ISNARDI, Lorenzo
Nacque a Savona il 28 ott. 1802 da Girolamo e da Tommasina Pescetto. Studiò nel collegio delle Scuole pie di quella città, dove tra i professori trovò il padre G.A. Gatti che lo indirizzò verso la matematica, disciplina in cui il giovane I. diede un pubblico saggio nel 1819, non disdegnando nel contempo la poesia, nella quale si cimentava all'interno della locale colonia degli Arcadi. Nello stesso anno, volendo diventare scolopio e non esistendo allora in Liguria il noviziato di quell'Ordine, si recò a Firenze per vestire l'abito, attratto anche dalla fama di alcuni professori come il padre G. Inghirami che insegnava "matematica sublime" e il padre L. Baroni docente di meccanica, idraulica e astronomia.
Ammalatosi gravemente, fu costretto dopo un anno a tornare a Savona, e di lì passò alla casa di Genova, dove il 22 ott. 1821 fece la sua professione solenne. Venne quindi destinato al collegio di Chiavari quale professore di filosofia e matematica, e vi restò sino all'autunno del 1823, allorché passò con eguale incarico al collegio di Savona dove insegnò per quattro anni e acquistò una solida fama di docente. Nel 1825 si fece conoscere nella comunità scientifica pubblicando nella Corrispondenza astronomica del barone F.X. von Zach Tre lettere sulla formola di Gauss pel calcolo della Pasqua. Cesare Saluzzo lo raccomandò allora al re Carlo Felice come "ripetitore interno" di filosofia e matematica presso l'Accademia militare di Torino, ma la nomina si rivelò complicata. Il provinciale degli scolopi fu costretto a ricorrere al papa affinché accordasse il suo consenso, e l'I. stesso dovette perorare la propria causa presso il generale dell'Ordine affermando, in una lettera del 27 giugno 1827, che l'ingresso nell'Accademia avrebbe costituito "un pegno che comincia a darsi di stima e confidenza al nostro corpo religioso": accennava ai "vantaggi che deve sperarsi possano ritornarne a questo", prometteva nel suo futuro incarico "di tutto fare quanto possa conciliare maggiormente al nostro abito la stima e l'amore" del governo e "con tutto me stesso giovare […] alla religione" (Picanyol, p. 121).
La pratica andò a buon fine: il 28 ag. 1827 fu firmato il decreto di nomina e nell'ottobre seguente l'I. si trasferì a Torino, dove la bontà del suo insegnamento e la capacità di muoversi negli ambienti di corte gli fecero ottenere un incarico di grande importanza.
Nell'ottobre del 1830 il principe Carlo Alberto - il quale aveva eletto A. Charvaz, futuro arcivescovo di Genova, precettore dei propri figli Vittorio Emanuele e Ferdinando Maria - gli propose di assumere l'incarico di viceprecettore per insegnar loro matematica, italiano e latino. Divenuto re il 27 apr. 1831, Carlo Alberto firmò il successivo 20 giugno un regio diploma nel quale esprimeva il suo "pieno gradimento" per la "estesa erudizione", la "singolare prudenza" e lo "zelo ed interessamento" del giovane scolopio, il quale fin dai primi mesi formulò giudizi molto netti sugli illustri discepoli, riconoscendo in Ferdinando un ingegno pronto e ricettivo, in Vittorio Emanuele una quasi totale incapacità di apprendimento. Nel 1834, divenuto lo Charvaz vescovo di Pinerolo, l'I. ne assunse le funzioni come precettore e le tenne per quasi tre anni. Il 27 maggio 1836 il re gli conferì la croce di cavaliere dell'Ordine mauriziano (nel 1856 sarebbe divenuto commendatore) con una motivazione che ne sottolineava "la severità degli studi" e la "soavità di costumi" (Rocca, p. 14). Ma, entrato in contrasto con la famiglia reale, l'I. fu di fatto costretto nel 1837 a dimettersi dalla carica e nel luglio di quell'anno fece ritorno alla sua provincia.
A dispetto delle formule eufemistiche usate dalla real casa e da alcuni biografi, si trattò di un licenziamento, tanto è vero che all'I. non venne offerta alcuna promozione a un vescovado, come invece da circa tre secoli era usanza per i precettori dei principi sabaudi, ma gli fu proposto solo, quasi a titolo di risarcimento, l'incarico peraltro rifiutato di scrivere una storia della dinastia. Tuttavia il ritorno in Liguria non poteva considerarsi una punizione, visto che due anni prima egli era stato nominato a capo di quella provincia per il suo Ordine: una nomina che aveva fatto scalpore perché calata dall'alto e decisa contro la volontà e gli interessi degli scolopi liguri. L'I., che nel 1835-36 aveva retto la provincia mediante un vicario, la governò sino al 1845, e il mandato fu non poco burrascoso a causa anche dell'asprezza del suo carattere: ci furono infatti contrasti interni, culminati nell'abbandono dell'Ordine da parte di una trentina di confratelli. Non gli mancarono tuttavia l'energia e la capacità organizzativa. Resse personalmente il collegio di Carcare presso Savona; aprì in Genova un ciclo completo di scuole dalle elementari al corso di retorica e lo fece funzionare al meglio, attirandovi un gran numero di allievi; si preoccupò di organizzare delle scuole tecniche destinate ai ragazzi dei ceti popolari; cercò di ottenere dal re i sussidi per inviare all'École polytechnique di Parigi alcuni confratelli e far loro apprendere quei metodi di insegnamento; potenziò in vario modo i collegi dell'Ordine, in particolare quello di Oneglia; procurò alla provincia scolopica della Liguria una nuova casa - quella di Sestri Ponente - e vi istituì un noviziato; ottenne il titolo di "reale" per il collegio di Savona.
Cessato l'incarico di superiore provinciale, il vicario generale - quel G. Inghirami che era stato suo professore a Firenze - gli offrì l'assistentato generale e il provincialato di Roma, ma l'I. rifiutò. A Roma ci andò solo per chiedere e ottenere, con rescritto speciale della congregazione dei Vescovi e regolari, il titolo di ex generale onorario con tutti i diritti spettanti agli ex generali effettivi. Anche questo fatto contribuì ad alienargli le simpatie dei religiosi della sua provincia, e a ciò non fu estranea la successiva richiesta di vivere extra claustra. Da allora la sua carriera procedette lontano dall'Ordine. In compenso il governo, che nel 1848 aveva creato i collegi nazionali, lo chiamò a dirigere quello di Genova. Vi rimase sino al 1853 allorché, in sostituzione del defunto G. Torti, venne nominato "preside del Consiglio universitario" dell'ateneo genovese, carica che dal 19 ag. 1857 si trasformò in quella di rettore, in base ai nuovi statuti dell'Università.
Da tempo ormai aveva abbandonato la ricerca originale nel campo della matematica e dell'astronomia, da lui coltivato in gioventù. Dopo una memoria (Due tavole del calcolo delle anomalie vere delle comete in una sezione conica poco diversa dalla parabolica) apparsa nelle Effemeridi astronomiche di Milano del 1832, non si ha infatti più notizia di altre sue opere scientifiche. Negli anni seguenti la sua produzione consistette quasi esclusivamente in orazioni panegiriche e opere apologetiche o celebrative di scarso rilievo, ove si eccettui una Vita di Ferdinando di Savoia duca di Genova (Genova 1857) per ricordare il suo ex allievo prediletto scomparso due anni prima. All'università della quale era stato messo a capo dedicò impegno e passione, ma essa non brillava certo per prestigio né per ricchezza di dotazioni. La legge Casati del 13 nov. 1859 la indebolì ulteriormente, privandola di alcune cattedre e quasi azzerando le facoltà di giurisprudenza e di lettere.
Proprio allora l'I. cominciò a raccogliere materiali per una storia dell'Università genovese, il cui primo volume, riguardante il periodo dalle origini al 1773, fu pubblicato nel 1861: l'opera nasceva soprattutto dal timore - espresso chiaramente nella prefazione - che l'ateneo affidato alle sue cure "venisse di un tratto da mani prepotenti […] ed incaute crollato ed offeso". Il libro, pur ricco di notizie e ancora oggi strumento utile per ricostruire vicende antiche, aveva dunque il fine pratico di difendere l'istituzione genovese, di garantirne la conservazione, di promuoverne il potenziamento. Perciò era scritto in forma quasi agiografica: sottolineava con enfasi, di quell'ateneo, "il prezioso patrimonio scientifico"; insisteva sui suoi meriti e sulla sua importanza per la città e la regione; soprattutto ne celebrava l'antica fondazione e le tradizioni, travisando la realtà e contribuendo all'affermazione di una leggenda - quella relativa alle origini quattrocentesche dell'Università di Genova - destinata a sopravvivere fino ai giorni nostri.
Nel 1862-63 l'I. lavorò a una seconda parte della storia dell'ateneo, quella concernente gli anni dal 1773 al 1814, che nel 1867 sarebbe stata pubblicata postuma (e "continuata fino a' dì nostri") dall'amico E. Celesia. Nella sua lunga permanenza prima a Torino e poi a Genova non aveva mai interrotto i rapporti con la città natale: non solo vi si recava ogni anno in villeggiatura, ma non faceva mancare il proprio sostegno a iniziative che la riguardavano. Era membro della locale Società economica, e come tale nel 1838-40 si era adoperato per favorire la nascita della Cassa di risparmio di Savona. In rappresentanza della medesima Società aveva partecipato nel 1846 all'VIII congresso degli scienziati italiani svoltosi a Genova. Negli anni Cinquanta aveva sostenuto lo sforzo dell'amministrazione civica di Savona per ottenere l'apertura di un collegamento ferroviario tra la città e Torino.
L'I. morì a Genova il 18 dic. 1863.
Fonti e Bibl.: Storia della Università di Genova del p. L. I. continuata fino a' dì nostri per Emanuele Celesia, parte II, Genova 1867, pp. 394 s.; Clerici regulares provinciae Liguriae Scholarum piarum qui pie in Domino obierunt ab anno 1836 ad annum 1867, Savona 1877, n. 24; G. Picconi, Necrologia del p. L. I., Genova 1863; C. Stura, Orazione funebre del p. L. I. detta nella chiesa parrocchiale di S. Pietro in Savona il 18 febbr. 1864, Torino 1864; G.A. Rocca, L. I.Cenni biografici, Lucca 1868; Th. Vinas, Index bio-bibliographicus scriptorum Scholarum piarum, II, Roma 1909, ad vocem; G.U. Oxilia, Principi a scuola, Torino 1935, pp. 30, 35-51, 63 s., 93, 100, 103-108; F. Noberasco, Savona nel decennio 1840-1850, in Atti della R. Deputaz. di storia patria per la Liguria, sez. di Savona, XVIII (1936), pp. 261, 279, 301; L. Picanyol, Gli scolopi nella Università di Genova, Roma 1940, pp. 119-131 (con un elenco completo delle opere pubblicate dall'I.); S. Rotta, Della favolosa antichità dell'Università di Genova, in L'Archivio stor. dell'Università di Genova, a cura di R. Savelli, Genova 1994, pp. IL s.; G. Assereto, Cassa di risparmio di Savona. Centocinquant'anni di storia, Savona 1991, pp. 87 s.; T. Sarti, I rappresentanti del Piemonte e dell'Italia, Roma 1880, s.v.; Enc. biografica e bibliografica "Italiana", E. Codignola, Pedagogisti ed educatori, p. 258.