PRIULI, Lorenzo
PRIULI, Lorenzo. – Nacque a Venezia il 9 agosto 1538, figlio primogenito del patrizio Giovanni del quondam Zaccaria e di Laura Donà, di Alvise. Ebbe due fratelli, Alvise (1539-1609), che fu procuratore di S. Marco, e Zaccaria (1543-1607); una sorella, Chiara, avrebbe sposato nel 1563 l’autorevole patrizio Alberto Badoer.
Studiò a Padova senza conseguire i gradi dottorali. Entrò in Maggior Consiglio nel 1559 e nel 1563 fu eletto savio agli Ordini. Nel novembre del 1565 fu scelto come ambasciatore straordinario al duca Cosimo I per le nozze del figlio Francesco I con l’arciduchessa Giovanna, sorella dell’imperatore Massimiliano: la missione fu turbata da questioni protocollari e di precedenza, descritte dal giovane diplomatico nella relazione finale, che manifesta una vigorosa ispirazione repubblicana.
Rientrato a Venezia, fu nel 1567 podestà e capitano a Belluno e nel 1572 provveditore di Comun. Il 4 giugno 1572 venne eletto ambasciatore ordinario a Filippo II: giunse a Madrid il 27 novembre 1572 e seppe gestire con abilità – assieme all’ambasciatore uscente Leonardo Donà – la crisi dei rapporti veneto-spagnoli provocata dalla pace separata conclusa da Venezia nell’aprile del 1573 con gli Ottomani. Nella relazione finale, letta al Senato il 28 giugno 1576, Priuli colse acutamente l’interesse della Spagna a evitare ogni conflitto, specialmente in Italia; perciò si mostrò propenso a credere nel mantenimento della pace.
Dopo l’ambasceria, crebbe il rilievo delle sue cariche: fu eletto nel 1576 savio di Terraferma, nel 1577 podestà e capitano a Crema, e nel 1578 nuovamente savio di Terraferma. Il 25 maggio del 1579 fu scelto dal Senato come ambasciatore ordinario a Enrico III: partì nel settembre e risedette presso il re di Francia dal novembre 1579 all’aprile del 1582.
Nella relazione finale, letta al Senato il 5 giugno 1582, Priuli illustrò la profonda crisi della Francia lacerata dalle guerre di religione, ma si mostrò fiducioso nelle capacità di ripresa del Regno. In campo religioso, previde acutamente il rafforzamento del cattolicesimo a danno degli ugonotti, per il sostegno dato alla Chiesa dal re e da molti gentiluomini e per la sincera devozione del popolo, specialmente a Parigi. La Chiesa di Francia gli appariva però indebolita al suo interno per l’orientamento gallicano di una parte dell’alto clero e dei parlamenti, e per la cattiva scelta dei vescovi da parte del sovrano. In campo diplomatico, Priuli segnalò la lega tra il re di Francia e i Grigioni, che avrebbe potuto consentire ai francesi di dare aiuto a Venezia quando ne fosse venuta l’occasione. Ma dalla relazione si evince altresì come la diplomazia veneziana non avesse alternative a una politica di cauta neutralità.
Di nuovo savio di Terraferma nel 1582, nel giugno del 1583 fu eletto ambasciatore a Roma, dove risedette dal novembre di quell’anno fino all’aprile del 1586, testimone della fine del pontificato di Gregorio XIII e dell’avvio di quello di Sisto V. Con Gregorio XIII Priuli dovette affrontare alcune gravi crisi dei rapporti veneto-pontifici: per la cattura di alcune galere di Malta nel 1583; per la successione nel vescovato di Brescia; e soprattutto per la questione del feudo di Taiedo, nel patriarcato di Aquileia. La situazione migliorò nettamente dopo l’elezione di Sisto V, che manifestò la sua benevolenza verso la Serenissima concedendole le decime del clero e nominando con prontezza il nuovo coadiutore aquileiese. Sisto V ascoltò con attenzione anche le raccomandazioni di Priuli di non schierarsi nella crisi francese dalla parte della Lega, che avrebbe potuto affermarsi solo con il sostegno della Spagna. Al termine dell’ambasceria, Priuli fu elogiato in un breve pontificio del 26 aprile 1586.
Il paragone fra Gregorio XIII e Sisto V fu al centro della brillante relazione finale, letta da Priuli al Senato il 2 luglio 1586. Ma, andando al di là delle differenze di temperamento e di scelte, egli seppe cogliere negli ultimi pontificati, da Pio V in poi, una sostanziale continuità nell’applicazione della riforma tridentina. Quanto alle relazioni veneto-pontificie, dalla lunga controversia con papa Gregorio XIII si dovevano trarre – secondo l’ambasciatore – alcune lezioni. L’errore della Repubblica era consistito nell’aver proclamato, in termini generali, il rifiuto di riconoscere la «superiorità» del pontefice nel temporale. Ciò aveva provocato l’irrigidimento della Curia romana, che era fermamente decisa, quando si sollevavano questioni di principio, a «sostenere la dignità e superiorità pontificia» (Le relazioni degli ambasciatori..., 1857, p. 301). Priuli ammonì il Senato a non fare il giuoco della Spagna, dando esca alle manovre di chi aveva interesse a dividere i due maggiori Stati italiani. L’unione tra Venezia e la S. Sede non avrebbe giovato solo agli interessi pubblici, ma anche alle casate patrizie, interessate alla distribuzione di benefici ecclesiastici. Nell’insieme, la relazione conferma l’appartenenza di Priuli, per collocazione familiare e per convinzioni personali, ai settori del patriziato più inclini alla collaborazione con Roma.
Ripresa la via degli incarichi pubblici a Venezia, fu nel 1586 consigliere ducale e riformatore dello Studio; nel 1587 savio di Consiglio e provveditore in Zecca. Nell’agosto del 1588 fu uno dei commissari eletti dal Senato sopra la fabbrica del ponte di Rialto. Nel 1589-90 fu podestà a Brescia.
È sorprendente che Priuli sia riuscito a sostenere lungo tutti questi anni le costose podesterie in Terraferma e le ancor più costose ambascerie, pur provenendo da un casato patrizio non particolarmente ricco: nel 1582 denunciò assieme ai fratelli una rendita annua di 772 ducati. È probabile che si fosse indebitato con la famiglia. Ma a Priuli, che era celibe ed era stimato dalla Signoria e dalla S. Sede per la prudenza dimostrata nella sua attività diplomatica, si aprirono ora le porte della carriera ecclesiastica. Il 4 agosto 1590 venne scelto dal Senato come nuovo patriarca di Venezia con 122 voti a favore e 79 contrari. Solo allora si mise in sacris e, grazie a un indulto apostolico per l’abbreviazione dei tempi prescritti, poté prendere possesso della carica il 27 gennaio 1591.
Come patriarca ordinò il rifacimento della facciata della cattedrale di S. Pietro in Castello, opera dell’architetto Francesco Smeraldi. Tenne due sinodi diocesani, nel settembre del 1592 e nel novembre del 1594, in occasione dei quali tentò di ripristinare la severità degli esami di ammissione agli ordini sacri e cercò di indurre il clero all’osservanza degli obblighi della residenza e della cura pastorale; ma fu ostacolato dai ricorsi presentati a Roma. Incoraggiò l’insegnamento della dottrina cristiana ai fanciulli (pubblicando anche un proprio catechismo). Cercò di migliorare la formazione del clero secolare con l’aiuto dei regolari, cui affidò l’insegnamento dei casi di coscienza, mentre i padri somaschi gestirono il Seminario patriarcale; il patriarca cercò inoltre di promuovere la riforma dei monasteri femminili. Fu poi ostile alla frequentazione fra i cristiani e gli ebrei, di cui richiese un più stretto isolamento nel ghetto con il suo memoriale al Senato del 31 gennaio 1597 (cit. da Pullan, 1985, p. 386). Fece parte, con il nunzio pontificio e l’inquisitore di Venezia, del tribunale del S. Uffizio che processò Giordano Bruno per eresia tra il maggio e il settembre del 1592, prima della sua estradizione a Roma, nel febbraio 1593.
Creato cardinale da Clemente VIII nel 1596, nell’estate di quell’anno dovette affrontare, con la collaborazione del nunzio pontificio Antonio Maria Graziani e dell’inquisitore fra Vincenzo da Brescia, la disputa con Venezia sull’applicazione dell’Indice sisto-clementino dei libri proibiti: il 13 agosto il patriarca e il nunzio tentarono una prova di forza, comunicando a un’assemblea di membri del clero l’introduzione del nuovo Indice; ma poi, di fronte alla ferma reazione del Senato, accettarono di modificare l’Instructio unita all’Indice clementino, attraverso una Dechiaratione delle regole dell’Indice delli libri prohibiti, che recepì molte istanze della Repubblica e fu approvata dal Senato il 14 settembre 1596. In altri casi Priuli riuscì a evitare conflitti con la Serenissima, mostrando di comprendere gli irrinunciabili interessi diplomatici del governo marciano. Così, in occasione della devoluzione di Ferrara alla S. Sede nel 1598, quando Clemente VIII emanò un monitorio contro Cesare d’Este, il patriarca, di concerto con il Senato, ne differì la pubblicazione a Venezia, finché la crisi diplomatica non fu risolta.
Su queste basi il pubblico storiografo Andrea Morosini poté celebrare in Priuli il prudente diplomatico, sinceramente convinto della necessità di una stretta collaborazione di Venezia con la S. Sede, ma non immemore dei doveri verso la patria, anche dopo l’ingresso nell’ordine ecclesiastico; mentre Niccolò Contarini gli imputò di essere stato «molto tenace nel sostentar l’auttorità patriarcale qual egli se la formava». Gli studi più recenti hanno individuato in lui il primo patriarca veramente impegnato a introdurre nella Chiesa veneziana il disciplinamento tridentino, moralizzando il clero e al tempo stesso riducendo l’autonomia della Chiesa veneziana rispetto a Roma.
Morì a Venezia il 26 gennaio 1600. Venne sepolto nella cattedrale di S. Pietro in Castello.
Opere. Literae pastorales […] in aditu sui regiminis ad clerum Venetum, Venetiis, Rampazetus, 1591; Ordini et avvertimenti, che si devono osservare ne’ monasteri di monache di Venetia sopra le visite et clausura, Venezia 1591; Synodus Veneta ab illustr. et reueren. D.D. Laurentio Priolo patriarcha Venetiarum […] celebrata, diebus 9. 10. & 11. Septembris 1592, Venetiis 1592; Synodus Veneta secunda. Ab illustr. et reueren. D.D. Laurentio Priolo patriarcha Venetiarum […] celebrata diebus 15. 16. 17. Novembr. 1594, Venetiis 1595; Regole della Compagnia della dottrina cristiana per le scuole degl’huomini. Nuovamente riformate per ordine di monsignor Priuli patriarca di Venetia, Venezia 1600; Regole della Compagnia della dottrina cristiana per le scuole delle donne. Fatte d’ordine di mons. ill. et rever. sig. cardinal Priuli, Treviso 1634.
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