocci alla Galleria Borghese (Gavazza, 1965, p. 92). Un disegno preparatorio per uno dei monocromi di palazzo Durazzo, parzialmente realizzato, si conserva al Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi, n. 7167 s.
La lezione romana del circolo arcadico si fonde con quanto rimaneva al D. dell'insegnamento paterno negli affreschi di palazzo Grimaldi (Genova, piazza S. Luca), databili dopo il 1734: in un salotto al piano terreno dipinse La Giustizia che premia le Arti, incorniciata da monocromi che rivestono soffitto e pareti, e in un altro salotto al piano sovrastante La caccia di Diana (per i numerosi disegni praparatori delle due decorazioni, cfr. Gavazza, 1965, pp. 93 ss.).
L'incarico di ornare la cattedrale genovese di S. Lorenzo in occasione della canonizzazione di Caterina Fieschi Adorno celebrata da Clemente XII nel 1736, testimonia della grande considerazione di cui dovette godere il D. presso i suoi concittadini. Ai ricchi apparati creati dall'artista con "nastriere, cartelle, simboli, e quadri" (Soprani-Ratti, 1769, p. 170), descritti piuttosto dettagliatamente in una lettera del 1737 (Cervetto, 1910), è forse relativo un disegno con Gesù portacroce appare a s. Caterina Fieschi inginocchiata, n. 2154 nella raccolta di Palazzo Rosso (Newcome, 1978, p. 69).
Databili agli anni 1735-36 e concordemente attribuite dalle fonti al D. (Ratti, 1766, p. 96; Soprani-Ratti, 1769, p. 265; Ratti, 1780, p. 108; Alizeri, 1875, p. 44) sono anche tre tempere con Plutone e Proserpina, Enea sbarca sulle sponde del Lazio e Vulcano consegna le armi ad Enea che disperse dopo l'ultimo conflitto mondiale, facevano parte della raffinata decorazione a stucchi dorati di un salotto di palazzo Saluzzo-Granello (Genova, piazza Giustiniani; cfr. Gavazza, 1965, pp. 42 s., 95 s., figg. 48-50). Stilisticamente prossima alle tempere di questo salotto è la tela con Giacobbe che leva la pietra dal pozzo, Genova, collezione privata, della quale esiste un pendant di ubicazione ignota raffigurante Abramo e gli angeli (Bonzi, 1963, p. 43; Gavazza, 1965, p. 43; Bonzi, 1965).
Eseguiti probabilmente dopo il soggiorno a Roma dell'artista sono anche alcuni dipinti per chiese genovesi, dove "tutto si fa più macchinoso e monotono, certo anche per l'influenza di esempi romani capiti più nella loro macchinosità che nella più vera semplificazione" (Gavazza, 1965, pp. 50 s.).
È questo il caso della pala con la Vergine fra angeli e santi (oggi nei depositi di Palazzo Bianco, dipinta dal D. per la chiesa di S. Maria della Visitazione), che il Ratti (1769, p. 266) giudicò un "capodopera" dell'artista. Analoghe caratteristiche si colgono nella tela con S. Anna, la Vergine e altri santi della chiesa di S. Carlo e soprattutto nell'elaborata pala con La Vergine tra i ss. Stanislao Kostka e Francesco Borgia. Quest'ultimo dipinto, che si trova attualmente nella cattedrale di S. Lorenzo, vi fu trasferito dopo la soppressione della Compagnia di Gesù (per la chiesa del noviziato il D. realizzò anche un'altra tela con La morte di s. Francesco Regis, della quale oggi non si conosce la sorte; cfr. Soprani-Ratti, 1769, pp. 266 s.).
Stilisticamepte prossima agli affreschi Grimaldi e forse realizzata in un tempo di poco posteriore è l'ornamentazione di una galleria e di. un salotto in palazzo Spinola di Pellicceria, probabilmente commessa al D. nell'ambito dei lavori di ristrutturazione che il palazzo genovese subì intorno al 1730 c. Nella piccola "galleria dorata" la decorazione consiste di ornamenti a stucco e medaglioni ad affresco che sviluppano il tema del Trionfo d'Amore mentre, nel soffitto del cosiddetto salotto d'Imene, il D. affrescò al centro il Valore vincitore e quattro monocromi con episodi della Vita di Achille entro quadrature architettoniche; per due disegni relativi (Genova, Accademia Ligustica, n. 752,e New York, collezione SuidaManning), cfr. Mostra..., 1980, cat. 21 e Newcome, 1972, cat. 144.
I lavori che il D. realizzò successivamente nel palazzo Doria (Genova, piazza De Ferrari) hanno una datazione abbastanza precisa. Il Ratti (1769, p. 269) osserva infatti che l'incarico per l'ornamentazione di alcuni ambienti del palazzo fu affidato al D. "in occasione, che il Signor Giò Carlo Doria fece fare alcuni nuovi lavori nel suo palazzo, situato presso la chiesa di S. Matteo per le nozze del vivente Signor Ambrogio...", celebrate il 23 genn. 1738 (Gavazza, 1965, p. 97). Si può quindi supporre che entro tale data l'artista avesse condotto a termine le decorazioni.
Esse riguardavano il salone con Il ritrovamento di Mosè di G. B. Carlone, dove il D. inserì nella preesistente decorazione secentesca grandi monocromi con Virtù e Cariatidi angolari e tre salotti. Nel soffitto di uno di essi il D. dipinse il Carro del Sole, in quello di un altro La Notte, mentre nel terzo salotto, detto anche "delle Metamorfosi", l'artista realizzò una complessa decorazione, che lo ricopre interamente, di stucchi che nelle pareti incorniciano sei ovali ad olio e tempera con Le storie di Diana e nel soffitto inquadrano quattro medaglioni ad affresco con le Allegorie degli Elementi. Per il gruppo centrale del soffitto con la Notte esiste nella raccolta conservata a Palazzo Rosso un disegno preparatorio, n. 2151 (Gavazza, 1965, p. 99).
In occasione dei festeggiamenti che si tennero nella chiesa genovese di S. Maria di Carignano per la beatificazione di Alessandro Sauli, nel 1741, risulta dal Libro dell'insigne colleggiata, consultato da Y. De Masi 1945, p. 13),che si ordinarono al D. ben dodici quadri a tempera, quattro con le Virtù cardinali e otto con i Miracoli degli apostoli, nonché sedici altri dipinti "rappresentanti 4 miracoli, operati da Dio ad intercessione del Beato Alessandro Saoli et altresì otto candelabri...". Di tali grandiosi apparati, dei quali già al tempo in cui il Ratti (1769, p. 270) scriveva rimanevano "preziosi avanzi", la De Masi vide solo La Giustizia, di cui tuttavia non si è successivamente trovata più traccia (Gavazza, 1965, p. 121).
All'ultima fase dell'attività del D. è stata riferita la decorazione di un salotto nel palazzo Brignole-Durazzo (Rosso, Genova, via Garibaldi), dove in un medaglione ad affresco entro monocromi è dipinto il Valore.
Sebbene tale raffigurazione abbia stretti rapporti con quella di analogo soggetto che l'artista realizzò a palazzo Spinola, nel salotto di Palazzo Rosso si affianca all'intento decorativo una tendenza al corretto e al composto che crea un generale effetto di raggelamento. L'intonazione neoclassica che si coglie nell'affresco caratterizza anche quattro tempere, attualmente esposte nello scalone del palazzo, che raffigurano episodi di Storia romana, e che, secondo le fonti, facevano parte della decorazione del salotto (Soprani-Ratti, 1769, p. 265). Un disegno preparatorio con Scipione che restituisce a Lucio la sposa (Genova, Palazzo Rosso, n. 2155) è relativo ad uno di questi quattro dipinti.
Tradizionalmente ritenuta l'ultima e la più illustre opera del D. è la decorazione della galleria di palazzo Carrega-Cataldi (Camera di commercio, Genova, via Garibaldi), dove l'artista omò di stucchi anche un salotto ed affrescò la piccola cappella.
La galleria è completamente rivestita da una decorazione a stucchi che, nel soffitto, incorniciano un medaglione con L'Olimpo e, nelle pareti, tondi ad olio e lunette ad affresco con le Storie di Enea. Per L'Olimpo e per le lunette si conservano nelle raccolte di Palazzo Rosso, dell'Accademia Ligustica e in collezioni private genovesi numerosi disegni preparatori dove, forse ancora più che nell'affresco, risulta evidente quella tendenza all'ordine e alla correttezza, già rilevata in opere precedenti (Gavazza, 1965, pp. 104 s.; Mostra ..., 1980, cat. 19, 18 e 20).
Nella galleria, dove "è chiaro, nella struttura dell'insieme il richiamo a modelli di intonazione francese" (Gavazza, 1965, p. 55), il D. raggiunse la sintesi di tutte le sue esperienze decorative. L'abilissima realizzazione degli stucchi ha fatto supporre la partecipazione di un altro artista, forse lo stuccatore Diego Carloni. Questi, se intervenne, lavorò comunque sui cartoni del D., al quale si deve infatti un disegno per la Decorazione di un soffitto (Genova, Palazzo Rosso, n. 3385) da porsi in relazione con la galleria CarregaCataldi, la cui ornamentazione comprendeva anche due porte a specchio, oggi sostituite da copie, poiché gli originali si trovano in collezione privata a Parigi (Gavazza, 1965, pp. 53-56 e cat. 13; Id., 1975; Id., 1977, pp. 126 s.).
Il D., che visse "in perpetuo celibato; anzi vestì sempre l'abito Clericale; e però comunemente appellavasi l'Abate De Ferrari" (Soprani-Ratti, 1769, p. 271), morì a Genova il 28 luglio 1744 (De Masi, 1945, p. 14 doc.).
Sono da ascriversi all'artista, oltre ai dipinti già menzionati, le tele con L'andata di Cristo al Calvario, Imperia-Porto Maurizio, oratorio di S. Pietro; S. Ugo, Genova, S. Giovanni di Prè; Il miracolo della mula e Il miracolo dei pesci, già a Genova, oratorio dì S. Antonio, dal 1939 trasferite alla parrocchialè di Mainetto di Serra Riccò; La Vergine tra i santi, Temistocle in atto di bere il sangue del toro e il Ritratto del cardinale Benedetto Sala, Genova, depositi di Palazzo Bianco, dove si trova inoltre uno stendardo con La Vergine tra, i santi, anch'esso riferito al D. (Gavazza, 1965, cat. 23-29).
Per i numerosissimi disegni attribuiti o attribuibili al D., oltre a quelli già ricordati, si veda: Gavazza, 1965, in particolare cat. 14, 30-33, 35-39; Franchini Guelfi, 1977; Newcome, 1978, pp. 70, 73, 79; e inoltre Pignatti, 1970 e 1971, cat. 92 e Jacob, 1975, cat. 730. Infine, per un elenco delle opere andate perdute o attualmente irreperibili ascritte dalle fonti dell'artista, si cfr. Gavazza, 1965, cat. 42-51.
Fonti e Bibl.: C. G. Ratti, Istruzione di quanto può vedersi... in Genova..., Genova 1766, passim; R. Soprani-C. G. Ratti, Delle vite de' pittori, scultori e architetti genovesi..., II,Genova 1769, pp. 192, 263-71; C. G. Ratti, Istruzione di quanto può vedersi di più bello in Genova.... Genova 1780, passim; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, V, Firenze 1834, p. 289; F. Alizeri, Guida artistica per la città di Genova, I-II,Genova 1846-47, passim; Id., Guida illustrativa del cittadino e del forastiero, Genova 1875, passim; L. A. Cervetto, S. Caterina Fieschi Adorno e i genovesi, Genova 1910, pp. 137-44; Y. De Masi, La vita e l'opera di L. D., Genova s. d. [1945]; A. Griseri, Per un profilo di G. De Ferrari, in Paragone, VI (1955), 67, pp. 45 s.; J. Bean, Un groupe de dessins génois, in Revut des arts, VIII (1958), p. 272, fig. 9; P. Rotondi, La Gall. naz. di palazzo Spinola a Genova, Genova 1959, p. 11; Genoese masters from Cambiaso to Magnasco 1550-1750 (catal.), a cura di R. Manning-B. Suida Manning, Dayton, Ohio, 1962, ad Indicem; M. Bonzi, Un'opera di L. D., in La Voce di Genova, aprile 1963; E. Gavazza, L. D. tra Arcadia e Neoclassicismo, in Commentari, XIV (1963), pp. 268-90; Disegni di G. De Ferrari (catal.), Genova 1963, cat. 24-25; E. Gavazza, Apporti lombardi alla decorazione a stucco tra '600 e '700 a Genova, in Arte e artisti dei laghi lombardi, II,Como 1964, pp. 55 s.; M. Bonzi, Dal Cambiaso al Guidobono, Genova 1965, pp. 141 s.; E. Gavazza, L. D., Milano 1965; C. Marcenaro, Gli affreschi dei Palazzo Rosso di Genova, Genova 1965, pp. 10, 22, 24, 26; T. Pignatti, Lacoll. Musatti di disegni antichi al Museo Correr, in Boll. dei Musei civici venez., XV (1970), 3-4, pp. 25 s.; XVI (1971), 1-2, cat. 92; P. Torriti, Tesori di Strada Nuova, Genova 1970, pp. 184-87; E. Gavazza, Il momento della grande decorazione, in La pittura a Genova e in Liguria, II,Genova 1971, pp. 268-76, 298; M. Newcome, Genoese Baroque Drawings (catal.), University Art Gallery, Binghamton, N. Y., 1972, cat. 141-46; F. Sborgi, Pittura e scultura artistica all'Accademia Ligustica a Genova 1751-1920, Genova 1974, pp. 20, 22, 56; E. Gavazza, Palazzo della Camera di commercio, Genova 1975, pp. 12-16; S. Jacob, Italien. Zeichnungen der Kunstbibliothek Berlin, Berlin 1975, cat. 730; P. Torriti, Le collezioni d'arte della Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, Genova 1976, pp. 116 s.; F. Franchini Guelfi, Un disegno di L. D. per una "Cassa" processionale, in Studi di storia delle arti, Genova 1977, pp. 131-35; E. Gavazza, Problemi relativi alla scultura di "decorazione" del primo Settecento a Genova, ibid., pp. 126 s., 129; Id., Chiesa di S. Croce e S. Camillo, Genova 1977, pp. 9-12; Id., Chiesa di S. Marta, Genova 1977, p. 12; M. Newcome, L. D. revisited, in Paragone, XXIX (1978), 335, pp. 61-79; G. Biavati, L'affresco che il Piola non dipinse a palazzo ducale, in Boll. dei Musei civici genovesi, 4-5-6, II (1980), pp. 25-27; Mostra di disegni del XVII e XVIII secolo, Museo dell'Accademia Ligustica di belle arti (catal.) a cura di F. Sborgi, Genova 1980, nn. 17-22; E. Mattiauda, Un docum. per la pala di L. D. a Tosse, in Boll. ligure per la storia e la cultura regionale, XXXII-XXXIII (1980-81), pp. 49-53; G. B. R. Magaglio, Le genovesi Brignoline, Genova 1981, pp. 58, 117, fig. 98; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, pp. 457 s. (sub voce Ferrari, Lorenzo de); Enc. Ital., XII, p. 480.