LENZI, Lorenzo
Nacque a Firenze il 27 luglio 1444 nel quartiere di S. Maria Novella, "gonfalone" dell'Unicorno, da Anfrione di Lorenzo e da Lena di Lorenzo Della Stufa.
Questo nome della madre si ricava dalle Memorie di casa Della Stufa (in Delizie degli eruditi toscani, XV [1781], p. 304), ma le "portate" ai catasti riferiscono invece, come nome di battesimo, Lucietta (Arch. di Stato di Firenze, Catasto, 706, c. 311; 814 c. 207).
La famiglia era tradizionalmente impegnata nella manifattura della lana e anche il L., rimasto orfano di padre in tenera età, prima sotto la tutela dello zio paterno Francesco e poi in collaborazione con il fratello minore, Piero, portò avanti l'azienda, che operava in stretta collaborazione con gli Strozzi e con il banco Medici. Sempre in concorso con lo zio e il fratello, intorno al 1470, il L. edificò l'elegante e imponente palazzo di famiglia sulla piazza di Ognissanti, celebrato con i suoi ameni dintorni in una elegia di Angelo Ambrogini detto il Poliziano.
La famiglia, pur senza rivestire un ruolo politico di primo piano, era presente ab antiquo nel governo cittadino e poté vantare, durante il regime repubblicano, almeno venti priori e cinque gonfalonieri di Giustizia. Anche il padre del L., morto prima del 1451, fu per due volte priore, nel bimestre gennaio-febbraio 1435 e nello stesso periodo dell'anno 1448; fece inoltre parte dei Sedici gonfalonieri nel 1436 e dei Dodici buonuomini nel 1448.
Il L. cominciò il suo cursus honorum con l'incarico di podestà di San Gimignano, per sei mesi dal 1° sett. 1473; fu poi vicario del Casentino, sempre per sei mesi, dal 6 dic. 1474; mentre le prime cariche a Firenze risalgono all'8 maggio 1474, quando fu membro dei Sedici gonfalonieri, e al bimestre novembre-dicembre 1475, epoca della sua prima elezione al priorato.
Il ruolo politico del L. nella città dovette tuttavia crescere in misura maggiore di quanto l'elenco degli uffici da lui ricoperti lasci pensare, dal momento che fu nominato, in qualità di arroto, a far parte della Balia dell'aprile 1480 (Arch. di Stato di Firenze, Balie, 31, c. 94v).
Le Balie erano organismi straordinari dotati di pieni poteri, la cui istituzione provocava immancabilmente importanti riforme: in particolare all'operato di questa si fa risalire la decisa svolta autocratica impressa da Lorenzo de' Medici il Magnifico con la creazione di veri e propri organi di regime, come gli Otto di pratica, magistratura destinata a sovrintendere alla politica estera e soprattutto come il Consiglio dei settanta, destinato a diventare gradualmente un vero e proprio Senato vitalizio.
La presenza del L. alle riunioni della Balia - di cui faceva parte lo stesso Lorenzo - segna il suo ingresso nella cerchia più esclusiva dei principali collaboratori del Magnifico; un'ulteriore prova in tale senso è la cooptazione del L. nel Consiglio dei settanta, avvenuta nel maggio 1486 (come si evince da una lettera di ringraziamento indirizzata per l'occasione dal L. a Lorenzo il Magnifico, in data 11 maggio 1486; Arch. di Stato di Firenze, Mediceo avanti il principato, 39, 488).
Il suo ingresso nella cerchia degli uomini del "reggimento" fiorentino non si tradusse immediatamente in un vistoso incremento dei suoi incarichi pubblici, anche perché a Firenze nella distribuzione delle cariche il sorteggio giocava ancora un ruolo importante; pertanto dal 1480 alla fine del regime mediceo, avvenuta nel novembre 1494, si annoverano soltanto la carica di capitano di Borgo San Sepolcro per sei mesi a partire dal 30 maggio 1484, quella di capitano di Pisa per sei mesi a partire dal 22 sett. 1493, quella di membro dei Sedici gonfalonieri dall'8 sett. 1491 e dei Dodici buonuomini dal 15 marzo 1494.
Ai primi di novembre 1494, sotto la spinta del pericolo rappresentato dalla discesa in Italia di Carlo VIII di Francia e dietro lo stimolo della predicazione di Girolamo Savonarola, il ceto dirigente fiorentino allontanò da Firenze Piero de' Medici e gettò le fondamenta di un nuovo assetto. Nello spazio lasciato dalla disgregazione del regime mediceo si inserirono il potere carismatico e la dittatura morale di Savonarola, che esercitò la sua influenza su gran parte della cittadinanza, sulla vita politica e sull'apparato istituzionale della Repubblica. Il L. entrò a far parte del gruppo più intransigente dei savonaroliani - definiti piagnoni dai loro avversari, con a capo Francesco Valori - di cui il L. divenne uno dei principali esponenti e in tal modo uno dei protagonisti della vita politica fiorentina: fu membro della Balia creata in quello stesso mese di novembre per riformare le istituzioni fiorentine in senso "popolare" e il 13 novembre fu inviato, insieme con Savonarola, Pier Vettori, Bernardo Rucellai e Benedetto Nerli, a Pisa, dove in quel momento soggiornava il re di Francia, dopo aver distribuito le sue truppe su buona parte della Toscana. Il compito degli inviati fiorentini era quello di scuotere l'animo del re con la minaccia di castighi divini e indurlo a desistere dalla sua occupazione militare. Sembra che tale ambasceria non sortisse alcun effetto, tanto che nella stessa giornata del 13 novembre fu deliberata una nuova ambasceria.
Tornato da Pisa, il L. fu designato, il 15 novembre, uno dei venti cittadini incaricati di negoziare con il re - di cui si attendeva di lì a poco l'arrivo a Firenze - le condizioni per una sua rinuncia a impadronirsi della città.
Allontanatasi la minaccia francese, il L. divenne uno degli elementi di spicco del nuovo regime, che nei suoi primi tre anni di vita fu profondamente influenzato da Savonarola; negli anni 1494-97 rivestì importanti incarichi pubblici: fece parte del Consiglio maggiore, l'assemblea basilare del nuovo regime; fu membro del consiglio più ristretto, il Consiglio degli ottanta, dal 29 luglio 1495 per sei mesi e poi dal 29 luglio 1496; fu membro dei Dieci di balia, la magistratura che sovrintendeva alla politica estera e alla guerra, dal 3 dic. 1494 e dal 3 dic. 1496. In quella veste prese parte a molte consulte - i Consigli segreti convocati per ricevere consigli sulle principali questioni politiche - inerenti, allora, soprattutto alle vie da seguire per riconquistare Pisa, che aveva tratto occasione dalla discesa di Carlo VIII per sottrarsi alla dominazione fiorentina. Anche durante il periodo in cui fu degli ufficiali del Monte, la magistratura cui spettava la gestione del debito pubblico (sei mesi a partire dal 1° marzo 1497), intervenne a diversi consigli segreti, sempre riuniti allo scopo di dibattere il problema di Pisa: i suoi interventi furono incentrati sulle misure finanziarie e fiscali finalizzate alla riacquisizione di Pisa. Nel bimestre luglio-agosto 1495 raggiunse il vertice dell'apparato istituzionale fiorentino con la carica di gonfaloniere di Giustizia.
Il 22 ott. 1495 era stato eletto per un anno tra gli ufficiali dello Studio, magistratura dell'Università che dopo la ribellione di Pisa, dove aveva sede, era stata spostata a Prato. Il L. dovette dimettersi anticipatamente dall'incarico, poiché il 1° apr. 1496 era stato estratto podestà di Pistoia.
Intanto la parabola savonaroliana era entrata nella fase discendente: sotto la minaccia di interdetto contro la città di Firenze proferita da papa Alessandro VI, buona parte del ceto dirigente fiorentino, prima entusiasta del frate, gli voltò repentinamente le spalle. Diversamente si comportò il L.: insieme con il fratello Piero e con alcune decine di altri cittadini, firmò una petizione al papa in favore di Savonarola; inoltre in occasione dei processi istruiti contro il frate non mancò di testimoniare in suo favore.
La sua carriera politica proseguì anche dopo la scomparsa di Savonarola, se pur con minore intensità: insieme con Francesco Gualterotti fu inviato ambasciatore al re di Francia Luigi XII, che si trovava a Milano, con istruzione del 18 sett. 1499 (Arch. di Stato di Firenze, Signori, Legazioni e commissarie, 23, cc. 33v-36v).
Lo scopo della missione era la presentazione delle congratulazioni al re per la sua occupazione del Ducato milanese, ma aveva anche un significato politico preciso: segnava infatti un deciso cambiamento di rotta della politica estera del governo fiorentino che, dopo anni di stretta alleanza con gli Sforza, perseguita soprattutto dal regime mediceo, si era sentito autorizzato, in seguito alla loro sconfitta per opera delle forze congiunte dei Veneziani e del re di Francia, a riavvicinarsi a quest'ultimo, nella speranza di riceverne aiuto per la riconquista di Pisa. A Milano gli ambasciatori fiorentini dovettero anche negoziare con Luigi XII un accordo sul pagamento del debito contratto da Firenze con gli Sforza nel periodo della loro alleanza militare e sulla restituzione al dominio fiorentino di Pietrasanta, Sarzana e Sarzanello, occupate dai Genovesi. Da Milano gli ambasciatori si misero in viaggio per la Francia, al seguito del re, fino a Lione, dove giunsero alla fine di novembre e si trattennero alcuni mesi. L'accordo che infine riuscirono a concludere fu giudicato da alcuni osservatori assai oneroso dal punto di vista finanziario per Firenze (Buonaccorsi), mentre per la restituzione di Pisa e delle altre località essi ottennero solo vaghe promesse; pertanto si pensò di sostituirli con una nuova coppia di ambasciatori.
Gualterotti ripartì per Firenze nel mese di aprile; il L. invece si trattenne ancora qualche tempo per attendere l'arrivo dei nuovi ambasciatori, Francesco Della Casa e Niccolò Machiavelli che, per le molte difficoltà incontrate durante il viaggio, giunsero soltanto alla fine di luglio. Per questi ultimi, che dovevano portare avanti le stesse trattative, il L. elaborò, su incarico della Signoria, un memoriale, dato in Lione il 31 luglio 1500, su quanto era stato operato da lui e da Gualterotti fino a quel momento e contenente anche consigli sul modo di comportarsi con i vari cortigiani del re, solo una parte dei quali era considerata affidabile (Arch. di Stato di Firenze, Signori, Responsive originali, 18, c. 109). Finalmente, con lettera del 14 ag. 1500, il L. annunciò al governo fiorentino l'inizio del suo viaggio di ritorno.
Dopo questa missione diplomatica non sono noti altri incarichi pubblici espletati dal L., che morì a Firenze, senza aver fatto testamento, poco prima del 18 luglio 1517, data in cui gli ufficiali del Monte disposero il passaggio della sua eredità al fratello Piero. Dal suo matrimonio con Maria di Tommaso Soderini non erano nati figli maschi.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Carte Sebregondi, 3011; Catasto, 706, c. 311; 814, c. 207; 1010, c. 207; Decima repubblicana, 21, c. 4; 165, c. 98; Signori, Responsive originali, 11, cc. 5-6, 16-26, 74-76, 111-114, 120-126, 183-193; 12, cc. 421, 441; 13, cc. 92, 96-98, 102-104, 123, 130, 140-143, 170-171, 203-205, 208, 213, 220-222, 269, 275; 14, cc. 115, 117, 120, 123-124, 137, 192-209, 220-221, 232-233, 241; 15, cc. 1, 14-15, 20, 196-197, 201-202, 211-217, 230-233, 244-258, 265-268, 345; 18, cc. 62-108, 109-138, 173-175; Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane, a cura di G. Canestrini - A. Desjardins, Paris 1859-86, ad ind.; B. Buonaccorsi, Diario de' successi più importanti seguiti in Italia, particolarmente in Fiorenza dall'anno 1498 in fino all'anno 1512…, Firenze 1973, p. 93; Consulte e pratiche della Repubblica fiorentina. 1495-97; 1498-1505, a cura di D. Fachard, Genève 1993, ad ind.; I processi di Girolamo Savonarola, a cura di I.G. Rao - P. Viti - R.M. Zaccaria, Firenze 2001, ad ind.; N. Machiavelli, Legazioni, commissarie, scritti di governo, a cura di J.-J. Marchand, Roma-Salerno 2002, ad ind.; Delizie degli eruditi toscani, XV (1781), p. 304; XX (1785), p. 420; XXI (1785), pp. 11, 85, 95, 145; C. Guasti, Delle relazioni diplomatiche tra la Toscana e la Francia, in Arch. stor. italiano, n.s., 1861, t. 14, parte 2a, pp. 58 s.; P. Villari, La storia di Girolamo Savonarola, Firenze 1888, ad ind.; L. Ginori Lisci, I palazzi di Firenze nella storia e nell'arte, I, Firenze 1972, pp. 289 s.; A. Verde, Lo Studio fiorentino, I, Firenze 1973, p. 279; III, 2, Pistoia 1977, pp. 1107 s.; G. Cadoni, Lotte politiche e riforme istituzionali a Firenze tra il 1494 e il 1502, Roma 1999, ad indicem.