DE MARI (Mari), Lorenzo
Nacque a Genova da Nicolò di Stefano e da Violantina gauli nel 1685, e venne battezzato il 17 luglio nella chiesa di S. Vincenzo.
La famiglia, di antichissima nobiltà, faceva risalire la propria origine a un Ademaro, cappellano di Carlo Magno, che sarebbe stato nominato conte di Genova dopo la cacciata dei Longobardi. I documenti mostrano, dall'inizio del 1100, i De Mari tra i protagonisti della vita politica e dei traffici mediterranei della Repubblica. Nel corso del secolo XVII alcuni esponenti della famiglia, legati agli Invrea, esplicano vasta attività bancaria in Europa: tra questi si distingue il nonno del D., Stefano, possessore di molti feudi nell'Italia meridionale e in Corsica, nel 1663 primo doge appartenente alla famiglia. Dei quattro figli maschi di questo, due saranno dogi a loro volta, rispettivamente nel 1699 Girolamo e nel 1707 Domenico Maria. In quest'ultima circostanza il D. poco più che ventenne diede alle stampe una raccolta di sonetti celebranti l'elezione dogale dello zio.
Il D. era stato educato presso le scuole pubbliche rette dai padri barnabiti. All'esercizio poetico-letterario si mantenne fedele tutta la vita nella locale Accademia arcadica, cui fu iscritto col nome di Amiro. Un'altra raccolta di sonetti fu pubblicata a Venezia nel 1737: in essi cantò l'amore contraccambiato per la nobildonna Geronima Cattaneo Gavotti. Di fama di buona cultura il D. godette anche fuori dei confini della Repubblica, come dimostrano i rapporti che con lui mantenne G.M. Mazzuchelli per informazioni su alcuni letterati liguri per il suo Scrittori d'Italia.
Il D. ricoprì il primo incarico nel 1713 come magistrato straordinario, carica civile amministrativa cui fu rieletto nel 1715; nel 1716 entrò tra i conservatori del Mare, magistratura con potere giudicante e regolamentare per tutte le questioni in materia marittima. Il fatto che, dopo aver ricoperto questa carica, il D. non compaia per oltre dieci anni in nessuna magistratura della Repubblica, unitamente alla sua condizione di membro di una famiglia di grandi assentisti, lascia pensare che abbia anch'egli dedicato all'attività armatoriale il periodo tra il 1716 e il 1727. In quest'ultimo anno, compare tra i provvisori del Vino; l'anno successivo figura contemporaneamente in ben tre magistrature (Protezione dei confini, Affari di Corsica, Vettovaglie), probabilmente complementari in un progetto politico di approvvigionamento della città. Nel quindicennio successivo, l'attività pubblicoamministrativa del D. fu intensissima: più volte protettore delle Compere di S. Giorgio; inquisitore di Stato nel 1736 e 1744; sindicatore supremo nel 1731 e 1736; sindicatore per la Riviera di Ponente nel 1741; governatore nel 1742; inviato straordinario a Milano tra il 1732 e il 1733.
A quest'ultimo riguardo, è opportuno segnalare che la presenza, negli stessi anni, di molti membri della famiglia De Mari presso le varie corti italiane ed europee, sembra suggerire una intenzionale politica familiare che, d'altra parte, ha dato origine a molti equivoci sulla identità dei singoli membri, spesso citati solo col cognome. Per il D. la confusione più frequente è stata fatta con il cugino Ippolito di Francesco, abilissimo inviato a Milano tra il giugno 1731 e il settembre 1732 per la questione corsa, e col fratello di questo, Giovanni Battista, inviato a Torino, con brevi intervalli, tra il 1727 e il 1737.
Il motivo che aveva determinato la missione del D. a Milano era stata una controversia monetaria. Nella crescente tensione tra Milano e Genova sulla questione corsa circa le garanzie dell'indulto ai ribelli, si era inserita una ritorsione contro Genova: il marchese C. Castiglioni, presidente del magistrato Ordinario di Milano, aveva dichiarato non ricevibili gli zecchini genovesi coniati tra il 1730 e il 1731. Il D. riuscì a ottenere dal governatore di Milano udienza lo stesso giorno del suo arrivo a Milano, il 20 nov. 1732 e, con rapidi e opportuni provvedimenti (assaggi in zecche straniere, tra cui Firenze e Londra, garantirono la bontà delle monete incriminate), ottenne la revoca della disposizione del Castiglioni. Per l'efficienza dimostrata, il D. ricevette pubblico plauso dal governo genovese, che gli affidò la trattazione della questione corsa negli ambienti politici milanesi: ma, in una lettera del 30 apr. 1733, il D. confessava di dover "inghiottire amari bocconi" per l'atteggiamento intransigente che gli era opposto. Qualche mese dopo, dichiarata il 10 ott. 1733 la guerra dal re di Sardegna, il governo lasciava il D. libero di scegliere se tornare a Genova o restare a Milano. Approfittando della giustificazione formale che gli era offerta (la sua qualifica di ministro per gli Affari straordinari, non residente) il D., il 27 ottobre, annunciò il suo ritorno. A Milano, dove rimaneva come agente della Repubblica l'abate Pedemonte, non verranno inviati ministri fino al 1771.
Due mesi dopo essere stato eletto preside degli inquisitori di Stato, il 1º febbr. 1744 il D. venne proclamato doge con 260 voti su 380.
L'incoronazione avvenne il successivo 18 luglio, officiata in duomo, per espresso desiderio del D., dal padre barnabita Gerolamo Della Torre, suo amico personale. Il discorso a palazzo ducale fu tenuto da Roberto Curlo e quello in S. Lorenzo dal celebre predicatore genovese Giovanni Granelli.
Il dogato del D. coincise con un periodo critico per la Repubblica: il trattato di Worms (settembre 1743), che poco tempo prima della sua elezione era stato concluso tra Giorgio II d'Inghilterra, Maria Teresa d'Asburgo e la casa di Savoia con la clausola della cessione del Finale al Regno di Sardegna, aveva posto le premesse di quella guerra che sarebbe scoppiata alla fine del suo dogato. Ed è difficile dire fino a che punto la personalità del doge possa aver influito sul lungo seguito di tergiversazioni che, anche dopo il trattato di Aranjuez, caratterizzò la condotta della Repubblica, favorendo forse la sua soggezione alla vendetta degli Austro-Sardi. Sta di fatto che il D. si rese probabilmente conto della sua inadeguatezza al momento e fu egli stesso ad indicare al Senato Giovan Francesco Brignole Sale come l'uomo più adatto cui affidare prima il comando in capo dell'esercito ligure, poi la stessa carica ducale. E il Brignole Sale gli succedette infatti il 3 marzo 1746, con una strepitosa elezione (338 su 358).
Il primo incarico postducale del D. fu l'immediata applicazione di un piano di tassazione del 25% sui beni ecclesiastici per sopperire alle spese di guerra e "con vigore in perpetuo". In tal modo, il governo genovese utilizzava del D. la fama di profonda religiosità e gli ottimi rapporti personali con gli ambienti ecclesiastici che egli aveva saputo mantenere anche da doge pur difendendo gli interessi giurisdizionali dello Stato. Nell'aggravarsi della situazione militare nel corso del 1746, il D. venne anche incaricato di altri interventi di emergenza presso le autorità ecclesiastiche: la consegna degli argenti in un Monte fruttifero e contributi "volontari" dei vari Ordini religiosi. Terminata la guerra, il D. fece parte della deputazione sopra la Costruzione e il rifacimento dei fortilizi; quindi, per vent'anni consecutivi, fece parte della giunta dei Confini. Fu anche più volte eletto protettore del S. Ufficio e della deputazione al Culto e alle monache: carica nella quale proseguì quella politica giurisdizionalista già attuata da doge e che lo aveva portato a togliere l'immunità ai chiostri delle principali chiese della città, tra cui S. Lorenzo, le Vigne, S. Giovanni di Pré, S. Matteo.
Operoso fino a tardissima età, morì a Genova il 16 febbr. 1772 e venne sepolto nella chiesa di S. Maria di Sanità. Non si sposo e non ebbe figli.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Genova, Litterarum 51-2008;Ibid., Mss. 493, c. 209;Genova, Bibl. Franzoniana, Mss. Urbani n. 125:G. Giscardi, Origine e fasti delle nobili famiglie di Genova, c. 372;Genova, Civica Bibl. Berio, m.r. X. 2. 168:L. Della Cella, Famiglie di Genova [1782], c. 905;G. Granelli, Orazione per la solenne coronazione del ser.mo L. Mari, Genova 1744;L. Levati, Idogi biennali di Genova (1721-1746), Genova 1913, pp. 44-51 (con bibl. pp. 230, 232);Id., Idogi biennali di Genova (1746-1796), ibid. 1913, p. 11; O. Pastine, La Repubblica di Genova e le gazzette, Genova 1923, pp. 58 n. 3, 110; V. Vitale, Diplom. e consoli della Repubblica di Genova, in Atti della Soc. Ligure di storia patria, LXIII (1934), p. 66;B. Candida Gonzaga, Mem. delle famiglie nobili d. prov. merid., IV, Napoli 1875, p. 138;A. M. Stokvis, Manuel d'histoire..., III, Leide 1893, p. 756.