MOSSA, Lorenzo
MOSSA, Lorenzo. – Nacque a Sassari il 29 gennaio 1886 da Antonio – avvocato, libero docente di diritto penale all’Università, discendente diretto del rivoluzionario Giovanni Maria Angioi – e da Adele Demurtas.
Dopo gli studi presso il liceo della città natale, si laureò a Genova nel 1907 con Ulisse Manara, per poi perfezionarsi a Torino con Angelo Sraffa, uno dei maestri del diritto commerciale italiano. Nel 1914 ottenne la libera docenza con lo studio Il contratto di somministrazione (Sassari 1914), un tema allora assai innovativo sia per gli aspetti civilistici sia per quelli commercialistici. Fu professore straordinario nella libera Università di Camerino, ma dal 1918-19 ottenne l’incarico di diritto commerciale a Sassari. Nel 1920 vinse il concorso di straordinario, valutato da una commissione presieduta da Cesare Vivante che, pur apprezzando la sua produzione, ne prendeva in qualche modo le distanze («è un filosofo meglio di un giurista»).
In quel periodo diede alle stampe due volumi sull’istituto dello chéque che costituirono un apporto nuovo ed estremamente originale alla dottrina cambiaria e al diritto bancario in generale: Il diritto dello chéque (Sassari 1919) e Ordinamento cambiario dello chéque (Sassari 1921). Il primo partiva dalla constatazione che il diritto italiano vigente non possedeva norme positive tese a disciplinare la circolazione dello chéque; il secondo intendeva fissarne le regole generali e i requisiti formali. Non è forse un caso che questi due lavori si ricollegassero al dibattito dei commercialisti nella Germania della Repubblica di Weimar, nella consapevolezza che il diritto commerciale non fosse più assimilabile ai vecchi parametri.
Nel 1921 si trasferì a Macerata per tornare a Sassari l’anno successivo. Nella prolusione Il diritto del lavoro (Annali per l’a.a. 1922-23, pp. XVII-LVI), considerata uno dei manifesti programmatici della giuslavoristica italiana, emerge con forza la necessità della costruzione di un diritto nuovo rispetto alle basi dogmatiche di matrice pandettistica. Il giurista deve guardare oltre i confini civilistici tradizionali per scorgere «un nuovo e imponente diritto della persona», un diritto che «ha una finalità comune grandiosa: l’elevazione della personalità umana». Il dirompente manifesto suscitò incomprensione e diffidenza per l’esplicito richiamo al «diritto libero».
La seconda fase dell’insegnamento sassarese va dal 1922 al 1923: direttore dell’Istituto giuridico, Mossa si impegnò nella raccolta degli usi commerciali per la Camera di commercio e diresse dal 1921, in collaborazione col giovane Antonio Segni, la seconda serie della rivista Studi sassaresi. Dal 1923 si trasferì a Cagliari dove rimase (pur con la supplenza a Sassari di diritto commerciale e di legislazione del lavoro) sino al 1926, quando fu chiamato a Pisa sulla cattedra di David Supino. Nel 1927 decise inaspettatamente di tornare nella sua città natale, ma si rese subito conto che l’ateneo sassarese non poteva offrirgli quelle opportunità di studio e di lavoro che soltanto un’università di primaria importanza era in grado di garantirgli. Dopo meno di un anno fece ritorno nella facoltà giuridica di Pisa, dalla quale non volle più allontanarsi.
Qui, nella prolusione al corso di diritto commerciale del 20 gennaio 1926, ipotizzò una vera e propria rifondazione culturale della disciplina sul fondamento dell’impresa in senso soggettivo e professionale (I problemi fondamentali del diritto commerciale, in Rivista di diritto commerciale, 1926, pp. 233 ss.). Alla concezione giuridica tradizionale contrapponeva un nuovo approccio che mirava a identificare l’esercizio commerciale con l’impresa: «diritto del commerciale e diritto dell’impresa dovranno significare una sola cosa, per il fatto che l’impresa diviene l’organismo economico che concentra in sé i mezzi e gli uomini indispensabili per l’esercizio dell’attività commerciale».
Negli anni Venti e Trenta iniziò a guardare con sempre maggiore interesse alle tematiche corporative, considerate come una rifondazione radicale delle categorie del diritto del lavoro, di impresa e di solidarismo sociale. L’impresa, espressione delle nuove dinamiche sociali, ma anche realizzazione compiuta dell’incontro «corporativistico» con lo Stato, fu al centro delle riflessioni. Pur antifascista, Mossa finì per identificarsi con la politica sociale del regime. Il corporativismo iniziava a infliggere, come avrebbe osservato, dei veri e propri «colpi d’ariete» alla dogmatica corrente e a portare acqua al mulino delle sue teorie sul diritto economico.
Pisa era allora il centro più vivo dell’elaborazione corporativa, grazie soprattutto al ruolo di Giuseppe Bottai, che nel 1929 fondò la Scuola di perfezionamento nelle discipline corporative, nella quale era stato istituito un innovativo corso di diritto dell’economia tenuto appunto da Mossa.
Nel 1930 pubblicò sulla rivista Archivio di studi corporativi di Bottai (dall’anno precedente ministro delle Corporazioni), un saggio stimolante e ricco di intuizioni, Modernismo giuridico e diritto privato, che costituiva una netta apertura di credito verso la politica sindacale del regime: «Lo Stato corporativo mira a conseguire la perfetta giustizia, con la normazione economica». Questo saggio, assieme ad altri sull’argomento, fu raccolto nel volume L’impresa nell’ordine corporativo, con prefazione di Bottai (Firenze 1935), uno dei suoi lavori più lucidi e suggestivi. Nel 1934, grazie all’invito della Universidad internacional de verano di Santander (dal 1945 Menéndez Pelayo) in quattro conferenze sul diritto dell’economia e dell’impresa ebbe modo di imprimere ulteriore ordine logico alle proprie tesi.
In sostanza il diritto dell’economia si caratterizzava come ogni diritto pubblico e privato, individuale e collettivo, nel quale era compresa l’economia in tutte le sfaccettature individuali e generali. Mossa tornava quindi alle origini del diritto commerciale, quando raggruppava tutte le manifestazioni giuridiche a carattere economico a eccezione del diritto di famiglia e di quello della persona. Era inevitabile che Mossa esprimesse un giudizio estremamente lusinghiero anche sulla Carta del lavoro, pur constatando che le applicazioni date dalla giurisprudenza erano molto distanti dal ‘diritto vivente’. Ancora nel secondo dopoguerra, nonostante il suo antifascismo, riconosceva al regime il merito di essere riuscito a elaborare un vero e proprio diritto del lavoro.
Mossa era molto noto fra i giuristi tedeschi: aveva segnalato e accreditato le loro opere in Italia e collaborato a diverse riviste specialistiche, fra cui l’autorevole Zeitschrift für Handelsrecht. Otto Schreiber aveva divulgato la sua teoria dell’impresa ed Ernst Jacobi aveva pubblicato un saggio sui suoi studi di diritto cambiario. Nel 1931 Karl Wieland, che fu uno dei più illustri commercialisti del Novecento, gli aveva dedicato il secondo volume dell’Handelsrecht. La sua fama all’estero si era ulteriormente rafforzata grazie alla partecipazione quale membro della delegazione italiana alla Conferenza internazionale di Ginevra (1930-31) per l’unificazione del diritto cambiario.
Espressione di questa esperienza e di questi studi sono i due grossi volumi La cambiale secondo la nuova legge (Milano 1935) – aggiornato e rinnovato in seguito col titolo Trattato della cambiale (Padova 1956) – e Lo check e l’assegno circolare secondo la nuova legge (Milano 1939). Nel 1938 Mossa, insieme con Alberto Asquini e Giuseppe Valeri, fu chiamato a dirigere la Rivista di diritto commerciale: la convivenza non era certo semplice giacché dinanzi alle esuberanze e agli entusiasmi di Mossa gli altri due direttori avevano un atteggiamento molto più prudente. Il contrasto tra Mossa e Asquini si accentuò ulteriormente a proposito della penetrazione delle ideologie corporative nel diritto commerciale e in occasione dei lavori della commissione incaricata di predisporre il progetto del nuovo codice di commercio del 1940 (di cui Mossa non aveva voluto far parte). Nella polemica si contrapponevano due filosofie antagoniste sulla funzione sociale e i compiti del diritto commerciale. Le divergenze si radicalizzarono in occasione della ripresa dei lavori per la riforma del codice, quando Asquini, cedendo alle pressioni del guardasigilli Dino Grandi, si adeguò all’idea del codice unico fortemente voluta dal ministro. Nel 1941 Mossa inviò alla Rivista di diritto commerciale un articolo polemico, Contributo al diritto dell’impresa e al diritto del lavoro (in Archivio di studi corporativi, 1941, pp. 63 ss.) in cui, senza mezzi termini, si criticava l’abbandono dell’autonomia del diritto commerciale. In polemica con le scelte commercialistiche del nuovo codice civile diede alle stampe l’opuscolo La società anonima e i denti del drago (Livorno 1942).
Nel 1944 subì un durissimo colpo a causa della tragica morte del figlio Renzino, ucciso da una mina all’indomani della liberazione di Pisa.
Tra guerra e dopoguerra tentò di dare ordine sistematico alle sue teorie, elaborando un monumentale Trattato del nuovo diritto commerciale secondo il codice del 1942: al primo volume, dedicato a Il libro del lavoro, l’impresa corporativa (Milano 1942), fecero seguito i volumi Società commerciali personali (Padova 1951); Società a responsabilità limitata (Padova 1953); Società per azioni (Padova 1957), mentre rimasero incompiuti i progettati tomi sul fallimento e sui contratti d’impresa.
Nel 1945, nell’editoriale Per il diritto dell’Italia, della rinata Rivista di diritto commerciale, si dichiarò a favore, in polemica con larga parte della scienza giuridica italiana, dell’abrogazione dei codici fascisti, in particolare di quello civile, considerato «codice fascistissimo». Nel 1947 fondò la Nuova rivista di diritto commerciale, diritto dell’economia, diritto sociale, che sarebbe diventata la tribuna delle sue posizioni e di quelle dei suoi allievi (Sergio Sotgia, Mario Casanova, Sergio Ferrarini, Piero Verrucoli, Antonio Piras). Approfondì con acume anche tematiche storiche, come la ricostruzione del pensiero commercialistico di Domenico Alberto Azuni e il breve profilo della storia del pensiero giuridico sardo otto-novecentesco, Giuristi di Sardegna (in Studi sassaresi, s. 2, VI [1927], 1, pp. 23-38; ibid., XVI [1938], pp. 513-542). In quell’anno fu nominato accademico dei Lincei.
Morì a Pisa il 19 aprile 1957.
Fonti e Bibl.: T. Ascarelli, L. M., in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, XI (1957), pp. 738 s.; S. Satta, Il professor L.M. (1957), in Id., Soliloqui e colloqui di un giurista, Nuoro 2004, pp. 412-414; A. Asquini, L. M., in Id., Scritti giuridici, III, Padova 1961, pp. 39-43; M. Casanova, L. M., in Studi in memoria di L. M., I, Padova 1961, pp. XIII-XXIII, con bibl. delle opere; R. Teti, Codice civile e regime fascista. Sull’unificazione del diritto privato, Milano 1990, pp. 244 s.; P. Cappellini, Il fascismo invisibile. Una ipotesi di esperimento storiografico sui rapporti tra codificazione civile e regime, in Quaderni fiorentini, XXVIII (1992), pp. 237-282; P. Grossi, Itinerarii dell’impresa, ibid., pp. 1005-1015; Id., Scienza giuridica italiana. Un profilo storico (1850-1950), Milano 2000, pp. 148 s., 196 s.; N. Rondinone, Storia inedita della codificazione civile, Milano 2003, pp. 35-37, 293, 467-477; I. Stolzi, Gli equilibri e i “punti di vista”: “interno” ed “esterno” nella rappresentazione della dinamica corporativa. Un’ipotesi di dialogo tra L. M. e Widar Cesarini Sforza, in Ordo iuris, Milano 2003, pp. 221-258; P.J. Bueso Guillén, L.M., in Juristas universales, IV, a cura di R. Domingo, Madrid 2004, pp. 134-136; G. Cazzetta, Scienza giuridica e trasformazioni sociali, Milano 2007, ad ind.; M. Granieri, Il tempo e il contratto. Itinerario storico-comparativo sui contratti di durata, Milano 2007, pp. 96 s. e passim; I. Stolzi, L’ordine corporativo. Poteri organizzati e organizzazione del potere nella riflessione giuridica dell’Italia fascista, Milano 2007, ad ind.; A. Mattone, Gli studi giuridici e l’insegnamento del diritto (XVII-XX sec.), in Storia dell’Università di Sassari, II, a cura di A. Mattone, Nuoro 2010, pp. 218 s.; Novissimo Digesto Italiano, X (1964), pp. 953 s.