LORENZO di Bicci
L'attività di L., nato presumibilmente a Firenze intorno alla metà del Trecento e morto, forse, tra il secondo e il terzo decennio del Quattrocento, è documentata da varie notizie d'archivio a partire dal 1370 (Vasari); mentre resta piuttosto esiguo il numero delle opere a lui attribuibili con certezza.
Il catalogo di L. (Boskovits), composto per lo più da dipinti su tavola e pochi affreschi, complessivamente più di sessanta, databili fra il 1370 e il 1410, si è infatti formato quasi esclusivamente su basi stilistiche, a opera innanzitutto di Gronau (1933).
Probabilmente figlio di un pittore, L., operoso in varie città toscane, avviò a Firenze un'affermatissima bottega, attiva fino alla fine del Quattrocento, grazie al lavoro del figlio Bicci e del nipote Neri di Bicci.
Vasari confuse sostanzialmente la sua attività con quella del figlio, come del resto la storiografia successiva, mentre decisive furono le ricerche documentarie di Poggi sul duomo di Firenze, S. Maria del Fiore, in base alle quali si sono rintracciate e riconosciute tre tavole con gli evangelisti Giovanni, Marco e Matteo (Sagrestia dei canonici di S. Maria del Fiore), realizzate da L. nel 1398 (Poggi, I, pp. CVI s., docc. 1009 s., 1015) e divenute per la critica punto di partenza per la ricostruzione dell'attività dell'artista.
Le opere più antiche attribuibili a L. su base stilistica (1370-75) - come la tavola già in collezione Primoli a Roma e oggi, sempre a Roma, nel Museo del Palazzo di Venezia o la lunetta affrescata sopra la porta laterale a destra della chiesa di S. Maria a Peretola nei dintorni di Firenze, entrambe con un soggetto mariano (Boskovits), o i dipinti di poco più tardi (1375-80) custoditi uno nel Museo del Palazzo di Venezia (Madonna col Bambino fra s. Giuliano, una santa e quattro angeli), l'altro nella Pinacoteca Vaticana (Sposalizio mistico di s. Caterina) - documentano con chiarezza che la sua formazione artistica dovette svolgersi in ambito assai prossimo a Iacopo di Cione e, in particolare, a contatto diretto con l'anonimo Maestro dell'Altare di S. Nicolò, come sembrerebbe indicare anche un punzone decorativo impiegato da questo artista, ritrovato nella bottega di Lorenzo.
A un periodo giovanile (circa 1380) è unanimemente attribuito un pannello dipinto con S. Giacomo e s. Nicola di Bari, per la prima volta assegnato a L. da Salmi (custodito nel Museo Bandini di Fiesole: cfr. Bandera Viani; Il Museo Bandini(), nel quale i segni incisi dei contorni, il taglio degli occhi allungati alla senese, il tappeto verde a fiori aurei, che si collegano direttamente a Iacopo di Cione, si sommano a una nobiltà di portamento derivata dalla tradizione gaddesca.
Pressoché contemporanea è l'importante pala commissionata al pittore dall'arte dei vinattieri per la chiesa di Orsanmichele a Firenze, raffigurante S. Martino in trono e due angeli, attribuita a L. per la prima volta da Cohn, già in deposito nella chiesa di S. Niccolò a Ferraglia, in provincia di Firenze, dal 1864, quando il santo fu interpretato come Nicola, e oggi riunita alla predella con l'Elemosina di s. Martino (Firenze, Galleria dell'Accademia). Considerata una delle sue migliori prove artistiche per il senso misurato dello spazio, la chiarezza compositiva, la qualità scultorea dell'insieme, l'opera è dominata dalla figura del santo in trono che si impone austera e grave, rigorosa nel segno e raffinata nel colore, tale da ricordare ancora l'arte di Iacopo di Cione, ma non interessata a vistosi effetti decorativi (Marcucci).
Databile fra il 1380 e il 1385 è il bellissimo disegno a penna, di grandi dimensioni (Firenze, Uffizi, Gabinetto dei disegni e delle stampe, 58E), raffigurante Cristo in gloria che consegna le chiavi a s. Pietro alla presenza di s. Paolo, avvicinato con dubbio a Lorenzo Monaco (Bellosi) e attribuito invece a L. già nel Cinquecento, come dimostra una scritta sul tergo del foglio.
Dai documenti risulta che nel 1385 L. era attivo a Firenze, occupato a fornire disegni per sculture, prima alla loggia dei Lanzi (insieme con Agnolo Gaddi, Corso di Iacopo e Iacopo di Luca e due doratori, Piero Del Migliore e Niccolò De Luca, decorò le statue della Fede e della Speranza di Giacomo di Piero, realizzate per i pennacchi della loggia della Signoria e ancora in situ) e, nel 1387, per l'Opera del duomo. Con Agnolo Gaddi e Spinello Aretino (Poggi, p. 10, doc. 53) eseguì i disegni per i quattro apostoli che dovevano essere realizzati in marmo per la facciata della chiesa di S. Maria del Fiore. Quando nel 1394 la serie venne terminata da Piero di Giovanni Tedesco, L. prese l'incarico di dipingerli e dorarli, con Agnolo Gaddi, Iacopo di Cione e Lapo di Corso (ibid., p. 12, doc. 70). Nel 1394 L. tornò nuovamente alla loggia della Signoria, dove decorò la statua della Carità di Giacomo di Piero.
Forse agli ultimi anni del secolo (Sinibaldi, 1950) è da ascrivere il polittico con la Madonna dell'Umiltà fra i ss. Martino, Andrea, Agata e Giovanni Battista (Loro Ciuffenna, chiesa di S. Maria Assunta), ricomposto da Gronau (1933), che per primo lo attribuì a L. nel suo periodo maturo, avvicinabile alle soluzioni di Niccolò Gerini e della sua prolifica bottega. In quest'opera, prodotta per una città evidentemente molto affezionata alla sua florida "ditta", L. dimostra la sua eccellenza nella tecnica esecutiva, riscontrabile soprattutto nella qualità del colore e nell'impianto iconico dei personaggi sacri.
Nel 1398, sopra l'altare della Madonna "gratiarum plenissima", addossato alla parete interna della facciata del duomo di Firenze, fra il portale maggiore e quello laterale, a destra, verso il campanile, L. eseguì i quattro compassi (ovvero pannelli polilobati), già ricordati, quasi sicuramente collocati "ad incasso" in alloggiamenti predisposti nella volta dei baldacchini di cui parlano i documenti, che contenevano le immagini a mezzo busto degli Evangelisti; mentre Giuliano di Arrigo detto Pesello dipinse l'Agnus Dei (perduto) al centro della volta della cappella. Inoltre L. eseguì la cortina (Poggi, p. 205, doc. 1015), rinnovata però nel 1438, che copriva la tavola di Mariotto di Nardo con l'immagine della Vergine, posta nell'altare. Questa cappella, con un'altra eretta sempre nella controfacciata della chiesa di S. Maria del Fiore, ma a sinistra, venne demolita nel 1842.
Di entrambe restano, oltre agli Evangelisti di L., anche due tavole a forma di compassi quadrilobati con il Redentore e Due dottori della Chiesa di Mariotto di Nardo. Le figure di L. appaiono piuttosto statiche e rappresentate in maniera convenzionale: non si riscontrano tentativi di ricerca spaziale, anche se notevole è la maestria tecnica. Ne risulta dunque un prodotto di alto artigianato eseguito in modo rigorosamente tradizionale, a eccezione della realizzazione delle aureole in rilievo, come pure le lettere che compongono i nomi dei santi, effettuate con gesso e colla, mentre le parti piane sono state punzonate per aumentare, con il chiaroscuro, l'effetto plastico (Sailer). Le figure hanno tutte un incarnato rossiccio e le vesti scure pieghettate con fluidità e leggerezza, mostrando l'approssimarsi del Quattrocento per certi elementi decorativi piuttosto calligrafici.
Nel settembre del 1399 L. venne pagato per l'esecuzione di un polittico destinato alla Compagnia della Croce, detta della Vesta Nera, in S. Stefano a Empoli, la cui parte centrale con la Crocifissione fu identificata da Sinibaldi (1950) con la tavola conservata nel locale Museo della Collegiata di S. Andrea (Paolucci, 1985).
Dopo questa data non ci sono notizie di L. fino al 1410, quando venne pagato per una figura di S. Nicola per la lunetta del portale dell'ospedale S. Matteo a Firenze (in situ), e poi fino al 1427, quando dipinse la Storia di s. Zenobi nel coro di S. Maria del Fiore (Poggi, p. 233, doc. 1170). Questo affresco però non è stato mai trovato; e la notizia appare priva di credibilità, il che conferma l'ipotesi di Frosinini (1986) che L. morì entro la seconda decade del secolo.
Il cosiddetto Madonnone, un tabernacolo affrescato, situato a Firenze, all'angolo fra via S. Salvi e via Aretina, poi rimosso e collocato nella chiesa di S. Salvi (oggi nei depositi delle Gallerie fiorentine), con la Madonna col Bambino fra i ss. Giovanni Battista e Pietro e due angeli, viene considerato (Sinibaldi, 1952) l'intervento più tardo di Lorenzo. Qui infatti, accanto agli stilemi tipici della sua arte, come l'arcaica gravità soprattutto, l'accentuarsi di linee ondulate e certi manierismi tardogotici tradiscono evidentemente una data quattrocentesca.
Nell'ambito della vasta produzione pervenuta ricollegabile a L. si deve ricordare anche il Crocifisso di Avignone (Musée du Petit-Palais), che, per quanto rimaneggiato, gli spetta senza dubbio (Laclotte - Mognetti).
Nonostante gli scarsi dati biografici e il piccolo numero di opere rintracciate a lui attribuibili con certezza, L. si iscrive nel novero dei più importanti pittori attivi a Firenze durante la seconda metà del XIV secolo come esempio emblematico della corrente più tradizionalista della pittura fiorentina del tempo.
Le sue opere hanno una struttura compositiva molto semplice, si basano sull'uso di colori luminosi e vividi, mentre la gamma tipologica delle figure appare piuttosto limitata, le fisionomie sono alquanto fisse e generalmente rese con visi inespressivi. L'esecuzione tecnica è quasi sempre assai accurata, sostenuta da una considerevole abilità disegnativa nella fase preparatoria dei dipinti. Con il tempo egli assunse sempre più accenti stilistici caratterizzati da una solida plasticità disegnativa, affinando le forme, verso la fine del suo percorso, secondo i nuovi stilemi gotici d'Oltralpe, dimostrandosi così disponibile a interpretare le raffinate cadenze ritmico-lineari introdotte nell'ambiente fiorentino al principio del Quattrocento da Gherardo Starnina.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite( (1550 e 1568), a cura di R. Bettarini - P. Barocchi, Firenze 1967, pp. 315-322; G. Poggi, Il duomo di Firenze: documenti sulla decorazione della chiesa e del campanile tratti dall'Archivio dell'Opera (1909), a cura di M. Haines, Firenze 1988, I, pp. XXVII, CVI-CVIII, CXX, 10, 12, 203, 205, 233; II, p. 137; U. Medici, Di un antico dipinto eseguito da L. di B. oggi in parte perduto, Firenze 1900; G. Gronau, in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, III, Leipzig 1909, pp. 604 s. (s.v. Bicci); R. Van Marle, The development of the Italian schools of painting, III, The Hague 1924, pp. 573 s.; D.E. Colnaghi, A Dictionary of Florentine painters from the 13th to the 17th centuries, London 1928, pp. 41 s.; M. Salmi, Due tavole di L. di B., in Rivista d'arte, XII (1930), pp. 81-85; R. Salvini, Un affresco e una tavola di L. di B., ibid., XIV (1932), pp. 475-483; B. Berenson, Italian pictures of the Renaissance, Oxford 1932, p. 82; H.D. Gronau, L. di B.: ein Rekonstruktionsversuch, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, IV (1933), pp. 103-118; G. Vigni, Pittura del Due e Trecento nel Museo di Pisa, Palermo 1950, p. 62; G. Sinibaldi, Note su L. di B., in Rivista d'arte, XXVI (1950), pp. 199-205; Id., Note brevi su inediti toscani: L. di B., in Bollettino d'arte, XXXVII (1952), pp. 57-59; U. Baldini, Mostra di opere restaurate, Firenze 1953, p. 13; W. Cohn, Un quadro di L. di B. e la decorazione primitiva della chiesa di Or San Michele di Firenze, in Bollettino d'arte, s. 4, XLI (1956), 11, pp. 171-177; L. Marcucci, Dipinti toscani del secolo XIV, Roma 1965, pp. 126-129; M. Boskovits, Pittura fiorentina alla vigilia del Rinascimento, 1370-1400, Firenze 1975, pp. 331-336; R. Fremantle, Florentine Gothic painters. From Giotto to Masaccio, London 1975, pp. 409-416; M. Laclotte - E. Mognetti, Peinture italienne (catal., Avignon), Paris 1977, n. 117; L. Bellosi, in F. Bellini, I disegni antichi degli Uffizi. I tempi del Ghiberti (catal.), Firenze 1978, pp. IX-XXVII, 7-9; M.C. Bandera Viani, Fiesole. Museo Bandini, Bologna 1981, pp. 25 s.; H.B.J. Maginnis, A critical and historical corpus of Florentine painting(, New York 1981, pp. 38-45; A. Paolucci, Il Museo della Collegiata di S. Andrea in Empoli, Firenze 1985, pp. 56 s.; A. Tartuferi, Appunti tardogotici fiorentini: Niccolò di Tommaso, il Maestro di Barberino e L. di B., in Paragone, XXXVI (1985), 425, pp. 3-16; C. Frosinini, Il passaggio di gestione in una bottega pittorica fiorentina del primo '400: L. di B. e Bicci di Lorenzo, in Antichità viva, XXV (1986), 1, pp. 5-15; Id., in La pittura in Italia. Il Quattrocento, I, Milano 1987, p. 669; M. Sailer, Gli evangelisti Giovanni, Marco e Matteo: L. di B.(, in OPD. Restauro, 1991, n. 3, pp. 184-189; Il Museo Bandini di Firenze, Fiesole 1993, p. 113; A. Tartuferi, in Enc. dell'arte medievale, VII, Roma 1996, pp. 892-894; B. Santi, in The Dictionary of art, XIX, London-New York 1996, pp. 673-675; E. Mognetti, Marks of devotion: case study of a Crucifix by L. di B., in Italian panel painting of the Duecento and Trecento (catal., Washington), a cura di V.M. Schmidt, New Haven 2002, pp. 355-369; Diz. encicl. Bolaffi dei pittori e degli incisori italiani(, VII, pp. 35 s.