MAGALOTTI, Lorenzo
Nacque a Firenze, il 1 genn. 1584, dal senatore Vincenzo e da Clarice Capponi. Entrambi i genitori appartenevano a famiglie gentilizie; ma i nobili Magalotti, pur impegnati nel governo della Repubblica, non disdegnavano le attività mercantili a Firenze e a Roma. Conseguito il titolo di dottore in diritto civile e canonico presso lo Studio di Pisa, nel 1607, alla morte del padre, il M. si trasferì a Roma, dove iniziò la sua carriera in Curia.
Già a quella data egli poteva contare sulla protezione di Maffeo Barberini - creato cardinale da Paolo V nel maggio del 1605 - per via dei legami di parentela che univano la famiglia Magalotti a quella del futuro papa Urbano VIII. Nel 1594, infatti, era stato celebrato il matrimonio tra Costanza, sorella maggiore del M., e Carlo Barberini, fratello maggiore di Maffeo.
Potendo contare su un solido sostegno, iniziò la sua carriera nella Curia romana, prima come referendario di Segnatura (1609), in seguito, in qualità di vicelegato di Maffeo Barberini, nominato legato a Bologna nel 1611 per un triennio. Ricoprendo successivamente le cariche di governatore del Presidiato di Montalto, nelle Marche meridionali (1616-18) e di vicelegato del Patrimonio (1618-19), ebbe modo di maturare la fisionomia di un prelato esperto, capace di dosare accortamente gli strumenti amministrativi necessari a governare la realtà frammentata della periferia pontificia. A tale maturazione contribuì soprattutto la vicelegazione del Patrimonio, poiché, in assenza del legato Odoardo Farnese governò di fatto la provincia, affrontando con discrezione questioni delicate, come le lamentele della città di Viterbo contro il tesoriere provinciale Paolo Gualtieri o l'arresto dei gonfalonieri di Bolsena per un debito del Comune. Nel 1620-21 il M. chiuse questa prima fase della sua carriera con la nomina a governatore di Ascoli.
Rientrato a Roma, rimase sempre in stretto contatto con il cardinale Barberini e con altri esponenti della nutrita colonia toscana, come i Sacchetti. Né mancarono rapporti con influenti personaggi della madrepatria, tra i quali Galileo Galilei, di cui rimane un carteggio relativo agli anni 1623-24, probabilmente iniziato intorno al 1616. Le buone prove fornite nei governi gli assicurarono la stima del cardinal nipote, Scipione Borghese e indussero Paolo V a nominare il M., nel 1621, ponente della S. Consulta, l'organo responsabile dell'amministrazione periferica dello Stato. E fu, probabilmente, in quanto commissario della Consulta che nel 1623 assunse il governo di Cascia. Apprezzato da Gregorio XV e dal cardinal nipote Ludovico Ludovisi, fu poi gratificato della nomina alla prestigiosa carica di segretario di Consulta nella primavera del 1623. Ma, dopo pochi mesi, la morte di Gregorio XV e l'elezione al papato di Maffeo Barberini, il 6 ag. 1623, gli aprirono prospettive ancora più importanti e sancirono l'affermazione sua e della sua famiglia sulla scena politica romana. Il fratello Carlo fu chiamato a Roma da Firenze e fu elevato alla carica di luogotenente di Carlo Barberini, generale di Santa Romana Chiesa, mentre il M. stesso fu nominato segretario di Stato e gli fu affidato il compito di avviare alla conoscenza della macchina curiale il cardinal nipote di Urbano VIII, Francesco Barberini.
Il M. fu messo rapidamente al corrente delle procedure dell'ufficio con una nota redatta dal sostituto della segreteria, Cristoforo Caetani, e nei primi anni del pontificato barberiniano divenne il più stretto collaboratore del pontefice, giungendo a ispirare l'intera politica internazionale della S. Sede. Con lui la Segreteria di Stato, che in passato si era caratterizzata come struttura prevalentemente esecutiva, assunse una funzione attiva nell'elaborazione della politica pontificia. Si trattava di una svolta importante che, tuttavia, era legata a condizioni del tutto particolari, come la parentela del M. con il pontefice e la giovane età del cardinal nipote, non ancora venticinquenne.
Gli anni 1625-26 furono i più fortunati della carriera del Magalotti. Nominato cardinale già nella seconda promozione del 7 ott. 1624, egli volle esprimere la sua devozione a Urbano VIII facendo realizzare da pittori come Agostino Tassi, Pietro Berrettini da Cortona, Giovanni Lanfranco e altri, un ciclo di nove tele - ora perdute - che raffiguravano le principali cerimonie pontificie. Era una ostentazione della vicinanza della famiglia Magalotti a quella dei Barberini, che non sfuggiva agli osservatori più attenti, come gli ambasciatori veneti (Relazioni, p. 234). Il M. volle esibirsi in un'altra manifestazione di potente fastosità quando - in occasione della morte del fratello Carlo, deceduto a Parigi il 13 maggio 1625 mentre si trovava al seguito di Francesco Barberini, impegnato nelle trattative per la questione della Valtellina - fece realizzare nella chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini, da G.L. Bernini, un catafalco straordinariamente elaborato, che fu giudicato da alcuni una dimostrazione "soverchiamente dispendiosa et indecente per un personaggio ordinario" (Fumagalli, 1999, p. 23).
L'attività del M. presso la Segreteria di Stato nei primi anni del pontificato di Urbano VIII è abbastanza conosciuta, anche se l'oralità che talora caratterizzava i rapporti tra il pontefice e il segretario di Stato non consente di cogliere appieno in quale misura il M. fosse l'ispiratore diretto di alcune scelte politico-diplomatiche. Sicuramente nel 1624-26 il M. rappresentò per i diplomatici della S. Sede il tramite indispensabile con il pontefice, redigendo egli, tra l'altro, le istruzioni per il nunzio in Spagna, Giulio Sacchetti, e per quello in Francia, Bernardino Spada. Lo stesso cardinal nipote, Francesco Barberini, nel corso della legazione in Francia e Spagna per le trattative sulla sorte della Valtellina (1625-26), faceva riferimento al M. per ricevere indicazioni. D'altro canto, le minute delle istruzioni inviate ai nunzi rivelano il costante intervento del pontefice, che si valse della collaborazione del M. ma non gli delegò mai interamente la trattazione degli affari.
Nonostante avesse dato una buona prova nelle sua attività di segretario di Stato, il M. dovette progressivamente cedere il passo ai giovani cardinali della famiglia Barberini. Già nel 1626, al ritorno di Francesco Barberini dalla missione europea, egli manifestò il desiderio di abbandonare la carica, adducendo come motivo, non senza fondamento, la malferma salute, e suggerì che essa venisse assegnata a Lorenzo Azzolino. La richiesta di dimissioni del M. fu, però, rifiutata ed egli rimase in carica, anche se la mole di attività si ridimensionò e nel tempo molte funzioni passarono a Francesco Barberini, che pure sembrò agire di concerto con lui.
Nel febbraio 1628 fu pubblicata la nomina, già in pectore, di Antonio Barberini iunior a cardinale. Pochi mesi dopo, il 5 maggio, il M. fu nominato vescovo di Ferrara, con la riserva di una pensione in favore di Antonio Barberini e di un'altra in favore di Giulio Sacchetti.
L'allontanamento del M. da Roma segnò una svolta negli equilibri politici del pontificato barberiniano. L'affermazione di Francesco Barberini come unico stretto collaboratore di Urbano VIII, non rappresentò solo una vittoria delle "ragioni del sangue", ma si accompagnò anche all'emergere di un gruppo di prelati, come Marzio Ginetti, avversario del M., Ciriaco Rocci e Bernardino Spada, legati ai nipoti, laici ed ecclesiastici, del pontefice, e in particolare al prefetto Taddeo, e disposti ad assecondare le loro aspirazioni a trasformare i Barberini in una grande famiglia principesca. Una prospettiva, questa, rispetto alla quale il M. aveva da tempo preso le distanze, manifestando le sue riserve sul matrimonio tra Taddeo Barberini e Anna Colonna (ottobre 1627) e sull'elevazione al cardinalato di Antonio Barberini.
Sebbene in passato avesse più volte manifestato la sua disponibilità ad abbandonare la carica di segretario di Stato, egli subì come una sconfessione del suo operato la nomina vescovile, che fu valutata dai contemporanei come una sorta di forzato esilio. Alcuni ritennero che il suo allontanamento non fosse definitivo: nel maggio 1630, Fulvio Testi raccolse la voce di un suo richiamo, ma, specie dopo la morte di Carlo Barberini (1630), non esistevano più le condizioni per una simile prospettiva e il M. rimase a Ferrara per tutto il resto della sua vita, "disgustato" dai Barberini, secondo l'ambasciatore veneto Angelo Contarini (Relazioni, p. 276).
L'assunzione del vescovato di Ferrara rappresentò un drastico ridimensionamento delle ambizioni del M., ma non lo privò del tutto di un ruolo politico attivo. Anche se i suoi rapporti con i giovani cardinali Barberini non erano ottimi, egli rimase un uomo di fiducia del pontefice e, in quanto tale, mantenne sempre un fitto carteggio con Roma e fu incaricato anche di compiti che travalicavano la sua condizione di vescovo, come, per esempio, quello di sovrintendere allo stato delle fortificazioni delle Legazioni per renderle in grado di sostenere un eventuale impegno del Papato in occasione della contesa per la successione del Ducato di Mantova. Allo stesso modo, durante la peste del 1630, egli poté valersi della sua esperienza amministrativa per allestire le necessarie strutture assistenziali, che limitarono i danni dell'epidemia.
Nel periodo ferrarese, egli dimostrò una genuina vocazione per la funzione episcopale, che lascia intravedere una sentita adesione agli ideali tridentini, nell'affermazione di un governo pastorale forte, vagamente ispirato al modello di Borromeo. I capisaldi della sua azione furono due. Da un lato, egli cercò di rafforzare le strutture diocesane, non sottraendosi all'obbligo delle visite pastorali, una delle quali fu occasione per imporre l'autorità vescovile su alcuni enti religiosi legati al Comune ferrarese. Dall'altro lato, cercò di affermare la potestà vescovile rispetto agli altri poteri del territorio, primo fra tutti quello dei cardinali legati che governavano Ferrara. In una prima fase, durante la legazione del cardinale Giulio Sacchetti (1627-31), non ci furono grossi contrasti, e i due prelati operarono in armonia, seguendo le indicazioni che venivano loro da Francesco Barberini. Durante la legazione del cardinale Giovan Battista Pallotta, invece, la tensione tra il potere episcopale e quello legatizio fu alta, con episodi clamorosi, come nel 1632, quando un arresto operato in luogo immune aprì un duro confronto tra il vescovo e il legato, che fu risolto a vantaggio del M. da un'apposita congregazione. Né minore fu la conflittualità che si innescò intorno alla questione dell'assoggettamento del clero a una serie di contribuzioni per il mantenimento del decoro urbano, tenacemente osteggiata dal vescovo.
A Ferrara, il M. disimpegnò anche una non trascurabile attività di mecenatismo artistico, promuovendo i restauri del Palazzo vescovile e delle coperture della cattedrale, nonché la costruzione, nella stessa cattedrale, di un altare dedicato a S. Lorenzo, con una pala del Guercino, pittore che il M. aveva apprezzato sin dal periodo romano e al quale commissionò, nel 1637, un'importante tela raffigurante Ester e Assuero, che fu completata solo dopo la sua morte.
A giugno dello stesso anno, a coronamento della sua attività, il M. tenne un sinodo. Poco dopo si ammalò e morì, a Ferrara, il 19 sett. 1637.
Fonti e Bibl.: La documentazione manoscritta riferibile al M. è abbondante. Oltre a numerosi fondi della Biblioteca apost. Vaticana (in particolare i codici Barberiniani latini) e dell'Archivio segreto Vaticano, importanti documenti, come i registri di lettere del M., sono in Arch. di Stato di Firenze, Archivio Magalotti, per il cui inventario si rinvia a G. Camerani Marri, L'Archivio Magalotti, in Rass. stor. toscana, XVI (1970), pp. 257-280 e ad A. Kraus, Das Archiv Magalottis, Staatssekretär Urbans VIII. von 1623 bis 1628, in Hundert Jahre Deutsches Priesterkolleg beim Campo Santo Teutonico 1876-1976. Beiträge zu seiner Geschichte, a cura di E. Gatz, Rom 1977, pp. 86-92. Va inoltre indicato il carteggio, edito anche su cd rom, del cardinal legato G. Sacchetti: La legazione di Ferrara del cardinale Giulio Sacchetti, s.l. né d. [forse Ferrara 2005]; Relazioni degli Stati europei lette al Senato dagli ambasciatori veneti nel secolo decimosettimo, a cura di N. Barozzi - G. 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