MAGALOTTI, Lorenzo. - Nacque il 13 dic. 1637 a Roma dal patrizio fiorentino Orazio, prefetto dei corrieri di Urbano VIII, e da Francesca Venturi.
Dall'età di tredici anni fu convittore nel Seminario romano, i cui studenti seguivano i corsi del Collegio romano. Vi restò per un quinquennio, ed ebbe insegnanti quali P. Casati in matematica e S. Mauro in filosofia. Pare inoltre che frequentasse, forse privatamente, le lezioni di filosofia e matematica dell'oratoriano A. Lanci e conoscesse H. Fabri. Nel 1656 si iscrisse alla facoltà giuridica dello Studio di Pisa e risiedette presso lo zio paterno Filippo, da diversi anni provveditore dell'Università. Fu questo zio a favorire il suo ingresso nell'Accademia della Crusca (12 sett. 1656), nella quale dall'estate 1658 il M. fu provveditore allo "stravizzo" e nel corso del cinquantennio seguente tre volte consigliere e altrettanto censore.
Pur se, a quanto sembra, gli studi giuridici del M. furono molto brevi, tanto che ottenne i gradi accademici dopo solo sedici settimane (ma V. Viviani lo diceva solo "iurisprudentiae sacrae initiatum" in De maximis et minimis geometrica divinatio in quintum conicorum Apollonii Pergaei adhuc desideratum, Florentiae 1659, p. XI), a Pisa restò fino al 1659, legandosi ai circoli galileiani dello Studio e della città. Seguì infatti i corsi anatomici di M. Malpighi, quelli filosofici di C. Rinaldini e quelli matematici di G.A. Borelli, oltre alla scuola che Viviani teneva quando il granduca Ferdinando II de' Medici soggiornava in città. Queste frequentazioni gli aprirono le porte della corte, nella quale entrò al servizio di Leopoldo, fratello del granduca, negli ultimi mesi del 1659. Si trasferì così a Firenze, entrando a far parte dell'Accademia del Cimento, della quale divenne segretario nel maggio 1660, con il compito di tenere il registro delle esperienze condotte.
Ben presto, però, l'appannaggio ricevuto come gentiluomo di corte si rivelò insufficiente tanto da spingere il M. a recarsi, nel dicembre 1661, a Roma, dove, contando su una parentela con i Barberini, cercò di ottenere un beneficio ecclesiastico. Il viaggio non ebbe l'esito sperato e, rientrato in Firenze nel febbraio 1662, il M. passò alle dipendenze del granduca con un appannaggio più alto. Non lasciò comunque il servizio di Leopoldo, come risulta dall'incarico assegnatogli quando, tra il dicembre 1662 e il marzo 1663, fu di nuovo a Roma anche per venire in aiuto al padre, assediato dai creditori: egli doveva acquistare per conto del Medici alcuni codici greci contenenti opere matematiche di Pappo Alessandrino.
Dopo un viaggio a Napoli nel marzo (compì un'escursione sul Vesuvio), tornò a Firenze in aprile, e fino al 1667 non uscì più dal Granducato, dedicandosi a preparare per la stampa relazioni di esperienze scientifiche del Cimento. Del volume Saggi di naturali esperienze fatte nell'Accademia del Cimento descritte dal segretario di essa Accademia (Firenze 1667; ed. a cura di E. Falqui, Roma 1945), la corrispondenza del M. comincia a parlare dall'estate del 1662, cosicché il viaggio a Roma del 1662-63 potrebbe anche avere avuto lo scopo di presentare il progetto dell'opera ad autorevoli personaggi legati al S. Uffizio, quali M. Ricci e il cardinale S. Pallavicino, affinché provvedessero a una revisione delle varie parti man mano che fossero pronte.
Nell'estate 1667, esauritasi (per motivi non del tutto chiari) la fase più intensa e verbalizzata di vita del Cimento, il M. intraprese, in compagnia di P. Falconieri, il primo di tre viaggi che nel decennio successivo lo portarono nelle maggiori città europee. Fu dapprima a Vienna, poi in Germania, Olanda, Belgio, Inghilterra e Francia, raccogliendo informazioni sulle più avanzate novità intellettuali e dedicando particolare attenzione alla riflessione delle correnti libertine in materia di religione e di politica, alle elaborazioni teologiche del cristianesimo meno ufficiale e all'attività scientifica dei novatori. Fece visita a personaggi quali G.J. Voss, B. Spinoza, C. de Saint-Évremond, H. Oldenburg, R. Hooke, T. Hobbes, R. Boyle. Il viaggio (del quale si hanno dettagliate notizie nella corrispondenza, in una Relazione d'Inghilterra e in un Diario di Francia) fu interrotto il 20 luglio 1668, quando il M. ricevette a Parigi l'ordine di Ferdinando II di tornare a Firenze per accompagnare l'erede al trono di Toscana, Cosimo, in un viaggio politico-diplomatico.
Meno di due mesi dopo, il 18 sett. 1668, il principe e i suoi accompagnatori, tra cui il M., si mossero da Firenze per dirigersi in Spagna e quindi, a partire dal marzo 1669, in Inghilterra, Irlanda, Olanda e Francia (le relazioni sono edite a cura di A.M. Crinò, Un principe di Toscana in Inghilterra e in Irlanda nel 1669, Roma 1968; Relazioni d'Inghilterra [1668-1688], Firenze 1972). L'avvenimento di maggior rilievo di questo secondo viaggio fu la malattia che colpì il M. in Inghilterra e che lo afflisse per il resto dell'itinerario, tanto da costringerlo in luglio a fermarsi a Parigi; rimessosi, rientrò in patria in settembre.
Morto il 24 maggio 1670 Ferdinando II, il M. divenne gentiluomo di camera di Cosimo III che, stimandolo, lo destinò a maggiori compiti al servizio dello Stato. Nel maggio 1671 lo nominò ambasciatore temporaneo e suo rappresentante al matrimonio del duca di Mantova Ferdinando Carlo Gonzaga Nevers con Anna Isabella Gonzaga di Guastalla; poi, nei primi mesi del 1672, lo investì della sovrintendenza delle collezioni naturalistiche granducali. Quando, nel dicembre dello stesso anno, il M. manifestò l'intenzione di seguire O. Falconieri che si recava come internunzio apostolico in Fiandra, gli affidò il compito di osservatore del conflitto in corso tra le Province Unite e l'Inghilterra. Le sue relazioni settimanali alla Segreteria granducale furono apprezzate, tanto che fu incaricato di seguire, tra il settembre 1673 e il marzo 1674, il congresso di Colonia.
Terminato il congresso, il M. non tornò subito in Toscana ma fu dapprima in Olanda, probabilmente per ordine di Cosimo III (la guerra delle Province con la Francia era in corso), quindi in Danimarca, dove fu ospite di N. Stensen, in Svezia e in Finlandia, infine in Germania. Rientrò in Italia nel dicembre 1674. A coronamento di questo periodo vi fu la nomina, nella primavera 1675, di residente granducale a Vienna, dove rimase per tre anni svolgendo un'intensa attività che gli valse anche il titolo di conte di Belmonte conferitogli dall'imperatore, ma che gli attirò sospetti e maldicenze, e nell'agosto 1678 provocò la revoca dell'incarico.
La successiva nomina a gentiluomo trattenuto del granduca fu ormai ben poca cosa per il M., che si isolò nella sua villa di Lonchio (a Bagno a Ripoli, presso Firenze), dove rimase per i successivi dieci anni in una sorta di esilio volontario, conducendo una vita ritirata (resa disagevole da debiti contratti, forse in parte onorati da I. Venturi, erede dei suoi manoscritti), per lo più dedicata alla scrittura. I soli diversivi furono gli incontri con gli esponenti del mondo intellettuale toscano che continuavano a frequentarlo (tra questi F. Redi), gli accarezzati ma mai concretizzati progetti di matrimonio, alcune brevi "scappate" fuori dai confini toscani (nelle primavere del 1682 e del 1688 a Roma; nel 1687 a Napoli) per questioni d'interesse o familiari.
Solo nel gennaio 1689 il M. tornò a un ruolo pubblico, come inviato del granduca a Roma (ma secondo alcune fonti il viaggio avrebbe avuto uno scopo privato, farsi accettare tra i cavalieri gerosolimitani), per poi, nell'agosto, assumere un incarico governativo di gran rilievo, terzo consigliere di Stato. In questa veste accolse G.W. Leibniz a Firenze, nel dicembre 1689, e lo aiutò nelle ricerche storiche che conduceva. Ma la svolta avvenne nel febbraio 1691, quando si risolse a prendere l'abito della Congregazione dell'Oratorio di S. Filippo Neri a Roma. Le ragioni sono poco chiare. È stato congetturato che dietro la decisione vi fosse un'aspirazione al cardinalato (Fermi, 1904, p. 66); oppure che il clamore suscitato dalle Lettere familiari avesse portato il S. Uffizio a interessarsi del M., che avrebbe così inteso cautelarsi (Casini, p. 283). Altri (Ziino, 1929, p. 360; Spini, p. 383) hanno sostenuto che il M., rifiutato lo spirito della sua vita precedente, fosse giunto a una vera e propria conversione.
La decisione però fu mantenuta solo per pochi mesi, in quanto nel luglio il M. svestì l'abito e si ritirò nella villa di Lonchio, dove restò per circa un anno. Richiamato a corte nella Pasqua del 1692 e ammesso in Arcadia il 13 giugno 1692 con il nome di Lindoro Elateo, nel settembre 1693 divenne primo consigliere di Stato. Lo rimase nei vent'anni successivi, dedicandosi per lo più al suo ufficio, muovendosi pochissimo da Firenze e distinguendosi per un palese filoanglismo in politica estera. Quasi a suggello di questo rapporto privilegiato vi fu l'ascrizione alla Royal Society, comunicatagli da H. Sloane l'11 maggio 1709 (Lettere familiari, II, p. 177).
Il M. morì a Firenze il 2 marzo 1712.
Un buon numero di testi ha origine dai viaggi compiuti negli anni Sessanta e Settanta. Interessanti in particolare la Relazione d'Inghilterra dell'anno 1668, il Diario di Francia dell'anno 1668 (si tratta in realtà di una serie di lettere indirizzate a Cosimo III) e la Relazione del Regno di Svezia dell'anno 1674 (i testi, rimasti inediti, sono stati riuniti da W. Moretti, con il titolo Relazioni di viaggio, Bari 1968). Il M. viaggiatore si mostra particolarmente interessato a fornire una galleria di personaggi notevoli, sempre tratteggiati sul filo dell'ironia, ma non manca di soffermarsi anche sulla descrizione di vari aspetti delle società con cui venne in contatto (ciò vale soprattutto per le relazioni dall'Inghilterra e dalla Svezia). Tutti i paesi sono percorsi con sguardo aperto e curioso; riguardo al mondo inglese, si può parlare di una vera e propria passione del M., che infatti è stato definito da molti studiosi "anglomane".
Va ricordata anche una Relazione ufficiale del viaggio del principe Cosimo in Inghilterra (1669), di cui esiste una versione manoscritta in inglese ottocentesca (Londra, British Library, Add. Mss., 33767a) in base alla quale si può attribuire la Relazione al M.; nel 1821 fu inoltre stampata a Londra, con l'indicazione dell'autore (count Lorenzo Magalotti) con il titolo Travels of Cosmo III. Grand Duke of Tuscany through England during the reign of king Charles the Second (1669). Secondo alcuni studiosi tale indicazione è del tutto priva di fondamento, mentre altri ritengono che almeno per parte del testo la paternità magalottiana sia attendibile. Allo stato attuale delle conoscenze la questione appare ancora controversa.
Diversa origine ha la Relazione della China, stampata una prima volta, adespota e con titolo diverso, all'interno dell'ultimo volume delle Relations de divers voyages curieux raccolte da M. Thévenot (Paris 1672) e successivamente, in una versione - ancora anonima - che mostra parecchie correzioni d'autore, nelle Notizie varie dell'imperio della China curate da I. Carlieri (Firenze 1697; ed. a cura di T. Poggi Salani, Milano 1976). Il testo deriva da un colloquio avuto dal M., insieme con C.R. Dati, nel gennaio 1666 con il gesuita austriaco J. Grueber, che aveva vissuto a lungo a Pechino; ne risulta un resoconto sempre in bilico tra scrupolo documentario ed evocazione fantasiosa, molto efficace dal punto di vista espressivo.
L'interesse per i paesi esotici è all'origine anche delle Relazioni varie cavate da una traduzione inglese dell'originale portoghese (Firenze 1693), uscite ancora anonime. Base di partenza è la versione inglese, approntata da P. Wyche, dei racconti di viaggio del gesuita portoghese G. Lobo, che aveva visitato tra l'altro l'Egitto e l'Abissinia; il M. vi si applica a tratti traducendo molto liberamente, più spesso riscrivendo e aggiungendo segmenti testuali elaborati ex novo, tanto che si può parlare di un'opera sostanzialmente originale. Nelle Relazioni trova spazio, oltre a una delle innumerevoli varianti della storia del Prete Gianni, la descrizione di creature fantastiche come la fenice o l'unicorno, mirabilia di cui il M. parla in realtà con l'atteggiamento dello scienziato pronto a svelare l'inconsistenza delle leggende.
L'attenzione del M. per la letteratura odeporica si manifesta inoltre nell'allestimento da lui condotto della prima edizione di una delle opere più importanti del genere in Italia, i Ragionamenti di F. Carletti (Firenze 1701), stampati in verità in una veste testuale assai scorretta, che è stata però alla base di tutte le edizioni successive.
Particolarmente felici dal punto di vista espressivo sono le Lettere sopra le terre odorose d'Europa, e d'America dette volgarmente buccheri, scritte nel 1696, ma pubblicate solo nel 1825 in aggiunta a una raccolta di Varie operette del M. stampate a Milano grazie all'interessamento di P. Giordani (ed. a cura di E. Falqui, Milano 1943, e, insieme con altri scritti, a cura di M. Praz, Firenze 1945). Si tratta di otto testi, indirizzati alla marchesa Ottavia Renzi Strozzi, in cui vengono analizzati sotto tutti gli aspetti possibili i buccheri (vasetti aromatici divenuti in quel periodo di gran moda; attirarono anche l'attenzione di L. Bellini, che nel 1699 recitò presso l'Accademia della Crusca il ditirambo La bucchereide, ispirato proprio alle Lettere del Magalotti). Il tono medio dell'opera è quello della conversazione galante; in questo caso è probabilmente opportuno parlare di rococò, categoria utilizzata spesso - non sempre a proposito - per la scrittura del Magalotti. La forma epistolare, propria di molti dei testi più importanti del M., è una soluzione che ben si presta al tipo di trattazione asistematica, aperta a digressioni di ogni genere da lui prediletta. Nutritissima è anche la produzione epistolare vera e propria, attraverso la quale si può ricostruire la fitta rete di relazioni di un intellettuale come il M., perfettamente inserito negli ambienti colti d'Europa.
Tra i generi a cui il M. si applicò c'è anche la novellistica. Si hanno notizie di un suo progetto di composizione di un novelliere con cornice sul modello del Decameron; e le non molte novelle da lui effettivamente scritte - alcune delle quali inserite nel corpo delle Lettere familiari - mostrano evidenti influenze boccacciane. La novella forse più importante è quella di Rosanna e Antenore, pubblicata per la prima volta nella raccolta miscellanea Novelle di alcuni autori fiorentini (Londra [ma Livorno] 1795). Non va invece attribuita al M. l'opera Gli amori innocenti di Sigismondo conte d'Arco con la principessa Claudia Felice d'Inspruck, nonostante nel frontespizio dell'edizione fiorentina del 1765 egli sia indicato come traduttore della novella "dalla lingua spagnuola"; la paternità del testo è pertanto incerta.
Molto meno ricca dell'opera in prosa, sia per quantità sia per qualità, appare la produzione poetica, in gran parte raccolta in due volumi postumi, La donna immaginaria (Lucca 1762) e Canzonette anacreontiche di Lindoro Elateo (Firenze 1723). Il primo è una sorta di canzoniere petrarchesco, scritto intorno alla metà degli anni Ottanta, in cui trovano ampio spazio temi di ispirazione platonica. Nell'introduzione il M. dichiarava di voler "ridurre a poesia sacra la poesia amorosa", accogliendo "contemplazioni filosofiche e teologiche". Nella raccolta sono comunque rintracciabili influenze mariniane. Il volume contiene anche il ditirambo La madreselva, che ricalca il modello del fortunato Bacco in Toscana di Redi; del testo esiste una versione diversa, stampata, insieme con diverse poesie inedite del M., nel volume miscellaneo Rime di Dante Alighieri, Giovanni Boccacci, Gabriele Chiabrera, L. M. (Imola 1883). Nelle Canzonette, che risalgono al suo periodo arcadico, il M. tratta in versi alcuni dei temi da lui più distesamente svolti in prosa (si pensi solo alla poesia I buccheri); la sezione più nota contiene ricette di varie "delizie". Nell'introduzione, T. Bonaventuri afferma che i testi non avevano ricevuto l'ultima mano dell'autore. Alla stessa stagione appartengono anche due sonetti compresi nel tomo IV delle Rime degli Arcadi (Roma 1717).
Nel campo degli studi letterari va ricordato il Comento sui primi cinque canti dell'Inferno di Dante, pubblicato solo nel 1819, a Milano. Scritto molto probabilmente entro il 1665, il Comento si propone come uno strumento di divulgazione delle bellezze del poema, mentre tralascia quasi del tutto le questioni interpretative. Il M. vi dimostra comunque una buona conoscenza dei commenti precedenti, soprattutto di quelli cinquecenteschi.
Sempre vivi furono nel M. gli interessi linguistici, che emergono peraltro anche nelle Lettere scientifiche e erudite e nelle Lettere sopra le terre odorose, in cui trova spazio in particolare la passione per le etimologie. Molto importante fu il ruolo da lui sostenuto - insieme con altri letterati non tradizionalisti, come per esempio Redi - nell'allestimento della terza edizione del Vocabolario della Crusca (Firenze 1691), che si tradusse nell'apporto di sostanziali novità, quali l'allargamento del canone degli autori spogliati (tra cui figurava finalmente anche T. Tasso), l'inserimento di moltissime voci dei linguaggi scientifici prima tralasciate, un diverso atteggiamento verso le parole arcaiche, segnalate chiaramente come tali. Lezioni e orazioni svolte dal M. presso l'Accademia della Crusca sono state raccolte nelle Prose fiorentine, parte II, t. 3 (Firenze 1728), ma l'orientamento antipuristico del M. trova puntuale applicazione in tutti i suoi scritti: basti pensare al largo accoglimento di forestierismi.
Il M. fu molto attivo anche come traduttore, e pure in questo campo la sua curiosità lo portò a interessarsi di ambiti assai diversi tra loro, e a intraprendere più progetti di quanti non potesse condurre in porto. Dal francese tradusse due testi non propriamente letterari: l'anonimo Il mendicare abolito nella città di Montalbano da un pubblico ufizio di carità - l'unica delle sue versioni a essere pubblicata in vita, a Firenze nel 1693 - e un Breve ragguaglio delle costituzioni delle badie della Trappa di Buonsollazzo e di Casamari di P. de Rancé (Firenze 1718), e soprattutto le Opere slegate di Charles de Saint-Évremond, scrittore libertino con il quale fu a lungo in contatto, e a cui lo univano non poche convergenze di idee, letterarie e non; il testo è stato pubblicato da L. De Nardis, in un volume che raccoglie anche il carteggio tra i due scrittori (Roma 1964).
L'amore del M. per la cultura inglese si concretizzò in alcune traduzioni poetiche: Il sidro, Lo scellino lampante e l'Ode a Enrico St. John di J. Philips (il primo poemetto si legge ancora nell'edizione fiorentina del 1749; gli altri due sono stati recuperati da G. Pellegrini, La poesia didascalica inglese nel Settecento italiano, Pisa 1958); La battaglia delle Bermude di E. Walter (edito da Pellegrini, cit.); parte del canto I del Paradise lost di J. Milton (il frammento è stato pubblicato da F. Viglione, L. M. primo traduttore del Paradise lost di John Milton, in Studi di filologia moderna, VI [1913], pp. 74-84).
Fonti e Bibl.: Sui numerosi manoscritti editi e inediti del M. in biblioteche e archivi toscani si vedano S. Fermi, Biobibliografia magalottiana, Piacenza 1904, pp. 92-115; I. Truci, Acquisto di due mss. Magalotti di provenienza Ginori-Venturi, in Nuncius, VI (1991), pp. 171-174; Id., I manoscritti dell'Accademia del Cimento, in Scienziati a corte: l'arte della sperimentazione nell'Accademia galileiana del Cimento (catal., Firenze), a cura di P. Galluzzi, Livorno 2001, pp. 26-55. Del vastissimo epistolario molto è stato pubblicato, ma altro è ancora inedito. Due sono le raccolte principali: Lettere familiari del conte Lorenzo Magalotti (Venezia 1719); Lettere del conte Lorenzo Magalotti al senatore Carlo Ginori, Firenze 1736 (lettere scritte nell'ultimo periodo della vita); inoltre: Fermi, 1904, pp. 27-89 elenca 1108 autografi del M., editi e inediti; G. Güntert, Un poeta scienziato del Seicento: L. M., Firenze 1966, p. 172 segnala raccolte di lettere, in parte inedite, conservate alla Biblioteca Piancastello di Forlì e alla Bibliothèque nationale di Parigi (Fonds ital., 516-517, 2035, 2183); G. Scherz, Neue Stensenbriefe, in Centaurus, XII (1967), pp. 167-180 (lettere a N. Stensen); W.E.K. Middleton, Some published correspondence of L. M. in 1667 and 1668, in Studi secenteschi, XXI (1980), pp. 123-202; V. Conrart, Lettres à L.M., a cura di G. Berquet - J.P. Collinet, Saint-étienne 1981; E. Casali, L. M. tra Romagna e Toscana: la corrispondenza inedita con Guido e Filippo Rasponi, in Studi secenteschi, XXVII (1986), p. 112 n. 2 dà un elenco delle lettere edite; A. Robinet, Leibniz: Iter Italicum (mars 1689 - mars 1690): la dynamique de la République des lettres, Firenze 1988, pp. 273-276; E. Casali, "Messer Ottavio amatissimo". A proposito del carteggio di L. M. con Ottavio Falconieri (1660-1674), in Studi secenteschi, XXXI (1990), pp. 87-111. L'attenzione per l'opera del M. nei campi scientifico, storico, filosofico e letterario rende incompleta ogni bibliografia: si consultino Fermi, 1904; M. Ziino, Rassegna di scritti magalottiani (1921-30), in Leonardo, III (1932), pp. 441-443; Güntert, cit., pp. 172-175; T. Poggi Salani, Nota bibliografica, in L. M., Saggi di naturali esperienze, Milano 1976, pp. 39-47. Per gli anni successivi, per l'ambito storico-scientifico cfr. la Bibliografia italiana di storia della scienza. Si indicano di seguito solo lavori di sintesi: S. Fermi, L. M. scienziato e letterato, Piacenza 1903; M. Ziino, Note magalottiane, in Archeion, XI (1929), pp. 358-365; T. Poggi Salani, L'atteggiamento linguistico di L. M. e il lessico dei "Saggi di naturali esperienze", in ACME, XIV (1961), pp. 7-69; A. Corsano, M. e l'ateismo, in Giorn. critico della filosofia italiana, LI (1972), pp. 241-262; E. Cochrane, Florence in the forgotten centuries 1527-1800, Chicago-London 1973, pp. 229-313; P. Casini, Introduzione all'Illuminismo, Bari 1973, pp. 277-283; G. Tavani, Dante nel Seicento, Firenze 1976, pp. 137-167 e passim; M. De Benedictis, L'ideologia dell'uomo di garbo: studio su L. M., Roma 1978; E. De Angeli, L. M., in La scuola galileiana. Prospettive di ricerca. Atti del Convegno, Santa Margherita Ligure, 1978, a cura di G. Arrighi et al., Firenze 1979, pp. 89-109; U. Baldini, La scuola galileiana, in Storia d'Italia (Einaudi), Annali 3, Scienza e tecnica nella cultura e nella società dal Rinascimento ad oggi, a cura di G. Micheli, Torino 1980, pp. 405-420; G. Spini, Ricerca dei libertini: la teoria dell'impostura delle religioni nel Seicento italiano, Firenze 1983, pp. 370-386; M. Baldini, M.: religione e scienza nel Seicento, Brescia 1984; B. Basile, L'invenzione del vero, Roma 1987, pp. 192-210; W. Moretti, M. ritrattista, Modena 1991; E. Graziosi, Montani e M., in Giorn. stor. della letteratura italiana, CVIII (1991), 168, pp. 85-127, 228-270; A. Turolo, Tradizione e rinnovamento nella lingua delle "Lettere scientifiche ed erudite" del M., Firenze 1994.