NENCINI, Lorenzo
– Nacque a Firenze il 10 gennaio 1806 da Matteo Cosimo e da Camilla Gaetana Salvi.
Nel 1819 fu ammesso all’Accademia di belle arti di Firenze dove, a partire dal 1823, svolse il suo apprendistato di scultore, sotto la guida di Stefano Ricci, e ai cui concorsi partecipò assiduamente. La sua produzione giovanile si orientò verso tematiche proprie del classicismo di matrice canoviana di cui il suo maestro fu uno dei più fedeli esponenti. Nel 1827 ottenne un premio per l’accademia del nudo in creta e, nella stessa occasione, espose un Busto femminile. Due anni più tardi fu premiato per il bassorilievo di invenzione raffigurante Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso terrestre, mentre nel 1830 presentò all’annuale concorso accademico un busto marmoreo di Paride, copia da Antonio Canova. Nello stesso anno espose nelle sale dell’Accademia un Putto che stringe un uccellino, in gesso, lodato dalla critica (Gazzetta di Firenze, 30 ottobre 1830, p. 6) per la naturalezza del modellato.
Nel 1832 concorse per il pensionato romano, ma non riuscì ad ottenerlo e dovette così ritentare nel 1836, quando la sua domanda fu respinta per limiti di età. Sempre nel 1832 eseguì un S. Nicolò vescovo, oggi perduto, per la cui realizzazione richiese alla direzione della scuola di poter copiare un antico piviale, dimostrando una non comune attenzione filologica verso la corretta riproduzione degli abiti e degli accessori nei soggetti storici o religiosi. In occasione della consueta mostra accademica, nel 1833 propose un Baccante, l’anno successivo una Flora-Primavera in gesso, in seguito tradotta in marmo per il tipografo Vincenzo Batelli, a ornamento di una delle nicchie nella facciata del palazzo fiorentino di via S. Egidio (palazzo Galletti) che fu sede del suo stabilimento calcografico. Nel 1837 presentò quella che fu reputata «la più bella delle opere sue» (Saltini, 1862, p. 35), un Baccante coricato in atto di spremersi in bocca dell’uva modellato in gesso, che espose nuovamente a Brera nel 1838 e donò all’Accademia di Milano, dove tuttora si conserva, presso le Civiche Raccolte d’arte.
Unica testimonianza dell’attività giovanile di Nencini, il Baccante mostra le componenti culturali che caratterizzarono la sua formazione: la scultura canoviana nella bellezza ideale dei lineamenti del volto, ma anche il naturalismo di Lorenzo Bartolini, evidente nella posa languidamente estenuata, dalla forte accentuazione sentimentale.
Al 1838 risale la prima opera di un certo impegno, il monumento funebre a Giovita Garavaglia, destinato alla basilica fiorentina della Ss. Annunziata.
Paragonabile, per la solenne semplicità dell’impostazione, alla tomba di Pompeo Signorini di Stefano Ricci nella chiesa di S. Croce, il monumento si discosta tuttavia dall’astratta nobiltà di quel precedente scultoreo. Infatti, la fanciulla velata, personificazione dell’Incisione, disciplina nella quale si era distinto il defunto, ha una naturalezza spontanea che ricorda la bartoliniana Fiducia in Dio. I recensori del tempo elogiarono l’espressione della giovane, «di una doglia non terrena», «le braccia che sembra debban cedere al tatto, il collo, parte del nudo seno che palpita, se credi all’occhio» (Monumento a Giovita Garavaglia..., 1838, p. 150).
Nell'ambito dell’iniziativa promossa da Batelli di decorare le 28 nicchie del loggiato degli Uffizi con altrettante statue degli illustri toscani, fin dal 1837 gli fu assegnata l’effigie di Guido Monaco di Pomposa, monaco aretino inventore dello spartito musicale, ma la statua fu inaugurata, nella ventisettesima nicchia, soltanto il 24 giugno 1847.
La statua rientra nei canoni del purismo toscano: l’abito monacale, dalle ampie pieghe, conferisce un aspetto maestoso alla figura, colta in atto di mostrare la tavoletta con il rigo e le note, attributi funzionali a identificare immediatamente il personaggio, in linea con il carattere pubblico dell’iniziativa, mirante a esaltare coloro che, nei secoli, meglio rappresentarono il genio toscano nelle varie discipline.
A partire dal terzo decennio ricevette una serie di importanti commissioni, tutte per la nuova chiesa di S. Leopoldo a Follonica, che lo videro impegnato per buona parte della sua restante attività artistica. Nel 1840 eseguì infatti un neoquattrocentesco Ciborio con due Angeli, secondo il disegno dell’architetto Carlo Reishammer, e l’anno seguente un S. Giovanni Battista, destinato a ornare il fonte battesimale.
Il ciborio è composto da due angioletti affrontati dorsalmente, che sostengono un’edicola centrale posta sotto un arco aperto sull’altare e poggiante a sua volta su un rigoglioso cespo d’acanto, memore dello stile di Benedetto da Maiano. L’effetto di colta sostenutezza formale, accentuato dall’elegante contrasto del bianco marmoreo ritagliato sul fondo scuro delle colonne absidali, è tuttavia temperato dalla resa estremamente naturale dei due nudini, teneramente indagati, come nelle morbide pieghe delle natiche, nei punti in cui poggiano i talloni, affondandovi. La posa, che esalta gli effetti tattili e le morbidezze delle carni in un modo che richiama la bartoliniana Fiducia in Dio, suscita nell’osservatore sentimenti di accostante umanità . La stessa commovente verità si coglie nella bellezza fragile e casta del Battista adolescente, sebbene ancora una volta filtrata attraverso modelli rinascimentali – in particolare Donatello e Desiderio da Settignano – a confermare una felice sintesi tra naturalezza e tradizione.
Nel 1841 ricevette l’incarico di decorare il portico della chiesa di Follonica con due bassorilievi, da consegnare entro la fine del mese di marzo per essere poi realizzati in ghisa.
La narrazione, incentrata sulla figura del santo patrono dell’Austria, Leopoldo, intento a distribuire beni agli indigenti, è svolta attraverso due scene esemplari ed ugualmente edificanti che si snodano sui lati brevi del pronao: La consegna del pane ai poveri e La consegna dei vestiti ai poveri, in una manifesta allusione all’operato del granduca Leopoldo II, responsabile della bonifica della Maremma, e, conseguentemente, del rilancio economico del territorio. Diversi sono gli spunti sia stilistici che iconografici dai quali dipendono questi rilievi: il fregio robbiano per l’ospedale del Ceppo a Pistoia, proprio in quegli anni rivalutato dalla storiografia di matrice purista (P. Contrucci, Monumento robbiano nella loggia dello spedale di Pistoia illustrato..., Prato 1835), ma anche i rilievi di Canova ispirati alle Opere di Carità, un esempio pertinente soprattutto per la dignitosa compostezza delle figure. I fregi di Follonica furono forse motivo ispiratore per il Monumento a Giulia Clary Bonaparte di Luigi Pampaloni, eretto pochi anni dopo in S. Croce.
In collaborazione con Reishammer e l'ingegnere Giuseppe Manetti realizzò la porta di S. Marco di Livorno, scolpendo il Leone datato 1840 e i due bassorilievi laterali, che «accanto a trofei guerreschi espongono, con saporose minuzie, gli emblemi della nobilitas labronica» (A. Bruschi, Carlo Reishammer e l'architettura della Fonderia di Follonica, in L'architettura, cronache e storia, 1970, p. 766). In seguito a queste prestigiose commissioni, nel 1840-41, ricevette l’incarico di eseguire il busto di Evangelista Torricelli e un medaglione raffigurante Alessandro Marsili per la tribuna di Galileo alla Specola di Firenze.
La collaborazione con Manetti culminò nell’esecuzione di un suo Busto, che scolpì molti anni prima della morte di Manetti e che nel 1865 fu collocato come monumento funebre presso il cimitero delle Porte sante a San Miniato al Monte (G. Meini, Il commendator Giuseppe Manetti e le sue opere, Firenze 1867).
Nel 1844 presentò alla mostra accademica una grande Strage degli Innocenti in gesso, forse concepita su ispirazione di alcune annotazioni di Bartolini per un gruppo mai realizzato; l’opera fu recensita positivamente, ma quando fu proposta all’Esposizione italiana del 1861, nel clima ormai mutato della propaganda unitaria, fu accolta negativamente e giudicata da Yorick, figlio di Yorick (Pietro Coccoluto Ferrigni) «uno dei soliti episodi, della solita strage, dei soliti innocenti» (Viaggio attraverso l’Esposizione italiana del 1861, Firenze 1861, p. 152).
Nel 1844 divenne socio dell’Accademia delle arti del disegno, mentre soltanto nel 1849 riuscì a ottenere l’incarico di maestro supplente di scultura presso la stessa istituzione. L’11 settembre 1853 fu eletto membro del Consiglio accademico per la sezione degli scultori.
Morì a Firenze il 14 marzo 1854.
Fu ricordato dai giornali del tempo più per le sue doti umane che per le sue qualità artistiche. Così fu definito infatti nel necrologio che accompagnava la notizia del suo decesso, «uomo di semplici costumi e senza orgoglio, probo, onesto e buon cittadino» (Monitore Toscano, 25 marzo 1854, 70, p. 3; Bullettino delle arti del disegno, 30 marzo 1854, I, 13, p. 104). Conferma l’oblio in cui era caduta la sua figura il rifiuto da parte dell'Accademia fiorentina di acquisire alcune sculture che le sorelle ed eredi Carolina e Tommasina avrebbero voluto donare: tra il 1860 e il 1861 furono rifiutati sia il modello della Baccante sia la statua di un Baccante, mentre nel 1862, col pretesto della mancanza di spazio, fu negato il permesso di collocare nella scuola il gesso della Strage degli Innocenti (Firenze, Archivio dell'Accademia di belle arti, Affari 1862, n. 3).
Fonti e Bibl.: Firenze, Archivio dell’Opera del duomo, Registro battezzati, R. 129, fig. 198; Firenze 29 ottobre. I. e R. Accademia delle belle arti di Firenze, in Gazzetta di Firenze, 130, 30 ottobre 1827; Firenze 9 ottobre. I. e R. Accademia delle Belle Arti, ibid., 125, 19 ottobre 1833; Q., Monumento a Giovita Garavaglia, scolpito da L. N., in Giornale del commercio, 38, 19 settembre 1838; I. e R. Accademia delle belle arti di Firenze, in Gazzetta di Firenze, 120, 7 ottobre 1841; G.E. Saltini, Le arti belle in Toscana dal mezzo il secolo XVIII ai dì nostri. Memoria storica di Guglielmo Enrico Saltini, Firenze 1862, p. 35; F. Petrucci, Sculture in marmo e in ferro: L. N. per Follonica, in L. Rombai, Ferro fuso. L’arte del ferro fuso in Toscana. La chiesa di S. Leopoldo a Follonica, Firenze 1990, pp. 42-63; N. L., in A.P. Torresi, Scultori d’Accademia. Dizionario biografico di maestri, allievi e soci dell’Accademia di belle arti a Firenze (1750-1915), Ferrara 2000, s.v.; S. Iacopozzi, Guido Aretino, in M. Scudieri, Gli uomini illustri del loggiato degli Uffizi. Storia e restauro, Firenze 2001, pp. 175 s.; N. L., in A. Panzetta, Nuovo Dizionario degli scultori italiani dell’Ottocento e del primo Novecento. Da Antonio Canova ad Arturo Martini, Torino 2003, s.v.