PIGNOTTI, Lorenzo
– Nacque il 9 agosto 1739 a Figline Valdarno, quintogenito del mercante Santi e di Margherita Curlandi (prima di lui erano nati nel 1729 Maria Antonia, nel 1731 Domenico, nel 1734 Antonio Francesco e nel 1736 Maria Francesca, mentre dopo di lui, nel 1747, nacque Anna Maria), che in quel periodo abitavano in una casa dell’ospedale Serrisori vicina alla chiesa di San Francesco.
Il padre era tornato a Figline nel 1731, dopo aver trascorso alcuni anni a Livorno; qui, nonostante intraprendesse varie attività, a causa di una serie di rovesci economici fu portato dapprima al fallimento, nel dicembre del 1741, e quindi nel 1744 costretto alla fuga a Città di Castello per evitare la galera, perché aveva scritto alcuni libelli, giudicati denigratori, contro il commerciante rivale Leone Feroci. Contrariamente a quanto asserito da Paolini, Rugani e altri biografi, a seguire Santi nella fuga fu solo il figlio Domenico. Lorenzo rimase con la madre e il resto della famiglia a Figline fino alla seconda metà del 1747 o ai primi tre mesi del 1748, quando si trasferì ad Arezzo dove viveva lo zio Lorenzo, rimanendo sotto la sua tutela alla morte dei genitori, avvenuta intorno al 1748 per la madre e fra il 1750 e il 1753 per il padre.
Ad Arezzo frequentò le lezioni del Seminario come convittore (dal 15 giugno 1750 al 15 giugno del 1753), poi come esterno (dal 3 novembre 1753 al 3 aprile 1756) e infine di nuovo come convittore (dal 1756 fino a luglio o agosto 1759). Qui ebbe l’opportunità di assistere alle lezioni di retorica di Carlo Landi, poeta di Talla, che sembra abbiano avuto una notevole influenza sulla sua formazione. Forse per via delle dolorose vicissitudini infantili a Figline e del ricordo degli studi e dell’adolescenza passata ad Arezzo, elesse quest'ultima a sua patria.
Sembra che intorno ai vent’anni fosse invitato dallo zio a scegliere la carriera ecclesiastica, ma che rifiutasse per iscriversi all’Università di Pisa, dove, una volta consumato un distacco dalla famiglia dello zio, fu mantenuto dal cognato Antonio Bonci (marito della sorella Maria Antonia). Nel 1759 passò dunque a studiare fisica e medicina a Pisa, dove approfondì anche la conoscenza della letteratura antica e di quella moderna inglese e francese. Addottoratosi il 30 marzo 1764 in filosofia e medicina, sostenne l’esame per abilitarsi nell’esercizio della pratica medica solo tre anni più tardi, l’11 dicembre 1767. Erano necessari due anni di praticantato per poter accedere all’esame, che svolse a Firenze nell’arcispedale di S. Maria Nuova. Divenuto protetto di Pompeo Neri, in questo periodo si distinse guarendo il marchese Viale da un’oftalmia e passò un periodo presso di lui a Genova.
Membro dell’Accademia dei Forzati di Arezzo fin dal 12 settembre del 1763, (dove intervenne tre volte il 22 settembre 1763, il 13 dicembre 1764 e il 28 dicembre 1765), a Firenze entrò in quella degli Apatisti (e nel giuoco del Sibillone). Qui iniziò probabilmente a recitare le favole. Nel 1766 a Pisa conobbe Vittorio Alfieri e, nel 1769, fu nominato lettore di fisica nell’Accademia della Nobiltà di Firenze, per poi passare dopo cinque anni con lo stesso titolo all’Università di Pisa.
Dopo aver dato alle stampe il Componimento drammatico per l’arrivo in Toscana delle loro AA. RR. l’Arciduca Pietro Leopoldo d’Austria, Gran Duca di Toscana e la G.D. Maria Luisa Infanta di Spagna (Arezzo 1766), è tra la fine degli anni '70 e gli anni '80 del Settecento che prese avvio la sua attività poetica: nel 1778 scrisse il poemetto in versi sciolti La tomba di Shakespeare, uscito a Firenze e dedicato a Elizabeth Montagu che aveva difeso il tragico inglese dalle accuse di Voltaire; poi pubblicò la raccolta Favole e novelle (Pisa 1782) più volte ristampata e accresciuta nel corso del secolo, cui si deve ancora oggi la sua fama. In essa – dopo il poemetto L’ombra di Pope e una Prefazione in cui informa di pubblicare opere «parte […] originali, parte imitazioni d’inglesi e francesi scrittori» (p. XXXVI) – si ritrovano componimenti di vario metro, riconducibili al «modello canonico della tradizione favolistica classico-cinquecentesca» arricchita però da echi di Christian Gellert, John Gay o Alexander Pope (Nicoletti, 2002, p. 195). Concepita per prendere di mira i vizi degli uomini in generale, la raccolta ostenta una leggerezza e un esplicito intento didascalico che, se hanno portato ad apprezzarne «la simpatica vivacità, la signorile eleganza, la fine ariosa arguzia e l’estro immaginoso e fantastico» (Maier, 1973, p. 449), guadagnando a Pignotti la fama di migliore fra i favolisti italiani del Settecento, hanno però anche indotto a sottovalutarne la funzione culturale nell’Italia del tempo. Solo di recente, infatti, Francesca Fedi ha proposto di leggere la raccolta del 1782 come «una sorta di “manifesto massonico” del genere» (Fedi, 2006, p. 85), composto in linea con i precedenti tentativi di Bertola e di Lessing. Particolare importanza acquista in quest’ottica il componimento proemiale, L’origine della Favola, un meta-apologo che, raccontando le alterne vicende della Verità discesa fra gli uomini, suggerisce al lettore di cercare un messaggio cifrato sotto il manto allegorico della favola. Fin dagli anni ' 60 Pignotti sembra del resto vicino alle logge massoniche: compare ad esempio nell’elenco di personalità pisane, tutte legate alla libera muratoria, stilato da Joseph-Jérôme De Lalande nella sua relazione di viaggio in Italia (1769).
Alla produzione più strettamente favolistica devono accostarsi poi opere di altro genere, composte sempre negli anni '80 del Settecento: nell’ambito della professione scientifica le Congetture metereologiche del dottore L. P. pubblico professore di fisica nell’Università di Pisa (Firenze 1780); all’attività pubblica si devono invece l’Elogio storico di Angelo Tavanti, consigliere intimo attuale di Stato e di finanze di… Pietro Leopoldo Gran Duca di Toscana (ibid. 1782), l’Elogio storico di Tommaso Perelli professore di astronomia nell’università di Pisa (Pisa 1784), cui seguì il più tardo Elogio del prof. auditore Ranuzzi (pubbl. anonimo nel tomo 4 del Nuovo Giornale de’ letterati di Pisa, 1806). Allo stesso periodo risalgono le Osservazioni sullo stile del Metastasio e sul dramma di Ezio (Nizza 1785), pubblicate nel secondo volume delle Osservazioni di vari letterati sopra i drammi dell’abate Pietro Metastasio, in cui pur elogiando l’autore italiano, critica alcuni aspetti dell’Ezio.
Cospicua fu inoltre l'attività encomiastica: nel 1785 diede alle stampe il poemetto in endecasillabi sciolti Roberto Manners in cui celebrava il fratello del viceré d’Irlanda Carlo di Rutland; al 1791 risale La felicità dell’Austria e della Toscana, in sestine, composto per l’ingresso a Firenze del nuovo granduca Ferdinando III e della moglie Maria Amalia, con cui ottenne una medaglia d’oro dal valore di cento zecchini; nel 1795 compose infine una canzone Per la nascita di sua altezza reale l’arciduca Francesco Leopoldo di Toscana.
Nei rivolgimenti seguiti alle campagne napoleoniche, Pignotti mantenne una posizione di prestigio: partecipò, anche se non in veste ufficiale, all’ambasciata mandata da Ferdinando III a Napoleone per tentare di dissuaderlo dall’occupazione del porto di Livorno nel giugno del 1796; rimase in Toscana anche quando fu occupata dai francesi nel marzo 1799; ottenne in seguito vari attestati di benevolenza da Ludovico di Borbone. Prima fu dispensato dalle lezioni cattedratiche, pur rimanendogli l’obbligo delle domestiche, per via della cattiva salute; poi, il 27 agosto 1802 venne esonerato anche dalle lezioni domestiche per potersi dedicare alla stesura di una storia della Toscana in seguito alla sua nomina, avvenuta il 10 novembre 1801, al ruolo di istoriografo regio; il 22 agosto 1802 fu infine dichiarato regio consultore in tutti gli oggetti relativi all’Università e all’incremento delle scienze.
Il 5 gennaio 1803 fu invitato dal ministro Mozzi a recarsi a Parigi in qualità di segretario della Legazione toscana. Il 6 ottobre dello stesso anno fu eletto auditore della R. Università di Pisa.
Al 1808 risalgono le Lettere sopra i classici inserite negli Atti della Accademia italiana, stampati a Firenze e La treccia donata (Venezia), a imitazione del Riccio rapito di Pope. Nel 1809 fu nominato rettore provvisorio dell’Università di Pisa, ma non poté usufruire a lungo dell’incarico perché venne còlto dal primo di una serie di colpi apoplettici. Il 27 ottobre 1810 divenne gran dignitario della Repubblica delle scienze e il 27 ottobre dello stesso anno fu proclamato rettore onorario, perché inidoneo a qualunque impiego.
Pignotti morì il 5 agosto 1812 per un attacco infiammatorio alla vescica e venne seppellito nel camposanto monumentale di Pisa.
Opere. Favole e novelle, Pisa 1782; Poesie, I-VI, ibid. 1798 e Firenze 1812-13. Postuma uscì La storia della Toscana sino al principato con diversi saggi… (I-IX, Pisa 1813-14), che non ebbe modo di revisionare, nonché il poemetto burlesco in ottave Il bastone miracoloso (Dublino [ma Firenze] 1831).
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