LOTTO, Lorenzo
Nacque a Venezia nel 1480. Nel testamento olografo del 25 marzo 1546 il pittore si dichiara "venetiano", "de circha anni 66". Del padre Tommaso, già defunto nel 1503, si ignora la professione.
Non si hanno notizie sul suo apprendistato, che per Berenson (1895), il primo a dedicare al L. uno studio critico monografico tuttora fondamentale, avvenne a Venezia presso il muranese Alvise Vivarini. Il 16 marzo 1498 a Treviso, area di larga influenza di Vivarini, è documentata la presenza di un "maestro Lorenzo depentor", il L. forse (Liberali, 1963, p. 69). Di questo periodo è l'affresco del Monumento funerario di Agostino Onigo, nella chiesa domenicana di S. Nicolò, di moderno gusto geroglifico, attribuitogli da Biscaro (1901) e, tra opinioni diverse (un resoconto in Dal Pozzolo, 1998), confermato per coerenza di contenuti stilistici e concettuali da Trevisani (1980).
Per il vescovo Bernardo Rossi, del casato parmigiano, eseguì a carriera avviata, sotto l'ascendente di Giovanni Bellini, la Madonna col Bambino e s. Pietro Martire (Napoli, Museo nazionale di Capodimonte), firmata "L. Lotus. p.", in origine con il ritratto di Bernardo, nata per il conseguimento, il 9 ag. 1499, della sede di Treviso (Cortesi Bosco, 2000) e prossima al Dignitario con toga rossa di Vienna (Kunsthistorisches Museum), firmato sul parapetto "Laurent. Lotus p.". La sua prima opera firmata e datata ("Lotus 1500") è il S. Girolamo all'eremo (Parigi, Musée du Louvre: Cortesi Bosco, 2000, p. 75).
A Treviso è documentato in rogiti del 1503-06, utilizzati da Gargan (1980) nel delineare l'ambiente umanistico trevigiano fra Quattro e Cinquecento, animato da Rossi, da Giovanni Aurelio Augurelli, linguista, poeta e cultore dell'ermetismo alchemico, dall'amico antiquario Girolamo Bologni.
Qualificato "pictor celeberimus" dal notaio Nicolò Tempesta (aprile 1505: Gargan, 1980, doc. 11), il probabile committente delle Nozze mistiche di s. Caterina (Monaco, Alte Pinakothek), si affermò nella ritrattistica e nella pittura sacra e allegorica, con la Gentildonna di Digione (Musée des beaux-arts); con la Madonna col Bambino e santi di Edimburgo (National Gallery of Scotland), per i nobili Bettignoli Bressa (Cortesi Bosco, 2000, p. 114 n. 37; p. 119 n. 40); con l'Allegoria del sonno vigilante dell'Anima di Washington (National Gallery of art), che dipinse per se stesso, se da identificare nel piccolo "quadro de l'anima rationale" ancora suo nel 1550 (Cortesi Bosco, "Divina vigilia"(, 1992, p. 47); con il Bernardo Rossi di Capodimonte, di cui firmò (1( luglio 1505) il coperto protettivo ornato dall'Allegoria degli appetiti dell'Anima razionale, pure a Washington (Id., 2000, p. 98 n. 10). La pala di S. Cristina per l'omonima chiesa di Quinto nel contado di Treviso (oggi ricostruita) era già "depicta" il 4 maggio 1506, quando Rossi intervenne per la maggiorazione del compenso di 40 ducati (Liberali, 1963, p. 69).
Nel 1506 firmò per i battuti di Asolo la Madonna Assunta contemplata dai ss. Antonio Abate e Ludovico di Tolosa, conservata nel duomo; ritrasse il Giovane con lucerna di Vienna (Kunsthistorisches Museum); elaborò il progetto di un polittico per l'altare maggiore di S. Domenico di Recanati, vicina alla costa adriatica marchigiana, aperta alla pittura veneta. Qui il 20 giugno coi domenicani pattuì per l'opera un compenso di 700 fiorini (350 scudi d'oro), più le spese di soggiorno per sé e un servitore (Grimaldi, 1980, pp. 81 s.). Rientrato a Treviso dispose per la sua assenza (18 ottobre) che prevedeva temporanea; e il 24 novembre già attendeva in Recanati (ibid., p. 82) al grande polittico, di sei pannelli con predella, concluso nel 1508, insieme con la Madonna col Bambino e i ss. Flaviano e Onofrio (Roma, Galleria Borghese).
Descritto da Vasari (1568, pp. 250 s.) e ora ricomposto nella Pinacoteca civica di Recanati privo della predella, di cui a Vienna (Kunsthistorisches Museum) si conserva il Miracolo di s. Pietro Martire (Punzi, 2000, pp. 33-39), il polittico riunisce glorie domenicane e glorie religiose della Comunità recanatese, tesa ad affermare in particolare la fedeltà al pontefice romano (Gentili, 1985, pp. 141-154).
In questa fase il L. adotta limpide strutture architettoniche con sapiente prospettiva, conferisce un respiro nuovo al paesaggio, "realizza valori pittorici luminosi dentro forme di puro valore volumetrico, vivificate da un gioco labile ed irrequieto di riverberi e da una nervosa mobilità di contorni" (Pallucchini, 1945, pp. 66 s.). L'emulazione dei maestri si unisce a un'informazione visiva di ampio raggio, da Mantova a Vincenzo Foppa milanese, ai leonardeschi, alle novità di Albrecht Dürer e di Giorgione. L'attenzione alla vita interiore, sulle prime stimolata dalla cultura ermetica poi dalla mistica affettiva di Jean Gerson, fa tutt'uno con la perspicacia psicologica della ritrattistica, nella quale lo sguardo diretto interagisce con l'osservatore e svela l'intimo del soggetto, con amplificazioni suggerite da elementi simbolici che addensano significati reconditi. Nell'interpretare istanze spirituali la sua pittura apre su nuovi contenuti intellettuali con nuove iconografie, di particolare importanza per la storia del pensiero e dell'immaginario, elaborato con singolare attitudine speculativa. Esemplari in tal senso le due Allegorie incentrate sull'amore unitivo dell'anima razionale, in cui si saldano naturalismo e simbolismo (Cortesi Bosco, 1987, I, pp. 346-348; "Divina vigilia"(, 1992; 1998, pp. 38-40), e il capolavoro di Asolo della prima giovinezza, che possiede l'""unicità" di archetipo" (Dillon, 1980, p. 138) della pala d'altare visionaria (Gentili, 1985, pp. 118-128; Cortesi Bosco, 1990, pp. 62-69).
Terminato il polittico di S. Domenico, anziché ritornare a Treviso andò a Roma, forse invitato da Donato Bramante (Oldfield, 1984, pp. 22 s.). In un mandato di Giulio II del 7 marzo 1509 per il pagamento dei maestri (tra cui Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma, attivo "in camera Bibliothece", poi della Segnatura) 100 ducati furono per "Laurentio pictori pingenti in camera nostra" (De Zahn, 1867, p. 181; Liberali, 1963, p. 21), identificata nella camera "dell'udienza", poi di Eliodoro. Il 18 settembre il L. ebbe 50 ducati per "facere depingere cameras novas" (Zocca, 1953, p. 342 n. 14), accordo annullato di lì a breve per l'assegnazione di tutta la decorazione delle stanze a Raffaello. Gli affreschi "dell'udienza", dove avevano operato Cesare da Sesto, Luca Signorelli, Bartolomeo Suardi detto il Bramantino, furono distrutti; ma tra le cose salvate dalla "pietas culturale" dell'urbinate (Volpe, 1981, p. 131), Nesserlath (1993, p. 208) ha riconosciuto anche le chiavi d'arco di Signorelli, del Bramantino e del L., cui si deve l'Angiolino benedicente sopra la Liberazione di s. Pietro. Del secondo acconto dovette onorare l'impegno lavorando per qualche tempo per Raffaello, giusta le osservazioni di Longhi (1980) alla mostra di Venezia (1953) curata da Pietro Zampetti.
Ripreso il lavoro autonomo, per le Marche soprattutto, nel 1512 fornì la Deposizione (Pinacoteca civica di Jesi) alla Scuola del Buon Gesù nella chiesa di S. Floriano di Jesi, dei francescani conventuali: dai patti, per 125 ducati (27 ott. 1511), non risulta che l'opera dovesse avere una predella (Chevalier Matthew, 1988, p. 697). La mensa vescovile di Mantova il 5 ottobre pagò 30 ducati per "dui quadri cum figure" forniti a Sigismondo Gonzaga, cardinale legato della Marca, commissione cui forse non fu estraneo Rossi, imparentato coi Gonzaga e residente a Roma dal luglio 1511 (Cortesi Bosco, 2000, pp. 116 n. 37, 126 s. n. 57). Datata 1512 è la piccola Giuditta (Roma, Banca nazionale del lavoro) resa nota da Zampetti (1984), nel 1603 in collezione Aldobrandini (L. L.(, 1997, n. 9), dove la vide il Caravaggio. Per Recanati fornì la Trasfigurazione (Pinacoteca civica), ricordata da Vasari (p. 251) in S. Maria di Castelnuovo con la predella, di cui restano il Cristo conduce gli apostoli sul monte Tabor (San Pietroburgo, Museo dell'Ermitage; Cinquecento veneto(, 2001, n. 6) e l'Assunzione (Milano, Pinacoteca di Brera); e in S. Domenico affrescò nel 1513 il S. Vincenzo Ferrer in gloria (Cortesi Bosco, 1990, pp. 51-54).
Nel maggio 1513 fu a Bergamo. In concorso con altri artisti ottenne la commissione della grandiosa ancona, da farsi a tutte sue spese, per la chiesa dei Ss. Stefano e Domenico, finanziata per 500 ducati dal vecchio capitano della cavalleria Alessandro Martinengo Colleoni, nipote ed erede del condottiero Bartolomeo. Fu pattuita con il pittore di "fama optima" nei giorni della proclamazione della pax et confederatio tra Venezia e Francia (Cortesi Bosco - Paganini, 1983, pp. 239-249).
Il trasferimento a Bergamo fu successivo, poiché alla sublime invenzione dei due angeli in volo della pala contribuì la conoscenza di disegni dell'officina di Raffaello e degli studi per il Mosè e il roveto ardente della volta della stanza di Eliodoro, ridipinta nel 1514 (Cortesi Bosco, 1990, pp. 45 s.), studi usufruiti anche per l'anatomia classicheggiante del S. Girolamo all'eremo (Roma, Museo nazionale di Castel Sant'Angelo), in cui per altro è una notevole veduta di Castel Sant'Angelo (Lattanzi, 1983, pp. 65 s.). Tutto ciò induce a ritenere che il venir meno dell'incarico nelle stanze non allontanò il L. da Roma. Lo sforzo di assimilare quanto di congeniale gli offriva il nuovo mondo formale ne modificò lo stile: il tessuto del colore freddo e cristallino si alleggerì con un pigmento più fluido e trasparente; il movimento si sciolse articolandosi in effetti di drammatizzazione, lontani dal classicismo euritmico del Sanzio, con il quale nondimeno (come la critica ha sottolineato in più occasioni) lo scambio fu profondo. Con Raffaello e fra Bartolomeo di Paolo (Baccio della Porta) fu tra gli artefici del rinnovamento dell'immagine sacra d'indirizzo visionario, rispondendo alle aspirazioni di renovatio di gruppi spirituali ispirati dal pensiero dei mistici. Nella Trasfigurazione, confrontandosi con il Perugino del Cambio, accentuò l'esperienza visionaria del mistero trinitario, non senza il richiamo attuale al primato di Pietro, avversato dai cardinali scismatici del conciliabolo di Pisa-Milano (Cortesi Bosco, 1990, pp. 54-56).
Trasferitosi a Bergamo nell'estate 1514, attese all'esecuzione dell'ancona Martinengo in coincidenza col ritorno del governo veneto (Colalucci, Bergamo negli anni(, 1998). Col rettore Vittore Michiel ci fu per breve tempo il figlio trentenne Marcantonio, che rivisitò la città tra il 1524-25 (Cortesi Bosco, 1987, I, pp. 17 s., 79 s.) e fu il primo a menzionare le opere del L. in Bergamo (Notizia d'opere(, 1800), tra cui l'ancona, oggi smembrata. Comprendeva la pala firmata e datata 1516, ora in S. Bartolomeo, con la Madonna in trono col Bambino incoronata dagli angeli, tra santi e angeli apparatori; la predella, con S. Domenico risuscita Napoleone Orsini, la Deposizione di Cristo nel sepolcro, la Lapidazione di s. Stefano (Bergamo, Accademia Carrara); la cimasa, con l'Angelo con scettro e globo di vetro (Budapest, Museo di belle arti).
Elogiata dalla dedica del 1517 "Imaginem hanc / Coelesti potius quam terrestri manu / Depictam" (Tassi, 1793, I, pp. 118 s.), l'opera, con il festoso e allusivo apparato effimero (gli stendardi di pace, il vexillum dogale, "l'impresa" del buon governo veneziano, "l'impresa" personale del pontefice Leone X), celebrava dopo l'umiliazione di Agnadello il mito di Venezia regina attraverso la Regina celeste mediatrice di salvazione (Cortesi Bosco, 1983). Congiunto al piacere dell'elaborazione concettuale dell'immagine, nella pala si conferma, come colse Biscaro (1901, p. 156), il gusto decorativo dell'affresco Onigo. Di sensazionale modernità e complessa cultura tra romana e lombarda, tra Bramante, Bernardino Zenale e Leonardo, sebbene di un veneziano, l'opera "si stacca completamente dall'arte veneziana contemporanea" (Longhi, 1917, p. 342).
Del 1515 sono la Virgo lactans (Mosca, Museo Puškin), liberata da ridipinture (Bergamo(, 2001, n. II.5) e il doppio ritratto dell'ottantenne medico bergamasco Giovanni Agostino Della Torre col figlio Nicolò (Londra, National Gallery), quest'ultimo sfigurato da replicati "restauri" (Cortesi Bosco, Il ritratto di Nicolò della Torre(, 1981, pp. 318-320), opere che ne misurano la crescita come pittore della realtà. Del 1517, anno privo di notizie, è la Susanna e i vecchi giudici (Firenze, Galleria degli Uffizi), primizia della sua vena narrativa.
Trentottenne, nel 1518 si stabilì a Bergamo, con alloggio e officina in vicinia S. Michele al Pozzo Bianco, e avviò uno dei periodi più fecondi della sua carriera, dipingendo per professionisti, per la nuova borghesia mercantile cittadina e la nobiltà locale, rappresentate nel Consiglio del Comune e nelle istituzioni confraternali, che già disponevano dei bergamaschi Andrea Previtali e Giovanni Cariani, di formazione veneziana. Del 1518 sono la Madonna col Bambino e s. Giovannino (Dresda, Gemäldegalerie), intinta di leonardismo, e la Natività (Venezia, Gallerie dell'Accademia), molto deperita, identificabile nel "quadro della Natività nel qual el puttino dà lume a tutta la pittura" visto da Michiel (p. 52) in casa di Domenico Tassi del Cornello, cavaliere apostolico, col ritratto di lui, nonché la "memoria" dello scavo delle fondazioni (1518) della sua nuova casa (Cortesi Bosco, 2002, p. 30 n. 29); del 1521 è il Congedo di Cristo dalla Madre (Berlino, Staatliche Museen, Preussischer Kulturbesitz, Gemäldegalerie), per Elisabetta Rota consorte di Domenico Tassi, ritratta sulla scena evocata dalla sua stessa immaginazione devota, affettiva e compassionevole (Id., La letteratura religiosa(, 1976, pp. 11-16; 2002, pp. 14 s.).
Sensi teologici e mistici addensa la visionaria paletta della Ss. Trinità (1519-20) per i disciplini bianchi, ora nel Museo diocesano, con l'inedita iconografia del Dio nascosto nella "tenebra luminosa" e del Cristo di misericordia (Id., 1991, pp. 15 s.) che trasvola su nubi iridate un paesaggio; "nello sfuggimento di boschi con raggi del Sole che per entro lampeggi(a)no" (Lomazzo, 1584, p. 474), questo si radica - come vide Longhi (1929, p. 116) - nella tradizione del naturalismo lombardo.
Del capolavoro della pala di S. Bernardino (1521), tuttora al suo posto nella chiesa di borgo S. Antonio, Michiel (p. 51) per primo colse la novità dei "4 angeli in aria, che scurzano e sostentano uno panno sopra le teste delle figure, con el puttino de sotto che scrive"; in essa e nella pala per la cappella dei mercanti Angelini Marchetti nella vicina chiesa di S. Spirito dei lateranensi (Cortesi Bosco, Il ritratto di Nicolò della Torre(, 1981, pp. 321 n. 2, 322 nn. 6-7) la struttura concettuale intreccia i contenuti dottrinali con i devozionali (Colalucci, L. L., e altri(, 1998).
La pala di S. Spirito (1521) fu il suo omaggio alla memoria di Raffaello, la cui morte (6 apr. 1520) avvenne durante il quaresimale a Bergamo di don Pietro da Lucca, il canonico lateranense divulgatore della mistica affettiva di Gerson e "figlio spirituale" della "santa viva" Elena Duglioli dall'Olio, la committente dell'Estasi di s. Cecilia, cui la pala si ispira (Cortesi Bosco, 1990, pp. 72-74; 2002, pp. 28 s. n. 24).
Nel 1522 firmò il polittico di Ponteranica, in sei pannelli, per la Scuola del Ss. Corpo di Cristo e dei Ss. Giovanni Battista e Evangelista nella parrocchiale, tuttora in loco, la cui cornice, distrutta, fu dorata avanti la Pasqua. In esso, il collegamento del tema eucaristico salvifico al magistero apostolico della Chiesa non ignora le dottrine e le critiche antiromane di Lutero (Id., 1984, pp. 73, 79 s.; 2002, pp. 17, 27 n. 23). Del periodo sono la Madonna col Bambino tra i ss. Rocco e Sebastiano (Ottawa, National Gallery of Canada) per il chirurgo Battista Cucchi (Id., Un amico bergamasco(, 1981); la S. Caterina d'Alessandria (Washington, National Gallery of art); e la Madonna col Bambino e i ss. Giovanni Battista e Caterina d'Alessandria con lo scoiattolo (Bergamo, collezione Palma Camozzi), un esempio tipico delle sue allegorie devozionali, cristologiche e spirituali, nonché del processo di prefigurazione concettuale e dell'uso della metafora (Gentili, in L. L.(, 1997, p. 39; 2000, pp. 7-9).
Per la quaresima del 1523, per la nuova cappella della Scuola del Ss. Corpo di Cristo e di S. Giuseppe in S. Alessandro in Colonna fornì la paletta a tempera della Pietà, giudicata da Michiel (p. 48) "opera molto affettuosa" (Cortesi Bosco, La letteratura religiosa(, 1976, pp. 16-18; 2002). Per il ministro della Scuola Antonio Agliardi, ingegnere e deputato alla Milizia, avviò in giorni di emergenza bellica e di maltempo il ritratto con la moglie Apollonia Cassotti, identificato nei Coniugi con l'"impresa" dello scoiattolo dell'Ermitage (Id., 1993), moderno ritratto di coppia come il precedente per il matrimonio di un fratello di Apollonia, il "miser Marsilio e la sposa sua con quel cupidineto" (Madrid, Museo del Prado), datato 1523 ed elencato tra i quadri dipinti per il mercante Zanin Cassotti (Cunto( Zanin Casoto, 1524, in Chiodi, 1968); a Marsilio nel 1524 fornì la Madonna col Bambino, s. Caterina d'Alessandria e santi (Roma, Galleria nazionale di arte antica a Palazzo Barberini).
Fin dal 1516, per opere di cui resta testimonianza nelle fonti e nei disegni, l'"excellente pittor" fu in contatto con il Consorzio della Misericordia di Bergamo (Cortesi Bosco, 1987, I, pp. 201 s.), il maggiore ente caritativo laico cittadino che aveva la cura della cappella civica di S. Maria Maggiore. Per l'altare fornì modelli e disegni di un'ancona in rame dorato e argento, pagati al "pictor famosissimus" 100 lire imperiali (luglio 1521); l'opera nel 1525 fu interrotta per l'inadeguatezza degli artefici (ibid., pp. 17 s., 202). Nel 1522 sotto la direzione dell'intarsiatore Giovan Francesco Capoferri di Lovere e con la collaborazione per la carpenteria e l'intaglio di Giovanni Belli di Ponteranica, si avviò il nuovo coro dei cappellani, formato da due ali di tredici sedie ciascuna con schienali a intarsio, entro un recinto con quattro grandi pannelli istoriati sul fronte verso la chiesa. Per il modello si consultò l'architetto Bernardino Zenale (ibid., pp. 18 s.).
Tra le fonti documentali del coro, di cui Michiel (p. 49) ricordò "li disegni" di mano del L., vi sono il Liber fabrice chori (edito in Cortesi Bosco, 1987, II, pp. 33-83) e le Lettere (ibid., pp. 7-26) che indirizzò alla Misericordia. Innovando la tradizione della tarsia, per i soggetti propose l'adozione di "storie" bibliche, con exempla edificanti di virtù e di vizio. La scelta e la stesura delle loro "inventiones" fu affidata al teologo francescano Girolamo Terzi. Ottenuto l'incarico dei modelli (marzo 1524) suggerì di ornare i coperti protettivi delle tarsie bibliche con "imprese": nel comporsi del registro narrativo con quello simbolico, esse avrebbero velato concetti d'indirizzo morale e spirituale orientati dal significato esegetico delle "storie". Il lavoro di ideazione lo impegnò fino al 1531. Per l'uso dei modelli, che riebbe nel 1532, e per le "imprese" percepì in tutto 58 ducati.
Nel 1531 il coro fu messo in opera, ma solo le quattro grandi tarsie verso la chiesa, Arca di Noè, Sommersione di faraone, Giuditta, Davide e Golia, furono abbinate ai coperti, come lo sono ancor oggi. Nelle sedie dei cappellani si fissarono le "imprese" avendo deciso di ornare con le tarsie bibliche i postergali dei banchi del celebrante e dei laici nella cappella maggiore (realizzati negli anni 1553-55). La separazione annullò il senso unitario della sua "Bibbia" (che è stato possibile recuperare, con la ricomposizione degli abbinamenti: ibid., I, pp. 317-496), testo fra i più alti per originalità, qualità concettuale ed estetica del Cinquecento, nato dal sodalizio con Capoferri che inverò nei legni le sue creazioni interpretandole con straordinaria sensibilità e stupefacenti risorse tecniche (ibid., pp. 180-201). Col proprio ritratto e con quello dell'intarsiatore nell'"impresa" di Giuseppe venduto dai fratelli firmò la loro collaborazione (ibid., n. 17). A sua volta La Vergine e s. Giuseppe in adorazione del Bambino (Washington, National Gallery of art), fu un munus amicitiae per il maestro di legname Belli (Cortesi Bosco, 2002, p. 27 n. 23).
Nell'estate 1523 - ricordata per piogge torrenziali e esondazioni -, saldato l'affitto di 60 ducati con le Nozze mistiche di s. Caterina d'Alessandria, un angelo e il donatore Nicolò Bonghi (Bergamo, Accademia Carrara), si trasferì a Trescore nel Bergamasco per decorare l'oratorio della dimora di campagna dei Suardi, intitolato alle Ss. Barbara e Brigida, protettrici dai fulmini e dalla grandine. A sollecitare la decorazione - il cui programma si deve a Battista Suardi, colto gentiluomo in rapporto con vari esponenti dell'umanesimo italiano (Id., 1995, pp. 8-19), già membro della Misericordia - fu il panico diffuso in Europa di un diluvio nel febbraio 1524 per effetto della grande congiunzione di Saturno e Giove nei Pesci, che nemmeno la tranquillizzante previsione del famoso astrologo Paolo di Middelburg riuscì a mitigare (Id., Gli affreschi(, 1980, pp. 3-7; 1997, pp. 11-13; 2001, nn. 12, 13); come molti, Suardi interpretava la minaccia del cielo quale segno della collera divina per il diffondersi dell'eresia "luterana" veicolata in Lombardia dalle truppe mercenarie. Trescore era sul loro percorso.
Sulla parete sinistra dell'oratorio affrescò la Storia di s. Barbara che, con notazioni argute e aperture paesistiche di mirabile freschezza e trasparenza, si snoda in cinque sequenze di quattro episodi ciascuna, nei moduli teatrali di una "sacra rappresentazione", rara testimonianza della sua struttura scenica. Saldando il registro narrativo devozionale al dottrinale col tema della fede in Cristo e la sua Chiesa, sovrappose alla passio di Barbara un grande Cristo vite ai cui piedi effigiò "in abisso" Battista Suardi, la consorte Orsola Federici, la sorella Paola. Coi tralci che si diramano dalle dita del Cristo e formano girali con santi proseguendo illusivamente sul tetto a vista, trasformò lo spazio in una simbolica pergola, con putti vendemmianti tra cartigli con versetti biblici; ai lati, mostrò Girolamo e Ambrogio che dalla vinea Domini respingono l'attacco degli eretici, individuati da iscrizioni, con impliciti riferimenti alla bolla Exsurge Domine di Leone X (1520) e alla controversistica antiluterana, da cui il riconosciuto interesse storico del ciclo (Firpo, 2001, pp. 255 s.). Sulla parete destra, entro un finto telaio architettonico, con oculi nella trabeazione dai quali si affacciano Profeti e Sibille, inquadrò i Miracoli di s. Brigida con al centro Il maltempo allontanato che fa da sfondo all'Autoritratto con panioni e civetta. Nell'ostendere la trappola per l'uccellagione, metafora dell'insidia dell'eresia da cui guardarsi in relazione al "maltempo", e volgendo lo sguardo a Cristo vite, testimoniò il personale impegno intellettuale nella crisi religiosa della Riforma. Con l'avallo di Suardi, temperò la gravità del contesto alludendo con un'altra "pioggia" al proprio cognome, l'alchemica urina (Lot) di uno spiritoso puer mingens sopra l'Autoritratto (Cortesi Bosco, 1997, pp. 24-26), un motivo classico contaminato con l'immaginario metaforico della cultura ermetica alchemica, alla quale si era accostato nella Treviso di Augurelli e a Bergamo coltivata dal giurista Giovan Maria Rota, membro della Misericordia (Id., 1995, pp. 20-29), la stessa cultura che permea un'"impresa" consegnata nell'agosto per l'ingresso del coro, la Nutrizione del lapis, allusiva alla "trasmutazione" spirituale (Id., 1987, I, n. 15).
Rientrato a Bergamo, nel 1525 fornì ai nobili Brembati il Gentiluomo con zampino leonino d'oro (Vienna, Kunsthistorisches Museum), identificato in Leonino, marito di Lucina Brembati, già effigiata nella Gentildonna con notturno lunare (1522 circa) dell'Accademia Carrara (Gentili, 1989); e il Giovanetto con libro (Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco), il loro figlio diciassettenne Girolamo che il 10 giugno 1525 sposò Caterina di Pietro Suardi (Cortesi Bosco, La Luna accanto al Sole(, 1992, p. 16 n. 4); a lui presumibilmente era destinata la Venere con Cupido mingente ora al Metropolitan Museum of art di New York, quadro matrimoniale (Christiansen, 1986) di cultura ermetica (Cortesi Bosco, 1994; 1997, p. 25), che innova il modello lombardo della Venere di Bernardino Luini (Milano, collezione Gerli), col quale il L. ebbe rapporti di scambio (Cortesi Bosco, Gli affreschi(, 1980, p. 145 n. 69; 2002, p. 34 n. 41).
Negli anni bergamaschi, instaurata una "pacifica supremazia pittorica", per il L. "non ci fu termine di paragone o legge di gusto a cui occorresse conformarsi" (Banti, [1953], p. 24). Nella ritrattistica, libera e innovativa nelle posture degli effigiati, le verità e diversità psicologiche, il vissuto di ciascuno o della coppia, "l'eccezione di ogni vivente" (ibid., p. 25), si amplificarono in sempre nuove risonanze per la presenza nell'ambientazione domestica, o simbolica, di dettagli connotativi, oppure insoliti e allusivi che, nel suggerirne identità e messaggi, sollecitavano la mente dell'osservatore coll'intreccio di tradizione naturalistica e gioco intellettuale dell'"impresa", di cultura antiquaria, di poesia e mito.
Alle opere per i Brembati seguì la decorazione della cappella del Consorzio della Vergine in S. Michele al Pozzo Bianco. Il ciclo presenta, nella cupola, l'Eterno con angeli, nelle lunette, la Nascita della Vergine (al centro), la Presentazione al tempio e sposalizio (a destra), l'Annunciazione (a sinistra), sul fronte esterno, la Visitazione. Ebbe l'incarico dal ministro Girolamo Passi (Barbieri, Specchio di virtù(, 2000, pp. 38 s.), presidente della Misericordia quando il 6 ottobre gli scrisse dalla vicina Credaro circa gli affreschi da completare (Lettere, 2). Qui decorò un'edicola esterna alla chiesa di S. Giorgio, edificata per un voto della Comunità a s. Rocco. Il 26 ott. 1540 il vescovo Pietro Lippomano fu ben impressionato dalla cappella, "pictam manu D. Laurentij Loti ubi videtur imago S. Georgi aggredientis draconem mire pulchritudinis" (Barbieri, 2002, p. 136): in origine nel timpano, il S. Giorgio e il drago fu trasferito nella chiesa in seguito a manomissioni di cui gli affreschi hanno risentito; questi raffigurano, nella volta, Dio Padre che allontana le nubi, al centro, la Natività coi ss. Rocco e Sebastiano, ai lati, su due registri, Santi.
Pressioni antropologiche - la mortalità causata da epidemie nell'uno, nell'altro la preoccupazione della sterilità e dei frequenti decessi per parto che insidiavano il ruolo naturale della procreazione nel matrimonio - accomunano i due cicli, studiati nei contenuti e contestualizzati storicamente da Barbieri, che pure ha rilevato elementi compositivi tratti da Raffaello, interpretati in S. Michele in modo personale e innovativo nel rifarsi per la Presentazione al tempio e sposalizio allo schema a scena multipla della Liberazione di s. Pietro nella stanza di Eliodoro (Gli affreschi(, 2000, pp. 49-54; Specchio di virtù(, 2000, pp. 91-95). Nell'esaltare il ruolo sociale della maternità, la condizione della donna appare "molto dignitosa, quasi una eccellenza sull'uomo, per la maggior propensione alle opere e per la profondità della fede" (ibid., p. 147). Nell'orizzonte francescano della religiosità del sodalizio di S. Michele si collocano le metafore, i simboli, i messaggi allusivi che pongono al centro del ciclo le principali dottrine della mariologia: l'immacolata concezione, la perpetua verginità, il ruolo di corredentrice della Vergine, allo scopo "di ribadire le speciali prerogative di Maria in un periodo in cui la Riforma protestante cominciava a metterle in discussione" (ibid., p. 142); proprio nel 1525 Lutero sollecitava in un sermone l'eliminazione delle festività e celebrazioni della Vergine, tutte pratiche che sminuivano il primato di Cristo (Gli affreschi(, 2000, p. 68 n. 27).
Il 22 apr. 1525 fu a Jesi per il secondo acconto della pala del Martirio di s. Lucia (Pinacoteca civica), pattuita l'11 dic. 1523 per 220 ducati con la Scuola di S. Lucia in S. Floriano, dov'era la Deposizione (Cortesi Bosco, 1996, p. 16).
Il 20 dic. 1525 si trasferì a Venezia (Lettere, 3) da cui mancava da oltre vent'anni. Alloggiò sul principio presso i domenicani dei Ss. Giovanni e Paolo che il 26 genn. 1526 gli concessero un locale dove poter dipingere (Frizzoni, 1896, p. 50 n. 1); poi, lasciatili nel luglio (Lettere, 6: Cortesi Bosco, 1987, I, p. 158), abitò non lontano, in una casa dei Ruzini a S. Marina "in Corte da cha Marcello", con governante, domestica e garzone (Id., 1998, pp. 8, 11, 18-20).
La decisione di rimpatriare, cui contribuì forse l'apprezzamento di Michiel delle opere a Bergamo, non fu improvvisa: per tempo si era procurato commissioni per le Marche. Il 22 febbr. 1527 doveva condurvi "opere finite" e di altre "contrastare mercato" (Lettere, 11), riferendosi presumibilmente al trittico di cui restano l'Angelo annunziante e la Vergine Annunziata (Jesi, Pinacoteca civica) per la cappella gentilizia dei Ghislieri in S. Floriano, protettori del convento e membri della Scuola di S. Lucia (Cortesi Bosco, 1996, pp. 24-26, 34, 44 s., 53-55); e al contratto della grande Crocifissione per la chiesa di S. Maria in Telusiano di Monte San Giusto, di patronato del vescovo di Chiusi Nicolò Bonafede (ibid., p. 34).
Qui ritiratosi dopo aver servito cinque pontefici, Bonafede ne aveva intrapreso il rifacimento secondo un progetto unitario di arredo liturgico, che comprendeva la sepoltura per sé e i familiari. L'opera, tuttora nell'ancona originale, fu eseguita a Venezia e ritirata da commessi del vescovo, pur mancando il ritratto di Bonafede che il L. finì sul posto, verosimilmente entro il 12 sett. 1529, giorno della consacrazione della chiesa e dell'altare a S. Maria della Pietà. Di altissima tensione drammatica, la Crocifissione attualizzava l'evento storico della Croce e le sofferenze di Maria con l'insolita iscrizione "Caes(ar) Aug(ustus)" sul vessillo, allusiva ai lanzichenecchi luterani di Cesare, alle inaudite sofferenze inflitte col sacco di Roma alla Mater Ecclesia (ibid., pp. 31-34, 40; Giordano, 1999).
Il 15 luglio 1527 imbarcò due pale con le loro ancone (Lettere, 13, 16): per la Scuola dei mercanti nell'oratorio di S. Giorgio di Recanati, l'Annunciazione (Pinacoteca civica) e, per gli osservanti di S. Francesco al Monte di Jesi, la Madonna col Bambino e i ss. Giuseppe e Girolamo e la lunetta con S. Francesco riceve le stigmate e s. Chiara ora nella Pinacoteca civica (Cortesi Bosco, 1996, pp. 35 s.). Datata 1527, inoltre, è l'Assunta di S. Maria di Celana nel Bergamasco.
Del 1526 sono il Cristo Portacroce del Louvre (Zampetti, 1984, p. 173; L. L.(, 1997, n. 27) e il Fra Marcantonio Luciani (Treviso, Museo civico), economo e memorialista dei Ss. Giovanni e Paolo (Cortesi Bosco, 1987, I, pp. 158 s.), già priore nel 1524 di S. Nicolò a Treviso.
All'arrivo di Iacopo Sansovino a Venezia, scampato al "sacco e flagello di Roma", esortò i reggenti della Misericordia ad approfittarne per l'opera dell'ancona di S. Maria: "in Roma et Firenza è grande homo dopo Michel Agnolo", "nele architecture e sculpture excellentissimo et phamoso" (Lettere, 15-16, del 5 e 12 agosto); ma essi, gravati da guerra, carestia e peste, non conclusero nulla (Cortesi Bosco, 1987, I, p. 44; 1998, pp. 33 s.).
Il 1( apr. 1528 sottoscrisse il testamento di Sebastiano Serlio (Olivato, 1971). Come per Sansovino (Puppi, 1981, p. 396), la conoscenza dell'architetto bolognese doveva risalire a soggiorni romani (Cortesi Bosco, Gli affreschi(, 1980, pp. 86 s.) e poté proseguire favorita dal collezionista di anticaglie Andrea Odoni (Id., 1998, pp. 48 s.), al quale nel 1527 fece il ritratto ora nelle collezioni reali di Hampton Court. Archetipo del ritratto di collezionista, non meno denso di significati di quanto lo sia di cultura antiquaria (Coli, 1989), l'Odoni è ricordato nel 1532 da Michiel (p. 62). Del 1527 è pure il ritratto del settantenne vescovo Tommaso Negri (Spalato, monastero delle Paludi), la cui carriera diplomatica dedicata alla lotta contro il Turco fu riconosciuta con onori dalla Serenissima (Coli, 1987-88).
Ignoto è il destinatario della tavoletta di devozione privata col Bagno di Gesù Bambino (Siena, Pinacoteca nazionale), in cui son destinati a sollecitare una riflessione l'unicum del cordone ombelicale del neonato e le mani rattrappite di Salome, l'ostetrica incredula della verginità di Maria post partum, dettagli in relazione con la profanazione delle reliquie durante il sacco di Roma, tra cui l'umbilicus di Gesù (Arasse, 1981, pp. 368 s.), e con la diffusa infirma fides (Cortesi Bosco, 1987, I, p. 474).
Per l'altare della Scuola dei mercanti del Carmine datò nel 1529 il S. Nicola in gloria tra i ss. Battista e Lucia, la prima opera destinata a un luogo pubblico della sua carriera veneziana e ancora al suo posto (L. L. (, 1997, n. 29). Nel 1528-29, sebbene avesse "la mente molto travagliata da varie et strane perturbatione" (Lettere, 29), concluse la Madonna col Bambino incoronata da un angelo e i ss. Caterina d'Alessandria e Tommaso (Vienna, Kunsthistorisches Museum; L. L.(, 1997, n. 31) - "vero razo de splendor" (Boschini, 1660, p. 303) - dal colorismo freddo, luminoso, arioso, ammorbidito da ombre lievi, stimolato dal rinnovato incontro con la Rosenkranzfest di Dürer, morto come Iacopo Palma nel 1528. A essa contemporanee sono il Putto che incorona un teschio ad Alnwick Castle (collezione del duca di Northumberland) e l'Apollo addormentato in Parnaso abbandonato dalle muse e dalla Fama (Budapest, Museo di belle arti), "solitario ribaltamento del mito apollineo" (Gentili, 1981, p. 420).
A Bonifacio Veronese offrì spunti e materiale per il S. Michele scaccia Lucifero della cappella Cavalli nei Ss. Giovanni e Paolo, ora nell'oratorio del Rosario (Cortesi Bosco, 1998, pp. 42-46), e nel 1529-30 dipinse la Sacra Famiglia con s. Giustina dell'Ermitage (Cinquecento veneto(, 2001, n. 14) di cui replicò la composizione nella Sacra Famiglia con s. Caterina (1533) dell'Accademia Carrara. Di questi anni sono l'Adultera del Louvre (L. L.(, 1997, n. 30); la poesia di "sottile ironia" (Berenson, 1955, p. 100) della Venere scacciata da Castità con Cupido castigato (Roma, collezione Rospigliosi Pallavicini); l'Adorazione dei pastori con angeli (Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo), di cui è emersa la firma e la data 1530 da una pesante "pulitura" (Da Raffaello(, 2004, n. 4); il ritratto di Giovane gentiluomo (Venezia, Gallerie dell'Accademia); il Giovane con lettera della collezione Crespi di Milano, il Gentiluomo della galleria Borghese.
Il 25 genn. 1531 consegnò le ultime "imprese" del coro di Bergamo (Lettere, 32). Del Martirio di s. Lucia il 6 febbraio la Scuola jesina gli doveva ancora poco più di 62 ducati ed ebbe la tavola nel 1532 (Cortesi Bosco, 1996, pp. 42 s. e n. 87).
Analogamente alla giovanile Trasfigurazione, nel capolavoro della S. Lucia gli episodi salienti della passio della martire siracusana, irremovibile nella fede, si svolgono in sequenza narrativa tra predella e pala: un bilanciere, simbolo del Tempo, segnala la transizione dall'una all'altra e viceversa (Id., 1984; 1987, I, p. 429).
Vasari, che del L. non conobbe le opere bergamasche, né quelle di Jesi e di Monte San Giusto, nondimeno ne colse le doti di ritrattista, l'inventiva nel paesaggio, il luminismo dei notturni e la verità domestica e affettiva della pittura di devozione nei "molti quadri e ritratti che in Venezia sono per le case de' gentil'uomini" (p. 249), dall'Odoni alla perduta Natività "finta di una notte" (p. 250) col ritratto di Marco Loredan, alle pale del Carmine e dei Ss. Giovanni e Paolo.
Il 25 marzo 1531, sui cinquantun anni, stese di suo pugno il primo testamento (Cortesi Bosco, 1998, pp. 8-10) che consegnò il 21 aprile al notaio. Avendo pochi parenti non stretti e benestanti, lasciava erede l'"ospitale de poveri di Jesu Christo a San Joannepolo", un ricovero allestito in seguito alla carestia del 1528, cui soprintendeva il patrizio Girolamo Cavalli (ibid., pp. 28-31). Desiderava la sepoltura fra i conversi dei Ss. Giovanni e Paolo con l'abito dei domenicani. Indicò Bonifacio Veronese per eventuali dipinti da completare; gli amici Serlio e Paolo Vitalba, intagliatore di corniole, per periziare e valutare le cose da vendere: "cartoni grandi" di opere fatte o da fare, medaglie, cammei, un "Laocoonte de cerra con li soi do figlioli", "quadreti fiamengi finiti" e altri suoi; infine "li modelli del Coro [(] zoè istorie del testamento vechio collorite in carta a guazo", che gli dovevano restituire e potevano valere 125 ducati.
Con Tiziano e Bonifacio, il 29 settembre ebbe da amministrare parte di un lascito di Vincenzo Catena per i poveri e per la dote di cinque figlie di maestri indigenti della Scuola dei pittori. Diversamente da Catena e altri colleghi, variamente provveduti di fonti di reddito, il L. fu sempre e soltanto "mercenario de le proprie fatiche" (Lettere, 30). Entro l'anno lasciò l'alloggio di S. Marina (Cortesi Bosco, 1998, pp. 35, 73) e fu ospite alla Trinità del priore Andrea Lippomano, fratello del vescovo di Bergamo Pietro, sostenitore dei nuovi movimenti caritativi e religiosi (ibid., pp. 35 s.). Da qui il 6 marzo 1532 inviò l'ultima lettera ai reggenti della Misericordia (Lettere, 39).
L'attribuzione al L. del frontespizio della Bibbia, edita a Venezia nel maggio 1532 da Luc'Antonio Giunta nella traduzione di Antonio Brucioli, sull'esempio delle edizioni dei protestanti (Romano, 1976; Cortesi Bosco, A proposito del frontespizio(, 1976), confortata dall'amicizia con Gian Maria figlio di Luc'Antonio, e ritenuta, non senza forzature e semplificazioni, un indizio delle sue simpatie per la Riforma (per un resoconto, Firpo, 2001, pp. 9-11, 19 s., 30), non ha retto alla verifica dello stile e al confronto con le invenzioni bibliche per il coro bergamasco, orientando verso Domenico Campagnola, attivo per l'editoria e in contatto col L. (Cortesi Bosco, 1987, I, pp. 175, 433 s., 462), al quale può essere riferita l'invenzione dell'impresa editoriale, inaugurata da Giunta nel febbraio 1532 con il Tito Livio curato da Erasmo (Id., A proposito del frontespizio(, 1976, p. 42).
In un soggiorno a Treviso, il 29 agosto in casa dell'orefice Antonio Carpan (Gargan, 1980, doc. 16) vendette al trevigiano Giovanni dal Savon per 70 ducati, da dare all'ospedale dei poveri, il Laocoonte di cera, un Inferno, due S. Girolamo, un S. Cristoforo; alla circostanza può collegarsi l'esecuzione del Triplice ritratto di orefici (Vienna, Kunsthistorisches Museum), che Grabski (1981, pp. 385-387) ha associato ai tre fratelli Antonio, Vettore, Bartolomeo Carpan orefici trevigiani (Cortesi Bosco, 1998, p. 37). Rientrato a Venezia, nell'autunno inverno, fornì il Ritratto di gentildonna come Lucrezia (Londra, National Gallery), che si ritiene Lucrezia Valier sposa il 19 genn. 1533 di Benedetto Pesaro (ibid., p. 36). Il 15 gennaio in casa del "piovan de San Moisé" stese un codicillo, consegnato il 28 al notaio, in favore della giovane domestica, alla quale già nel testamento desiderava si trovasse un posto presso "persone dabene spirituali" (ibid., p. 9): nei tre anni e mezzo che stette con lui l'aveva cresciuta "in loco de figliola", ora, avendo "dispensato" la maggior parte delle sue sostanze "per sequestrar[si] dal mondo", disponeva che dopo la sua morte o la "desiderata sequestrazione a lochi quieti" la si maritasse e le si dessero in dote certi denari e masserizie (ibid., pp. 11 s.).
Il desiderio di sequestrarsi dal mondo, evocato dai romitaggi del S. Girolamo all'eremo (Venezia, collezione privata) e del Ritratto di eremita già a Wilton House (ibid., p. 41), riportò il L. nelle Marche, terra di romiti. Ma l'esigenza creativa finì col prevalere. Lavorò alla grande tela del S. Cristoforo tra i ss. Rocco e Sebastiano, protettori dalle epidemie, vista da Vasari (p. 252) nella basilica della Santa Casa di Loreto, ora nella Pinacoteca del Palazzo apostolico; alla Visitazione (pala) e Annunciazione (lunetta), ancora per S. Francesco al Monte di Jesi (Pinacoteca civica); al capolavoro del Gentiluomo sulla terrazza (Cleveland, Museum of art).
Le date di incerta lettura di queste due opere (Berenson, 1955, pp. 126, 215) sono compatibili con il 1534 la pala e il 1535 il ritratto (Cortesi Bosco, 1998, p. 42 n. 80). Quest'ultimo è anche l'anno della pala per S. Agostino di Fermo, la Madonna col Bambino in gloria e santi, ritrovata da Zampetti a Roma in collezione privata, e della Madonna col Bambino in gloria e santi in S. Martino di Caldarola dell'esordiente Durante Nobili, che fu aiutato dal L. (Zampetti, in L. L.(, 1981, p. 324 e nn. 80, 82). Probabilmente da Fermo, nell'agosto 1535 si recò a Jesi per un'ancona per il palazzo dei Priori, che poi interruppe (Mozzoni - Paoletti, 1996, pp. 42 s. n. 61).
Nel 1536-38 si collocano la Sacra Famiglia con la famiglia del Battista e angeli del Louvre, sull'agnizione della divinità di Gesù, che il L. replicò nella tela ora a Loreto (Palazzo apostolico) e la grande tavola resa nota da Zampetti (1957) della Venere alla toletta con le Grazie e amorini (Bergamo, collezione privata), i cui ricordi romani di una famosa statua di Venere al bagno dei Della Valle sono in sintonia col frammento "antiquario" inserito nel Ritratto di gentiluomo (Roma, Galleria Doria-Pamphili), firmato (Morelli, 1897, pp. 315 s.), che reinterpretava l'"impresa" di Amor sulla bilancia (1524) per il coro di Bergamo (Cortesi Bosco, 1987, I, n. 14). Lo stile del ritratto è prossimo al Ritratto di ecclesiastico di collezione privata attribuitogli da Mauro Lucco (L. L.(, 1998, n. 18: ripr. ibid., p. 64).
Il 1( ag. 1538 in Ancona, nella chiesa di S. Agostino, Simone di Giovannino Pizoni gli allogò per 80 scudi la Madonna col Bambino incoronata dagli angeli e santi (Micaletti, 1992), vista da Vasari (pp. 251 s.), ora nella Pinacoteca civica; in essa il nobile anconetano affidò all'alabarda, rovesciata e spezzata, dell'eponimo s. Simone, la memoria della fine della tirannide del legato pontificio e il ripristino delle prerogative nobiliari (ibid., pp. 23 s.). Nel 1539 fornì alla Compagnia del Rosario in S. Domenico di Cingoli la monumentale Madonna col Bambino che consegna il rosario a s. Domenico tra santi, angeli, e quindici "misteri" del rosario (Pinacoteca civica), opera capitale dell'iconografia e devozione mariana. Il lancio di petali di rose dei due angiolini ai piedi del trono è l'icona della sua immaginazione poetica nutrita di verità.
In ambedue le pale, di un L. "vero e semplice di forma", Longhi colse esiti precaravaggeschi (1929, pp. 117 s.). La luce rivela e plasma le cose, come fattore non di accordo cromatico tonale bensì di pura evidenza ottica e chiarezza percettiva, esaltando i valori timbrici del colore, limpido, freddo, brillante, nella linea della tradizione lombarda e fiamminga.
Agli Anziani di Cingoli, che sin dal 27 febbr. 1537 si erano impegnati a contribuire alle spese con 40 fiorini (Appignanesi, 1986, p. 453), da Macerata (14 ottobre) il L. sollecitò il saldo della pala, dovendo "levar[se] de la provincia" per "repatriar[se]" (Aikema, 1981, p. 451), a chiusura di un soggiorno di cui poco si conosce della produzione devozionale e ritrattistica.
Ritornato a Venezia, iniziò un nuovo libro di conti, che ci è pervenuto, eccezionale documento degli ultimi diciassette anni di attività del pittore, la cui produzione è per gran parte perduta. In esso la registrazione di pitture fatte a diversi, l'acquisto di materiali, di debiti e crediti, segue la partita doppia alla veneziana; la prima è intestata il 31 genn. 1540 a Mario d'Armano (Libro di spese diverse, 2003, c. 77): la sola a precederla è una trascrizione dal vecchio libro di una partita aperta in Ancona il 16 nov. 1538 e non ancora saldata (ibid., cc. 15v, 57v, 58), da cui ha origine l'equivoco ricorrente dell'avvio del libro ad Ancona.
Sessantenne e scapolo, fu accolto in famiglia come "proprio padre" da Mario d'Armano (3 luglio 1540), figlio di una cugina, avvocato, sposato con figli. Affittò una "volta" a Rialto per l'officina e fece conoscere la recente produzione marchigiana.
Al nipote ricambiò l'ospitalità con vari "presenti, picture, et denari" registrati nel libro in una lista; tra i primi (17 ottobre) figurano "doi quadreti del retrato de Martin Luter et suo moier che Misser Mario donò al Tristan con li ornamenti dorati", valutati 6 ducati e di cui nulla risulta nelle spese "per l'arte", a differenza di altri ritratti e pitture per il nipote. Pertanto non è possibile dire se fossero autografi, e tuttavia da diversi studiosi si è voluto ritenerli dipinti per d'Armano, assumendoli a documento di un suo presunto dissenso religioso (Romano, 1976; Fontana, 1981; Firpo, 2001, p. 37), trascurando il coinvolgimento del pittore sin dal terzo decennio nella comunicazione visiva del problema "luterano" e la conseguente possibilità che egli disponesse da tempo dell'effigie del riformatore e della moglie Caterina Bora.
Ripresa la pittura di pale d'altare, per i Ss. Giovanni e Paolo eseguì l'Elemosina di s. Antonino (dicembre 1540 - marzo 1542).
In aderenza al programma del teologo Sisto Medici, interpretò le idee guida del nuovo corso della gestione istituzionale del problema della povertà e dell'equa distribuzione dell'elemosina secondo una gerarchia sociale (Mazza, 1981); nondimeno, nel ritrarre la folla di poveri, confusi e accomunati dal disagio, evidenziò il vissuto emotivo del singolo. Dei 125 ducati che pattuì col priore Medici, 35 li lasciò ai frati per il proprio funerale e la sepoltura col loro abito, desiderato già nel 1531. Circa un terzo del denaro fu "dele cerche de le prediche de fra Lorenzo da Bergamo, frate de l'oservantia in San Domenico a Castello". A fra Lorenzo, della famiglia Gherardi (Cortesi Bosco, 1998, pp. 25 s. n. 35), predicatore apostolico di fama, custode dell'ortodossia (Il processo( del cardinale G. Morone, a cura di M. Firpo - D. Marcatto, IV, Roma 1987, p. 295 n. 59), autore di scritti spirituali, organizzatore di "monti dell'abbondanza", uno dei quali a Bergamo (1539), fece un ritratto in veste di s. Tommaso d'Aquino (maggio 1542) individuato nel Ritratto di domenicano (Baltimora, Walters Art Gallery: Zeri, 1990, p. 100).
Per la chiesa di S. Lio (marzo 1542) fornì "un san Michele combatere et caciare Luciffero", noto dalla copia che ne trasse nel 1545, ora a Loreto (Palazzo Apostolico), in cui il giustiziere sembra mosso a compassione dalla metamorfosi dell'angelo della luce. Nella Madonna col Bambino in gloria e santi per la Confraternita di S. Maria nella parrocchiale di S. Giacomo di Sedrina nel Bergamasco (agosto 1542) ripropose "il ruolo di co-redentrice" della Vergine (Massimi, 1998, p. 60).
Il solo reddito della pittura, reso ancor più aleatorio da un mercato conquistato dal linguaggio e dagli artifici della maniera tosco-romana e dominato da Tiziano, lo costrinse in più occasioni, sprovvisto di denari contanti, a ricorrere a vecchi e nuovi amici per prestiti, sempre onorati, evitando usurai e lasciando spesso in pegno le sue gemme, talora per aiutare a sua volta alcuni amici. Con Serlio, in procinto di lasciare l'Italia per la corte di Francesco I, il 15 febbr. 1541 estinse un proprio credito di 6 ducati in cambio di 6 once di lacca di grana, una delle costose materie coloranti della sua tecnica raffinata, sulla quale il libro di conti offre una messe di notizie (Bensi, 1983-85).
A Marcantonio Giustinian, "estimatore precoce" di Sansovino che aveva progettato la cappella Badoer-Giustinian in allestimento in S. Francesco della Vigna (Foscari - Tafuri, 1983, pp. 83-85), fornì un piccolo ritratto (luglio 1541) da identificare nel Giovane contro una tenda rossa di Berlino (Staatliche Museen, Preussischer Kulturbesitz, Gemäldegalerie); il Giovane contro una tenda verde, pure di Berlino, è invece il ritratto di Alvise, figlio di Mario d'Armano (febbraio 1541), studente a Padova.
Il 2 sett. 1542 annotò le spese per formare un altarolo con "la storia del basso rilevo de la gloria del Cristo del Sansovino" e due allegorie "de la fede et heresia tute tonde". Si trattava presumibilmente di un calco dell'altarolo Medici, la cui "inventione" per Aurenhammer (2000, p. 148) era stata frutto della cooperazione tra i due nel processo creativo, in una riflessione sul "paragone" tra basso rilievo e pittura, la stessa poi del visionario "Trionpho del Salvator Yesu in atto del sacramento sparger el sangue" (maggio 1543) del Kunsthistorisches Museum di Vienna (Cortesi Bosco, 1984, pp. 71 s. n. 35).
Testimone e protagonista delle tensioni sociali e religiose del proprio tempo, il L. avvertì - giusta le figure allegoriche che unì all'altarolo - la difficile distinzione tra fede ed eresia che si era imposta nel dibattito religioso dopo il fallimento dei colloqui di Ratisbona (1541) sul sacramento dell'eucarestia, il concetto di transustanziazione e la giustificazione, e dopo la fuga Oltralpe nell'agosto del predicatore Bernardino Ochino e l'istituzione del S. Uffizio, cui seguirà quella dei Tre savi sopra l'heresia (1547).
Dopo poco più di due anni presso d'Armano, "per andar a far più quieta vita in Treviso per le multe inquietudine de casa", lasciò in buona armonia il nipote (ottobre 1542) e per interessamento del vecchio amico Antonio Carpan, il committente del Triplice ritratto di orefici, fu accolto nella famiglia di Giovanni dal Savon per "viver e morir in casa sua [(] como padre e fiol". Ricambiò l'accoglienza nominandolo erede unico dei suoi beni e poiché subito si malignò che "stava alla pagnota da pedante" volle contribuire al vitto. Giovanni dal Savon, che si dilettava d'arte e aveva acquistato nel 1532 suoi dipinti e il Laocoonte, aveva una schiera di "putti" e il L. sperava che col tempo "li figlioli del dito compare, aprendesse el beneficio de l'arte e scientia de la pictura" (Testamento( 1546, in Il "Libro di spese diverse", 1969, p. 301). Tra le tante piccole affettuose attenzioni per tutti, acquistò abbecedari (un Donato, un Salterio) e "libreti n. 5 per i puti de la Instituta Christiana" (19 ag. 1544), sul tipo, forse, dati i rapporti coi domenicani, del Libretto della dottrina cristiana per "puti pizoli et zovinzelli" di s. Antonino.
In questi anni dallo studio allestito in casa dell'amico uscirono soprattutto ritratti di nobili e borghesi, per lo più delle famiglie sue clienti decenni prima. Ritrasse il trentacinquenne podestà e capitano di Treviso Francesco Giustinian (ottobre 1542 - marzo 1543), identificato nel Gentiluomo con collana d'oro (Venezia, Fondazione Cini: Dezuanni Pouchard, 1998); il "gentilhomo" Liberale da Pinedel "di naturale" (giugno 1543); un cittadino quarantasettenne con ambizioni nobiliari (Ricciardi, 1993, pp. 318-320), da identificare nel volitivo non meno che vigoroso Gentiluomo con fazzoletto (New Orleans, Isaac Delgado Museum of art, Kress Collection), assegnato a questi anni da Berenson (1955, p. 156), meglio che nel vecchio aristocratico Gentiluomo con guanti di Brera, capolavoro cui rinvia la critica (L. L.(, 1997, n. 45), ancora senza nome; i magnifici Bettignoli da Brescia, Febo Bressa e la consorte Laura Pola (Milano, Pinacoteca di Brera), quarant'anni lui, diciannove lei (Cortesi Bosco, 2000, p. 113 n. 37; Gargan, 1980, doc. 18); il mantovano Marcello Framberti, medico fisico, identificabile nell'Uomo con simboli (El Paso, Museum of art, Kress Collection: Dezuanni, 1995-96, pp. 81-86); il Gian Giacomo Bonamico stuer col figlioletto (Filadelfia, Museum of art, Johnson Collection) del maggio 1544, memoria di un'ascesa sociale perseguita con tenacia (Ricciardi, 1989). Perduto è il ritratto "al natural armato" di Tommaso Costanzo (maggio 1545), figlio di Tuzio, il committente della pala di Castelfranco di Giorgione (Battilotti - Franco, 1978, p. 72). Su richiesta di un nipote di Tommaso, l'"excellente dottor misser Joan Paulo da Vonigo" (dicembre 1544), figlio del "magnifico Aurelio" (Arch. di Stato di Treviso, Corpor. relig. soppresse, S. Nicolò, b. 5: Atti capitolari XIII-XVII sec., 2 marzo 1573) committente del Monumento Onigo, periziò l'Assunta di Francesco Beccaruzzi in S. Maria di Valdobbiadene (Il "Libro di spese diverse"(, 1969, pp. 298-300). Madre di Giovan Paolo era la sorella di Tommaso Costanzo, Lodovica, entrambi nati dal matrimonio di Tuzio con Elena Podocataro (Cortesi Bosco, 2000, p. 96 n. 5).
Per il mercato dipinse quadri di soggetto religioso e di devozione traendone repliche con aiuti: un "presepio finto de note" e un "san Joan Baptista che bateza Cristo" (maggio 1544) ora a Loreto (Palazzo apostolico), le cui repliche furono vendute nel 1546 a Messina da Lauro Orso, discepolo di Bartolomeo Carpan, ormai affermato gioielliere con bottega in ruga in calle del Sol a Rialto; inoltre un "quadro grande con el sacrifficio del re et sumo sacerdote Melchisedec" (marzo 1545), pure a Loreto, di straordinario luminismo poetico, per il quale trasse l'invenzione da un modello delle tarsie: tra i protagonisti della "storia" c'è anche Lot, la cui figura "contemplativum significat seu religiosum" (Cortesi Bosco, 1987, I, n. 59). Del cartone della Crocifissione di Monte San Giusto si giovò per il Trasporto di Cristo al sepolcro (Strasburgo, Musée des beaux-arts: Id., Un quadro di L. L. (, 1980), opera in sintonia con la paletta della Pietà di Brera, per le domenicane di S. Paolo (luglio 1545).
Fu questa una delle scarse e per lo più modeste commissioni di pittura d'altare del periodo; in essa il L. "esprime con raggelante senso tragico la non sublimata sofferenza attraverso la quale si consuma il sacrificio del Salvatore e si manifesta la compartecipazione di Maria alla Passione e il suo ruolo come co-redemptrix" (Bortolotti, 1997, p. 55).
Il 21 nov. 1545 - "per diverse ocasione, [(] maxime che de l'arte non guadagnava da spesarmi" (Testamento( 1546, in Il "Libro di spese diverse"(, 1969, p. 302) - affittò in Rialto una casa di Giovanni dalla Volta della Corona e il 12 dicembre rientrò a Venezia.
Riprese a dipingere per vecchi conoscenti e amici. Per Giovanni Lippomano, fratello del priore della Trinità e del vescovo Pietro, copiò un ritratto di Augurelli (marzo 1546) di proprietà del medico trevigiano Bartolomeo Agolante; ritrasse l'Architetto ora a Berlino (Staatliche Museen, Preussischer Kulturbesitz, Gemäldegalerie) da identificare - esclusi con certezza i nomi di Sansovino (Puppi, 1981, p. 396) e di Serlio (Frommel, 1998, p. 19) - in Giovanni del Coro, il fraterno amico anconetano testimone ai patti per la Pala dell'alabarda (Micaletti, 1992, p. 19) il cui nome ricorre nel libro di conti fino alla morte (avvenuta nel novembre-dicembre 1552); nel 1546 Giovanni del Coro fu tra gli ingegneri interpellati dai Savi per un parere sul progetto di un nuovo ponte a Rialto (Calabi - Morachiello, 1987). A lui donò il Cristo Crocifisso coi simboli della Passione (Firenze, collezione Berenson), finito il venerdì santo e prossimo alla Cena in Emmaus (aprile 1546) di Oxford (Christ Church College).
Il 25 marzo 1546 stese un testamento col quale annullò i precedenti e destinò le cose dell'arte a due giovani scelti dalla Scuola dei pittori capaci di farne buon uso, ai quali eran da maritare due ragazze "de quiete nature" dell'ospedale dei poveri, "sufficiente a governi de case", lasciando loro in dote masserizie e parte del denaro ricavato dalla vendita di dipinti e gemme; il resto era per l'ospedale. Curatori testamentari nominò i governatori del sodalizio Giovan Maria Giunti e Vincenzo Frizier. Nell'autunno si ammalò e fu ospitato a proprie spese per un mese e mezzo da Bartolomeo Carpan a S. Stae. Ripresosi, terminò la paletta della Madonna col Bambino e i ss. Giacomo Maggiore, Andrea, Cosma e Damiano (1546) per la Scuola della Concezione in S. Giacomo dell'Orio, ancora in loco, e ritrasse "fra Gregorio da Vicenza de i frati de San Sebastian da Venetia", l'eremitano Gregorio Belli dell'Ordine di S. Girolamo, l'intenso Fra Gregorio Belo datato 1547 (New York, the Metropolitan Museum of art: Gianmarioli, 1983, pp. 120 s.).
Dalle risultanze d'archivio su Carpan rese note da Fontana (1981), rivisitate e ampliate da Firpo (2001), è emerso che nell'estate del 1546 il gioielliere fu coinvolto in una denuncia per le dottrine sulla predestinazione esposte da fra Agostino da Genova in casa sua presenti altri orefici e il pittore Alvise Donà; fatti per i quali nel febbraio 1549 l'Inquisizione avviò su di lui le prime indagini. Nel 1569 Carpan fu processato per eresia, propaganda e proselitismo. Se dunque dell'amico il L. non poteva ignorare il sentire religioso, nondimeno suona semplificazione ambigua, oltre che elusiva della complessa vicenda intellettuale e umana, l'asserita "capacità del L. di coniugare la sua fitta trama di relazioni con personaggi e gruppi vicini al dissenso religioso con posizioni che paiono invece ispirate a una pietà tradizionale" (Firpo, 2001, p. 203), nel tentativo di interpretarne un transitorio orientamento religioso eterodosso con una ricostruzione documentaria, pregiudicata da sfasature cronologiche, imprecisioni ed equivoci.
Nell'inverno 1547, col Ritratto di famiglia (Londra, National Gallery), del valore di 50 ducati, saldò l'affitto a Giovanni dalla Volta che gliene riconobbe solo 20, e lasciò l'alloggio (19 novembre). Degli stessi mesi è il Protonotario apostolico Giovanni Giuliano, pure a Londra, confermato al L. da Berenson (1955, pp. 72 s.), ma a una data troppo alta (anche per il moderno orologio posato sul tavolo). Giuliano abitava a Padova ed era stato cubiculario di Giulio II.
Il 16 novembre aveva pattuito per 130 scudi col nobile marchigiano Giacomo Boninfanti sindaco della chiesa di S. Maria di Piazza di Mogliano, castello dei Farnese, la Madonna in gloria e santi che nel giugno 1548 Durante Nobili mise in opera.
Nella congiuntura storico-politica (Pacini - Meloni, 2003, pp. 17 s., 23 s.) gli edifici romani sullo sfondo della pala, nel dichiarare la soggezione di Mogliano alla Chiesa, ne ribadivano la volontà di autonomia dalla giurisdizione di Fermo. La cornice a classica edicola con timpano, su disegno del L., ora restaurata e riunita alla pala da cui fu separata nel XVIII secolo (Giuli, 2003, p. 5), presenta nel basamento motivi sacramentali, il calice con l'ostia tra le ampolle degli oli sacri del battesimo, della cresima, dell'unzione (Muraro, 1984, pp. 162 s.), che non ignorano il decreto sui sacramenti del concilio tridentino (1547); i piedistalli recano versetti e strumenti penitenziali, coerenti col "Parce Populo" iscritto nel fregio, sopra la misericordiosa Advocata peccatorum.
Nell'ottobre 1548 ritrasse fra Giovan Andrea dei Ss. Giovanni e Paolo "in figura de san Piero martire", da identificare per Berenson (1955, p. 143) nel S. Pietro Martire di Cambridge, MA (Fogg Art Museum). Il ritratto stilisticamente affine dell'Uomo con feltro (L. L.(, 1997, n. 44), ora a Ottawa (National Gallery of Canada), potrebbe essere quello del "tentor" Francesco Canali: la sua attività è interpretata al meglio dalla straordinaria mimesi materica del cappello dell'artigiano e dell'abito di soffici panni colorati. L'opera è tra i massimi capolavori del quinto decennio che nella resa della verità e del vissuto confermano il L. "un artista essenzialmente psicologico", "altrettanto personale quanto Tiziano è tipico" (Berenson, 1955, p. 190).
Le tensioni di questo periodo, nel rapporto con amici che erano gli interpreti osannati del gusto dominante, e di cui è testimonianza l'affondo sul "grande "informale" veneziano" (Mascherpa, 1984, p. 134) in una lettera indirizzatagli nell'aprile 1548 da Pietro Aretino (Lettere, II, pp. 218 s.), trovarono forse sfogo nella Caduta dei Titani, resa nota da Christiansen (2001), e nella Fortezza che abbatte Fortuna di collezione privata urbinate (Pulini, 2000), in deposito a Loreto (Palazzo apostolico).
Su commissione del nobile anconetano Giovanni Francesco Tudini, il 1( giugno 1549 ebbe un acconto di 100 scudi, dei 400 già pattuiti, per la pala dell'Assunta nella trecentesca chiesa di S. Francesco alle Scale di Ancona; prestò fideiussione per lui Giovanni del Coro garantendone il trasferimento in Ancona. Assunto per un anno come lavorante Giuseppe Belli di Ponteranica (11 giugno 1549), figlio del defunto Giovanni, il costruttore del coro bergamasco, partì per Ancona prevedendo di soggiornarvi giusto il necessario. Dal 1( luglio alloggiò presso i francescani e nell'agosto 1550 terminò la pala di quasi 7 m, di cui il 24 novembre ebbe gli ultimi 50 scudi.
Di colori severi e di marcato radicalismo iconografico nell'essenzialità della tesi mariologica di cui la nuda geometria del sarcofago assume valore di metafora, la pala è ora ritornata in loco dopo vicissitudini di cui ha molto sofferto (L. L.(, 1981, n. 132).
Nel frattempo maturò la decisione di non rimpatriare. Le Marche, tra le conoscenze e le amicizie strette in anni passati, tra i dipinti che in vari luoghi ne illustravano il nome, potevano offrirgli maggiori possibilità di lavoro (Chiappini di Sorio, 1984), in una città che in quegli anni conobbe una straordinaria fioritura commerciale. Ebbe l'idea di farsi pubblicità organizzando una lotteria dei suoi dipinti nella loggia dei Mercanti, tra cui trenta modelli del coro di Bergamo, l'Apollo addormentato in Parnaso, il Melchisedec e varie repliche. Per gli 884 biglietti venduti (3 luglio 1551) mise a sorteggio solo sette quadri "piccoli" del valore di 39 scudi, tra questi l'allegoria de "l'anima rationale", che ne valeva ben 12.
Lasciato l'alloggio dei frati, a settant'anni prese in affitto (novembre 1550) una casa accanto al convento di S. Domenico avviando un precario, faticoso ménage. Ai primi di dicembre assunse a "far ogni servimento de casa et de l'arte" il quasi diciottenne Ercole Ramazzani di Rocca Contrada, l'odierna Arcevia, con patti che "fanno pensare ad un apprendistato artistico subordinato al tempo libero" (Id., 1980, pp. 73 s.).
Dell'attività di ritrattista, al solito per nobili dell'apparato di governo, mercanti, artigiani e frati, sempre mal retribuita, restano a dar un'idea dell'altissima qualità il "mastro Batista balestrier da la Rocha contrada" (novembre 1551-52) della Pinacoteca Capitolina di Roma e il trascurato Ritratto di vecchio dell'Ermitage (Da Leonardo(, 1990, n. 12), forse l'anconetano Ludovico Grazioli, che volle un ritratto "per lassar ali soi heredi memoria di sé, vedendolo", fornito entro il giugno 1552.
Nell'agosto 1552 si trasferì a Loreto. Qui il protonotario Gaspare Dotti, nominato governatore (luogotenente) dal cardinale Rodolfo Pio da Carpi, protettore della Santa Casa, gli concesse una stanza e un locale per lavorare, la spesa del vitto con il garzone e di poter dipingere per altri, in cambio di qualche opera per la Santa Casa, per lo più decorazioni effimere. Forse si erano conosciuti a Venezia, avanti il trasferimento di Dotti a Roma all'inizio degli anni Quaranta (Firpo, 2001, p. 303) al tempo della Pala di s. Antonino per i Ss. Giovanni e Paolo, dove Dotti aveva abitato (Grimaldi, 2002, p. 13). Per il cardinale Pio - della parentela di Rossi - l'8 sett. 1553 compì un "san Hieronimo al'heremo" con cornice marmorizzata e dorata da Durante Nobili (Libro di spese diverse, 2003, cc. 52v, 83v), da identificare nella tavola del S. Girolamo (Madrid, Museo del Prado), sin qui impropriamente assegnato agli anni Quaranta. Fu l'ultimo suo dipinto di devozione: mentre sul fondo il metaforico gregge allude alla funzione pastorale del destinatario, il gesto del santo in penitenza davanti al Crocifisso sollecitava all'imitatio Christi.
Dei non pochi giovani attratti dalla sua presenza a Loreto, solo Ramazzani trasse profitto (L. L.(, 1981), pur staccandosi da lui anzitempo (27 nov. 1552), tre mesi dopo il contratto per la grande ancona per la cappella gentilizia degli Amici nel duomo di Jesi (1552-54), pattuita per 600 fiorini (Il "Libro di spese diverse"(, 1969, pp. 307-309). Giudicata nel 1573 "icona pulcherrima" dal vescovo Gabriele del Monte (Mozzoni - Paoletti, 1996, p. 184), andata dispersa nel XVIII secolo, fu l'ultima pala d'altare.
L'8 sett. 1554, settantaquattrenne, si fece oblato, con formale atto di accettazione di Dotti che lo nominò "pittore della Santa Casa", poi confermato dal cardinale Pio (Grimaldi, 2002, pp. 98 s.); "per non andarmi avolgendo più in mia vechiaia - scrive - ho voluto quetar la mia vita in questo sancto loccho" (Libro di spese diverse, 2003, c. 84).
Per la basilica lauretana il suo ultimo impegno fu l'ornamento del nuovo coro dei canonici (Pittori(, 1988, p. 9), sopra il quale, entro una finta intelaiatura dipinta da Camillo Bagazzotti di Camerino (ottobre 1554 - febbraio 1555: ibid., pp. 47-49), collocò, a sinistra, il S. Michele scaccia Lucifero, il Melchisedec, il Battesimo di Cristo; al centro, l'Adultera; a destra, la Sacra Famiglia con la famiglia del Battista e angeli posta tra la Presentazione al tempio e l'Adorazione dei magi, ora tutte nella Pinacoteca. Le prime cinque tele, degli anni Quaranta, furono, salvo il Melchisedec, adattate e ritoccate nel settembre 1555 (ibid., p. 52). Vasari le giudicò "condotte con grazia" (p. 252), quando già trionfava il verbo manierista di Pellegrino Tibaldi. La Presentazione al tempio, fu la sua ultima "poesia".
Inserito alla carta 153 del libro dei conti, un polizzino del 1( sett. 1556 per l'invio di 4 scudi d'oro a Bartolomeo Carpan promessi al maritarsi di Menega, la "massareta" che lo accudì quando cadde malato, è il suo ultimo scritto. L'ultimo rimborso spese del tesoriere della Santa Casa è del 18 settembre (Pittori(, 1998, pp. 54 s.).
Il L. morì a Loreto negli ultimi mesi del 1556.
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